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Due serate al ROMA SUMMER

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L' estate romana del Jazz continua fino al' 11 settembre al cortile di via Margutta 51, dove si svolge il Roma Summer Jazz Festival. In una location suggestiva si stanno avvicendando molti artisti, in un programma variegato, che ha visto ogni sera un pubblico nutrito con serate addirittura sold out: Daniela Lebano, che con Mirella Murri e Pietro Gabriele si è imbarcata in questa avventura, sottolinea che “questa è la dimostrazione che a Roma il Jazz interessa, e che Roma deve avere il suo festival Jazz”.

Come darle torto? Questo spazio, organizzato coraggiosamente e con (giustamente) ottimistici “forza e coraggio” sta dando i suoi frutti e ha un valore intrinseco per la musica che ha presentato ma anche un valore di monito: volere è potere.
Sono stata , oltre al concerto di Roy Hargrove che ho precedentemente descritto ad altri due eventi che vado ora a raccontare.

28 agosto, ore 21:30
MARK TURNER 5et con
Mark Turner, sax,
Aaron Goldberg, pianoforte,
Peter Bernstein, chitarra,
Reuben Rogers, ,
Gregory Hutchinson, batteria

Mark Turner

Mark Turner

Mark Turner quintet, ovvero il Jazz americano, fluido, fatto dell' alternanza costante tra episodi “obbligati” e improvvisazione libera, in cui le parti scritte sono eseguite con la perfezione disciplinata richiesta dalla musica “seria”, ma con il quid che regala a frasi inappuntabili quell' inconfondibile impulso dinamico del Jazz… e in cui l' improvvisazione è l' espressione più squisita della fantasia, una composizione estemporanea, si, ma non certo entropica, e che non tutti si possono permettere: bisogna essere musicisti di grande livello per improvvisare con tutta la libertà che permette la fantasia, senza pasticciare cose incomprensibili o, peggio, scontate. Un quadruplo salto mortale richiede tecnica, studio, sicurezza. E quando ci sono queste caratteristiche fondanti quel salto mortale viene percepito quasi come una danza, un' evoluzione emozionante, naturale, perfettamente comprensibile proprio per la sicurezza con cui quell' audacia si compie.

Reuben Rogers

Reuben Rogers

E dunque il quintetto di Mark Turner sul palco ha deliziato il pubblico con uno swing costante, su cui ha costruito temi avvincenti, alternanze ritmiche di tempi binari e ternari, incroci tra la batteria terzinata di Hutchinson sui 4/4 e le linee irresistibili del contrabbasso di Rogers, i fraseggi morbidi di Mark Turner, dal timbro inconfondibile e da una eleganza tutt' altro che algida, ma anzi ricchissima emotivamente. Aaron Goldberg al piano presenta molteplici soluzioni melodico ritmiche sia quando disegna lo sfondo per i soli di sax e chitarra che quando si libra nei soli : ci ascolti il blues, ma anche atmosfere sospese ed eteree, rese interessanti da dissonanze mai disturbanti ma sempre parte di un disegno armonioso. Peter Bernstein ha una chitarra poetica. Molte delle varianti sui temi proposti sono basate sulle dinamiche, sullo sfruttamento sapiente dei timbri ottenuti sul suo strumento: valga come esempio l' esposizione della bellissima “Luiza” di Jobim, in cui con semplicità vengono suonate le note “giuste” ma con una tale espressività ed una tale intenzione che quel tema, pur fedele a quello originale, se ne distacca in una personalissima esecuzione molto emozionante. Salvo poi esibirsi in quei quadrupli salti mortali di cui parlavo prima, in cui il batticuore si tramuta in adrenalinica emozione. Il contrabbasso di Rogers è il motore pulsante del quintetto, e i suoi dialoghi con la batteria inesauribile di Hutchinson e il pianoforte di Goldberg sono fondanti ed emergono potenti negli episodi in trio.

E dunque alla fine di un concerto così io mi sono chiesta, “perché dovrei accontentarmi di meno di questo”? E non ho trovato una risposta adeguata. W il Jazz!

3 settembre ore 21:30
Maria Pia De Vito, “Remind the gap” con
Maria Pia De Vito, voce ,
Claudio Filippini, pianoforte e tastiere,
Luca Bulgarelli, basso elettrico,
Walter Paoli, batteria ed effetti

Maria Pia De Vito

Maria Pia De Vito

Un' ora e mezzo di musica psichedelica, energica, adrenalinica ed anche suggestiva, un percorso a tratti imprevedibile tra brani scelti in un' ottica personalissima dalla nostra voce più bella, quella di Maria Pia De Vito, creativa come non mai, a partire dall' impianto di ogni suo progetto. Musicista in sempiterna ricerca concettuale, musicale, e per musicale intendo timbrica, improvvisativa, ritmica, melodica. Ogni brano su cui cade la scelta di questa jazzista è allo stesso tempo rispettato, amato, curato ma anche stravolto nella forma e nell' intento. In “remind the gap” ciò che lega brani di Jimi Hendrix, Jeff Buckley, Peter Gabriel, ma anche brani originali come “Zoobab De Ouab” , e le continue citazioni del jazz e di tutta la musica che alla De Vito e ai musicisti con lei sul palco piace è, rigorosamente, l' energia unita di volta in volta ad atmosfere oniriche, o vintage , o sperimentali, o spiccatamente Jazzistiche.

Bulgarelli

Luca Bulgarelli

In alcuni momenti si viene in contatto con l' anima stessa dell' artista scelto: incredibile come la voce di questa straordinaria interprete, nonostante il timbro femminilissimo, riesca a carpire l' anima della voce di Jimi Hendrix in “If six was nine”: l' impatto è notevole, emozionante. I temi melodici vengono estrapolati e manipolati con gli effetti elettronici per esaltarne di volta in volta l' aspetto struggente, o dinamico, o persino rivoluzionario: e questo quartetto non risparmia però nemmeno sull' aspetto ludico, divertente, solare di ognuno dei brani portati sul palco.
Stralunati, giocosi, profondi, divertenti dunque: Maria Pia De Vito ha scelto i suoi musicisti non a caso.

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Claudio Filippini

E' bastato ascoltare primo fra tutti Claudio Filippini alle tastiere, lui, pianista compositore che non esiterei a definire eclettico: in questo progetto emerge il suo lato più eccentrico, nei riff elettronici giocosi e inusuali, nella costruzione degli sfondi “ambientali” creati con grande fantasia, in piena affinità con Bulgarelli e Paoli. I suoi soli sono piccoli gioielli in se, da ascoltare attentamente sia nel contesto di “Remind the Gap” che come schegge di un concerto in miniatura a se stante.
Il basso elettrico e la batteria sono fondamentali per il groove complessivo, assecondano ed esaltano le note lunghe colme in se di dinamiche e gli scat acrobatici della voce, spesso dettano alla stessa De Vito tempi frenetici che sono quasi sfide accettate con entusiasmo, e le suggeriscono spunti che diventano basilari per i minuti successivi. 
E tra rock, swing, funky, psichedelica, in un viaggio solo apparentemente casuale, si arriva ad un acclamatissimo bis: Halleluiah, con incastonato un altro splendido solo di Filippini.

Walter Paoli

Walter Paoli

Un' altro regalo all' estate romana del Jazz.

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