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Nel giro di pochi giorni – il 18 e il 20 agosto – quest’estate 2013 ha visto la scomparsa di tre importanti protagonisti del jazz: il pianista Cedar Walton, morto a settantanove anni nella sua casa newyorkese di Brooklyn; lo scrittore, intellettuale e saggista afroamericano Albert Murray (scrisse, tra l’altro, a quattro mani con Count Basie l’autobiografia del celebre bandleader), deceduto novantasettenne tra le mura della propria abitazione a New York; la pianista britannica, naturalizzata statunitense, Marian McPartland che è morta a novantacinque anni il 20 agosto nella sua residenza di Port Washington (NY).

La scomparsa che più amareggia e colpisce è quella di Cedar Walton, musicista ancora attivissimo venuto meno dopo una breve malattia, secondo quanto dichiarato dal suo manager Jean-Pierre Leduc (e riportato nel blog del “New York Times”). Accompagnatore molto richiesto per bravura, gusto e stile personale (fu a più riprese al fianco di Abbey Lincoln), il pianista dagli anni ’80 “ha favorito come pochi altri l’affermarsi della tendenza neobop ” (François-René Simon) e lo ha fatto costituendo un sodalizio affiatatissimo con il batterista Billy Higgins e supportando – in festival, concerti ed incisioni – solisti del valore di Curtis Fuller, Dexter Gordon, Bobby Hutcherson, Milt Jackson, Harold Land e Frank Morgan. Cedar Walton va altresì ricordato come compositore di brani eseguiti, studiati ed imitati (“Bolivia”, “Fiesta Espanola”, “Mosaic”, “Ojos de Rojo”, “Suite Sunday”, “The Maestro”, “Ugetsu”, “Blues for Alberto” dedicato all’organizzatore italiano Alberto Alberti) nonché come arrangiatore dalle raffinate conoscenze armoniche; non a caso nel 2010 era stato insignito del National Endowment for the Arts (NEA) in qualità di “jazz masters”. Un jazzista, insomma, a tutto tondo che, al di là degli Stati Uniti, era amatissimo in Giappone ed in Europa dove si esibiva spessissimo.

L’aver favorito il cosiddetto “Neobop” non è stato, nel caso di Cedar Walton, opera di ‘manierismo sonoro’ quanto sviluppo coerente di un’intera carriera iniziata nel ’58 a New York (dove si era trasferito dalla natìa Dallas nel 1955) al fianco di Gigi Gryce, Lou Donaldson e J.J.Johnson. Nel corso degli anni il pianista ha fatto parte del Jazztet di Art Farmer e Benny Golson, è stato direttore musicale dei Jazz Messengers di Art Blakey (nel 1961-’64 e negli anni ’70), ha accompagnato per sedute di incisione della Blue Note musicisti importanti, da Lee Morgan a Freddie Hubbard. Alla fine degli anni ’70 fondò gli Eastern Rebellion e affinò via via uno stile enciclopedico comprendente stride, bop, blues, hardbop, standard e composizioni monkiane.

In Italia Cedar Walton ha suonato moltissime volte ed aveva un suo pubblico, come testimoniato da vari “documenti”. Nella recente collana di Dvd sulla storia di “Umbria Jazz” (edita da “La Repubblica-L’Espresso” nel luglio-agosto scorsi) il pianista figura nel primo volume (“Gli inizi”) con un’avvincente “Naima” ad Orvieto nel 1976, in compagnia di George Coleman, Sam Jones e Billy Higgins. La rivista “Musica Jazz” gli dedicò nel maggio 2004 un inserto con allegato un Cd (“Within Me”) realizzato in collaborazione con la Red Records di Sergio Veschi. Dell’etichetta milanese il pianista era uno degli artisti di punta, una vera “icona sonora” insieme ai sassofonisti Joe Henderson e Bobby Watson. Veschi aveva prodotto (registrandoli in studi italiani) svariati album di Cedar Walton tra cui “Love Is the Thing” (1985), “The Trio vol. 1 e 2” (1985), “Cedar Walton & David Williams Duo” (1990) e “The Trio vol.3” (1992).

Fa piacere ricordarlo nella fluente improvvisazione di “Blues for Alberto”, ricca di ‘groove’ e di citazioni, di storia, memoria, vita vissuta e vivente.

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