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Luigi Bozzolan – “Hem Ljus” – Zone di Musica ZDM 1206

Luigi Bozzolan – “Hem Ljus”

Luigi Bozzolan – “Hem Ljus”

“Hem Ljus” è un disco che rispecchia la molteplicità di aspetti espressivi che un musicista può avere, senza essere confusionario o compulsivo nel dimostrare quanto ampio sia il proprio background o il proprio interesse verso una o l' altra suggestione musicale. Bozzolan s struttura il suo cd dividendolo in tre parti: la prima in Trio, la seconda in piano solo, la terza in ensemble. La terza parte dichiaratamente è scritta mentre le prime due sono composte estemporaneamente, tutto il lavoro è stato registrato a Goteborg ed è esplicitamente ispirato a Esbjorn Svensson con l' E.S.T. e a Jan Johansson.
Grande varietà di spunti ma anche un fil rouge che non si spezza mai e che si può identificare con una continua e febbrile ricerca di e timbri che disegnino atmosfere emotive molto forti, suggestive. Ci sono brani quasi descrittivi , come l' ubriachezza dell'alce di “Drunk Moose”, in cui il suono affresca la progressiva perdita di coscienza data dall' ubriachezza: il pianoforte gira vorticosamente con un ostinato, il sax di Eugenio Colombo urla note lunghe per poi affievolirsi stremato a simboleggiare il sonno alcolico (e chi ascolta non vede da fuori l' ubriachezza di un altro, ma con quei suoni vive la propria). Oppure in “Walkin' in the fog” gli accordi diminuiti, la batteria di Henrik Wartel che soffusamente rievoca passi incerti, i pochi riferimenti tonali, le note disorientate del sax, ridisegnano tutta la sospensione e la vaghezza del camminare nella nebbia. Ancora, nella parte dedicata al piano solo ci sono brani in cui Bozzolan svela un pianismo molto fisico ma dall' espressività introspettiva, in cui piccole ed aggraziate dissonanze rendono interessante il procedere del brano (“Promenade”)… ma anche un amore per gli accordi pieni che spesso procedono parallelamente al tema, e che nei brani più lenti svelano un forte legame tra melodia ed armonia. “Rainy Day”, di contro, non è descrizione naturalistica ma piuttosto il dipanarsi di uno stato d' animo, che fluttua tra malinconia e serena contemplazione di una situazione interiore, prima che esteriore.
Una continua ricerca espressiva che è evidente anche nella musica scritta della suite “Pangea”, divisa in quattro parti, in cui ogni episodio è aperto ed identificato in maniera diversa: suoni aggregati in un apparente caos angoscioso quasi, con il quale contrasta il solo di contrabbasso, terso, che poco dopo comincia a dialogare con il sax baritono, per poi sfociare in un progressivo aumentare di suoni, improvvisati ma irresistibilmente e magneticamente attratti l' un l' altro, nella prima parte. Archi struggenti aprono il secondo episodio, seguiti da suoni di spessore diversi, sottilissimi o densi ed imponenti per l'andamento quasi sempre sincronico e che scuote emotivamente più che raccontare. Sono batteria e pianoforte a dare il via alla terza parte, più ritmica, strutturata, dinamica, energica, fino ad un improvviso rarefarsi prima dell' interruzione finale, mentre nella quarta parte è un sussurro di voce quasi spaventevole, inquietante e freddo che dà il via all' episodio conclusivo.
Musica non facile ma tutt' altro che presuntuosa e cerebrale: Bozzolan mostra dimostra di aver ascoltato, amato, metabolizzato e ri – creato ex novo molte importanti suggestioni non solo Jazzistiche. E con lui non poteva non esserci al sax Eugenio Colombo, con il quale esiste una collaborazione da anni e della quale si sente tutta la preziosa comunicativa. (DF)

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