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La scomparsa del grande artista a Londra

Kenny Wheeler

Ancora una scomparsa, non improvvisa comunque repentina quando ad andarsene è un grande musicista, compositore, solista, didatta, arrangiatore come Kenny Wheeler: il trombettista, flicornista – nato in Canada ma trasferitosi in Gran Bretagna nel 1952 – è morto tra il 18 ed il 19 settembre a Londra, ad ottantaquattro anni.

Da qualche tempo ammalato ed ospedalizzato – figura di riferimento negli Usa, in Europa ed in Italia – a suo sostegno dai primi di settembre l'associazione nazionale dei jazzisti italiani MIDJ aveva avviato una sottoscrizione, mentre per il 28 settembre era stato organizzato (da Luciano Linzi) un concerto di solidarietà alla romana Casa del Jazz. Il concerto è stato confermato e gli incassi andranno alla vedova del jazzista, come i fondi raccolti da MIDJ. Sul palcoscenico, confermati sinora, ci saranno Fabrizio Bosso, Stefano Di Battista, Enrico Pieranunzi, Danilo Rea, Rosario Giuliani, Paolo Damiani, Maria Pia De Vito, Max Ionata, Massimo Nunzi e Ada Montellanico. La cantante, presidente di MIDJ, stava organizzando un altro recital per Wheeler in occasione dell'assemblea nazionale, il 1° novembre a Siena, recital che molto probabilmente si terrà.
Kenny Wheeler 1

In questa triste occasione vorrei comunque parlare soprattutto della musica di Kenny Wheeler, scegliendo come primo “testo” il pregevole cd antologico che gli dedicò la rivista “Musica Jazz” nell'aprile 2005 (i brani vennero selezionati dal direttore di allora, Filippo Bianchi): “Song for Kenny”. Ne seguo, in ordine cronologico, le registrazioni a firma di Wheeler.

Londra, gennaio 1973: due pezzi dall'album “Song for Someone” (Psi). Il trombettista-flicornista guidava una formidabile orchestra inglese che comprendeva Mike Osborne, John Taylor, Tony Oxley e soprattutto la cantante Norma Winstone. “Toot Toot” è un tema saettante a tempo veloce che vola verso i registri acuti, dominato dalla sezione trombe rinforzata dalla voce. Il solo del leader è nitido ma sperimentale, ha una controllata quanto esplosiva energia che si riverbera e proviene da tutta la big-band. “Ballad Two” è, al contrario, una composizione soffusa, malinconica, a tempo lentissimo, una ballad introdotta e tratteggiata da Wheeler su pastosi pannelli orchestrali (suoi gli arrangiamenti); si assesta nel suo svolgersi su un tempo più scandito, per lasciare spazio alla magnifica voce di Norma Winstone e ad altri solisti.

New York, giugno 1975: dal long playing “Gnu High” (Ecm; l'era del Cd deve ancora arrivare…) la lunga “Gnu Suite” in cui Wheeler dialoga con il piano di Keith Jarrett, il contrabbasso di Dave Holland (suo amico fino alla morte) e la batteria di Jack DeJohnette. E' un gruppo “stellare”, assolutamente paritario eppure è il materiale compositivo del trombettista-flicornista (anche qui alterna i due strumenti) a fornire i confini e i colori della musica: ampio il suo disegno, una forma estesa che non perde mai di coerenza architettonica pur lasciando respirare i solisti nella loro interazione. Una musica attualissima, che sfida i quasi quarant'anni che la separano da noi.

Oslo, luglio 1977: ancora una produzione Ecm (“Deer Wan”) per un organico che unisce Wheeler, Holland e DeJohnette al sax soprano di ed alle chitarre di John Abercrombie e Ralph Towner. “3/4 In the Afternoon” è nel filone dei brani del compositore canadese a tempo medio-lento, in cui si costruisce una struttura che valorizza soprattutto la tavolozza timbrica: il nitore guizzante degli ottoni del leader, la chitarra elettrica lisergica di Abercrombie, quella soffusamente acustica di Towner, il soprano nasale e transfolclorico di Garbarek.

Ludwigsburg, agosto 1979: è Manfred Eicher (Ecm) a produrre “Around 6”, un sestetto europeo di Wheeler con lo svedese Eje Thelin (trombone), l'inglese Evan Parker (sax soprano), lo statunitense trapiantato nel Vecchio Continente Torn van der Geld (vibrafono), il francese Jean François Jenny-Clark (contrabbasso) e il finlandese Edward Vesala (batteria). “Mai We Go Round” ha un chiaroscurale inizio e brilla, nel suo sviluppo, per un'astratta polifonia tra tromba, trombone e soprano. La penna di Kenny Wheeler, come nella migliore tradizione jazzistica, scrive conoscendo la poetica e la sonorità dei suoi sidemen e si ascolta un inusuale Evan Parker.

New York, maggio 1983: quintetto anglo-americano per l'album “Double, Double You” (Ecm). Wheeler ha un forte legame artistico con il pianista John Taylor, Dave Holland e Jack DeJohnette, mentre crea una magnetica intesa con il sax tenore di Michael Brecker, un coltraniano che si è spinto sul terreno della fusion. Il dialogo tra i due è serrato e il combo tipico del bebop viene rivisto in un'ottica contemporanea. Wheeler e Brecker sono accomunati dall'altissimo livello tecnico e dalla pari ispirazione, con “sheets of sound” che incalzano.

Roccella Jonica, settembre 1984: il Lp “Live At Roccella Jonica” (Ismez Polis) è la testimonianza di una delle prime edizioni del progettuale festival, di cui è stato a lungo direttore artistico Paolo Damiani. Nel 1984 furono invitati gli inglesi John Taylor, Tony Oxley e Norma Winstone, insieme al canadese Kenny Wheeler. Tra i frutti dell'incontro tra jazzisti italiani e stranieri ci fu un brano del trombettista, “Mark Time”, che lo vede fiancheggiato dal giovane Paolo Fresu e dall'eccellente voce della Winstone, sostenuto dalla ritmica inglese arricchita da Damiani al contrabbasso. Una pagina alta dell'incontro tra mondi e generazioni musicali, una testimonianza di quella disponibilità alla collaborazione che Wheeler manterrà sempre, fino alla fine (si ascolti “The Long Waiting”, 2012, CamJazz con l'eccellente vocalist Diana Torto che stabilmente ha lavorato con il trombettista canadese).

Londra, gennaio e febbraio 1990. “Music For Large & Small Ensembles” (Ecm) è uno dei migliori dischi di Wheeler perché ne evidenzia al massimo grado le capacità di compositore e, soprattutto, arrangiatore, quel suo immaginare sempre la musica in ampio formato, sfruttando ed utilizzando al meglio le poche o molte voci strumentali a sua disposizione. Del resto la duplicità di Wheeler (trombettista e flicornista) contiene in nuce un'idea multipla e complessa del suono che egli sapeva concretizzare in qualsiasi organico, utilizzando molto la voce come uno strumento in sezione e non solo come solista. In “Sophie” c'è una robusta big-band (tra gli altri Henry Lowther, Paul Rutherford, E.Parker, Julian Argüelles, J.Taylor, J.Abercrombie, D.Holland. Peter Erskine, N.Winstone) e il risultato è una sintesi felice del passato e del presente dell'orchestra nel jazz.

Abbandono “Song for Kenny” per un rapido accenno a due album wheeleriani, distanti nel tempo.

“Angel Song” (Ecm, 1997). Ancora una volta un gruppo di “all star” che si ritrova a coniugare le composizioni di Wheeler, con incroci estetico-timbrico-generazionali di raro valore. Si ascolti la polifonia cool di “Nicolette” per capire come il trombettista-flicornista-compositore abbia saputo tessere le trame dei suoi brani e coinvolgere Lee Konitz (alto), Bill Frisell (chitarra elettrica) e Dave Holland (contrabbasso). Un quartetto senza sezione ritmica che fa scaturire il ritmo dall'interno, lo sottintende, lo fa immaginare in modo ora impalpabile ora deciso.

“The Long Waiting” (CamJazz 2012), con la Kenny Wheeler Big Band. La figura del trombettista, compositore e arrangiatore canadese si conferma indiscussa. Il jazz gli deve molto: lo testimoniano le parole di Evan Parker che accompagnano queste otto composizioni. A 81 anni la musica di Wheeler sgorga limpida e roca, originale, audace eppure cantabile. Il jazzista prende assoli in cui la tecnica mostra limiti senza cedimenti sul piano dell'ispirazione. Nella big band spiccano P. Churchill (direttore), D. Torto (voce), J. Taylor (piano).
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Se gli angeli suonano la tromba, Wheeler sarà in mezzo a loro.

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