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I NOSTRI CD

Gli album che vi proponiamo in questa breve rassegna sono legati da una sorta di fil rouge: o sono stati presentati durante questa estate o sono stati realizzati da musicisti da noi intervistati di recente. Buon ascolto!

Dario Carnovale – “Emersion” – Auand AU 9036
EmersionEcco un album degno della massima attenzione, un album che non esiterei a definire tra i più interessanti usciti in questi ultimi tempi. Protagonista un talentuoso musicista – pianista, batterista, compositore – palermitano da qualche tempo trasferitosi a Udine : Dario Carnovale. In questa suite, da lui composta, Dario suona con Francesco Bearzatti al sax tenore, Simone Serafini al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. Come si accennava, l'album è di tutto rispetto e per più di un motivo. Innanzitutto il livello delle composizioni: grazie ad un solido background anche classico, Carnovale scrive molto bene, con un profondo senso della costruzione, e un dosaggio notevole nella partizione strumentale. Con quest'opera il musicista vuole rendere omaggio ad un suo idolo, Dewey Redman, e per farlo ha chiamato accanto a sé uno dei migliori tenoristi oggi in esercizio, vale a dire Bearzatti. Ma non si è limitato a ciò: avendo ben presenti quelle che sono le qualità strumentali del sassofonista, gli ha cucito addosso la partitura sì da farne risaltare al meglio il grande talento. Risultato: musica molto interessante, esecuzione convincente per non dire trascinante. Anche per merito del leader che si dimostra pianista intelligente, duttile, in possesso di un'eccellente tecnica mai, però, strabordante, che gli consente di transitare con facilità da atmosfere soffuse di lirismo a situazioni sperimentali, sempre coadiuvato al meglio dall'eccellente sezione ritmica. Infine, cosa che mai guasta, Carnovale non ha paura di scoprire i propri sentimenti: lo fa con il titolo dell'album, “Emersion”, che come egli stesso spiega, fa riferimento alla risalita dal “fondo melmoso cui la vita ti costringe”. “Io ci sono riuscito – aggiunge Dario – grazie alla fede in Dio, a una grande forza di volontà e a un po' di spirito competitivo che accompagna la personalità passionale di noi siciliani”. La suite è stata presentata al Festival di Udine raccogliendo ampi consensi.

Claudio Cojaniz – “Stride” Vol.1- Caligola 2192
Stride vol.1Anche questo album è stato presentato al Festival di Udine in occasione del ritorno al festival udinese del pianista friulano il quale, dopo ben sette anni, si rivolge ancora una volta alla formula del -solo. Il progetto è tanto temerario quanto ambizioso: rivedere, in chiave stride, una serie di brani, di standard che hanno fatto la storia del jazz. Le note di Beiderbecke, Monk, Mingus, Golson, Lacey, Young si librano nell'aria come nuove, sottoposte alla “cura” del pianista. E che si tratti di una cura rivitalizzante non c'è dubbio. Cojaniz appare in forma splendida in grado di padroneggiare perfettamente il materiale tematico a disposizione. Immancabili i temi monkiani data la predilezione di Claudio per Thelonious. Ma, contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, i pezzi di Monk sono pochi, “'Round Midnight”, “Ugle beauty”e “Crepuscule with Nellie”, tutti e tre affrontati con piglio senza minimamente sfigurare gli originali. Splendida la versione del brano d'apertura, il capolavoro di Bix Beiderbecke “In a mist”, mentre “Goodbye pork pie hat” ci viene offerto in una strana ma affascinante versione blues. Suadente, intimista la versione di “I remember Clifford” di cui Cojaniz esplora ogni minima piega del tema; egualmente sentita la versione di “Theme for Ernie” di Fred Lacey un brano inciso assai di rado. Coinvolgente l'interpretazione di “When I fall in love” in cui il pianista friulano sembra aver riversato per intero il suo “coté” romantico. Immancabile un riferimento all'Africa con il tradizionale “Malaika” e quindi la chiusura con l'unica composizione di Cojaniz, “Erika”, un breve, dolcissimo ritratto di circa due minuti. Insomma se vi piacciono le belle melodie eseguite in modo inusuale ma straordinariamente pertinente ecco un album da non perdere.

Filippo Cosentino – “Human Being” – Emme Produzioni
Human BeingDopo l'esperienza di “Lanes” uscito nel 2010, il chitarrista Filippo Cosentino – di recente da noi intervistato – si ripresenta con questo “Human Being”: il gruppo è sostanzialmente lo stesso con Davide Beatino al basso e Carlo Gaia alla batteria mentre l'ospite d'onore questa volta è Michael Rosen, sassofonista americano di sicura valenza. Nonostante la presenza più o meno degli stessi musicisti, l'album si differenzia notevolmente dal precedente: innanzitutto i pezzi sono tutti originali; in secondo luogo c'è una più sofisticata ricerca sul suono dal momento che Cosentino non solo ha adoperato solo la chitarra acustica (con l'ausilio della chitarra acustica baritono) ma ha voluto altresì un'alternanza tra la chitarra acustica e i sassofoni. Di qui la scelta di Michael Rosen che si è ottimamente integrato nel gruppo tanto da affermare che “Filippo ha scelto una strada tutta sua , creando una musica allo stesso tempo accessibile ed esotica, che incorpora una varietà di sonorità”. In effetti ascoltando con attenzione le otto tracce dell'album, due elementi balzano in evidenza: la predilezione di Cosentino per linee melodiche lunghe e coinvolgenti e l'ampiezza dell'universo musicale cui il chitarrista fa esplicito riferimento. Nella sua musica si avvertono echi più disparati, dalla musica dell'Est europeo a quella del Nord America, dal pop al rock, al progressive… per arrivare naturalmente al jazz nelle sua varie declinazioni. Di qui una musica che si snoda apparentemente facile attraverso le invenzioni melodiche del leader ottimamente coadiuvato dai compagni di viaggio e con un Rosen in grande spolvero che risponde perfettamente alle sollecitazioni del chitarrista creando un contrasto sonoro del tutto originale con gli strumenti di Cosentino. Un disco che a mio avviso connota un musicista già maturo nel senso che sa perfettamente quello che vuole e come ottenerlo. In “Human Being” non si avverte più traccia di quel Metheny cui Cosentino aveva esplicitamente guardato in “Lanes”: adesso il chitarrista esplora in profondità il proprio intimo con l'intento di comunicarlo nel modo più immediato e sincero possibile. E francamente credo ci sia riuscito!

Decoder Quartet – The secret life of Parks – IS 006
The secret lifeEnzo Favata è sicuramente uno dei musicisti più vulcanici e attivi, essendo perfettamente in grado di badare, con bella sicurezza, a più progetti nello stesso tempo. In realtà sotto la sigla “Decoder” si cela una delle ultime creature del polistrumentista sardo, vale a dire un quartetto con, attualmente, Enrico Zanisi al pianoforte, Danilo Gallo al contrabbasso e U.T. Ghandi alla batteria, quartetto ascoltato di recente a Udine (mentre nell'album in oggetto al posto di Zanisi troviamo il chitarrista Marcello Peghin). In realtà si tratta della colonna sonora dello spettacolo multimediale “The Secret Life of Parks” incentrato sulle splendide immagini provenienti dai parchi naturali sardi e corsi. Come molte delle iniziative di Favata, a prescindere dalla multimedialità, il progetto, sul piano prettamente musicale, funziona in quanto – per ammissione dello stesso musicista – “ ha a che fare sia con la musica che ho scritto tanti anni fa sia con idee nuove”. Favata, senza alcuna intenzione di fare covers, si rivolge alla musica degli anni '70 rivalorizzando gruppi come i Pink Floyd. Di qui una sapiente commistione tra musica acustica, utilizzo dell'elettronica, jazz contemporaneo e precisi richiami al rock psichedelico anni '70.
E la ricetta funziona assai bene dal momento che tutti e quattro i musicisti si muovono a loro agio sia quando interpretano le partiture sia quando si lanciano in improvvisazioni collettive o singole. Il tutto completato dalla bellezza dei temi che ancora una volta evidenziano la predilezione per le melodie propria del musicista sardo. Predilezione che si avverte sin dal primo brano con lo stesso Favata in bella evidenza e che si noterà per tutta la durata dell'album.

XY Quartet – “XY” – nusica. Org
XYIl bassista acustico Alessandro Fedrigo, da noi recentemente intervistato, è il coleader, assieme a Nicola Fazzini, di un originale quartetto denominato “XY” e completato da Saverio Tasca al vibrafono e Luca Colussi alla batteria. In questo nuovo album compaiono otto composizioni parimenti spartite fra i due leader. Come già detto in altre occasioni, il gruppo si presenta come qualcosa di nuovo nell'ambito del jazz nazionale. La sua cifra stilistica, in effetti, non è decifrabile solo attraverso il linguaggio jazzistico ma chiama in causa altri mondi, altre influenze, in modo particolare quello della musica contemporanea. Di qui un respiro dei brani affatto particolare, una struttura larga, uno sviluppo più ampio, una ricerca sulla forma. Di qui composizioni che poco hanno a che vedere con il classico songbook made in USA pur conservando una loro gradevolezza di fruizione. Si ascolti, ad esempio, “Astronautilo” con Fazzini impegnato a sottolineare la linea portante del pezzo e i compagni ad assecondarlo con Tasca in particolare che apporta una sorta di freschezza nel sound complessivo. Del tutto imprevedibile lo svolgimento di “H20” con un Colussi in grande spolvero; rimarchevoli i cambi di tempo in “Cancellazioni” con ancora Colussi e Fazzini in primo piano, Tasca a punteggiare e Fazzini a legare il tutto. Uno swing del tutto particolare è il dato caratterizzante “Jon Futuru” con Saverio Tasca in particolare evidenza mentre in “Doppio sogno” l'ascolto diventa più facile seppure mai banale. Ma il momento di relativo rilassamento dura poco ché in “Tatami” siamo assai lontani da qualsivoglia parentela con il jazz, addentrandoci in territori patrimonio piuttosto della musica moderna. Con “Futuritmi” si chiude una sorta di viaggio all'insegna, come dice lo stesso titolo del brano, di quel grande sviluppo di innovazioni ritmiche che si è registrato nel jazz e che, secondo lo stesso Fedrigo (particolarmente centrato il suo assolo) “è senza dubbio un campo interessante”.

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