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Intervista al polistrumentista bergamasco

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Gianluigi Trovesi è una stella di primaria grandezza nel panorama jazzistico europeo. Polistrumentista, compositore, arrangiatore ha saputo dire qualcosa di assolutamente originale nel variegato panorama musicale coniugando il linguaggio jazzistico con influenze provenienti da altri universi ad evidenziare una profonda conoscenza di tutti i generi musicali.
Lo abbiamo incontrato a Ruvo di Puglia, al termine dell'ennesima straordinaria esibizione: un concerto in duo con la clavicembalista Margherita Porfido. Una vera e propria chicca che ha stupito gli ascoltatori per la facilità e l'eleganza con cui i due hanno saputo dialogare nonostante le difficoltà di immaginare un qualsivoglia colloquio tra un clavicembalo e i clarinetti.
Evidentemente soddisfatto per l'esito del concerto, Trovesi ci saluta sorridente come sempre e risponde sena remore alle nostre domande:

-Come si inserisce questa tipologia di concerto nell'ambito della tua attività?
“Benissimo, direi, Come sai, oramai da anni faccio un lavoro di ricerca indirizzato verso il periodo barocco. Con l'ottetto trovi precisi riferimenti a questo genere; egualmente nel secondo disco con il (Damiani e Cazzola) “5 piccole storie” (Milano 5 luglio 1980 ndr) appare forte l'esigenza di voltarsi indietro e appaiono temi a me cari come la follia. D'altro canto sin dall'inizio ho sempre cercato di coniugare il linguaggio jazzistico con stimoli, influenze derivanti da musiche “altre” tra cui ovviamente la classica e in particolare la musica barocca. Se ci pensi, non sono poi tanto originale: John Lewis amava tantissimo Bach… e poi, come lui stesso diceva, sarebbe un peccato buttare via tanti secoli di musica”.

-Credi che questa possa essere la via per uno sviluppo del jazz?
“ Penso che il jazz sia una sorta di fiume che va verso il mare e in questo fluire confluiscono, mischiandosi, torrenti, ruscelli e tante altre piccole situazioni che senza il jazz non esisterebbero”.

-Come valuti l'attuale situazione del jazz in Italia?
“Sostanzialmente paradossale. 30 anni fa il jazz incontrava molte difficoltà, c'erano pochi musicisti veramente preparati e quindi le occasioni di lavoro non erano tantissime ma neppure pochissime. Poi le cose pian piano sono cominciate a cambiare: il jazz è entrato nei conservatori, si sono aperte molte scuole di jazz per cui con questa musica si poteva vivere. Oggi la situazione è notevolmente peggiorata: la cultura viene considerata dalle autorità una sorta di Cenerentola e in quest'ambito la musica non occupa certo il primo posto… per non parlare del jazz considerato sempre una musica di nicchia non degna, perciò, di attenta considerazione. Tutto ciò mentre il livello medio dei musicisti si è alzato notevolmente e possiamo davvero vantare dei numeri uno rispetto anche al panorama internazionale”.

-Il tuo discorso è assolutamente condivisibile: in questo quadro la RAI non ha certo dato una mano…
“Certo che no; nel periodo dal '92 al '94 la RAI ha sciolto tre orchestre di musica sinfonica, una da camera ( la Scarlatti di Napoli ), tre di musica leggera e tre cori restando con una sola orchestra sinfonica a Torino. E si trattava di orchestre di assoluta eccellenza apprezzate in tutto il mondo”.

-E sui tantissimi festival jazz in giro per l'Italia vogliamo dire qualcosa?
“Sì, è vero, ci sono tantissimi festival dedicati alla nostra musica ma ciò non significa che ci siano più occasioni di lavoro. Primo perché gli organizzatori si indirizzano sempre verso gli stessi nomi, secondo perché l'attività dovrebbe svolgersi lungo l'arco dei dodici mesi e non essere circoscritta al periodo estivo. Tanto per spiegare meglio cosa voglio dire, negli anni'70 nella bergamasca con il trio completato da Paolo Damiani e Gianni Cazzola in un anno facevamo una decina di concerti cosa oggi assai difficile”.

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-Come uscire da questa situazione difficile?
“Non sono un economista e quindi non ti so rispondere compiutamente anche se alcune idee precise ce le ho, naturalmente rispetto al jazz”.

-Per esempio?
“Far capire alla SIAE che continuando di questo passo sta praticamente uccidendo la musica dal vivo. Non è possibile che un bar, una birreria, un ristorante… insomma un locale qualsiasi, per far suonare quattro ragazzi, debba pagare fior di quattrini alla SIAE”.

-Già, un vecchio discorso sempre attuale ma che non si riesce a sbloccare. Cambiamo pagina. Che musica ascolti attualmente”
“Ad onor del vero studio tanto anche perché devo preparare un omaggio a Giovanni XXIII a Bergamo per cui non mi resta molto tempo da dedicare all'ascolto.
Voglio comunque precisare che l'ascolto è quasi sempre legato ad un progetto in preparazione oltre che al piacere di ascoltare le musiche che mi hanno formato e quindi generi diversi e naturalmente jazz, jazz, jazz… “

-Tra gli artisti contemporanei chi ti viene da nominare così d'impulso?
“Arvo Part che considero uno dei compositori contemporanei più importanti e poi Giorgio Gaslini che ha dato una spinta determinante per l'affermazione e lo sviluppo del jazz in Italia nella seconda metà del ‘900. Infine consentimi di ricordare, in questa sede, il maestro Vittorio Fellegara, con il quale studiai per sei anni armonia, contrappunto e fuga” .

-A tuo avviso si può parlare di un jazz europeo?
“Questa domanda, almeno per me, è molto difficile. Posso dirti che sicuramente esiste da tempo una musica che ha radici sia nel jazz storico che nelle musiche europee e nella quale appaiono, qua e la, in modo più o meno evidente elementi ritmici e/o timbrici e/o melodici e/o armonici appartenenti sia alla tradizione jazzistica sia ai linguaggi etnici europei ed alle esperienze “colte” del ‘900 europeo.
Che questa musica possa essere identificata o certificata come jazz europeo (lascio volentieri questa identificazione e certificazione ai musicologi) è forse meno importante del fatto che possa essere definita e certificata come “buona musica”. E' strano, comunque, ma l'artista che mi ha aperto la strada verso queste considerazioni è stato non un europeo ma un americano, Eric Dolphy. Certo, poi sulla base di queste considerazioni, è facile notare come artisti quali Surman, Portal, Schoof, Gaslini, Barre Philips… tanto per citare alcuni, facciano una musica “altra” rispetto agli americani, una musica però degna della stessa considerazione. Insomma forse siamo o eravamo in una fase di cambiamento. Vediamo cosa accade”.

E con questo interrogativo ci salutiamo dandoci appuntamento ad una prossima volta.

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