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Per Musica a Villa Durio (28° edizione) domenica 19 Ottobre, Varallo

Ballista Bianchi

Cosa c'è di Jazzistico in un duo di pianisti classici che interpretano Beethoven, Brahms, Stravinskji? Molto, direi. In un sito specialistico come il nostro è bene ogni tanto (e noi lo facciamo volentieri) spaziare verso altri generi musicali: perché la musica non vive a compartimenti stagni, anzi è osmotica, mobile, viva, e i vari generi oltre a comunicare tra loro hanno una base creativa comune. Di questo mi sono ancora una volta resa conto assistendo al bellissimo concerto per pianoforte a quattro mani in cui Antonio Ballista e Massimo Giuseppe Bianchi hanno eseguito di Beethoven, Brahms, e Stravinski.

Repertorio ben noto (se si pensa soprattutto a Beethoven e alle Danze Ungheresi di Brahms, la Sagra merita un discorso a parte) , dunque ci si siede in sala aspettandosi una musica rassicurante, da ripercorrere, già nota. Ma non è mai così. La musica ascoltata dal vivo non è mai sempre la stessa: proprio come il Jazz, anche se questa potrebbe sembrare un' affermazione avventata. Nel Jazz si ascoltano più varianti, naturalmente: l' improvvisazione jazzistica è come sapete molto bene una forma estemporanea di composizione ed esecuzione “al momento”, mentre nella musica classica l' interprete mira a riprodurre in maniera fedele la musica scritta. Ma ogni musicista classico legge quelle partiture secondo la propria inclinazione, la propria cultura, il proprio temperamento, il proprio gusto, la propria personalissima percezione delle indicazioni del compositore. Niente di meccanico dunque, nessuna riproduzione acritica computerizzata: un musicista classico pur rimanendo fedele al testo scritto, crea sempre qualcosa di nuovo, inaspettato, sorprendente, bello o brutto, freddo o palpitante, scolastico o innovativo. La variante in questo caso più che formale (melodica, armonica, ritmica) è una variante dinamica, di intensità, e la trovi nel bisogno istintivo di colui che suona di enfatizzare o minimizzare (senza mai tradirle del tutto) le indicazioni del compositore.

A Varallo il pubblico nella sala (stracolma) di Villa Durio ha ascoltato la musica personalissima di due fuoriclasse del pianoforte, Antonio Ballista e Massimo Giuseppe Bianchi, che hanno interpretato le prime tre marce opera 45 di Ludwig Van Beethoven , 5 danze ungheresi di Brahms (dal 1 quaderno) e la Sagra della Primavera di Stravinsky, nella poco nota versione per pianoforte a quattro mani rivista dall' autore nel 1947.
Un programma di per se volutamente vario, tre compositori profondamente diversi tra loro, tre espressioni altissime della musica colta. E non è certo facile, a quattro mani, trovare un' espressività comune per rendere un brano.

Parlando, alla fine del concerto, con Ballista e Bianchi, ciò che è emerso è che le prove tra loro due servono più che altro a “capire fin dove ognuno si può spingere nel suonare liberamente” . Le prove servono dunque a tarare quanta libertà reciproca e quanta libertà verso la partitura è possibile prendersi, per far nascere la propria musica.
Il risultato di questo incontro di personalità spiccate con mostri sacri della musica è stato emozionante.
Le marce di Beethoven, marziali, assertive, sono state rese calcando la mano sugli aspetti timbrici che riproducono i tamburi, i fiati squillanti delle trombe, in una rilettura che ha fatto trapelare quanto la scrittura beethoveniana fosse anche ironica, divertente, volutamente esplicita.
Le Danze Ungheresi di Brahms sono state rese in modo sanguigno, enfatizzando ad arte gli artifizi ritmici e timbrici che rendono le danze stesse quel prezioso tributo alla musica tradizionale che Brahms aveva voluto fortemente: vibranti, travolgenti, ricche di dinamiche raffinate ma tutt' altro che fredde e vetrificate.

E poi la difficilissima (tecnicamente e da rendere) Sagra della Primavera. Ballista e Bianchi la definiscono una “radiografia” della partitura per orchestra, così connotata da timbriche strumentali innovative: una sorta di concentrato, di essenza assoluta dell' originale, che svela in maniera estrema le intenzioni espressive di Stravinskij. I pianisti spiegano quanto la prima di questo balletto fu contestata dal pubblico proprio per la sua sonorità scioccante, violenta, di rottura: in fondo la Sacre è il racconto di un rito medievale russo che termina con il sacrificio umano di una fanciulla che alla morte deve arrivare danzando fino allo stremo. Musica tutt' altro che bucolica, dunque, come il titolo (mal tradotto in italiano) porterebbe a pensare: e che per pianoforte a quattro mani mostra tutta la sua struttura armonica dissonante, il contrasto netto tra dinamiche opposte che si alternano in maniera improvvisa, e in cui si riconoscono netti i temi melodici ricorrenti per tutti i 40 minuti di esecuzione, pulsanti di micro varianti, che col loro ciclico riproporsi rendono l' atmosfera ipnotica del rito.

Un' esperienza musicale da vivere lasciandosi andare a suoni quasi tribali, resi da Ballista e Bianchi in maniera incredibilmente vivida, vitale, viva. Quando la musica è vissuta in maniera viscerale per prima cosa dagli interpreti, che si avvalgono di una tecnica sopraffina non certo per mostrare il loro virtuosismo ma per rendere il senso profondo della partitura che affrontano, allora un concerto diventa un' esperienza di un' intensità emotiva difficile da descrivere. E la musica è talmente intrisa della personalità di chi suona ( se, come Bianchi e Ballista, chi suona ci mette dentro se stesso e il suo vissuto) che capisci che l ‘improvvisazione non è solo del Jazz. Improvvisare è metterci l' anima, immedesimarsi dal punto emotivo con l' autore secondo il proprio temperamento, e avere il coraggio di affermare: eccomi, sono io ora , provo questa sensazione e suono così come adesso, in questo momento irripetibile nel quale tu mi stai ascoltando.

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