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I NOSTRI CD

Tobias Christl – “Wildern” – ACT 9673-2
WildernNel mondo musicale tedesco c’è una folta schiera di giovani che man mano si stanno facendo strada anche a livello internazionale. E’ questo il caso di Tobias Christl , classe 1987, artista dalle mille sfaccettature: cantante, compositore, DJ, improvvisatore, speaker, co-fondatore del collettivo “Cologne KLAENG” nonché pianista e tastierista, clarinettista e chitarrista… in possesso di un solido bagaglio di base avendo studiato, tra gli altri, a New York con Theo Bleckmann eccellente jazz-singer, compositore e didatta. Ed in effetti la specialità in cui Tobias eccelle è sicuramente il canto; grazie ad una voce particolarmente duttile, ora angelica , ora chiaramente rockettara, ora più influenzata dagli idiomi jazzistici Christl è capace di transitare con grande disinvoltura dai testi del poeta e scrittore iraniano Said ai versi di grandi cantautori quali Paul Simon, Tom Waits, Leonard Cohen, Björk….. Ed è proprio agli ultimi quarant’anni di cantautorato, pop e rock internazionali che il vocalist si rivolge in questo suo debutto discografico con la ACT. Dodici brani celebri che vengono reinterpretati dall’artista tedesco in maniera originale, alle volte addirittura straniante. Si apre con il celeberrimo “Sound of Silence” di Paul Simon e già da questo brano si nota quella che sarà la cifra stilistica dell’intero album vale a dire la capacità del vocalist di studiare un brano, vivisezionarlo, destrutturarlo per poi ripresentarlo in modo personale pur conservandone la riconoscibilità. In ciò ben coadiuvato da un gruppo di eccellenti strumentisti quali Peter Ehwald al sax tenore e clarinetto, Sebastian Müller alla chitarra, Matthias Akeo Nowak al basso e Etienne Nillesen alla batteria cui si aggiunge in “Toxic” la voce di Simin Tander, una improvvisatrice tedesca già nota per la sua capacità di lanciare un ponte tra gli stilemi prettamente jazzistici e il mondo arabo.

Manu Katché – Live in Concerto – ACT 9577-2
live-in-concertA mio avviso uno degli album più interessanti usciti in questo periodo: il batterista è in uno dei suoi tanti momenti di grazie e trova al suo fianco un trio di eccellenti jazzisti quali il “nostro” Luca Aquino alla tromba (che oramai rimpiazza stabilmente Nils Petter Molvær), il pianista e organista Jim “James” Watson e il sassofonista Tore Brunborg. Siamo al “New Morning” di Parigi il 16 giugno di questo 2014 e questa sorta di internazionale del jazz funziona alla perfezione. Il gruppo appare perfettamente rodato, cosa logica ove si tenga conto che lo scorso anno ha effettuato circa 130 concerti in tutto il mondo e che durante questo concerto il repertorio prevede brani già incisi quali “Pieces Of Emotion”, “Song For Her” “Snapshot” (presenti in “Playground”), “Springtime Dancing”, “Shine And Blue” contenuti in “Third round” e “Loving You” (in “Manu Katché”). I due fiati dialogano magnificamente, Luca con il suo soffuso lirismo, Tore egualmente grande sia al tenore sia al soprano (si ascolti soprattutto “Clubbing” impreziosito anche da un ottimo assolo del leader). Dal canto suo Jim Watson cesella il tutto con pianoforte e organo coprendo il vuoto lasciato dalla mancanza del contrabbasso. Ma il vero motore del gruppo è senza dubbio alcuno lui, Manu Katché: seduto dietro i suoi tamburi, il drummer guida il quartetto con mano sicura, facendolo transitare senza difficoltà da terreni minimalisti a terreni molto più smossi in cui appare evidente l’influenza del funky. Un valore aggiunto è dato dalla registrazione live: ascoltando il concerto si avverte il magnetismo di Katché, la sua capacità di trascinare il pubblico sino a farlo cantare… insomma quel clima che si respira sempre durante un’esecuzione dal vivo e che difficilmente può essere ricreato in uno studio di registrazione.

Nils Landgren – “Redhorn Collection” – ACT 2 CD6013-12
RedhornPoco meno di due ore di musica in compagnia di Mr. “Redhorn” come viene affettuosamente soprannominato Nils Landgren, trombonista, vocalist, compositore, arrangiatore tra i più stimati sulla scena europea. Due CD che documentano al meglio i 20 anni trascorsi da Nils in casa ACT. Nel primo CD Nils suona accompagnato dalla sua formazione storica, la “Funk Unity” mentre nel secondo si ascoltano ballads. Esaminando il primo CD non si può fare a meno di notare come la compilation sia stata realizzata in modo assai intelligente facendo ascoltare brani che vanno dal 1995 al 2013 sì da illustrare al meglio l’arte del protagonista. Così è lo stesso Nils a ricordare che nel 1995, dopo l’incontro con Siggi Loch, si convinse a chiamare la sua band “Funk Unity” e che in quello stesso anno realizzò la prima incisione sotto suo nome al Festival dl Jazz di Stoccolma. Fu l’inizio di una brillante carriera che ha visto il trombonista sempre in testa ai favori del pubblico e sempre in grado di suonare con un groove davvero paragonabile a quello dei nero americani. Nei quattordici splendidi , trascinanti brani che possiamo ascoltare in questo primo CD, Landgren si avvale della collaborazione di altri straordinari artisti quali, tanto per citare qualche nome, Maceo Parker, Michael e Randy Brecker, Joe Sample, Roy Hargrove, Fred Wesley, Bernard Purdie, Rigmor Gustafsson, Ida Sand, Esbjörn Svensson… Nel secondo CD un deciso cambio d’atmosfera: niente funky ma dodici ballads tratti sia dal songbook jazzistico, sia dalla tradizione svedese sia dalla musica pop, in un caleidoscopio di colori che evidenzia al massimo la versatilità del leader. In questo CD, in effetti, Nils si fa apprezzare per le sue squisite doti di vocalist, non dotato di mezzi vocali straordinari ma in grado di fornire interpretazioni assai convincenti per la capacità di andare ad illustrare ogni più recondita piega della melodia. In tal senso si ascolti “This Masquerade” di (Leon Russell), “Fire an rain” in cui duetta con Rigmor Gustafsson , una delle mie interpreti favorite, “Fragile” soavemente accompagnato da Michael Wollny e “Get Here” con il chitarrista Johan Norberg finora inedita. Di tutto riguardo anche la versione solo strumentale del traditional “Song from the valley” con Esbjörn Svensson e “Silent Way” con l’orchestra di Wolfgang Haffner.

Nguyên Lê – “Celebrating The Dark Side of The Moon” – ACT 9574-2
celebrating_the_dark_side_of_the_moon_ipNon c’è dubbio alcuno che l’album “The Dark Side of The Moon” dei Pink Floyd, uscito nel 1973, abbia rappresentato una tappa importante nell’evoluzione del rock, un album che non a caso ancora oggi si ascolta con immutato piacere. Di qui la rivisitazione di quel chitarrista geniale che risponde al nome di Nguyên Lê che si presenta in quartetto con Youn Sun Nah voce, Gary Husband batteria e Jurgen Attig basso elettrico cui si aggiungono Michael Gibbs e la NDR Big band. Il risultato è di assoluto livello in quanto vengono pienamente rispettate alcune condizioni di fondo: il materiale su cui si lavora è, come detto, di primissima qualità; l’orchestra è tra le più affidabili e capaci di coniugare la tradizione con il modernismo; gli arrangiamenti sono originali e assolutamente pertinenti grazie alla maestria di Michael Gibbs e Nguyên Lê, mentre l’interpretazione è semplicemente straordinaria, frutto della non comune versatilità dello stesso chitarrista. L’album non è solo un mero tributo alla musica dei Pink Floid, ma una vera e propria rivisitazione che vive di luce propria. Di qui il fatto che accanto ai brani originali troviamo alcune composizioni di Nguyên Lê che si integrano perfettamente nel contesto. Insomma un repertorio quanto mai impegnativo che registra una prova maiuscola di tutti i solisti chiamati ad esprimersi, tra cui ricordiamo il trombettista Claus Stötter, gli alto-sassofonisti e flautisti Fiete Felsch e Peter Bolte, i tenoristi e sopranisti Lutz Buchner e Christof Lauer e il pianista Vladyslav Sendecki. Ma su tutti si erge la figura di Nguyên Lê che ancora una volta evidenzia la sua straordinaria capacità di racchiudere le sue molteplici influenze in uno stile affatto personale, con un fraseggio agile, veloce, ricco di nuances in cui è possibile scorgere tutta una serie di colori che vanno dal jazz, al rock…alla world music.

Jerry Léonide – “The Key” – ACT9572-2
The-Key_teaser_550x (1)Eccellente album del pianista mauriziano Jerry Léonide che presenta un repertorio tutto di sue composizioni incentrato sui ritmi e le melodie del suo Paese. Giunto a Parigi all’età di 17 anni, Jerry si è man mano affermato come uno dei più interessanti giovani pianisti del panorama jazzistico francese. Dotato di una tecnica sopraffina, è altresì sorretto da una profonda conoscenza del proprio patrimonio musicale che gli ha permesso di elaborare uno stile – anche compositivo – assolutamente personale. Non a caso nel 2011 arriva terzo al concorso internazionale di piano solo del Montreux Jazz Festival mentre nel 2013 si classifica primo al concorso di Piano Solo Boris Vian. E’ l’anno della consacrazione confermata da questo primo album a suo nome che è stato accolto assai bene sia dalla critica sia dagli appassionati. “The Key” (“La chiave”) è proprio il mezzo per entrare nell’universo musicale dell’artista, un universo, come si accennava in precedenza, del tutto legato alla musica folkloristica di quella sorta di paradiso perduto che è l’Isola di Mauritius. Così, ascoltando gli undici brani contenuti nell’album, si avverte chiaramente l’abilità con cui Léonide riesce a trattare, con linguaggio prettamente jazzistico, materiale tematico, melodico e ritmico chiaramente influenzato dalle origini africane. E questa sensazione la si avverte immediatamente, già dalle prime note del primo brano – “Independance day (Part 1)” – in cui la sghemba linea melodica disegnata all’inizio dal sax soprano di Vincent Le Quang viene ripresa e sviluppata dal piano del leader, mentre “Mauritius” è forse uno dei brani più interessanti dell’intero album anche per il suo andamento così diversificato: nella prima parte si ascolta una sorta di ritmo caraibico mentre nella seconda il ritmo si allenta e il brano assume quasi il sapore di una ballad impreziosita da un bell’assolo di Benjamin Petit al sax alto.

Marcotulli & Biondini Duo Art – “La strada invisibile” – ACT 9627-2
La strada invisibile“La strada invisibile” è, con tutta probabilità, quella tracciata dalla musica che, attraverso insondabili percorsi, riesce ad unire uomini di tutti i continenti al di là di qualsivoglia schematizzazione o barriera di lingua razza , religione. In questo specifico caso la “strada invisibile” congiunge due eccellenti musicisti italiani da poco entrati nella prestigiosa “scuderia” tedesca: la pianista e compositrice Rita Marcotulli e il fisarmonicista Luciano Biondini. Un duo siffatto potrebbe apparire mal assortito: manca del tutto la sezione ritmica, manca chi segni il tempo. E invece la sensibilità e la maestria musicale dei due supera questo ostacolo regalandoci una cinquantina di minuti di eccellente musica, caratterizzata da grande empatia, toccante lirismo e tenerezza non disgiunti da momenti di leggerezza, di brio. I due si misurano su un repertorio costituito in massima parte da composizioni originali dei due musicisti, con accanto tre brani di altri autori (“Cosa sono le nuvole” di Domenico Modugno, “The Moon Is A Harsh Mistress” del songwriter americano Jimmy Webb e “Essa Muhler” della cantautrice brasiliana Joyce Moreno). Nel loro continuo dialogare, Rita e Luciano evidenziano alcune ben note specificità: in primo luogo la capacità di saper ascoltare il partner dal momento che in passato hanno già avuto modo di esibirsi in formazioni minimali come il duo; in secondo luogo le varie influenze che fanno parte del loro background. Così, man mano che l’album procede, si avvertono chiaramente gli input provenienti di volta in volta dal jazz, dalla musica classica, dal folk, dal Brasile (“Choroso”), dall’Africa (“Tuareg”), dall’India: al riguardo si noti come la title tracke è basata proprio sulla melodia indiana “Yagapriya” di R.A.Ramamani. Tra le altre esecuzioni meglio riuscite “The Moon Is A Harsh Mistress” e soprattutto “Essa Muhler”, un brano difficile da rendere ma che rientra perfettamente nelle corde della Marcotulli: ne ricordo una toccante interpretazione live assieme a Maria Pia De Vito durante una serata alla Casa del jazz di Roma.

Michael Wollny Trio – “Weltentraum Live” – ACT 9579-2
Weltentraum-live_teaser_275xAncora un album che vede protagonista un giovane artista tedesco, Michael Wolnny, affiancato da Tim Lefebvre basso e Eric Schaefer batteria. La carriera del pianista ha inizio, sostanzialmente, nel 2005 quando entra nella scuderia ACT, promosso immediatamente all’interno della serie “Young German Jazz”. L’accoglienza è subito più che positiva: tutti riconoscono al giovane pianista una grande padronanza strumentale, un’efficace capacità improvvisativa, una profonda conoscenza dell’universo armonico e la facilità nell’utilizzare al meglio lo spettro dinamico. Doti, queste, che Wollny ha continuato ad approfondire in questi anni tanto da incidere diversi album e da divenire un vero e proprio punto di riferimento per la ACT che l’ha utilizzato come pianista in diverse altre incisioni. Questo recente “Weltentraum” registrato dal vivo durante un concerto alla Chamber Music Hall della Berlin Philharmonie, non fa altro che confermare quanto di buono si era già ascoltato da questo jazzista. Il suo pianismo è ricco, spumeggiante, fantasioso senza per questo risultare eccessivo, con un gran senso della costruzione, e una capacità di creare tensione e distensione davvero notevole: si ascolti al riguardo “Phiegma Phighter” caratterizzato, tra l’altro, da cambi d’atmosfera tanto improvvisi quanto suggestivi. Ovviamente la riuscita dell’album è legata anche all’abilità dei due partners che da tempo seguono il pianista riuscendo perfettamente a sottolineare e sorreggere quei cambi di ritmo così particolari che fanno parte integrante dello stile di Wollny. Per quanto concerne il repertorio, si ascoltano composizioni dello stesso Wollny, di Eric Schaefer, con incursioni ben riuscite nell’ambito della musica colta con brani Alban Berg, Paul Hindemith e Guillaume De Machaut.

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