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Pino Daniele Crevena 2

Gerlando sa bene che non riesco a scrivere parole di ricordo o commiato per personaggi della musica che scompaiono. E’ un mio limite e quando so di non poter fare una cosa io non la faccio.

Ma io stessa ho detto che stavolta avrei scritto su Pino Daniele. E ciò che scriverò non vuole essere un articolo ma parole commosse perché Pino Daniele ha significato per me quella traccia da cui sono partita per amare una musica, il blues, che a casa mia non girava quasi per nulla . Mio padre cantava con me vecchie canzoni napoletane, canzonette della sua infanzia, arie di opera, brani struggenti cubani e musica della tradizione sarda, tutte cose che amavo tantissimo. E poi io studiavo il pianoforte classico, e strimpellavo ad orecchio tutto ciò che mi piaceva.

Un giorno in televisione o in radio, non ricordo, ascoltai “Je so’ pazzo”. Avevo forse dodici anni, o undici o tredici, non vado a guardare che anno fosse: dopo pochi giorni avevo il mio 33 giri a casa, che divorai letteralmente, suonando tutto ciò che riuscivo a replicare, in la minore, che non sapevo trovare le tonalità vere, ancora, o in do maggiore. Cantavo, e cercavo di imparare i soli. I soli di chitarra, i soli di sax. Avevo trovato una musica che sentivo mia, degli accenti che sentivo miei, amai subito la sua voce.

Amai il suo modo di suonare il blues, che i puristi diranno non era vero blues, ma a me dei puristi è sempre importato poco. Lui il blues lo sapeva bene come era, e lo cantava, e lo suonava, senza copiare i grandi del blues: lo cantava come lo canterebbe Pino Daniele. Questo è il blues, sentirlo e cantarlo, non “saperlo cantare”. Se non ce l’ hai non lo canterai mai. E di lì io a Pino Daniele non l’ ho mai lasciato. Ho cantato milioni di volte “Alleria”, milioni di volte “Quanno chiove” , milioni di volte “ Quando”, milioni di volte “Nun me scuccià”. Ho cominciato ad ascoltare il Jazz, che oramai ero pronta anche al Jazz, e “Moanin” suonata da Oscar Peterson, alla radio anch’ essa e che mi stregò come due anni prima mi stregò “je so Pazzo”. Ma Pino Daniele continuava con me parallelamente al Jazz ed io continuavo con lui. E ogni volta, fino a ieri, che lo vedevo in tv o lo ascoltavo, io mi sono incantata a vederlo ed ascoltarlo. Meno ferrata di prima sul suo repertorio ma rapita, come prima. Ha collaborato con i grandi della musica, lo so, ma confesso che tutte le volte che lo vedevo cantare e suonare con un mostro sacro (Gato Barbieri, Eric Clapton, Pat Metheny, chiunque) io ascoltavo lui. L’altro non lo ascoltavo. E’ la verità e non mi vergogno a dirla.

Pino Daniele Crevena 1

Un giorno l’ho visto qui a Roma qualche anno fa, a Viale Mazzini. Ero in macchina: avrei voluto scendere, dirgli quanto contasse per me lui e la sua musica: ma il coraggio non l’ ho avuto, ero emozionata, mi sono vergognata, e poi io non sono così disinvolta. E così l’ ho solo guardato e in silenzio gli ho detto che era un grande. 
L’ho visto anche ad Umbria Jazz: e da lontano gli ho detto che era un grande. 
Voi mi direte: ma Pino Daniele non ha fatto solo blues! Per me lui era il blues. Anche quando cantava “Napul’è.

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