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Alvino organo

di Maurizio Alvino – Si parlava, anzi si scriveva, qualche giorno fa, di jazz ed elettronica, su un gruppo di Facebook dedicato ai sintetizzatori. La discussione aveva subito preso toni accesi, tra chi diceva che il jazz è un mondo aperto a tutto e dunque anche alla contaminazione con l'elettronica, e chi invece sosteneva che il jazz è un ambito chiuso, dove si può innovare ma solo fino ad un certo punto. Da qui la curiosità di indagare e di fare il punto sulla questione.

Forse tra i primissimi album di jazz elettronico possiamo considerare “Emergency! “dei Lifetime di Tony Williams, uscito nel 1969 e che vede Larry Young suonare l'organo utilizzando la distorsione, così come già avveniva in ambito rock. La commistione di jazz ed elettronica non comincia (come forse ci si sarebbe aspettato) con l'uso di sintetizzatori, dunque, ma attraverso l'uso degli effetti. La distorsione, il riverbero, il delay cominciano a diventare parte integrante dello strumento musicale e non più semplici attrezzature da sala di registrazione. Un mezzo espressivo a disposizione del musicista, utile per ampliare (e modificare) la propria palette timbrica.

Nemmeno nell'album “Bitches Brew” del 1970 compaiono ancora i sintetizzatori: qui Miles Davis fa ampio utilizzo del pianoforte elettrico (suonato anche in questo caso da Larry Young, oltre che da Chick Corea e Joe Zawinul) e di effetti fortemente riverberanti. E stavolta non è solo il timbro a cambiare, ma anche la musica risulta fortemente influenzata da generi diversi, come il funk ed il soul. Inutile dire quanti puristi si siano scandalizzati, e questo già a partire dal precedente album di Davis, “In A Silent Way”. Era o non era jazz, quello? O forse Miles aveva semplicemente capito che il jazz non poteva più funzionare come prima e bisognava inventarsi qualcosa di nuovo? D'altra parte, prima o poi, sarebbe stato inevitabile che il jazz conoscesse un declino, e così era successo: da un giorno all'altro il jazz si era scoperto non più popolare, soppiantato dal rock e dal rhythm and blues, generi che ormai erano entrati nel gradimento del grande pubblico. Occorreva una mossa che portasse il jazz verso altri orizzonti, e la spinta arrivò, per Williams prima e Davis poi, proprio dall'elettronica.

Ed ecco che gruppi come i Weather Report divennero popolari quasi come dei gruppi rock, riuscendo a radunare migliaia di persone ai loro concerti. E benché Joe Zawinul avesse iniziato con un progetto molto sperimentale come l'album “Milky Way” del 1971, nel quale utilizzava effetti non elettronici quali la risonanza delle corde del piano attivata dalle vibrazioni indotte dal sassofono soprano di , ebbe poi modo di proseguire con dischi decisamente più commerciali, introducendo in maniera importante anche l'uso dei sintetizzatori. Zawinul continuerà fino alla fine ad utilizzare l'elettronica, spesso associata a brani con influenze etniche (in seguito anche con gli Zawinul Syndicate), accostando percussioni e synth lead (esecuzione monofonica dello stesso tipo di quella eseguibile con una tromba o un sassofono, ma eseguita su di un sintetizzatore a tastiera), ed utilizzando dei pad (un tipo di accompagnamento suonato in forma di accordo sulla tastiera, che può sostituire o aggiungersi al classico accompagnamento del pianoforte).

Numerosi gli artisti che nel tempo hanno contribuito alla fusione di jazz ed elettronica (in seguito denominata fusion), tra i quali: Pat Metheny Group (nel quale si fa ampio uso di guitar synth e sintetizzatori a tastiera), Yellowjackets (con uso di synth a tastiera ma anche controllato da breath controller), Herbie Hancock (tra i primi ad utilizzare il campionatore digitale, macchina capace di registrare un suono e di riproporlo intonato secondo la scala temperata), Steps Ahead, Chick Corea (Return To Forever, Elektric Band), John Scofield. Anche Sonny Rollins, nel 1990, pubblica il disco “Falling in Love With Jazz” nel quale compare, in alcune tracce, il suono del Korg M1. In Italia troviamo gli Area, i Perigeo, Roberto Gatto e Francesco Bruno, tra gli altri.

E siamo ai giorni nostri. Un momento storico in cui sembra che tutto sia stato detto, e che potremmo definire (passateci la provocazione) post-tutto: post-bop, post-hardbop, post-rock, post-fusion. Ma anche in questo post-tutto, dove sembra impossibile trovare nuove strade, esistono a nostro avviso delle degne di nota. Una su tutte, il progetto Perfectrio di Roberto Gatto, che coniuga meravigliosamente la forma canzone con atmosfere elettriche ed elettroniche, ma senza prescindere dall'improvvisazione più squisitamente jazzistica.

Infine, due parole sul lounge, anche detto nu jazz, forse tra le contaminazioni più discusse. Il nu jazz fonde sonorità tipiche del jazz con elementi dance e soul, e per questo motivo molti puristi tendono a non considerarlo affatto nel novero del jazz. Chissà, forse sarà per questo genere di dispute che l'utente del gruppo Facebook diceva che il mondo del jazz non è poi così aperto. A parere di chi scrive, invece, il mondo del jazz è stato ed è abbastanza aperto da accogliere sempre tante e diverse influenze, dalla musica etnica alla classica all'elettronica. Ma per quanto attiene il nu jazz, più che un jazz contaminato dalla dance si direbbe che questo sia dance che sfrutta gli elementi tipici del jazz. Un espediente per rivestirsi da genere colto ed attirare pubblico, rimanendo di fatto musica d'ambiente, spesso banale e nella quale l'unico punto di eventuale interesse è dato dalla sonorità e mai dalla musica.

E siamo alla fine di questo articolo. Una breve sintesi, giusto un assaggio, di quello che è stato ed è l'influenza dell'elettronica sul jazz. Ma per potervi fare una opinione personale, l'invito è quello di andare a riascoltare i dischi di jazz e fare caso se, dove e come viene usata l'elettronica. Un approccio nuovo e diverso per trovare nuovi spunti e stimoli in qualcosa che già conoscevamo bene, o che credevamo di conoscere bene.

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