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I NOSTRI CD

Franco Ambrosetti, Dado Moroni – “Quando m'innamoro… in duo” – Incipit Records 186
Quando m'innamoroCome ho già avuto modo di dire quella del duo è un formula assai rischiosa, forse ancor più del solo: ciò perché l'uno dipende strettamente dall'altro e quindi le possibilità di errore, di incomprensione, magari di semplice disattenzione aumentano in modo esponenziale. Ciò detto va immediatamente precisato che il trombettista elvetico Franco Ambrosetti (qui però al flicorno sovrano) ed il nostro Dado Moroni hanno brillantemente vinto la sfida con una musica di rara eleganza. L'album è tutto incentrato sul songbook di Roberto Livraghi; compositore di La Spezia (classe 1937) Livraghi ha scritto alcune splendide canzoni per vari artisti tra cui ricordiamo “Maria”, cantata da don Marino Barreto Junior, “ Ho sognato d'amarti” per Bruno Martino, “ Coriandoli” (con testo di Leo Chiosso, cantata anche da Mina), “Aiutami a piangere” (testo di Antonella De Simone, portata al successo da Connie Francis e Betty Curtis)…e soprattutto “Quando m'innamoro” che, presentata nel 1968 a Sanremo da Anna Identici ma piuttosto snobbata in Italia, ottenne invece uno strepitoso successo all'estero grazie alle interpretazioni di Engelbert Humperdinck e da ultimo di Andrea Bocelli. Per questo album, ad eccezione della title-track, di Maria e di “Coriandoli”, Ambrosetti e Moroni hanno concentrato la loro attenzione sui brani meno conosciuti di Livraghi. Di qui un album che sotto certi aspetti rappresenterà anche una sorpresa per quanti non conoscono a fondo questo compositore. Ma si dirà: sono solo canzonette…ed è vero. Ma è altresì vero che come ben sappiamo nel jazz il materiale tematico ha un'importanza non decisiva: spesso contano molto di più gli arrangiamenti e l'interpretazione e non v'è dubbio che sotto questi profili la performance dei due è di assoluta eccellenza. Maroni è superlativo sia nel tracciare splendide linee melodiche sia nel disegnare un tappeto ritmico-armonico su cui si stagliano le improvvisazioni di Ambrosetti sempre pertinenti rispetto al tema e pure sempre così originali a dimostrazione di una capacità improvvisativa che non sembra minimamente soffrire l'usura dei tanti anni passati a soffiare dentro il suo strumento.

Jacob Karlzon – “Shine” – ACT 95732
ShineRegistrato nel marzo del 2014 ecco il nuovo album di Jacob Karlzon che si conferma uno dei personaggi più importanti dell'attuale panorama jazzistico svedese. Ben coadiuvato da Hans Andersson al basso e Robert Mehmet Ikiz alla batteria, il presenta un repertorio composto da otto sue composizioni cui si aggiunge la rivisitazione di un brano degli U2 “I Still Haven't Found What I'm Looking For” (dall'album The Joshua Tree del 1987). Ancora una volta Jacob evidenzia quelle che sono le sue doti peculiari vale a dire un fraseggio allo stesso tempo fluido e complesso (lo si ascolti in “Metropolis”), la capacità di creare ed eseguire musica assolutamente originale, caratterizzata da un particolare (grazie anche ad un uso sobrio e sapiente dell'elettronica), da una incessante carica ritmica, da una rimarchevole complessità armonica e dall'abilità di avvicinare due territori pure diversi e distanti quali il jazz e il pop. Lo stesso Karlzon nelle note che accompagnano l'album dichiara di aver fatto ricorso a metodi di produzione propri del pop. Risultato: arrangiamenti molto ben concepiti che a volte fanno suonare il trio come un'orchestra. Esemplare al riguardo la title track che apre l'album: con il ricorso all'elettronica, Jacob stende un tappeto sonoro che riesce a fornire un supporto costante al trio che ha così la possibilità e di muoversi a piacimento senza preoccuparsi di eventuali vuoti e di esaltare la ricchezza della linea melodica. Molto centrata la riproposizione del brano U2 con Jacob che cesella la dolce melodia in splendida solitudine toccando uno dei vertici dell'album con un fraseggio raffinato ed un tocco di rara eleganza. Ma, nonostante l'eccellente carica ritmica fornita per tutta la durata dell'album dall'accoppiata Andersson – Mehmet Ikiz, Karlson non può dimenticare di essere nord-europeo: ecco quindi riaffiorare in “Inner Hills”, una delle perle più preziose dell'album, quella malinconia tipica della musica scandinava.

Ibrahim Maalouf, Oxmo Puccino – “Au pays d'Alice…” – Mi'Ster IBM 9
Au pays d'AliceProduzione di grande originalità e di notevole spessore questa che vede assieme uno dei migliori trombettisti della nuova generazione e un rapper. Di Ibrahim Maaoluf abbiamo già parlato in questa sede per cui dovrebbe essere abbastanza noto ai nostri lettori. Diverso il discorso per Oxmo Puccino su cui viceversa vale la pena spendere qualche parola di presentazione. Abdoulaye Diarra, in arte Oxmo Puccino, è nato nel 1974 a Ségou, in Mali, e solo un anno dopo i suoi genitori si sono trasferiti in Francia dove Abdoulaye è cresciuto e ha costruito la sua carriera . Rapper oramai di grande successo, Oxmo Puccino è caratterizzato da una scrittura tutta giocata sulle metafore e sulle frasi choc e proprio per questo si è meritata la fama di « Black Jacques Brel ». Ciò detto si tratta di un'accoppiata sulla carta difficilmente proponibile…ma il jazz, ci siamo abituati, fa di questi miracoli ed ecco quindi i due, legati da un'insospettabile sinergia, dar vita ad un album che davvero vale la pena ascoltare. L'opera nasce da una “commissione” ottenuta da Maalouf dal Festival d'Ile de France; Ibrahim ha quindi immaginato uno spettacolo musicale ispirato dall'opera di Lewis Carroll “Alice nel paese delle meraviglie” e, per concretizzare il progetto, ha voluto accanto a sé Oxmo Puccino. Con l'ausilio di un'orchestra classica di 25 elementi e di 130 coristi della “Maîtrise de Radio France” diretti da Sofi Jeannin, Maalouf, qui nella duplice veste di esecutore e compositore, ha concepito questo concept album che presenta momenti spesso di respiro quasi sinfonico anche se qua e là si nota un pizzico di pretenziosità. Comunque Maalouf ha raggiunto, in questo CD, l'apice della sua capacità compositiva evidenziando una straordinaria abilità nel riportare ad un unicum omogeneo le diverse influenze su cui si basa il suo stile: jazz, rock, pop, musica araba, musica contemporanea. Dal punto di vista esecutivo non mancano i momenti di grazia come il suo assolo in “La porte bonheur”. Dal canto suo Oxmo Puccino reinventa la storia di Alice con grande musicalità e soprattutto con emozionante poesia. Molto curata l'impaginazione dell'album con un libretto contenente tutti i testi accompagnati da foto e sapidi disegni.

Gileno Santana – “Metamorphosis” – Caligola 2191
MetamorphosisGileno Santana è un giovane trombettista brasiliano che, nell'occasione, guida un quintetto completato da Miguel Moreira alla chitarra, Joaquim Rodriguez alle tastiere, José Carlos Barbosa al basso elettrico e Mario Costa alla batteria cui si aggiungono, come ospiti d'onore, il vocalist Pedro Vidal nella title track e Andrès Tarabbia alle percussioni presente in sei degli undici brani in programma. Classe 1988 di Salvador da Bahia, Gileno nel 2005 si è stabilito in Portogallo dove ha studiato con João Moreira, diplomandosi al Conservatorio di Lisbona. Divenuto prima tromba della Matosinhos Jazz Orchestra, ha avuto modo di lavorare con Kurt Rosenwinkel e Maria Schneider, e di incidere con Maria Joao. Alla fine del 2011 ha pubblicato il suo primo disco da leader, “Inicio”, in quartetto, con ospite Hamilton De Holanda. Personalmente lo avevamo già ascoltato inserito all'interno del quartetto Polo guidato da Andrea Lombardini e Paolo Porta nell'album “Pleasures” (Auand 2012). A tre anni dal debutto Santana ha inciso questa “Metamorphosis” che ci consegna un artista sicuramente in crescita ma non ancora del tutto maturo. Nell'album c'è molta, forse, troppa elettronica e i richiami a Miles '69-70 sono sin troppo evidenti. Quindi è un album che sicuramente farà felici quanti amano questo tipo di musica…anche perché gli esecutori sono di tutto rispetto. Non c'è dubbio alcuno, infatti, che Santana sia un trombettista di tutto rispetto, dotato di una tecnica cristallina che sicuramente potrà portarlo lontano. Lo attendiamo, quindi, a ulteriori prove in cui magari si scrollerà di dosso l'influenza davisiana cosa, ce ne rendiamo conto, più facile a dirsi che a farsi.

RISTAMPE

E' opportuno ristampare i vecchi dischi di jazz? Questa è una domanda che spesso mi viene posta dagli amici lettori. La risposta, ovviamente, non può essere univoca nel senso che se si tratta di un disco artisticamente poco valido e storicamente insignificante è inutile ripotarlo all'attenzione del pubblico; viceversa se la musica è interessante o abbia significato qualcosa nell'evoluzione del linguaggio jazzistico, allora non vedo ragione alcuna per non ristamparla. Anzi con questo tipo di operazioni si porta a conoscenza del pubblico più giovane o meno esperto alcuni capolavori che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio annacquati da una produzione discografica sempre più copiosa e sempre meno significativa. Questo per esprimermi la mia personale soddisfazione nel presentarvi alcuni ottimi album del passato.

Kenny BurrelIl primo è “Kenny Burrell – Kenny Burrell – Swingin'” – PWR 27323. Burrell è stato un sontuoso chitarrista; affermatosi come principale erede di Charlie Christian è da considerare uno dei più importanti esponenti della chitarra in ambito bop; ciò non gli ha impedito, comunque, di conquistare fans anche tra gli estimatori del cool e del blues, territori che l'artista di Detroit (classe 1931) ha saputo frequentare con grande competenza. Virtuoso sia della chitarra elettrica sia della classica, ha il suo primo ingaggio importante nel 1951 con Dizzy Gillespie. Nel 1955 sostituisce per motivi di salute Herb Hellis nel trio di Oscar Peterson. Nel 1957 si trasferisce a New York e guida sue formazioni. Ed è proprio a questo periodo che si riferisce il CD In oggetto contenente due LP, “Kenny Burrell” e “Swingin” registrati rispettivamente nel 1956 e nel 1958-59 . Il chitarrista si avvale della preziosa collaborazione di grandi musicisti quali Paul Chambers e Sam Jones al basso, Kenny Clarke, Shadow Wilson e Art Blakey alla batteria, Bobby Timmons e Tommy Flanagan al piano… E, data la statura di questi artisti, è facile capire che siamo dinnanzi ad un jazz di grande livello; il leader evidenzia ancora una volta il suo spessore tecnico, con un fraseggio elegante, raffinato, impreziosito da ricercate armonizzazioni che ne hanno fatto anche un eccellente sideman. Così abbiamo l'opportunità di ascoltare il chitarrista sia in splendida solitudine, sia semplicemente come membro di una sezione ritmica, sia come parte e leader di diversi combo… e sempre la sua arte spicca limpida, cristallina. Insomma un musicista che tutti gli appassionati di jazz dovrebbero conoscere.

Patented“Harry Sweets Edison – Patented by Edison – Sweetenings – Pheonix 131607”: il CD contiene due LP incise tra la fine degli anni '50 e i primissimi anni '60 da due combo capitanati dal trombettista Harry “Sweets” Edison : “Patented by Edison” originariamente apparso su Roulette Records, in cui Edison guida un quintetto con il tenor-sassofonista Jimmy Forrest, che all'epoca di queste registrazioni (12 Febbraio, 1960) aveva già partecipato nel 1958 ad altri tre album di Edison, (“The Swinger”, “Harry Edison Swings Buck Clayton and Vice Versa” e “Sweetenings”), Tommy Flanagan al piano, Tommy Potter al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria, e per l'appunto il già citato “Sweetenings” in cui, oltre a Davis e Forrest, compaiono Jimmy Jones o Kenny Drew al piano, Joe Benjamin e John Simmons al basso e Charlie Persip alla batteria. Per chi non avesse ancora una approfondita conoscenza di Harry Sweet Edison è un album da non perdere: il trombettista affronta un repertorio composto in massima parte da standard tra cui spiccano “Blue Skies”, “Ain't Misbehavin”, “Tea for two”, “Angel Eyes”, “If I Had You”…Il talentuoso trombettista si muove con estrema apparente semplicità tra le pieghe di melodie ben note con il solito suo sound così accattivante ed originale ed il fraseggio sempre rilassato quasi in surplace. Notevole, in ambedue gli originari LP, il lavoro degli accompagnatori tra cui segnaliamo l'eccellente Jimmy Forrest.
Duke Ellington è stato uno dei più grandi compositori del ‘900 al di là di qualsivoglia etichetta e questo album “Duke Ellington – The complete Newport 1958 Performances – A 99117 2CD” ce ne da, se pur ce ne fosse stato bisogno, l'ennesima conferma. L'orchestra è quella che abbiamo imparato ad amare attraverso tante incisioni, infarcita di solisti di primissimo livello quali, tanto per fare qualche nome, i trombettisti Cat Anderson, Harold “Shorty” Baker, Clark Terry e Ray Nance, i trombonisti Quentin Jackson, Britt Woodman, John Sanders , i sassofonisti Jimmy Hamilton, Russell Procope, Johnny Hodges, Paul Gonsalves e Harry Carney con la sontuosa sezione ritmica costituita dallo stesso Ellington, da Jimmy Woode al contrabbasso e Sam Woodyard alla batteria. A questi si aggiungono come ospiti d'onore Gerry Mulligan al baritono impegnato in uno spettacolare duetto con Harry Carney in “Prima Bara Dubla” e Mahalia Jackson, che canta “Come Sunday” e “Keep Your Hand On The Plow” con l'orchestra. Il doppio album contiene tutto il materiale relativo al concerto svolto da Ellington a Newport il 3 luglio del 1958, ivi compresi gli otto brani registrati in studio subito dopo il festival, con l'aggiunta, come bonus, di due brani “Feet Bone” e “Just Scratchin' the Surface” sempre registrati in studio e che non comparivano nell'edizione su LP. Riascoltare queste vecchie incisioni è davvero una gioia e non solo per l'udito. L'orchestra possiede una carica, un groove, una potenza espressiva magistrali tanto da catturare l'ascoltatore anche dopo più di cinquant'anni.

The Bridge“Sonny Rollins – The bridge – Essential Jazz Classics EJC 55663” è semplicemente un disco storico che tutti gli amanti del jazz dovrebbero possedere: e il discorso si potrebbe anche chiudere qui. Ma proprio per quel pubblico giovane cui prima si faceva riferimento, forse non è male spendere qualche parola in più. “The Bridge” venne inciso da Rollins nel 1962 ed ha una particolare importanza storica sia perché si tratta della prima registrazione effettuata dal sassofonista dopo il volontario ritiro dalle scene avvenuto nel 1959 sia perché è il primo album inciso da Rollins per la Bluebird/RCA Victor. Il sassofonista era accompagnato da alcuni musicisti che sarebbero stati fedeli compagni di strada negli anni a seguire: Jim Hall alla chitarra, Bob Cranshaw al contrabbasso e Ben Riley alla batteria. Ma, al di là di questi pur importanti riferimenti storici, l'album si fa apprezzare ancora oggi per l'eccelsa qualità della musica tanto che nel 2015 è stato incluso nella “ Grammy Hall of Fame” . E' evidente, confrontando queste registrazioni con quelle precedenti, che Sonny ha superato il suo momento di crisi: adesso si ripresenta molto più sicuro del fatto suo, capace di superare le rigide gabbie del passato senza tuttavia avventurarsi in quella sorta di libertà totale e spesso caotica che avrebbe caratterizzato molte espressioni del free. Il suo fraseggio è più sciolto di prima ma le strutture tradizionali del jazz vengono rispettate. Straordinario l'apporto anche degli altri musicisti tra cui si segnala, in particolare, Jim Hall che con la sua chitarra svolge al meglio le funzioni proprie del pianoforte.

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