Quattro incontri tenuti da Luigi Onori

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Duke_Ellington

Luigi Onori, firma che conoscono senz’altro i lettori di questo sito, ha iniziato il 5 aprile scorso una serie di quattro incontri alla Casa del Jazz (ogni sabato dalle 12 alle 13,15 ; prossimi appuntamenti il 12, il 19 ed il 26 di questo mese).

La tematica, a cui lo studioso ha dedicato due libri, è “Il Jazz e l’Africa. Radici, Miti, Suoni”. Ha disegnato un viaggio in quattro tappe nell’immaginario africano presente nel jazz, sotteso alla sua secolare vicenda. Non un itinerario musicologico quanto una ricerca per trovare nella musica afroamericana le molte, vivide e preziose tracce di un’Africa che si è voluta spesso dimenticare e rimuovere. Così si viaggerà dallo “stile giungla” di Duke Ellington e degli anni Venti fino ai jazzisti africani del XXI secolo.

Il primo appuntamento (quello del 5 aprile) è stato dedicato ad una mappa sonora che ha toccato New Orleans, i legami tra l’Islam, Cuba ed il bop, Louis Armstrong in Ghana, Archie Shepp ed il jazz vicino al Black Power ad Algeri nel 1969, gli incontri tra kora (Foday Musa Suso) e sintetizzatore (Herbie Hancock) degli anni ’80, le narrazioni di Hannibal Lokumbe, il chitarrista del Benin Lionel Loueke. Insomma. un rapido affresco per una trama densa e complessa, spesso poco conosciuta.

I prossimi due appuntamenti sono dedicati a Duke Ellington e Randy Weston. Ecco le relative schede di presentazione. Si tornerà tra qualche tempo a parlare dell’ultimo appuntamento (26 aprile) dedicato al jazz sudafricano.

IL GRIOT DEGLI AFROAMERICANI: DUKE ELLINGTON (12 aprile)

In molte comunità africane il “griot” è il depositario della storia, colui che attraverso la musica tramanda le vicende e mantiene viva la memoria del gruppo. Tra i suoi molti meriti, il pianista, compositore e band-leader Duke Ellington ha avuto quello di essere il griot degli afroamericani dagli anni ’20 ai primi ’70, soprattutto in decenni in cui la segregazione razziale era fortissima ed i Neri subivano discriminazioni e violenze fino a giungere al linciaggio.

Ellington comincia con lo “stile giungla” – elaborato insieme al trombettista Bubber Miley per la scrittura al Cotton Club di Harlem – a cambiare valenza e segno all’immaginario africano nel jazz. Saranno soprattutto le suites a scandire la sua missione di griot: “Black, Brown & Beige” (1943), “Liberian Suite” (1947), “A Drum Is A Woman” (1956, in origine un progetto con Orson Welles, scritta con Billy Strayhorn), “Afro Bossa” (1963), “My People” (1963, il musical con cui celebrava, con spirito critico, il centenario dalla fine della schiavitù), “Togo Brava Suite” (1971). Si debbono ricordare ancora “Fleurette Africaine” (1962, incisa con Charles Mingus e Max Roach) e la composizione “La Plus Belle Africaine”, scritta nel 1966 quando Ellington fu invitato dal “poeta-presidente” Léopold Sédar-Senghor al Festival Mondiale delle Arti Nere di Dakar, in Senegal. Un cinquantennio di “coscienza nera” e di orgoglio per le proprie origini e la propria storia.

NEW YORK-TANGERI-PARIGI: GLI AFRICAN RHYTHMS DI RANDY WESTON (19 aprile)

Se c’è un jazzista che ha viaggiato e vissuto in Africa davvero questo è Randy Weston, oggi ottantottenne. La sua figura è pertanto basilare nell’indagine sull’immaginario africano nel jazz. Il pianista e compositore nacque a Brooklyn (NY) ed il padre Frank Edward – panamense di origini giamaicane, seguace di Marcus Garvey – lo educò a considerare sua patria il Continente Nero. “L’Africa è il passato, e l’Africa è anche il futuro. C’è una vera cultura africana negli Usa, in Brasile, ad Haiti, Cuba, Trinidad, cultura che ha prodotto tutte le musiche che sono scaturite dall’emisfero ovest. Ma la Madre Africa è ancora la sorgente”. A questa fonte il pianista si abbevererà, passando anche per Parigi ma facendo sempre ritorno a New York.

Ispirato da Thelonious Monk, Randy Weston fu tra i primi negli anni ’50 a sperimentare i tempi dispari. Nel 1960 incise il Lp “Uhuru Afrika” che celebrava l’indipendenza di diciassette stati africani con liriche del poeta J.L. Hughes. Nel 1961 il pianista si recò a Lagos per il Festival delle Arti Nere; tornato nella capitale della Nigeria nel ‘63, inciderà al suo ritorno l’album “HighLife. Music from the New African Nation”. Dopo un ulteriore soggiorno nel 1967, Weston si trasferì a Tangeri dove vivrà dal 1968 al ’72, fondando l’African Rhythm Cultural Center, organizzando festival e rassegne, visitando quasi tutti gli stati africani. Da allora ha continuato ad indagare i legami sonori e culturali profondi tra jazz ed Africa pubblicando, tra l’altro, memorabili album come “Tanjah” (1973), “The Healers” (1987 con David Murray), i tre “Portraits” (1990), “The Spirit of Our Ancestors” (1991), “The Splendid Master Gnawa Musicians of Morocco Featuring R.Weston” (1992), “Saga” (1995), “Ancient Future” (2001), “The Roots of the Blues” (2013 con Billy Harper).  

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