Ron Carter ad Atina Jazz XXX edizione

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Foto di repertorio di Daniela Crevena

Atina, 25 Luglio, ore 22

Ron Carter, contrabbasso.

Jacky Terrasson, pianoforte.

Payton Crossley, batteria.

Rolando Morales-Matos, percussioni

In questi anni di Jazz, e cominciano ad essere tanti, pochissime volte mi è capitato di vedere il pubblico alzarsi in piedi per una standing ovation.
Solitamente, se il concerto è stato bello, gradito, c’è una entusiastica richiesta di bis, applausi, fischi, urla, ma che tutti si alzino in piedi non è cosa molto usuale. Ad Atina Jazz, arrivata al suo trentennale, sabato sera tutta la piazza si è alzata in piedi davanti ad un artista che continua ad essere un mito del Jazz. Continua ad essere IL Jazz.
E i motivi sono, prima di tutto, musicali, e non “folcloristici”. Ron Carter è tutt’ altro che un simulacro del Jazz degli anni mitici di Miles Davis.
Ron Carter è un grande contrabbassista. Lo dimostra il fatto, ad esempio,  di aver scelto per questo concerto in cui egli figura come leader una formazione potenzialmente deflagrante (che prevede batteria e percussioni), senza la paura di venirne fagocitato.  Ciò che gli preme è il risultato complessivo, la musica, il quartetto  nel suo insieme: non certo  “fare i numeri” con il suo contrabbasso. Non ha bisogno, Ron Carter, del silenzio intorno, per emergere: gli basta il suo carisma, il suo suono inconfondibile, la sua sensibilità armonica, il suo personalissimo fraseggio.
Del contrabbasso percorre tutte le potenzialità: armonica, nei momenti in cui lo spessore del suono è totale e decide di contribuire a rendere tondi e strutturati gli accordi del pianoforte; melodica, quando durante gli assolo fa cantare il suo strumento con voce intensa regalando vere e proprie nuove “composizioni” estemporanee , non semplici improvvisazioni ma piccoli brani con una loro vera e propria struttura; ritmica, quando sapientemente inventa riff insieme a batteria e percussioni,  o impone efficaci stop time che nutrono i suoni precedenti e successivi incorniciandoli con silenzi provvidenziali e suggestivi, o dialogando quasi da percussionista con Morales Matos e Crossley.

Ron Carter suona in quella sorta di pacifica e sognante trance che è tutto fuorché esibizione estetica – voglia di stupire – compiacersi narcisisticamente sul palco. Il lavoro di scegliere un repertorio piacevole per chi ascolta è un lavoro svolto prima. Carter vuole comunicare, con il suo stile, e si prepara il terreno per questo. Dunque si troverà nella scaletta anche una “My funny Valentine”, davanti alla quale i più severi jazzofili diranno “no! ancora! ” . Ma quella “My funny Valentine” è tutt’ altro che ammiccante, o strappa applausi, o gigiona, o furba. Ron Carter la suona da Jazzista, nel suo modo leggere il brano, amandola, trasformandola, filtrandola. Una volta sul palco Ron Carter viaggia, ed è la musica a parlare per lui.
Terrasson, Crossley, Morales  – Matos sono avviluppati anch’ essi in questa atmosfera benefica e a loro volta pongono di continuo spunti creativi, ognuno con la sua personalità ben definita: con un un simile leader, che non ha paura delle caratteristiche personali dei suoi compagni di viaggio, il risultato è pieno di colori, di suggestioni, armonicamente cuciti in un’ unico flusso di suoni.
Terrasson ha un pianismo estroverso ed elegante. Crossley un drumming intenso, preciso e connotato da una squisita compostezza – potremmo chiamarla così . Morales Matos è entusiastico ma mai debordante, e inventa raffinatezze che si intrecciano in un dialogo speciale con il contrabbasso. L’ interplay è perfetto. Il pubblico è in visibilio, ed applaude in piedi, in una piazza già bella di per se, e stasera ricolma di musica: Antonio Pascuzzo, direttore artistico di questa importante trentesima edizione, può ben vantarsi di aver fatto centro.
Aggiungerò una riflessione. Ron Carter è vestito, sempre, in maniera elegante, impeccabile. Allora i soliti maligni potrebbero parlare di pura vanità, ininfluente ai fini della musica. E invece no: secondo me Ron Carter prova una forma di profondo rispetto verso il Jazz, verso il palcoscenico, e anche verso il pubblico. Un concerto è un evento di grande rilievo, per Ron Carter. Il pubblico è importante. Quando appare sul palco si ha la sensazione che stia per accadere qualcosa di irripetibile, di unico. Gli americani, davanti a tale carisma, e anche di fronte a tanta umiltà, esclamano, a ragione, “Respect”.