23 Luglio 2014, Cortile di Via Margutta 51 A

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Roy Hargrove, tromba e flicorno
Sullivan Fortner, pianoforte

Justin Robinson, sax
Ameen Saleem, contrabbasso
Quincy Phillips,

Foto di repertorio di Daniela Crevena

L' estate romana del Jazz sembrava oramai perduta, tra chiusure illustri, appelli e speranze flebili, quando ecco che si intravede un' oasi, un angolo beato, del quale è dunque importante parlare: il Roma Summer Jazz Festival. E' un angolo beato per giunta molto suggestivo, in quel cortile affascinante di Via Margutta che ha visto girare le scene più celebri del film “Vacanze Romane”: è qui che si svolgono i concerti in programma, che arriveranno fino a settembre e che vedono nomi di rilievo del Jazz anche internazionale, grazie all' ospitalità del centro Sant' Alessio Margherita di Savoia per i ciechi.
Ha aperto il Festival nientedimeno che Roy Hargrove, trombettista di enorme talento che in quintetto con musicisti bravissimi ha portato a Roma la sua personalissima, emozionante, e vera.

I brani partono e non si fermano mai,  si inanellano senza che venga pronunciata una sola parola. Roy Hargrove suona tutto di un fiato, dando fondo a tutte le energie che ha e che decide di usare solo e soltanto per suonare. Si comincia da una ballad intensa, lirica, a tratti struggente in ¾, fatta anche di obbligati con il sax di Justin Robinson, obbligati che già da soli svelano il livello dei musicisti che abbiamo davanti: i due strumenti, che per timbro e anche per modalità di linguaggio espressivo durante tutto il concerto si differenzieranno in maniera netta, quando sono all' unisono o compiono armonizzazioni di temi fissi, diventano una voce sola.  Non c'è prevalere, ma la voce di uno strumento nuovo. Non c'è gara: c'è la musica. E la musica continua anche nei brani più adrenalinici. Il feeling tra i musicisti è palpabile, il groove della batteria di Quincy Phillips è notevole, il timing perfetto, in tutti i variegati ambiti ritmici che costruisce con fantasia ed elegante energia. Così come è notevole il dialogo tra il contrabbasso di Ameen Saleem e il pianoforte di Sullivan Fortner , che suona in modo“disincantato”, fluido, leggero, donando semplicamente l' appoggio armonico e guardandosi intorno quando il suo ruolo è accompagnare,  ma quasi raggomitolandosi su se stesso invece quando arriva il momento dei soli, intensi, swinganti, a tratti piacevolmente inusuali. Ameen Saleem ha un suono potente ma mai sgraziato, il suo contrabbasso è vigoroso ma denso di sottigliezze dinamiche, fondamentale nell' andamento ritmico / armonico del gruppo:  i suoi soli sono pieni di frasi interessanti e di idee originali.  Il sax di Justin Robinson sprizza energia, macina note a più non posso, mostra tutta la verve di un musicista inarrestabile e brillante.
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Ma questo suo modo di suonare non stride affatto con la musicalità più contenuta,  intimista,  introversa di Roy Hargrove. Roy Hargrove è la sua stessa musica.  Suona la sua tromba sfruttandone ogni minuzia timbrica, ed ognuna di queste minuzie ha una sua bellezza che bisogna essere attenti a cogliere, perché incanta. Il sassofono non fa che esaltare queste caratteristiche, così come la tromba ed il flicorno di Hargrove mettono in evidenza la musicalità più esplicita di Robinson.
“Never let me go” Roy la canta, e la canta quasi come cantava Chet Baker. La sua voce  accarezza la melodia e svela inaspettate intense note gravi. Un' esecuzione emozionante per una sorta di raffinata pulsante emotività che lascia di stucco, e che fa capire quanto la tromba e la voce umana siano espressivamente simili tra loro, se c'è un musicista vero a percorrerne le possibilità espressive. Roy canta come suona. E suona come è lui stesso, senza finzioni.

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Soli pregevoli da parte di tutti i musicisti, momenti di groove intensissimo, grande reciproca voglia di fare Jazz: uno splendido inizio per il Roma Summer Jazz Fest.
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Qui trovate il programma completo!

www.romajazz.it

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