Intervista con la vocalist che ha di recente firmato un eccellente album

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Francesca Sortino mare

Avevano imparato a conoscerla nel 1995 grazie ad un ottimo album registrato per la Soul Note con grandi artisti quali Jim McNeely, Harvie Swartz, Eliot Zigmund, Rick Margitza; poi la collaborazione con i Gabin nel famoso brano ” doo uap doo uap doo uap” e un altro album nel 2004 per la Sugarmusic (“Kiss Me”), fino a “the Music I Play” del 2008, e quindi apparizioni sempre più sporadiche anche se di notevole pregio come nel progetto dell'etichetta Dejavu' “Idea 6” a fianco di grandi nomi del jazz italiano, , Gianni Basso, e le collaborazioni con Gerardo Frisina (“Join The Dance”) e con il progetto “Train up” ecc.

Adesso Francesca Sortino è tornata alla grande nel mondo del jazz con l'album “Francy's Kicks” (Abeat 529) di cui vi diamo conto in un post precedente. Ma come mai questa così lunga lontananza dalle scene jazzistiche? Cosa ha motivato questo suo rientro? Di questo e di molto altro abbiamo parlato con la vocalist nell'intervista che qui di seguito pubblichiamo:

-Il tuo è un ritorno sulle scene jazzistiche; da quando ne mancavi?
“ Da circa cinque anni”.

-Cosa è accaduto durante questo lasso di tempo?
“Non molto. In particolare l'ultima mia sortita sulla scena musicale non è stata prettamente jazzistica: l'ultimo album era costituito da brani di mia composizione ma con arrangiamenti di chiara marca pop; tanto per fare un esempio c'era il singolo “Namorada” che è stato lanciato da Fiorello in Viva Radio 2. E il pezzo ottenne davvero un grosso successo: i giornali specializzati ne parlavano come di uno dei possibili successi dell'estate e lo steso Eumir Deodato mi scrisse dicendomi che il brano gli era piaciuto moltissimo e che avevo tra le mani una hit. Insomma sembrava che il disco avesse delle forti potenzialità commerciali e invece il tutto si è arenato anche perché il produttore e la casa discografica non hanno saputo cogliere il momento… in buona sostanza non ci hanno creduto, non hanno investito, non è stato ben distribuito tanto che molti mi scrivevano dicendomi che il disco non si trovava, non è stato organizzato il live… e così tutto a poco a poco si è afflosciato. Ora per me questa battura d'arresto è stata molto grave perché se è vero che il disco apriva verso nuovi pubblici è altrettanto vero che chiudeva verso il mio pubblico tradizionale che evidentemente da me si aspettava qualcosa di diverso, con un linguaggio più jazzistico. E invece non ho guadagnato un nuovo pubblico e ho perso il vecchio. Insomma una specie di disastro”.

-E sì, perché nel passato tu avevi registrato con importantissime etichette di jazz…
“Certo; il mio primo album l'avevo fatto con la “Soul Note” – “With my heart in a song” 1995 – e con arrangiamenti di grandi artisti quali Jim McNeely, Enrico Pieranunzi, Stefano Lestini; poi ho lavorato molto in Italia – un po' anche all'estero – con miei gruppi cui hanno partecipato, tra gli altri, Renato Chicco, Robert Bonisolo, Lorenzo Tucci… ho inciso un altro album per la Sugar – “KissMe” – ma sempre con un quintetto jazz, con canzoni italiane arrangiate in chiave jazzistica. Insomma il mio campo d'azione era il jazz. Poi c'è stata la deviazione cui prima facevo cenno e la situazione si è complicata: non sapevo più cosa fare, dove andare. Insomma sono dovuta ripartire da zero”.

-Come mai hai deciso di tornare al jazz in questo preciso momento, certo non dei più felici?
“Dopo il fallimento del disco pop, ho ricominciato a lavorare su me stessa, cercando di capire quali fossero le mie più vere inclinazioni e quindi tornare sulle scene con qualcosa che fosse davvero in grado di illustrare chi è davvero Francesca Sortino in questo momento storico. Ho ascoltato tanta musica, dall' hip hop all'elettronica, e poi di nuovo il jazz…Si tenga presente che il ritorno al jazz è dovuto anche alla didattica: insegnando canto jazz al Conservatorio di Salerno , il contatto con i ragazzi ha significato un risveglio della mia passione e ho ricominciato così ad ascoltare di nuovo molta musica afro-americana che negli ultimi anni avevo appunto trascurato per ampliare i miei orizzonti musicali. Nel periodo di lontananza dal mondo del jazz, ho cominciato a registrare, nei posti più impensati, delle melodie che mi venivano in testa: era il nucleo di questo nuovo album. Ho cominciato a lavorarci anche dal punto di vista armonico, ben supportata dal mio maestro di armonia jazz, Andrea Beneventano; poi ho fatto sentire queste idee a Roberto Rossi e abbiamo iniziato questa avventura. In effetti il disco l'abbiamo concepito noi due: le composizioni sono mie, e io ho arrangiato due pezzi ma tutti gli altri arrangiamenti sono suoi…i fiati li ha messi lui, insomma mi ha dato davvero una grossa mano… anche Franco Piana ha fatto un bellissimo arrangiamento per di un brano, ma si può ben dire che nella strutturazione del disco il mio alter ego è stato Roberto Rossi. Senza però dimenticare che l'album appartiene a tutti i grandi musicisti che hanno contribuito con la loro esperienza artistica al successo di questo lavoro”.

Francesca Sortino batteria

-Come sei riuscita ad incidere con l' “Abeat” che oramai da tempo si è qualificata come una delle migliori etichette jazz presenti sul mercato italiano?
“Il contatto me l'ha dato una mia amica, Eva Simontacchi, che ha fatto un disco per loro. In realtà il disco è stato autoprodotto da me, con l'aiuto della Casa del Jazz e in particolare di Giampiero Rubei che mi ha dato la possibilità di registrarlo lì; poi la ricerca dell'etichetta è stata una cosa complessa anche perché il disco non è solo jazz abbracciando diversi ambiti : in esso confluiscono tutte le influenze che ho avuto nella mia carriera artistica, comprese quelle che mi giungono dalla musica che ascoltavo prima di scoprire il jazz”.

-Vale a dire?
“Ma, un po' di tutto… da Bacharach ai Beatles, da Joni Mitchell a James Taylor, ecc”

-Qual è la cifra stilistica della Sortino che viene fuori da questo disco?
“Quando ho iniziato a cantare jazz, avevo alle spalle un lungo e proficuo ascolto delle grandi cantanti jazz come Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Dinah Washington…poi man mano ho cercato di staccarmi da questi modelli per trovare un mio personale modo di interpretare e – forse non starebbe a me dirlo – spero di esserci riuscita… anche perché in questo disco non ci sono riferimenti stilistici ben precisi. Come si nota, nel disco io ho quasi composto tutti i brani ed è chiaro che l'interprete deve un po' mettersi al servizio della composizione; nel mio caso le due figure corrispondono e quindi appare necessario uno stile personale in grado di ben realizzare l'idea musicale”.

E' un punto d'arrivo o di partenza?
-“Assolutamente d'inizio; sto continuando a lavorare sulla composizione e anche sull'arrangiamento, alla ricerca di una sempre più precisa direzione musicale prima ancora del modo di cantare perché, come dicevo in precedenza, è il canto che, in questo caso, insegue la composizione”.

-Quindi in questo momento ti senti più compositrice che cantante…
“Credo proprio di sì: compositrice, arrangiatrice… e naturalmente anche cantante. Ma il canto è stato per me sempre così spontaneo che mai è stato necessario un particolare lavoro neanche dal punto di vista tecnico. La crescita sul canto viene a seguito di una crescita emotiva, di vita, insomma di maturazione della personalità. Il mio approccio al canto è stato sempre istintivo ed emotivo”

-Però in un momento come l'attuale in cui il mercato jazzistico è veramente invaso da una marea di cantanti, il fattore tecnico ha una sua rilevante importanza…
“Per me no, mentre ha una grande importanza il fatto di ricercare un proprio sound; per esempio Gretchen Parlato, che in questo momento gode di una grande popolarità, non possiede enormi mezzi tecnici ma è riuscita ad elaborare un suono del tutto riconoscibile che l'ha resa famosa, un sound che si sposa assai bene con la musica proposta”.

-Sì, ma tutto ciò non ha bisogno egualmente di una forte base tecnica? Io sono convinto che per giungere a questo risultato, la Parlato abbia molto studiato e sperimentato.
“Senza dubbio… tutti abbiamo una tecnica di base ma il problema resta quello di trovare un proprio sound che ci renda riconoscibili. Vedi Stan Getz: quando lo senti ti rendi immediatamente conto che si tratta di lui”.

-Sei rimasta soddisfatta dei musicisti con i quali hai lavorato in questo nuovo disco?
“Molto; sono tutti grandi musicisti e alcuni anche amici di vecchia data come Robert Bonisolo… con Tony Pancella ho addirittura lavorato agli inizi della carriera. Sarà difficile organizzare il live perché siamo tanti…comunque speriamo bene perché la situazione discografica è davvero molto, molto difficile attualmente”.

-Come è stato accolto il disco sul mercato sia dalla critica sia dal pubblico?
“Ancora è troppo presto per un primo bilancio. Comunque sono rimasta già molto contenta dell'accoglienza delle radio: per esempio RadioMontecarlo ha gradito il remix che ha fatto Gerardo Frisina di un brano e mi hanno messo in rotazione con due brani, per l'appunto il remix di Frisina (“Inside art”) e il brano che apre l'album “Francy's Kicks”. Anche Nick The Nightfly mi ha fatto i complimenti e mi ha chiesto un disco personale…insomma ho ricevuto gradevoli testimonianze. Anche Massimiliano Troiani di Radio M2O e Radio 24 l'hanno mandato in rotazione e Gege' mi ha fatto un'intervista su SoundChek, alcune tracce sono state presentate a Battiti su radio tre, e ho avuto due belle recensioni finora da parte di William Piana di Radio Fuiko e Michele Traversa di LSDmagazine. Quello che mi piacerebbe è arrivare all'estero ma l'impresa è davvero molto, molto difficile. In Inghilterra però mi hanno fatto una bella recensione, definendolo come uno dei migliori dischi dell'anno, e alcuni dj's inglesi hanno inserito alcuni brani, primo su tutti “Inside Art” remix, nei loro shows, podcast, mixcloud…”.

-Programmi futuri?
“Lavorare su questo disco che tra l'altro ho dedicato a mio padre morto di recente. Lui ci teneva molto e io, anche per rispettare la sua memoria, farò di tutto perché l'album quanto meno venga conosciuto”.

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