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Warum

In un suo quadro il pittore giapponese Ogata Korin (1658-1716) rappresenta un coniglio che danza. Il coniglio guarda verso la luna che risplende alta nel cielo. La luna non poteva essere mostrata entro il quadro, se ne vede solo il riflesso. Lo spettatore può così immaginare il levarsi della luna in uno spazio senza limiti.

Questa immagine mi si è presentata alla mente durante l'ascolto di questo recente disco della Cappella Amsterdam diretta da Daniel Reuss dedicato alle opere corali, a cappella e con pianoforte, di Johannes Brahms (1833-1897).

Il CD, pubblicato da Harmonia Mundi, include due diverse tipologie di lavori vocali. Da un lato i Mottetti sacri per coro a cappella, che stilisticamente si rifanno alla tradizione luterana e il cui testo sovente consiste in un assemblaggio di citazioni bibliche o patristiche. Dall'altro, opere secolari per coro e pianoforte dove il magistero contrappuntistico è sublimato nel canto popolare e nel lied. Questo CD prende il titolo dal Mottetto in quattro parti posto in apertura, “Warum ist das Licht gegeben dem muhseligen?” ( Perché dare la luce a un infelice, e la vita a chi ha l'amarezza nel cuore?) il cui testo è mutuato da diversi autori, da Giobbe a Martin Lutero.

E' sufficiente ascoltare questo pezzo (consiglio di farlo testo alla mano: nel libretto risulta assente, come sempre purtroppo, la traduzione in italiano ma vi sono quelle in lingua francese e inglese) per rendersi conto di alcune cose interessanti. Anzitutto, la bellezza fulgidissima di questa musica e il suo carattere, potremmo dire, consolatorio: questo Mottetto è uno dei capolavori di Brahms tout court.

Il precedente filologico cui Brahms si rifà qui è il mottetto luterano e principalmente Bach; questo grande autore aveva, con i suoi Mottetti sublimi, rivitalizzato e dischiuso nuove vie ad un genere che aveva raggiunto nel secondo ‘500 vette insuperate e sembrava, dopo Marenzio e Gesualdo, impareggiabile. Pertanto è affascinante notare la differenza psicologica tra Bach e Brahms: se i meravigliosi componimenti bachiani sono contemplazione, geometrie sublimate in afflato poetico, trasfigurazione della philìa cosmica, in Brahms avvertiamo per converso l'esigenza di rivolgersi, oltre che a Dio, a se stesso.

Nostalgia, ovvero il dolore del ritorno. E fratellanza, confessione.

Mi trovo in difficoltà nel disquisire di forma e stile riguardo a opere che realizzano, e in maniera mirabile, il superamento del dualismo cartesiano mente- corpo. Altro che ghiandola pineale: è in musica simile che l'uomo può ritrovare il proprio senso! Retorico, io? Forse. Ma ascoltate, cuori di pietra, il “Canto del Destino” (Schicksalslied) op. 54, qui proposto nella versione per coro e pianoforte a quattro mani. Il testo, tratto da “ Hyperion” di Friedrich Hölderlin è una rappresentazione di serenità celeste cui si contrappone una visione quasi leopardiana, l'esistenza vista come una lotta incessante contro il destino. Questa musica non erige una cattedrale al cielo ma si dirama dentro la terra come i canali di una miniera. Brahms fa scorrere il sangue e disgela i freddi cristalli del razionalismo rivelando una luce di speranza che ci guida verso il mistero, verso il segreto.

Il presente disco include molte altre meraviglie, troppo poco conosciute: i Fünf Gesänge op.104, svariati Mottetti tra cui quelli op.110, canti a sei voci e alcuni quartetti profani con pianoforte. Il culmine dell'emozione si raggiunge forse in “Sehnsucht”, op 112/1, dove il coro, introdotto da una stupenda melodia enunciata dal pianoforte, intona un testo dal sapore eracliteo: “Scorrono le acque notte e giorno/ la tua nostalgia è sempre viva…”.

Nel programma di questo disco troviamo anche un'intuizione felice: l'inserimento dell'Intermezzo op 119 n. 1, per pianoforte, la cui scrittura viene giocoforza messa in relazione proprio con quella dei Mottetti: un confronto stilistico insolito che personalmente ho trovato azzeccato quanto entusiasmante.

La Cappella Amsterdam e il suo direttore Daniel Reuss si rivelano come sempre interpreti infallibili, espressivi e sensibilissimi di queste pagine che vi consiglio caldamente di ascoltare più e più volte. Il piacere che ne ricaverete sarà immenso e la brutta musica che ci circonda, avvilendoci, giorno dopo giorno, parrà uno spiacevole ricordo. I due pianisti, Philip Mayer e Angela Gassenhuber non sono da meno di direttore e coro, bravi e ben calati in un ruolo di grande responsabilità. Per finire, credo che vada citato all'ordine del giorno anche il pianoforte utilizzato. Dalle note di copertina nulla trapela sul povero strumento: non il modello, né tantomeno il nome di colui che l'ha preparato. All'ascolto pare essere d'epoca, un fortepiano, tipologia per la quale solitamente nutro scarsa simpatia.

Devo ammettere che di rado mi è capitato di sentire, in disco e dal vivo, un fortepiano così bello, caldo, ottimamente reso da una registrazione perfetta. Molte lodi perciò anche a questo strumento e al suo ignoto preparatore.

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