Sempre in primo piano “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”

Procedono le presentazioni dell’ultimo volume del nostro direttore, Gerlando Gatto, “Il Jazz italiano in epoca Covid”.
L’ultima, in ordine di tempo, il 20 agosto presso la terrazza del Kursaal di Giulianova gentilmente messa a disposizione dall’assessore Di Carlo.
Ed è stata una serata davvero magica, al di là di ogni più rosea aspettativa. Gatto si è presentato con al suo fianco il celebre musicista Renzo Ruggieri, uno dei migliori fisarmonicisti jazz a livello europeo. Il tutto impreziosito da un pubblico numeroso ma, quel che più conta attento ed entusiasta.
Gatto ha introdotto la serata con poche ma esaurienti parole sul volume in oggetto, lasciando quindi campo libero a Ruggieri il quale ha affascinato e commosso il pubblico con una sua splendida composizione “Terre”.
La serata è proseguita, quindi, con un serrato dialogo tra Gatto e Ruggieri con quest’ultimo che, oltre ad essere un grandissimo musicista, ha evidenziato una squisita sensibilità nell’illustrare le motivazioni e le valenze del volume. Ma, com’era logico attendersi, il pubblico ha particolarmente gradito le performances solitarie del fisarmonicista che ha presentato, in successione, altre due sue composizioni, “Carnevale” e “La lettera” per chiudere con il celeberrimo “Libertango”. Dal canto suo Gatto ha spiegato perché ha inteso il volume come una testimonianza giornalistica avendo preferito non esporre proprie idee ma lasciar parlare i musicisti.
Alla fine della serata Gatto mi ha confessato che la sua più grade soddisfazione era stata la dichiarazione di una gentile signora che, dopo averlo ringraziato per la presentazione stringata, senza fronzoli, aveva esplicitamente dichiarato che dopo aver sentito Ruggieri, aveva cambiato idea sul jazz: “Prima dicevo che non mi piaceva, ma se questo è jazz adesso lo adoro”. (Redazione)

In precedenza il 2 luglio, nell’ambito del Festival jazz di Palermo di cui vi abbiamo ampiamente riferito, nella splendida cornice del “Ridotto dello Spasimo” appuntamento con Gerlando Gatto per la presentazione del volume in oggetto. All’evento hanno partecipato anche Ignazio Garsia anima pulsante del Brass, Rosanna Minafò instancabile addetto stampa presso la fondazione Brass Group nonché Responsabile Ufficio Stampa presso Sicilia Jazz Festival, e la cantante Kate Worker. La serata è stata vivacizzata da polemiche sollevate da alcuni partecipanti: in effetti mentre Gatto, limitandosi a riportare le opinioni dei musicisti, sottolineava come gli stessi non fossero rimasti particolarmente soddisfatti del comportamento del governo durante quel terribile periodo del lockdown generalizzato, alcuni tra il pubblico hanno fortemente contestato queste affermazioni sostenendo che il governo si era mosso assai bene. E si è arrivati a sostenere che l’Italia era stata la nazione che meglio era riuscita a tutelare i musicisti rimasti senza lavoro, affermazione che francamente si può accettare solo presupponendo una precisa e ben individuata militanza politica. Comunque la serata è ben presto rientrata nei limiti di una piacevole dialettica grazie ad un canto alle pregevoli performance canore della Worker, dall’altro dal sempre puntuale intervento di Garsia che ha riprodotto la sua tesi (per cui ha lanciato una petizione) affinché la produzione delle 58 orchestre pubbliche sia estesa al Jazz, creando 1200 posti di lavoro per un’offerta più rispondente ai bisogni di musica del Paese .

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Parallelamente a queste presentazioni, si susseguono anche le recensioni sulla stampa. Questa volta ne segnaliamo due. La prima è uscita sul quotidiano La Sicilia di Catania di qualche giorno fa a firma di Leonardo Lodato e ve la riproponiamo integralmente:
MUSICA
Gerlando Gatto e il mondo del jazz ai tempi (duri) del Coronavirus (LEONARDO LODATO)
Il silenzio si fa musica. E viceversa. Può sembrare banale (o, forse, anacronistico) ma il libro “Il jazz italiano in epoca Covid” (pp. 217) è occasione e spunto di riflessione/i per chi fa musica e per chi la ascolta, perché il Covid, e soprattutto i consequenziali
lockdown, hanno modificato, se non radicalmente cambiato, certi modi di interpretare le “pause”, generando il silenzio come “sinonimo di attesa”.
Lo sa bene Gerlando Gatto che non vuole ergersi a saccente risolutore di problematiche esistenziali ma che, da ottimo conoscitore della scena jazzistica italiana, ha voluto raccogliere e mettere in ordine “sentimenti” e sensazioni, lo state of mind del mondo del jazz ai tempi del Coronavirus. Quarantuno gli artisti interpellati. Undici domande indirizzate ai protagonisti, per entrare nella loro vita privata o, per meglio dire, come accaduto a tutti noi, “derubata” della routine, del contatto diretto con gli altri. Ed è emblematico che a rispondere per primo alle domande di Gerlando Gatto, sia stato chiamato Claudio Angeleri, pianista e compositore nato proprio in quella Bergamo divenuta tristemente simbolo del disagio e del terrificante scontro con la prima ondata di Covid (e chissà per quanto tempo ci porteremo dentro agli occhi e al cuore, quella sfilata funebre di carri militari).
Racconta Angeleri: «Ho cercato subito di essere vicino ai giovani facendo quello che so fare meglio. Cioè insegnando e suonando… Cambieremo modo di essere e anche di fruire della musica per almeno i prossimi due/tre anni…». Forte delle sue frequentazioni, Gerlando Gatto coinvolge nel progetto artisti di caratura internazionale, pensiamo ad Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Franco D’Andrea. E tanti siciliani come lui (catanese di stanza a Roma), come Rosalba Bentivoglio, Francesco Branciamore, Cettina Donato, Pippo Guarnera e Stefano Maltese. Ma è con le parole della vocalist Enrica Bacchia che ci piace l’idea del ripartire da zero per ricostruire
il rapporto tra musica e musicisti, tra palco e spettatore. Da quelle «intuizioni ancora in fasce, campi positivi e negativi di energia con cui relazionarsi, filamenti di futuri astratti da condensare…».

La seconda è stata pubblicata su Alias (“Manifesto”) a firma di Luigi Onori già apprezzato collaboratore di “A Proposito di Jazz”.
UN LIBRO
Esce tre mesi dopo l’inizio del lockdown Il jazz italiano in epoca Covid. Parlano i jazzisti (pp. 218, GG edizioni), che il giornalista e critico musicale Gerlando Gatto pubblica nel giugno 2020. La sua è una delle «voci» jazzistiche più autorevoli: Gatto, attivo dagli anni Sessanta, esperienze dalla radio alla carta stampata, dalla tv al web, dal 2007 cura un blog-newsletter che nel ‘17 è diventato testata giornalistica:
A proposito di jazz. Ha realizzato, tra l’altro, due volumi di interviste nel 2017 e ’18 e
usa la forma-intervista nel nuovo testo per dialogare con 41 jazzisti di varie generazioni (E. Rava, L. Tucci), stili (S. Maltese, R. Ruggieri), strumenti (F. D’Andrea, F. Bosso), sesso (C. Donato, R. Bentivoglio).
Si serve di una griglia di undici domande modificandola quando possibile, a seconda
di come l’intervista sia stata raccolta, prevalentemente a distanza. I quesiti-base vanno dalla situazione economica alla mutazione delle relazioni umane e professionali, dai rapporti con istituzioni e organismi di rappresentanza al valore della musica e a cosa ascoltare durante l’isolamento.
Il pianista classico Massimo Giuseppe Bianchi, nella prefazione, specifica che l’autore «ha provato ad andare oltre l’analisi stilistica (…). Gerlando capisce e ama la musica, rispetta i musicisti e da loro è rispettato nonché, come da qui traspare, riconosciuto quale interlocutore credibile (…). Ha voluto, credo, fare quello che un critico non ha tempo o voglia di fare: comunicare direttamente con la persona (…). L’interesse del presente volume, ne sono convinto, non si esaurirà con l’estinzione del pericolo attuale».
Ha ragione il prefattore, perché se a una prima lettura si sente la mancanza di una
sintesi ragionata delle risposte, rileggendo Il jazz italiano in epoca Covid si apprezzano la varietà dei pareri e l’apertura delle idee. Ciò restituisce l’effetto traumatico, spiazzante del primo lockdown e fa capire, a distanza, come l’interpretazione del fenomeno e del suo impatto sia ancora «aperta». Ecco una breve antologia di risposte.
Francesco Cusa: «Ritengo che sarà molto difficile ripartire. Occorrerà approfittare di questo stallo per rivedere la politica dell’organizzazione musicale in Italia, liberarla dai gangli che la congestionano in clan e cordate, per una gestione e selezione più armoniche e meno elitarie. La parola d’ordine è comunque defiscalizzare».
Massimo De Mattia: «Credo che l’arte e la cultura siano il vero capitale, senza il quale oggi saremmo già tutti vittime della disperazione. Abbiamo bisogno
di assurgere a un nuovo stato emotivo di speranza e meraviglia, di folgorazione e
di sogno (…) Non vedo su quali altre forze contare. A parte l’amore».
Maria Pia De Vito: «Si stanno attivando moltissime catene di solidarietà, ed è una bella cosa. Per chi riesce a mettersi in ‘pausa’ nella pausa, è come un ritiro spirituale, una grande pulizia interna. Ma non ho molte illusioni sulle dinamiche dei ‘poteri’ che ritroveremo all’uscita da tutto questo».
Enzo Favata: «Ho deciso di riorganizzare il mio tempo, dando uno schema rigido alle mie lunghe giornate, suddivise con orari ed impegni precisi (…) 400 ore di registrazione, non voglio lasciarle in un cassetto e le cose più interessanti le sto rimasterizzando e mettendo online, sarà un lavoro che continuerò anche finiti i
tempi del coronavirus».
Paolo Fresu: «Seguo con attenzione le istanze del mondo dei lavoratori dello spettacolo che versano in condizioni di estremo disagio. Partecipo a una miriade di tavoli di discussione su questi temi e si sta tentando di mettere assieme tutti e di dialogare perché il nostro mondo è molto vasto ed altrettanto sfilacciato. Dirigo
anche le attività della Federazione Nazionale il Jazz Italiano, della quale sono il presidente».
Enrico Intra: «I rapporti tra persone si modificheranno per chi ha memoria del passato. Per chi non ha cura dei beni comuni che ci circondano e attenzione verso il prossimo non cambierà nulla. Lo dico per esperienza. Ho vissuto da bambino quel drammatico periodo della Seconda guerra mondiale, la povertà del dopoguerra
e certi avvenimenti tragici che hanno segnato la nostra Repubblica qualche decennio
dopo».
Nicola Mingo: «Cerco di reagire mantenendo un contatto diretto con il pubblico (…) attraverso i social. Organizzo dirette e video party con miei home concert, invitando i follower e gli appassionati per stare in compagnia e far ascoltare la mia musica. Il vantaggio dei social è che ti (…) consentono la comunicazione diretta con musicisti e appassionati da ogni parte del mondo».
Franco Piana: «Spero che (il Covid, ndr) ci faccia capire quanto è importante dare la
precedenza alle persone piuttosto che alle cose, siamo sempre troppo presi da noi stessi e abbiamo poco tempo da dedicare alle persone care o a quelle bisognose».

A Matera il Gezziamoci compie 35 anni

Prende il via il 15 luglio alle 21:00 nel Giardino dell’Hotel del Campo a Matera la trentacinquesima edizione del Gezziamoci, la rassegna storica dell’Onyx Jazz Club che quest’anno fa tappa in dieci comuni della Basilicata, fra grande musica, incontri letterari e percorsi di scoperta del territorio.  Primo ospite del programma sarà un’icona del jazz contemporaneo europeo, l’istrionico Gianluigi Trovesi, che torna al Gezziamoci insieme all’originale trio dei Mutanti Musicali, composto da Boris Savoldelli, voce, Stefano Zeni, violino, e Marco Remondini, violoncello. Un progetto certamente desueto ed originale, dove gli ascoltatori vengono catturati da un vortice sonoro che, in poche battute, li fa viaggiare nel passato, cullati da splendide atmosfere classiche e, subito dopo, li catapulta nel futuro più remoto con sonorità elettroniche originali e di sicuro effetto. Trovesi sarà protagonista anche della stagione autunnale del Gezziamoci, con il progetto del 1984 da cui prese avvio la storia dell’Onyx Jazz Club.

Trentacinque non sono solo gli anni del Gezziamoci, ma anche l’età limite di molti degli artisti che calcheranno il palco di questa edizione della rassegna, sempre attenta a mescolare grandi nomi della scena jazz nazionale e internazionale e giovani talenti del territorio.

Fra questi i pugliesi Kaleido Sea che si esibiranno il 17 luglio alle 21:00 nell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Montescaglioso (MT).  Il progetto, un mare immaginario dove si incontrano colori, suoni e culture musicali differenti, a formare ogni volta nuove figure policrome, unisce le diverse esperienze e sensibilità musicali di Vito Ottolino, chitarra classica, Vincenzo Maurogiovanni, basso, Cesare Pastanella, percussioni. Come la loro Puglia storicamente esposta a invasioni e migrazioni da ogni direzione, la loro musica è il luogo ideale per la creazione di una fusione di sonorità mediterranee, ritmi afroamericani e mescolanze sonore che rivelano gusto jazzistico e armonia europea, brani originali che spaziano da episodi onirici all’incedere di ritmiche incalzanti.

Le azioni di mobilità sostenibile promosse dall’Onyx Jazz Club si inseriscono fra le pratiche che il Gezziamoci mette in campo come aderente a “Takes Jazz The Green”, la prima rete italiana dei festival jazz ecosostenibili.

Il Gezziamoci prosegue fra luglio e agosto con le seguenti tappe:

  • 22 Luglio: Maratea (Lykos)
  • 23 Luglio: Aliano (Kora Connection, Tra Jazz  Manouche & Libri)
  • 29 Luglio: Miglionico (Michele Fazio)
  • 4 Agosto: San Severino Lucano (Onyx Jazz Quartet)
  • 5 Agosto: Genzano Di Lucania (Andrea Sabatino Quartet)
  • 8 Agosto: Acerenza (K.Trio)
  • 20-21 Agosto: Grottole (Masterclass)
  • 20 Agosto: Grottole (Onyx Group)
  • 21 Agosto: Grottole (Kruptai Quartet)
  • 24 Agosto: Matera (Common Ground)
  • 25 Agosto: Matera (Mat Trio)
  • 26 Agosto: Matera (Klankpoeder)
  • 27 Agosto: Matera (Jesse Davis 4tet)
  • 27 agosto: Matera (installazione Pentangolo)
  • 28 Agosto: Matera (Concerto all’alba con Jesse Davis)
  • 28 Agosto: Matera (Gegè Telesforo Impossible Tour).

Per ragioni indipendenti dall’organizzazione del Gezziamoci, nei concerti del 27 e 28 agosto a Matera, Seamus Blake sarà sostituito dal sassofonista Jesse Davis.

In margine al Festival del Jazz

Il Sicilia Jazz Festival di Palermo, di cui vi abbiamo riferito, non è stato solo musica ma anche un’esplosione di creatività che ha investito soprattutto il settore immagini. Abbiamo, infatti, ammirato una bellissima installazione fotografica che ha impreziosito non poco le atmosfere della manifestazione.

In pieno centro, passeggiando attraverso il Vicolo Valguarnera, la Via Canta Vespri e le Piazze Croce dei Vespri e Teatro Santa Cecilia, costeggiando, in vario modo, Palazzo Gangi di Valguarnera, il Teatro Santa Cecilia e la Galleria d’Arte Moderna, se il nostro sguardo si rivolgeva verso il cielo, non si poteva fare a meno di ammirare qualcosa di straordinario: una sequenza aerea di immagini che racconta la storia di questi ultimi 20 anni del jazz a Palermo. Le immagini, su tela, sono esposte tra gli edifici del quartiere secolare di Palermo, come una tettoia di lenzuola sotto il sole e l’azione del vento. L’artificio urbano, così ideato, nelle intenzioni di progetto, diventava una componente dell’architettura urbana, connotando l’anima popolare dei quartieri siciliani e della stessa musica Jazz. Le immagini, in vario modo disposte, definivano così una sorta di copertura dello spazio urbano interessato.

Una delle zone dell’istallazione è stata interamente dedicata al jazz femminile con uno sguardo di solidarietà alla realtà Ucraina, tema particolarmente delicato in un momento in cui assistiamo ad una serie di distinguo del tutto incomprensibili a parere di chi scrive.

Il progetto è frutto di un lavoro di squadra, in primo luogo dell’architetto Laura Galvano (lavora all’assessorato regionale per il turismo sport e spettacolo) che ha immaginato il posizionamento così ardito e poi di Rosanna Minafò che ha consigliato artisti e ruoli e infine di Arturo Di Vita che grazie alla decennale collaborazione con la Fondazione ha accumulato un archivio fotografico veramente corposo con artisti di fama mondiale.

Ma come sono state scelte le immagini? “La scelta – ci risponde Arturo Di Vita, il responsabile degli “scatti” – oltre all’intensità dei volti e delle posture tiene conto dei cromatismi e delle proporzioni così da dare una visione d’insieme armonica. La tecnica fotografica per realizzare tutti i ritratti è quella dell’osservazione dell’artista durante la sua performance e non appena si presenta una micro espressione si scatta nel tentativo di catturare il vero e il profondo dell’artista e forse anche il suono (come molti dicono).

Le microespressioni facciali sono espressioni del volto di brevissima durata che possono fornire informazioni sulle emozioni di base, se associate ad altre risposte fisiologiche. Questa misurazione quantitativa rientra nella sfera di ciò che ascoltiamo – grazie alle neuroscienze applicate – a livello psicofisiologico. Insieme a sudorazione, movimenti oculari e altri segnali, possiamo indagare l’inconscio e le emozioni in relazione a diversi tipi di esperienza, siano essi legati a un prodotto, un servizio, o a un momento”.

Data la bellezza del tutto, ci permettiamo di lanciare un’idea: perché non rendere l’installazione permanente almeno fino a quando le piogge non consiglieranno diversamente?

Gerlando Gatto

Per dodici giorni Palermo capitale del jazz

Varie produzioni in esclusiva europea e prime assolute per un totale di ben 10 produzioni orchestrali, 6 Direttori d’Orchestra, 110 concerti dislocati in 4 luoghi diversi tra il Teatro di Verdura, il Real Teatro Santa Cecilia, il Complesso Santa Maria dello Spasimo e il Palazzo Chiaramonte, conosciuto come Steri, sede dell’Università cittadina: questa, in poche ma eloquenti cifre, la carta d’identità del Sicilia Jazz Festival che in dodici giorni (dal 24 giugno al 5 luglio) ha trasformato Palermo in una sorta di mecca del jazz.
La capitale della Sicilia è stata come invasa da un’ondata di musica che ha interessato migliaia e migliaia di spettatori che hanno ascoltato con interesse i tanti concerti proposti. Peccato che nessuno di noi possegga il dono dell’ubiquità in quanto, ad esempio, avrei assistito assai volentieri alle performances di Dino Rubino, Giacomo Tantillo, Giuseppe Milici…tanto per fare qualche nome.

Altra caratteristica del Festival: il ruolo dato all’ Orchestra Jazz Siciliana che ha avuto l’onore e l’onere di accompagnare alcuni dei grandi solisti presenti al Festival, e la possibilità fornita ai giovani musicisti dei conservatori siciliani di esibirsi finalmente in pubblico. Ed è proprio questa attenzione ai talenti locali che rende un Festival del Jazz degno di essere pensato, realizzato e sostenuto con fondi pubblici. In effetti il Festival, organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo – con il coordinamento artistico affidato alla Fondazione The Brass Group, istituita con legge del 1° febbraio 2006, n. 5,  si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania. L’obiettivo: come si accennava, coinvolgere in una concreta sinergia strutturale le istituzioni didattiche regionali, i musicisti del territorio e le maestranze locali.

Ma veniamo adesso al lato più strettamente musicale.

Per motivi di lavoro ho potuto assistere solo agli ultimi cinque concerti, tutti comunque di spessore e tutti svoltisi nel magnifico scenario del “Teatro di Verdura”

Ma procediamo con ordine. Il primo luglio è stata di scena la vocalist Dianne Reeves con il suo quintetto completato da John Beasley al piano, Romero Lubambo alla chitarra, Itaiguara Brandao al basso e Terreon Gully alla batteria. A parere di chi scrive, la Reeves è oggi una delle voci più interessanti, suggestive, personali del mondo del jazz e tutto ciò è stato ampiamente evidenziato anche durante il concerto palermitano. Ben supportata dal gruppo, la Reeves ha sciorinato un repertorio godibile dalla prima all’ultima nota in cui le parole lasciavano spesso campo libero a vocalizzi che richiamavano la grande tradizione del canto afro-americano. A conferma della versatilità di un’artista che oltre a vincere vari Grammy Awards (gli ultimi nel 2006, per la colonna sonora del film “Good night, and good luck” diretto da George Clooney, e nel 2015, per l’album “Beautiful life” dopo i precedenti quattro conquistati nel 2001, 2002, 2003 e 2006), in questo ultimo scorcio di tempo si è maggiormente concentrata, come si diceva, sul solco tracciato da voci leggendarie quali quelle di Billie Holiday, Ella Fitzgerald e, soprattutto, di Sarah Vaughan, cui tempo fa ha dedicato un intenso omaggio discografico. Tra le interpretazioni più convincenti le originali versioni di “Morning has broken” scritta da Cat Stevens e “Talk” di Pat Metheny. Insomma un concerto straordinario, sicuramente tra i migliori ascoltati a Palermo, che resterà sicuramente nel cuore e nella mente di chi, come il sottoscritto, ha avuto il piacere di parteciparvi.

Il giorno dopo grande attesa per il concerto di Ivan Lins con Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Riina. Ora, fermo restando il piacere di aver riascoltato dopo un po’ di tempo Ivan Lins, devo confessare che sono rimato un po’ deluso dall’andamento del concerto. Ed il perché è presto detto: Ivan Lins ha scritto vagonate di musica e quindi mi sarei aspettato di ascoltarlo quasi totalmente in brani di sua composizione. Invece ci ha offerto versioni di brani già iper-noti come “Dindin”, “Insensatez”, “Garota de Ipanema”, “Check to check” che nulla tolgono ma nulla aggiungono alla statura di un artista che, come si diceva, si caratterizza per essere non solo un grande performer ma anche – e forse soprattutto – per le sue straordinarie capacità compositive. Ovviamente non sono mancate sue composizioni ma non abbastanza.

Bene Jane Monheit che ha messo in mostra una bella voce, ben intonata ed equilibrata, accompagnata da una sicura presenza scenica. Altro elemento positivo, il ruolo dato ad alcuni solisti dell’orchestra quali Gaetano Catiglia e Fabio Riina alle trombe, Francesco Marchese e Alex Faraci al sax tenore, Claudio Giambruno e Orazio Maugeri al sax alto, Salvo Pizzo al trombone, Elisa Zimbardo alla chitarra.

Durante l’esibizione di Ivan Lins un siparietto simpaticamente comico: mentre il cantante brasiliano intonava la sua “Ai, Ai, Ai, Ai, Ai” il maestro Riina scivolava senza alcuna conseguenza ma dando così corposa consistenza al titolo del pezzo.

Eccellente prova il 3 luglio della vocalist Simona Molinari accompagnata dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Vito Giordano. A mio avviso la Molinari matura di giorno in giorno in quanto riesce sempre meglio ad attare le sue notevolissime capacità vocali al repertorio che ha scelto di presentare. Un repertorio che sembra fatto apposta per accontentare sia il pubblico del jazz (con una serie di straordinari pezzi quali “Fly Me To The Moon”, “All Of Me”, “The Look Of Love”, “Summertime”) alternate con pezzi più vicini ai giorni d’oggi come “Fragile”. Ma intendiamoci: ciò nulla toglie alla cantante che anzi, come si accennava, evidenzia una versatilità che sicuramente le gioverà nel corso di una carriera già luminosa. Non a caso il suo concerto a Palermo è stato tra i più applauditi con numerose richieste di bis.

Il 4 luglio un mostro sacro del jazz, Christian Mc Bride; quando si parla di questo artista è difficile definirlo dal momento che si tratta di un grande virtuoso del contrabbasso, ma allo stesso tempo di un grande compositore, grande arrangiatore, eccellente didatta e, ciliegina sulla torta, direttore artistico del Newport Jazz Festival. Nato a Filadelfia il 31 maggio 1972, in soli 50 anni ha avuto una carriera davvero incredibile. E come i grandi artisti, fuori dal palco è una persona estremamente gentile e disponibile concedendomi una lunga intervista che pubblicherò nei prossimi giorni.

Venendo al concerto di Palermo, McBride ha evidenziato tutti gli aspetti della sua variegata personalità, suonando magnificamente il contrabbasso ma allo stesso tempo presentando alcune sue composizioni da lui stesso arrangiate per big band e dediche particolarmente sentite: è il caso di “Killer Joe” di Benny Golson, del sempre splendido “Spain” di Chick Corea, “Full House” di Wes Montgomery, “I Should Care” di Axel Stordahl, Paul Weston e Sammy Cahn mentre l’altro hit, “Come Rain or Come Shine” è stato interpretato con bella pertinenza dalla moglie di Christian, Melissa Walker. Quasi inutile sottolineare come la performance di McBride sia stata salutata con applausi a scena aperta da parte dal numeroso pubblico che, d’altro canto, non ha fatto mancare il proprio supporto ai numerosi solisti dell’orchestra che grazie agli arrangiamenti di McBride hanno avuto l’opportunità di mettersi in luce.

Gran finale il 5 luglio con Snarky Puppy ovvero la band del momento. Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di studenti di un college del Texas, il collettivo statunitense che ruota attorno al perno costituito dal bassista, compositore e produttore Michael League (la formazione è variabile e a volte comprende anche alcune dozzine di musicisti) ha consolidato il percorso artistico non solo con dischi accolti assai bene da pubblico e critica, ma soprattutto attraverso un’attività live che sembra costituire la loro dimensione ideale. Dimensione che è stata pienamente confermata dal concerto palermitano in cui il gruppo si è presentato in nonetto. Ma questo appuntamento è risultato particolarmente interessante in quanto il gruppo ha presentato tutta musica nuova, una serie di brani che andranno a costituire il prossimo lavoro discografico. Come al solito la loro musica è risultata coinvolgente essendo il risultato di una ricerca che riesce a mescolare jazz, fusion, funk, prog e rhythm’n blues in una miscela con cui  hanno rapidamente scalato le classifiche discografiche di questi ultimi tre lustri, conquistando anche vari Grammy Awards.

Gerlando Gatto

Enrico Rava: lo scrittore friulano Valerio Marchi intervista il grande trombettista

Lo scorso 23 giugno, alla rassegna “Borghi Swing” by Udin&Jazz, organizzata da Euritmica e Comune di Marano Lagunare, in provincia di Udine, Enrico Rava avrebbe dovuto esibirsi con la sua tromba e il suo flicorno assieme a Francesco Diodati (chitarra), Gabriele Evangelista (contrabbasso) ed Enrico Morello (batteria). Purtroppo, per cause di forza maggiore (un’indisposizione dell’artista), il concerto è stato annullato. Crediamo comunque di far cosa gradita pubblicando l’intervista che Rava ci ha concesso qualche giorno prima, augurandoci di cuore di poterlo rivedere presto in Friuli Venezia Giulia. (Valerio Marchi)

-Maestro, che rapporto ha con il Friuli?
«Bellissimo! A parte il fatto che mia moglie ha origini di Sacile, sono amico di musicisti friulani straordinari: da U.T. Gandhi a Francesco Bearzatti, ma anche Mirko Cisilino – che reputo il trombettista italiano più interessante, e che fra l’altro non è solo trombettista – e poi Giovanni Maier… Non solo, ma in Friuli nacque uno dei gruppi che più ho amato e che è durato di più: gli Electric Five, di cui fecero parte anche Gandhi, che ne era la colonna portante, e Maier. Poi ho altri cari amici, ad esempio Checco Altan ad Aquileia, e mi piacciono infinitamente la natura e il cibo».

Trova florido il panorama jazzistico del nostro territorio?
«Sì, ma sia per questa che per altre regioni italiane che hanno un’attività molto viva, avviene spesso che ciò che si sviluppa da una parte – mi riferisco sempre al jazz – rimane più o meno lì. Anche in Calabria, in Sardegna o in Sicilia, ad esempio, ci sono eventi notevoli e musicisti giovani e fantastici che meriterebbero una fama ben più larga. Si può avere un successo strepitoso a Udine o a Palermo, per capirci, ma poi…»

-E lei come si spiega questo fenomeno?
«Non so, forse abbiamo ancora un retaggio dell’Italia dei Comuni, molte cose fanno molta fatica a varcare i confini. Gli unici luoghi che fanno più notizia a livello nazionale sono Milano e Roma, ma ciononostante nel nostro Paese manca, di fatto, un vero e proprio centro: come, ad esempio, Parigi per la Francia, Londra per l’Inghilterra o New York per gli USA, dove tutto ciò che avviene in quegli Stati in qualche modo si convoglia lì: vai lì e prima o poi conosci tutti».

-La sua fortuna infatti fu proprio quella di vivere a New York da giovane.
«Assolutamente sì. I dieci anni trascorsi a New York, a partire dai miei 24 anni in poi, sono stati fondamentali».

-Il Seminario che lei tiene da tanti anni a Siena sopperisce in qualche misura all’inconveniente tutto italiano di cui abbiamo appena parlato?
«È almeno l’occasione per conoscere musicisti strepitosi che altrimenti, forse, non conoscerei mai, a meno di non fare un continuo “Grand Tour” per l’Italia… e infatti quasi tutti i miei gruppi sono nati dall’esperienza di Siena. Tornando ai musicisti friulani, lo stesso Giovanni Maier lo conobbi lì; fu lui a farmi conoscere U.T. Gandhi e poi nacquero gli Electric Five».

-Il Friuli, e più in generale il Friuli Venezia Giulia e l’Italia, potrebbero avere dunque un maggior numero di celebrità internazionali?
«Abbiamo qualche jazzista italiano “iconico”, fra cui il sottoscritto, ma per tanti altri musicisti, giovani e meno giovani, in Friuli come altrove, è difficilissimo agguantare quello spazio che meriterebbero; così, da un certo punto di vista, essi rimangono sempre “promesse per il futuro” pur essendo realtà ben concrete e di qualità. Per non parlare delle formidabili musiciste!».

-In effetti il largo pubblico, al di là di nomi di primissimo piano come quelli di Rita Marcotulli o Stefania Tallini, non conosce molto del versante femminile.
«Già, ma emergono ragazze – Anaïs Drago, Evita Polidoro, Francesca Remigi, Sophia Tomelleri, solo per citarne alcune – che suonano benissimo, sono davvero eccezionali e ottengono anche riconoscimenti importanti. Ma di loro finalmente si inizia a parlare, e con la novità che portano si smuovono le acque e i media, il che ci aiuta a non cadere nella routine».

-E per lei la routine, a quasi 83 anni, rimane la principale nemica: giusto?
«Certo! La mia fortuna è di non essermi mai adagiato. Ho sempre bisogno di sorprese, da parte chi suona con me e da me stesso: per questo occorre che i componenti del mio gruppo abbiano una visione della musica vicino alla mia e la capacità di ascoltare, di comunicare quasi telepaticamente con una visione comune, con piena fiducia reciproca: quando tutto funziona bene, ognuno dà e riceve ciò di cui c’è bisogno per la creazione musicale. Senza rinunciare al proprio ego, ma senza prevaricare.

-Molte cose impreviste possono accadere, dunque, durante un concerto?
«Sì, la mia musica è molto libera. Io do una cornice, un canovaccio all’interno del quale ognuno è veramente libero, e quando c’è quella piena fiducia reciproca di cui parlavo tutto può svilupparsi al meglio, prendendo anche strade impensate. Non faccio mai una scaletta. Decido un primo pezzo, decido da dove si parte, poi dove vada a finire il concerto non lo so, perché dipende da tanti fattori: il suono, l’amplificazione, l’acustica, il pubblico, come stiamo noi, e così via…».

-Sembra facile… anzi no.
«Infatti non è facile. Ma per me non c’è nulla di peggio che sentire suonare un gruppo, anche di altissimo livello, che si limiti però ad una esibizione in cui ciascuno fa vedere la propria abilità senza costruire veramente assieme, senza quel legame perfetto che nasce dal collegamento diretto fra il nostro universo spirituale e l’equilibrio universale, fra la nostra armonia interiore e quella dell’universo. È una cosa difficile da spiegare, forse può far ridere qualcuno, ma è così. La musica non è matematica, è magia: ed è per questo che, nonostante l’età, continuo a suonare invece che dar da mangiare agli uccellini al parco».

-Una magia che il Covid ha alquanto limitato… Lei come ha vissuto il lungo periodo di pandemia?
«Il primo periodo bene: ho letto tantissimo – amo molto leggere – e ho riposato, mi sono esercitato, ho studiato lo strumento… (chi volesse approfondire può cliccare qui per leggere l’intervista di Gerlando Gatto a Rava, contenuta nel libro “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” n.d.r.). Poi durante l’estate ho suonato di nuovo parecchio dal vivo, sinché è cominciato il secondo periodo di pandemia che, anche a causa di alcuni acciacchi, ho vissuto molto peggio: come diceva Moravia, il problema dell’età non esiste, il vero problema sono le malattie dell’età… Anche di recente, per un serio problema di salute, ho dovuto rimanere tre mesi senza poter suonare; poi, dopo la convalescenza, mi sono esercitato un paio di settimane e la prima cosa che ho fatto è stata quella di registrare un CD – peraltro venuto benissimo – con il grande pianista americano Fred Hersch».

-E questo CD quando uscirà?
«A settembre».

-Diceva del suo amore per la lettura; ma lo stesso vale anche per l’ascolto della musica, di tutta la musica e non solo il jazz, giusto?
«Certo. Apprezzo moltissimo, ad esempio, i Rolling Stones, oppure i Queen, per non parlare dei Beatles… ma potrei continuare. Tutti geniali, incredibili. E questo vale anche per altri generi di musica e di interpreti».

Ci dispiace un po’ per gli uccellini al parco, ma speriamo proprio che debbano aspettare ancora a lungo…

Valerio Marchi

Udin&Jazz 2022 ovvero Play Jazz Not War

Di recente abbiamo fornito alcune anticipazioni su Udin&Jazz 2022 sottolineando, come fattori di grande positività, il fatto che la manifestazione rientrasse a Udine, sua sede naturale.
Adesso il programma è stato presentato nella sua interezza, e si tratta di un programma di sicuro spessore in quanto, more solito, riesce a coniugare l’esigenza di valorizzare le risorse locali con l’opportunità di offrire al pubblico alcune vere e proprie eccellenze del jazz di oggi.
Il Festival, giunto alla 32esima edizione e da sempre organizzato da Euritmica, per la direzione artistica di Giancarlo Velliscig, si svolgerà dall’11 al 16 luglio. Una settimana, quindi, densa di concerti, di eventi, di laboratori, di mostre, a valorizzare i molteplici aspetti di questa straordinaria musica, che in queste zone ha trovato sempre terreno fertile come dimostrano i numerosi talenti che provengono dal Friuli-Venezia Giulia.
Il clima culturale che, anche grazie alla musica, in questi anni si è sviluppato a Udine «ci inorgoglisce – ha dichiarato Velliscig nel corso della conferenza stampa di presentazione del Festival – e ci dà energia e slancio per continuare, in un non facile futuro in cui i rapporti umani e culturali dovranno essere fondamentali per la ricostruzione di tessuti sociali devastati da anni di pandemia e di inasprimenti bellici ed economici; confidiamo pertanto che il progetto di Udin&Jazz, che da qualche tempo si sviluppa anche in versione invernale, venga valutato e vissuto in senso positivo anche da parte della comunità regionale e locale, così come fino ad oggi è accaduto. Anche per questo il nostro motto di quest’anno sarà Play Jazz, not War!».
Udin&Jazz 2022 si apre l’11 luglio con la proiezione, introdotta dal critico musicale Andrea Ioime, del film “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” al Giardino Loris Fortuna in Piazza Primo Maggio (in collaborazione con il C.E.C.); dal 12 al 16 luglio poi, Udin&Jazz ospiterà due concerti a sera al Teatro Palamostre (alle 20 e alle 22) e contestualmente, in fasce orarie diverse, altri concerti, incontri e presentazioni.
Apertura il 12 luglio, nella sala Carmelo Bene del Teatro Palamostre (ore 18.30) con il vernissage della Mostra “I Colori del Jazz”, dell’artista udinese, Ivana Burello; la serata proseguirà, nella sala Pasolini, sempre al Palamostre, con due concerti: dapprima il pianista udinese, che risiede a Parigi, Emanuele Filippi, definito da Enrico Rava “uno dei migliori pianisti della nuova generazione”, presenta il suo nuovo progetto, “Heart Chant”, esibendosi con il giovane sassofonista olandese Ben van Gelder, uno dei musicisti più interessanti della nuova scena jazz Europea; successivamente, alle 22, il quartetto del celebre trombettista Fabrizio Bosso, completato da Julian Oliver Mazzariello, piano, Jacopo Ferrazza, double bass / e Nicola Angelucci, batteria presenterà  il suo ultimo lavoro “WE4”.
Il 13 luglio, il Palamostre ospiterà la presentazione del libro a fumetti “Mingus”, di Flavio Massarutto e Squaz, alla presenza dell’autore. A seguire, i concerti del quartetto internazionale della contrabbassista Rosa Brunello, con il suo nuovissimo “Sounds Like Freedom” e l’omaggio all’infinito universo dei Beatles di uno dei più grandi chitarristi del nostro tempo, Al Di Meola, che presenta “Across the Universe” alla testa del suo trio acustico con Peo Alfonsi alla chitarra e Sergio Martinez alle percussioni.

Il 14 luglio, ancora due concerti: s’inizia con la musica di “Scenario”, nuovo progetto dei C’Mon Tigre, collettivo che coinvolge diversi musicisti nazionali e internazionali (tra cui il friulano Mirko Cisilino), e si prosegue con il trio del pianista Vijay Iyer, uno dei grandi protagonisti del nuovo pianismo jazz, che presenta, tra l’altro, la straordinaria bassista Linda May Han Oh e il batterista Tyshawn Sorey a costituire un ensemble, che prescindendo dal valore del leader, viene oggi considerato uno dei migliori gruppi jazz in esercizio.
Il Brasile sarà il protagonista della penultima giornata del festival, il 15 luglio. Alle 18.30, il Palamostre ospiterà un incontro dal titolo “La Musica brasiliana ieri e oggi” in cui il conduttore di Radio 1 Rai, Max De Tomassi illustrerà le dinamiche musicali del grande Paese sudamericano. Alle 20 l’esibizione di Mel Freire, cantante e compositrice di Belo Horizonte che rende omaggio alla grande Elis Regina, cui segue il concerto di Ivan Lins, autentica star e maestro della Musica Popular Brasileira sicuramente uno degli eventi clou dell’intero Festival; Ivan sarà accompagnato da André Sarbib piano, Léo Espinosa basso, Claudio Ribeiro chitarra e Chris Wells batteria.
Chiusura il 16 luglio, con la musica travolgente degli Snarky Puppy, collettivo statunitense guidato dal geniaccio Michael League che conta circa 25 musicisti in rotazione, band tra le più acclamate della scena jazz contemporanea, band che avevamo già avuto modo di apprezzare nelle scorse edizioni di Udin&Jazz. Per sottolineare l’importanza di questo gruppo, basti ricordare che League, Laurance e compagni, hanno di recente vinto l’ennesimo Grammy Award come miglior album strumentale.
Nella mattinata del 16 luglio, Udin&Jazz propone un concerto/laboratorio interattivo interamente dedicato ai bambini e alle loro famiglie: U&j 4 Kids.
Tra gli eventi in cartellone, per Aspettando Udin&Jazz, è in corso una serie di 5 concerti che si alternano tra lo storico Jazz Caffè Caucigh ed il Giangio Garden al Parco Brun: il 25-06 il trio di Bruno Cesselli, il 30-6 Giampaolo Rinaldi Trio, il 2-7 Luca Dal Sacco Trio, il 5-7 Matteo Sgobino & Luna Troublante, e il 9-7 l’Armando Battiston duo; gli aperitivi del Jazz Corner, alle 18,30 alla Ghiacciaia, saranno animati il 12-7 da Laura Clemente/Gaetano Valli Duo e il 14-7 dal duo di Michele Pirona e Stefano Andreutti.
Sempre alla Ghiacciaia il 14 luglio – alle 12 – il sottoscritto presenterà il suo ultimo libro di interviste “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”, dialogando con Andrea Ioime.
Le notti di Udin&Jazz Festival saranno animate dalle dirette del MUUD Podcast, alla Tana del Luppolo, accanto al Palamostre, con approfondimenti di quanto proposto dal festival attraverso interviste, incontri ed esibizioni di giovani musicisti, flash di jazz contemporaneo e non solo. In presenza oppure in streaming.
Udin&Jazz gode del patrocinio e del sostegno di: Ministero della Cultura, Regione Autonoma Friuli Venezia-Giulia – Assessorato alla Cultura, Fondazione Friuli, PromoTurismoFvg, Cciaa di Udine e della sponsorship di Reale Mutua Assicurazioni Franz e Di Lena, Udine e della Banca di Udine.

Gerlando Gatto