Kekko Fornarelli – “Outrush” – Abeat ABJZ 133

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Il pianista barese Kekko Fornarelli giunge al suo quarto album con quello che può essere considerato il suo miglior progetto; la formula è sempre quella del trio completato, questa volta , da Giorgio Vendola al contrabbasso e Dario Congedo alla batteria. Dopo aver ascoltato attentamente questo album, devo dare atto a Kekko di una profonda coerenza: il pianista va avanti lungo la sua strada, seguendo un percorso che gli è ben chiaro e che intende affinare, modellare, perfezionare attraverso le diverse esperienze. Così anche i modelli di riferimento non variano: come dichiarato nel corso dell'intervista che potrete leggere qui accanto, un pensiero vola sempre verso l'inimitabile Michel Petrucciani; probabilmente Kekko neanche questa volta dimentica il migliore Esbjorn Svensson con il gruppo E.S.T. … ma, ed è forse questa la maggiore novità dell'album, si evidenzia un certo minimalismo cameristico – se mi consentite l'espressione – (“Reasons”) che nei precedenti album non appariva così ben definito. In effetti più che mai in questo album Kekko sembra aver interiorizzato l'espressività dei jazzisti nord-europei, con le loro lunghe linee melodiche, pervase da grande dolcezza e malinconia, echeggianti spazi ampi e profondi.

A ciò si aggiunga il fatto che attraverso ogni brano Kekko intende raccontare un'esperienza, un momento particolare della propria vicenda personale. Di qui uno stile difficile da classificare nella sua essenzialità. Di sicuro c'è da sottolineare l'originalità ritmico armonica, la capacità di raccontare e soprattutto una straordinaria abilità nel creare un contesto in cui pianoforte, batteria e contrabbasso interagiscono alla pari. Fra i diversi brani mi piace evidenziare “Don't hide”, l'unico in cui al trio è affiancato un cantante, Roberto Cherillo; la novità non nuoce all'omogeneità dell'album anzi illustra un altro lato della personalità di Fornarelli, vale a dire la sua capacità di scrivere anche per un vocalist, cosa leggermente diversa dallo scrivere per un ensemble solo strumentale. L'album si conclude con la title track che, come ci spiega lo stesso Fornarelli, è l'espressione in musica di una “fuga irruenta, improvvisa e violenta verso la propria essenza”.

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