Ritorno al futuro: la nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven

Ritorno al futuro: la nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven
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“Tempora mutantur, et nos mutamur in illis”; i tempi mutano, e noi mutiamo con essi. Vi sono creazioni artistiche dopo la cui apparizione la tradizione non può più dirsi semplicemente ”tradizione”: essa si volge come d’incanto in “passato”. Dopo, niente sarà più lo stesso né potrebbe più esserlo. La nona Sinfonia in re minore per soli, coro e orchestra opera 125 di Ludwig van Beethoven appartiene a questa categoria.

 Vero e proprio ordigno magico, infallibile e di potenza sconfinata, che annette per la prima volta nella storia la voce umana a una forma fino ad allora indomabilmente strumentale, l’ultima sinfonia di Beethoven è portatrice di un “sound” – passatemi il termine – di tale portata che, anche se il linguaggio si consuma, ne percepiamo ancora oggi tutta, ma proprio tutta la forza eversiva: e se rivoluzionaria è l’invenzione, sconfinato è il fascino. Questa musica incarna il concetto stesso di ideale nella sua genesi e nella sua attuazione: e non solo perché riveste di suoni un poema (di Schiller) che esalta la fratellanza.
Si apre con un Allegro ma non troppo che, nelle prime battute, costituisce una rappresentazione febbrile e mai prima udita del caos primordiale. E’ musica che non è musica ancora, quanto magma ribollente.. Bisognerà attendere Bruckner, ma soprattutto il George Crumb dei Makrokosmos  per assistere a una cosmogonia così straordinaria. Non a caso Massimo Mila ricorda, a proposito di questo inizio, le parole della Genesi: “La terra era informe e nuda…lo spirito fluttuava, portato sulle acque”. Genesi che, in senso metamusicale, può leggersi anche come quella della composizione stessa. Nel suo farsi, la musica non si limita a prendere corpo ma ci dà l’illusione di vedere il compositore al lavoro. Assistiamo a ciò che avviene nella mente di Beethoven, vediamo come le idee si organizzano, prendono forma, vengono scartate, emendate, perfezionate. Mai era accaduto prima d’ora di assistere a cotanta rappresentazione del dualismo tra l’opera e il suo immaginario; potremmo anche dire, usando una terminologia moderna, tra l’hardware e il software. La musica in Beethoven, mai si esaurisce nell’oggettivazione di sé; non c’è esercizio di stile, il genio poetico dell’autore riesce a dare vita ogni volta ad un universo nuovo.
Per citare un ameno (si fa per dire) gossip, quando Giovanni Allevi si sente in dovere di  affermare che Beethoven “non ha ritmo” noi possiamo anche concedere, per assurdo, che tale apodittico aforisma sia vero, ma soltanto se posto in relazione al suo riccioluto enunciatore: è così evidente infatti come quest’ultimo e il genio di Bonn intendano tale elemento fondante della musica, il ritmo, in modo completamente e direi tragicamente diverso. Chiuderei però qui, sul nascere, una questione che forse non andava neppure aperta.
Per Beethoven, stavamo per dire, il ritmo è l’elemento forse più importante tra tutti: dinamismo, una corsa a piede libero. Come il secondo movimento di questa Sinfonia, lo Scherzo, pieno di azione, tensione, scioglimento, catastrofe. Se abitualmente al climax dei tempi lenti si usa far seguire un episodio più veloce, nel quale le nuvole scaricano la pioggia, qui questa tensione per contro si intensifica. Solo nel terzo movimento, Adagio molto e cantabile, entriamo nel Giardino delle Delizie, con l’enunciazione, dopo un’ampia introduzione, di un tema che Benedetti Michelangeli considerava, forse esagerando, il più bello della storia della musica. In un placido re maggiore, esso viene sottoposto a una serie di variazioni inframmezzate da interludi, secondo uno schema che potrebbe derivare molto liberamente da certe “Toccate “ bachiane. Anche il quarto tempo propone un tema, quello del cosiddetto “Inno alla gioia”, poi variato e alternato a varie altre sezioni, in una struttura ancora più ampia, quasi in espansione e persino pre- schumanniana. Per la prima volta la Sinfonia, fino ad allora emblema della musica “assoluta”, diventa contenutistica: ben più dell’ illustre figura paterna di riferimento, ossia il grande Haydn, Beethoven si apre al presente  inaugurando il futuro. Considerata da qualcuno l’opera più grandiosa di tutta la musica, questa “Nona” fu salutata al suo apparire da grande successo e qualche sgomento.
Consigliare “e pluribus” un’interpretazione di un pezzo simile, affrontato soltanto da tutte le più grandi orchestre e dai più grandi direttori, è quasi impossibile. Ma ci provo lo stesso. Premesso che potreste trovare decine di belle interpretazioni di questo sconfinato “paesaggio con figure” in forma di Sinfonia, alcune sono tuttavia particolarmente interessanti. Karajan, nella sua incisione degli anni settanta interpreta lo spirito “eroico” e irredentista di questa musica sottolineando proprio la carica ritmica e esaltandone la forza d’urto.
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Sergiu Celibidache offre, come di consueto, una lettura altrettanto autorevole ma assolutamente alternativa: tempi idiosincratici (e generalmente più lenti) eppure improntati su una logica così ferrea da imporsi all’ascolto come necessari, insindacabili.
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In apparenza più tradizionale la lettura “goethiana”, o “busoniana” se preferite di Carlo Maria Giulini con un’orchestra sontuosa (la stessa di Karajan, i Berliner Philarmoniker); un’interpretazione caratterizzata da meno contrasti che in Celibidache ma insufflata di olimpica intelligenza e sovrano controllo.
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Propongo poi alla vostra curiosità di ascoltatori anche la splendida versione per due pianoforti di Franz Liszt, nell’esecuzione, molto bella  e ricca di brillanti idee interpretative, di Bruno Canino e Antonio Ballista. Sotto le dita di questi due magnifici pianisti sentirete rivivere una Nona “en blanc et noir” cogliendo in modo affatto nuovo quanta bellezza il precipitato poetico di questa immortale invenzione beethoveniana racchiuda in sé.
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L’associazione dei musicisti italiani di jazz vara il progetto “We insist”

Ada Montellanico

Ada Montellanico presidente Midj.

Il progetto “We insist”, proposto dall’associazione dei musicisti italiani di jazz (Midj) per il bando Franceschini, non è passato. Ma l’associazione non demorde e ha deciso di varare egualmente il progetto.
“We insist” era nato per promuovere gruppi di giovani che dopo accurata selezione avrebbero circuitato nei festival italiani e in alcuni festival stranieri. Il finanziamento sarebbe servito a pagare i cachet dei musicisti, come avviene in molti paesi europei come forma di investimento sulla cultura.
La commissione pensata era composta da illustri musicisti ed esperti del settore, persone stimate in tutto l’ambiente per le loro competenze. L’obiettivo era premiare la qualità e dimostrare che la qualità attrae pubblico ed è sempre il miglior investimento per chi organizza musica dal vivo. Le varianti nella musica dal vivo sono infinite, ma è un principio largamente condiviso che ci sia la necessità di dare più spazio a tanti musicisti meno noti.

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Nasce il Premio SIAE “Libera il Jazz”

In occasione del decennale della Casa del Jazz di Roma, su cui vi abbiamo riferito, prende il via il Premio SIAE “Libera il Jazz” per giovani compositori.

Il concorso nasce da un’idea e dalla collaborazione tra l’Azienda Speciale Palaexpo, il “Midj”, Associazione Nazionale di Musicisti di Jazz, e “Libera”, Associazione fondata da don Luigi Ciotti per sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia.

Proprio la lotta contro le mafie è il tema al centro del premio per composizioni inedite che la SIAE ha deciso di patrocinare perché la mafia va combattuta anche con la cultura attraverso la “voce” dei giovani prima di tutto.

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Alla Casa del Jazz parole, parole, parole…

“La memoria non deve essere assolutamente trascurata. Questo (Il complesso della Casa del Jazz n.d.r.) è la visibile manifestazione di quel profitto che ha tolto ai cittadini tante possibilità e che oggi i cittadini riescono a recuperare tramite questa istituzione e tutte le manifestazioni che qui si vengono a realizzare per il futuro della nostra società”. A dieci anni dall’inaugurazione della Casa del Jazz, immobile a suo tempo confiscato a un boss della Banda della Magliana, il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel corso di una cerimonia pubblica svoltasi venerdì mattina (24 aprile) ha sottolineato il valore della “memoria e dell’impegno” contro ogni forma di illegalità. Nel corso della cerimonia è stata scoperta la targa con i nomi delle 868 vittime della criminalità organizzata. Grasso ha ricordato di aver assistito all’inaugurazione della Casa del Jazz come procuratore della Repubblica di Palermo: “Ci tenevo ad esserci; la mia presenza è la testimonianza di un percorso”.

“La memoria – ha sottolineato Grasso rivolgendosi ad una scolaresca presente alla Casa del jazz – non deve essere trascurata e l’impegno serve a dare senso alla propria vita combattendo contro la illegalità e contro chi pensa solo al profitto da raggiungere anche con mezzi criminali”. “Per combattere la mafia e dare un senso di legalità alla propria esistenza non bisogna cedere alla corruzione ma anche ai favoritismi e agli opportunismi”. “Non dovete mai dimenticare – ha concluso Grasso – di combattere contro ogni illegalità perché non c’è illegalità che possa resistere alla forza e alla tenacia soprattutto di voi giovani”.

La cerimonia che si è svolta alla presenza del figlio di La Torre, Franco, festeggiava il sequestro della villa di Nicoletti e la trasformazione in Casa del jazz, edificio che oggi ospita anche l’Associazione Libera che vende i prodotti delle terre confiscate alla mafia.

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STEVE KUHN in TRIO AL TEATRO COMUNALE

Steve Kuhn

Una vera eccellenza della musica d’oggi per il Teatro Comunale di Monfalcone, che si apre alle migliori testimonianze del jazz: così la stagione musicale dell’ERT (Ente Regionale del Friuli Venezia Giulia) approda al Comunale, che da decenni presenta una delle stagioni musicali più blasonate in regione. Mercoledì 29 aprile, alle 20.45, sul palcoscenico della città dei Cantieri sale Steve Kuhn, icona storica del pianoforte jazz mondiale – con il suo trio stellare (Buster Williams al contrabbasso e Billy Drummond alla batteria).

Oltre cinquant’anni di carriera e un tocco straordinariamente lirico e avvolgente, Steve Kuhn è un gigante assoluto nel panorama jazz internazionale di tutti i tempi. Dagli anni Sessanta Kuhn lavora al fianco dei più grandi interpreti della storia, da Art Farmer a Steve Swallow (con i quali collabora per decenni, a periodi alterni, fino alla meravigliosa uscita di “Wisteria” di ECM del 2012). Da sempre Kuhn, come compositore, punta sulla qualità più che sulla quantità e cura all’estremo la profondità e la ricerca del suono in ogni interpretazione.

Classe 1938, figlio di immigrati ungheresi, in America studia ad Harvard e suona giovanissimo con Coleman, Hawkins e Chet Baker per affiancarsi poi a Gunther Schuller, John Lewis e Bill Evans. Nei primi anni Sessanta inizia la collaborazione con l’immortale quartetto di Coltrane, prima di cedere lo sgabello a McCoy Tyner, e successivamente collabora a lungo con Stan Getz.

Pur avendo poche incisioni ed esperienze in piano solo, il suo “Ecstasy” rimane un’opera di valore indiscusso: registrato in tre ore, con la semplicità della sorpresa, il disco è alla stregua dei primi Jarrett, Bley o Corea. A seguire, dagli anni Ottanta, si consolida il trio con Ron Carter e Al Foster (altra compagine storica di “mostri sacri”) e prosegue fino agli anni Duemila affiancandosi a nomi come David Finck, Eddie Gomez e Buster Williams, solo per citarne alcuni. Del 2009 è “Mostly Coltrane”, un omaggio commovente al grande sassofonista: profondo, elegante, rispettoso.

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Ici France, Ici Paris. Parigi il 30 aprile capitale mondiale del jazz

Nico Morelli2Hancock

Trad. Gerlando Gatto – In occasione della quarta edizione della giornata Internazionale del Jazz, il 30 aprile Parigi diventerà la capitale mondiale del jazz.

Proclamata sotto l’egida dell’UNESCO e con Herbie Hancock elevato al rango di “ambasciatore di buona volontà”, questa giornata eccezionale, co-organizzata dal Thelonious Monk Institute of Jazz (di cui H. Hancock è il presidente), sarà celebrata in circa 185 altri Paesi.

La citta di Parigi sarà quindi l’ospite di queste celebrazioni che si iscrivono nel quadro delle festività del 70° anniversario dell’UNESCO e il clou sarà un concerto internazionale che si terrà presso la sede dell’organizzazione e che verrà trasmesso nel mondo intero. Questo concerto riunirà sulla scena artisti di rinomanza internazionale; oltre Herbie Hancock ci saranno, infatti, come vocalist Dee Dee Bridgewater (il cui ultimo CD, « Dee Dee’s Feathers » registrato con la New Orleans Jazz Orchestra diretta dal trombettista Irvin Mayfield è appena uscito), Annie Lennox (ex-Eurythmics), Diane Reeves e Al Jarreau, mentre tra gli strumentisti vanno segnalati Kenny Garrett (alto-sax), Marcus Miller e Avishai Cohen (contrabbasso), Eliane Elias (piano),

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