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riley

La Nonesuch tributa un omaggio a uno dei più significativi compositori americani moderni in occasione del suo ottantesimo compleanno e lo fa con un box che contiene anche un CD nuovo nuovo, acquistabile separatamente per chi non volesse sobbarcarsi, sbagliando del resto, la spesa della scatola intera.

Il cofanetto, diciamolo subito, è meraviglioso: musica splendida eseguita altrettanto splendidamente dal Kronos Quartet, storico quartetto d'archi americano che, nell'arco di una lunga carriera, è riuscito a mettere a punto un “sound” nel quale la musica classica, il rock più evoluto e il pop convivono felicemente.
Chi non conosce i bellissimi dischi dedicati a Thelonious Monk, ai quartetti di Philip Glass, a Jimi Hendrix farebbe bene a correre a procurarseli. Esecutori di prim'ordine uniti da una sensibilità musicale evoluta, terribilmente convincenti qualsiasi cosa propongano.

Terry Riley è un esponente di spicco della scuola ‘minimalista' statunitense che annovera tra le proprie fila autori per la verità molto diversi fra loro come Philip Glass (il più popolare e, absit iniuria verbis, il più “facile”), Steve Reich, e La Monte Young che di questo movimento è considerato il padre.
Il minimalismo nasce in letteratura e viene spesso associato in modo semplicistico all'unica idea di ripetizione. In realtà le cose sono più complesse. Il principio, detto un po' in soldoni, è quello di proporre un'idea (una semplice cellula melodica, oppure un tema più strutturato) e sottoporla ad una serie di procedimenti di variazione, modificandone i parametri in modo sistematico ma, potremmo dire, omeopatico.Il senso psicologico aspira ad essere più profondo: come nei “raga” indiani, si cerca di porgere una musica non violentata dalle esigenze della forma, ridotta a sostanza naturale, utopica, libera da vincoli economici e strutturali, capace di fluire ‘iuxta propria principia' come acqua di fonte.
In questo modo al termine dell'ascolto non sarà tanto il pezzo ad essere cambiato quanto la nostra coscienza, come dopo l'immersione in un grande fiume salvifico.
Oltre a un influsso indubitabilmente di matrice orientale, presente pure nella musica di Cage, che fu tuttavia estraneo a questa scuola, vi è un precedente filologico occidentale più o meno dichiarato: Erik Satie, che aveva proposto, in chiave anti romantica, una poetica affine (Vexations, Gimnopedies…).
Ma persino in Stravinsky, nelle cui opere il procedimento dell'ostinato (reiterazione ad oltranza di un disegno senza modificarne altezza e ritmo) è molto sfruttato, possiamo trovare singolari anticipazioni di queste ipnosi sonore.

Benché Riley sia l'autore del fin troppo noto “In C”, brano di musica semi-aleatoria scritto per un numero indefinito di esecutori (lui ne suggerisce 35) che ebbe grande successo e viene considerato il primo pezzo minimalista, a me questo musicista è sempre sembrato il meno minimalista di tutti e l'ascolto di questi dischi me lo riconferma. E' musica varia di accento, godibilissima, esauriente nei suoi valori, non cristallizzata in schemi, piena di idee importanti.
Ciò che ulteriormente apprezzo è la grande varietà armonica, trovandosi assente qui la tipica insistenza sugli accordi perfetti che conferisce a molti lavori minimalisti quel caratteristico colore “pop” che può anche essere apprezzabile, ma a piccole dosi.
Riley talvolta mi fa pensare a Debussy: quest'ultimo, considerato l'epìtome dello stile impressionista, non lo rispecchia in fondo che in alcuni brani, essendo il suo lascito molto più articolato.

E' frequente nel linguaggio di Terry Riley l'utilizzo del cosiddetto “tape delay”: mentre un nastro magnetico scorre, una testina scrive e un'altra legge ciò che è stato registrato dalla testina precedente, creando un effetto di ritardo (delay). Questo ritardo, sommato al suono originale, dà vita a un affascinante effetto di eco, che caratterizza il sound di molta musica degli anni 50 e 60.
Concludendo, se vi è una qualità su tutte che mi fa innamorare di questa musica è la sua tensione drammatica. Ti incolla alla sedia, pervasa di senso e non pervertita in una ricerca forsennata di consenso; si percepisce che, al di là di questi suoni, c'è qualcosa di sconosciuto ed impressionante, meraviglioso, che non saprei definire. Turbati e affascinati ci interroghiamo, e quando ci interroghiamo sulla musica ci interroghiamo su noi stessi.
Tra i titoli, molto evocativi, presenti in questo box di 5 dischi che racchiude le opere dedicate al Kronos in 35 anni di carriera, alcune pubblicate qui per la prima volta, troviamo “The cusp of Adam”, “Cry of a lady”, “Salome Dances for peace”. Tra gli ospiti il grande suonatore indiano di “tablas” Zakir Hussain e lo stesso Riley al pianoforte.
Uno di quegli acquisti che dovrebbe fare anche chi entra in un negozio di dischi solo una volta l'anno. Incisione sontuosa, avvolgente. La migliore alternativa al chiacchiericcio della volgare ‘ambient music' che pervade, perniciosamente quanto abusivamente, il nostro spazio vitale quotidiano.

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