OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL – edizione 38 – La terza giornata

SABATO 24 MARZO, TERZA GIORNATA

La conclusione dell’ Open Papyrus Jazz Festival è affidata al duo Stefano Benni e Umberto Petrin con il loro recital per voce recitante e pianoforte, Misterioso, e alla Lydian Sound Orchestra di Riccardo Brazzale con un progetto creato per il 50′ anniversario della morte di Martin Luther King. Due spettacoli consecutivi al Teatro Giacosa, preceduti dalla presentazione del libro Grande Musica Nera – storia dell’ Art Ensemble of Chicago, in cui il curatore Claudio Sessa ha non solo raccontato il suo lavoro ma instaurato un fecondo dibattito anche con il direttore artistico Massimo Barbiero e con i presenti in sala. Non si pensi che il dibattere su un libro alle 18 di un sabato sia così scontato.

Ma andiamo a parlare dei due eventi che hanno concluso questa 38esima edizione.

Per mia scelta i commenti sui concerti saranno, per tutte e tre le serate, divisi in due parti, delle quali la seconda è intitolata ” L’impatto su chi vi scrive” ed è il mio commento personalissimo e dichiaratamente non ammantato di alcuna pretesa obiettività. A prescindere dalla competenza, la musica impatta diversamente a seconda della personalità, della formazione, dei gusti di ognuno.

Teatro Giacosa, ore 21: 30

Stefano Benni e Umberto Petrin
Misterioso
Stefano Benni: voce e recitazione
Umberto Petrin: pianoforte

Uno spettacolo voce recitante e pianoforte su Thelonius Monk, genio un po’ maledetto, figura iconica del Jazz che in un Festival dedicato all’ Elogio della Follia di certo è presenza congrua, nel racconto surreale ma nemmeno troppo di Stefano Benni. Un Monk evocato con parole di volta in volta sanguigne, o rassegnate, o solitarie, o guerresche, o logiche o illogiche, un Monk che parla in prima persona e un Benni trasfigurato in lui. Ma anche una Billie Holiday descritta in maniera potente per chi forse mai ne ha sentito il nome, più familiare per chi il Jazz lo segue. Umberto Petrin, pianista con una poderosa esperienza di interazione con letteratura e poesia, racconta con il suo pianoforte lo stesso Monk di Benni, che prende così forma nella sua duplicità di uomo tormentato e di musicista.

L’impatto su chi vi scrive

Un recital suggestivo, che è volato in un attimo. Intenso l’intreccio dei due lati di Monk – l’uomo (letto da Stefano Benni) e il musicista (suonato da Umberto Petrin). Per chi è immerso nel mondo del Jazz non si tratta tanto di scoprire l’uomo, il musicista, il personaggio (le frasi, le intemperanze, gli episodi raccontati dalle parole di certo non usuali di Benni e dalla bella musica di Petrin non sono nuovi per chi conosce Monk), ma di respirare l’atmosfera della sua vita, del suo sentire, del suo modo di essere.
Per chi invece è un neofita la lettura avrà una potenza diversa che non potrà che portare alla necessità di sapere e ascoltare di più.

Teatro Giacosa, ore 22:30

Orchestra
We insist
Ricordo di Luther King
nel 50° anno della morte
diretta da Riccardo Brazzale
Vivian Grillo: voce
Robert Bonisolo: sax tenore, alto e soprano
Rossano Emili: sax baritono, clarinetto e clarinetto basso
Gianluca Carollo: tromba, flicorno, pocket
Mauro Negri: clarinetto e sax alto
Roberto Rossi: trombone
Glauco Benedetti: tuba
Paolo Birro: piano
Marc Abrams: basso
Mauro Beggio: batteria
e con la partecipazione del
Broken Sword Vocal Ensemble
“Un sogno è sempre a suo modo follia, più quel sogno è grande più deve essere folle, e di certo verrà percepito come tale da propri contemporanei” Così il direttore artistico Massimo Barbiero spiega la sua scelta di inserire questa particolare Big Band nel programma il cui tema è come sappiamo l’ Elogio della Follia.  Il sogno è quello del leader del Movimento per i diritti civili Martin Luther King, del quale quest’anno ricorre il 50° della morte.
Brani intensi, coinvolgenti, tratti dal repertorio di Abbey Lincoln e Max Roach (molto bella Lonesome Lover, ma anche When Malindi Sings), Ornette Coleman (Lonely Woman), e brani originali dello stesso Brazzale (Un capanno di montagna in mezzo al mare) .
Arrangiamenti pensati in chiave black, swinganti, potenti, cuciti su una sezione fiati coesa e trascinante. Una voce femminile duttile e potente, protagonista di molti brani con incursioni nel rap, quella di Vivian Grillo. A contrasto le voci liriche del quartetto vocale Broken Sword Vocal Ensemble e anche un’esibizione da solista del soprano Sara Gramola.

 

Vivian Grillo

Paolo Birro

Sara Gramola

 

                                                               L’impatto su chi vi scrive

Un concerto – spettacolo, molto adatto a chiudere festosamente un Festival (li avevamo incontrati in una situazione simile nel 2016 ad Alba Jazz): è un Jazz d’impegno per la tematica proposta ma allo stesso tempo vigoroso e sgargiante. Vivian Grillo, voce solista, ha potenza e presenza scenica, regge molto bene l’impatto dei volumi notevoli dell’ orchestra, non esita a recitare quando serve e ad esibirsi in sequenze adrenaliniche di rap. Interessante la presenza di un ensemble vocale lirico. Il repertorio presentato si rivela scelta vincente, per l’intensità di brani (vedi Freedom Day) che già di per sé sono una garanzia .

**********************************

Per chi ce l’ha fatta, il Festival si è concluso a tarda notte al Caffè del Teatro con Traditional T.S. Jazz Band: Fulvio Chiara: cornet, Roberto Beggio: clarinet, Didier Yon: trombone, Marco Levi: banjo, Valerio Chiovarelli: bass tuba, Marco Pangallo: washboard/bass drum.

 

Yotam Ben-Or, l’armonica che fa impazzire New York raddoppia all’Elegance

“Sitting on a cloud” è l’album di debutto del compositore ed armonicista belga-israeliano Yotam Ben-Or. Racchiude musica composta negli ultimi quattro anni ed esprime le esperienze umane ed artistiche maturate da Yotam durante la sua recente esperienza newyorkese. Il quartetto di Yotam si è esibito recentemente al prestigioso Dizzy’s Club Coca-Cola di NY, culmine di due anni di concerti che hanno portato il gruppo ad approfondire la conoscenza delle composizioni di Yotam, permettendo così alla musica di raggiungere un alto livello di espressività e virtuosismo. Vincitore di full scholarship per la New School for Jazz and Contemporary Music, Yotam si trasferisce a New York nel 2014. Durante questi tre anni si è affermato come uno dei migliori armonicisti in circolazione, collaborando con artisti ed istituzioni di livello internazionale e suonando su prestigiosi palchi come Rockwood Music Hall, Cornelia Street Cafe e molti altri. Il 2018 è l’anno del disco di esordio da leader, “Sitting on a cloud” e’ il trampolino di lancio, la prima prova da solista di un musicista appena ventenne considerato uno dei giovani talenti emergenti del jazz internazionale.
Sul palco Yotam Ben-Or (armonica), Gabriel Chakarji (piano), Alon Near (contrabbasso) e Francesco De Rubeis (batteria).

Giovedì 5 e venerdì 6 aprile
Ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 18 (concerto e prima consumazione)
Infoline + 39 06 57284458

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL edizione 38, la seconda giornata

VENERDI’ 23 MARZO, SECONDA GIORNATA

La seconda giornata di Open Papyrus Jazz Festival è tradizionalmente quella più corposa e ricca di eventi, che anche quest’anno si sono svolti nella Sala Santa Marta, per la prima parte, e poi al Teatro Giacosa.

Già molta gente in Sala per la presentazione del libro Il Michelone, Nuovo dizionario del jazz. 1200 dischi jazz in 100 anni di Guido Michelone. Le recensioni dell’autore di 1200 dischi di Jazz usciti in 100 anni, che diventa un nuovo dizionario del Jazz. Il pubblico non si è sottratto al fitto dibattito che ne è conseguito.

Alle 19, dopo l’ Aperitivo – Degustazione Consorzio Vini Canavese comincia il concerto di Oba Mundo Project.

 ************************************

Per mia scelta i commenti sui concerti saranno, per tutte e tre le serate, divisi in due parti, delle quali la seconda è intitolata ” L’impatto su chi vi scrive” ed è il mio commento personalissimo e dichiaratamente non ammantato di alcuna pretesa obiettività. A prescindere dalla competenza, la musica impatta diversamente a seconda della personalità, della formazione, dei gusti di ognuno.

Foto di Carlo Mogavero

Sala Santa Marta, ore 19
Oba Mundo Project
Loris Deval: chitarra classica
Anais Drago: violino
Viden Spassov: contrabbasso
Gilson Silveirapercussioni

Quattro musicisti ineccepibilmente bravi, un progetto nuovo non nell’intento (non è certo la prima volta né sarà l’ultima che si decide di reinterpretare temi famosi da film), ma nuovo nella resa. La presenza di Gilson Silveira indica già che i brani passano per una rilettura in termini ritmici ma anche timbrici e armonici “latin” (ma non manca l’Ucraina e la musica balcanica).
Non è certo un latin da cartolina: suonano benissimo questi tre ragazzi.
Gilson Silveira non è un ragazzo e quasi li tiene a battesimo, lui che è un poeta delle percussioni.
Suonano benissimo, gli Oba Mundo, con la cura di chi la musica l’ha non solo studiata ma  fatta propria e metabolizzata, e di chi il proprio strumento lo padroneggia tecnicamente in maniera perfetta e si può dunque permettere di farne praticamente tutto. Gli assoli della Drago sono ineccepibili e straripanti di energia, il contrabbasso di Spassov è intenso, granitico, offre continui spunti al quartetto non limitandosi all’ accompagnare, la chitarra di Deval è cangiante, i suoi fraseggi connotati da una inesauribile vena creativa. Silveira è una fonte continua di suoni, battiti messi in relazione tra loro con maestria.
I brani abbracciano una bella fetta della storia del grande cinema (da La vita è bella, all’ Orfeo Negro, a Mediterraneo).
La parte tematica è lo spunto per dare il via alla bravura indiscutibile di un quartetto di musicisti fantasiosi e preparati. Le dinamiche sono raffinate, l’interplay impeccabile e la verve improvvisativa notevolissima. Non capita spesso di poter ascoltare ad un festival giovani artisti talentuosi, che cominciano a farsi conoscere al di là delle loro realtà locale. Non capita nemmeno spesso di vedere un musicista affermato mescolarsi così beneficamente e generosamente a musicisti nuovi e dar loro appoggio, fantasia, che sottolineino il loro innegabile estro.


L’impatto su chi vi scrive

Un concerto scoppiettante, pieno di energia, divertente, costruito su musiche molto amate e giustamente molto applaudito.
Il limite del progetto l’ho trovato un po’ nell’applicare, a prescindere, una veste predeterminata  a temi molto diversi tra loro. La Canzone di Geppetto dal film televisivo di Comencini, per fare un esempio, mi è apparsa un po’ più travisata che riletta, mentre se ne sarebbe potuto fare un lavoro bellissimo di interpretazione interiore anche estrema, volendo. I temi vengono utilizzati essenzialmente come mero spunto per le evoluzioni virtuosistiche che seguono. Tra i due estremi della cover e del tema usa e getta preso solo per la sua struttura e poi  ingabbiato in una veste jazzistica preformata ed infilata a qualsiasi costo, c’è tutto un mondo espressivo che può essere infinitamente fecondo. Non a caso, una volta dimenticatami del suddetto tema, ho molto apprezzato le improvvisazioni e le belle introduzioni, che ne erano completamente avulse.
I ragazzi sono più che pronti, io credo, a scrivere e, se lo stanno già facendo, promuovere musica propria,  o a interpretare quella preesistente evitando di decidere “a tavolino” in che modo interpretarla. Lasciandosi andare piuttosto al loro flusso creativo interiore, che è lì che si affaccia prepotentemente e si percepisce vedendoli ed ascoltandoli suonare. Che queste considerazioni li incoraggino perché sono davvero molto bravi.

*****************************************

Teatro Giacosa, ore 21:30

Helga Plankensteiner and Plankton

 

Helga Plankensteiner: baritone sax, clarinet, voice
Michael Lösch: hammond organ, piano
Enrico Terragnoli: guitar, banjo

Il primo dei concerti al Teatro Giacosa è anche il più interessante e stralunato di tutto il festival, in linea con il tema “Elogio della Follia” voluto dal direttore artistico Massimo Barbiero. Un sestetto dalla poderosa sezione fiati, ma anche con una sezione ritmica in grado di  cambiare registro con disinvoltura e di certo non in maniera didascalica. Helga Plankensteiner ne è la leader, e l’ideatrice, dalla personalità dirompente: eclettica suonatrice di sax baritono, clarinetto e corde vocali, suona per un’ora ed oltre musica originale, in tutti i sensi, intrecciando generi musicali in maniera così creativa che ogni genere viene trasfigurato anche quando sembrerebbe essere replicato fedelmente. Il batterio della creatività si impadronisce del Blues, o dello Swing, o di qualsiasi altra suggestione, modificandoli quasi geneticamente.
Questo è possibile con improvvisi cambi di rotta, di dinamiche, ma anche con una attento studio delle timbriche, appaiando le voci in maniera sempre diversa e quasi sempre a contrasto- il sax baritono con l’hammond, i fiati con il banjo, la voce con la tromba. Ma anche alternando unisoni possenti a improvvisi assottigliamenti che precedono la deflagrazione totale di tutto il sestetto. Matthias Schriefl e Gerhard Gschlössl alle trombe e al trombone sono il controcoro e l’alter ego imprescindibile della Plankensteiner. Enrico Terragnoli è infaticabile e prezioso con i suoi Banjo che ammorbidiscono e armonizzano le digressioni dei fiati. Nelide Bandello lavora come uno strumento armonico oltre che come generatore di battiti. Michael Lösch con l’hammond o con il pianoforte delinea e asseconda l’atmosfera dei brani introducendo anche una bella dose di rigore che, dato il clima sul palco, rende ancora più bizzarro il risultato finale.









L’impatto su chi vi scrive

E’ quel concerto che in un Festival, in mezzo ad altre proposte, mi aspetterei sempre di vedere: nomi meno di richiamo e un palcoscenico che permetta loro di farsi conoscere un po’ di più.
Musica divertente, diversa da quella che si incontra nei circuiti soliti, eppure con un livello di complessità notevole. Giocosa, circense, teatrale, stramba, intensa, energica, totalmente originale, con ampi stralci di improvvisazione che non si limita però ad assoli che si alternano ordinatamente, ma che esplode in momenti anche collettivi imponenti, di cui l’impatto è notevole. Ma anche apprezzabili “cornici” di musica scritta che contrasta mirabilmente con le parti più libere. Un concerto curioso e attraente.

**************************************

Teatro Giacosa, ore 22:30
Enrico Rava New 4ET

Enrico Rava: flicorno
Francesco Ponticelli: contrabbasso
Enrico Morello: batteria

Il concerto di Enrico Rava in quartetto è l’evento del Festival, il nome celebre capace di attrarre anche il pubblico meno avvezzo al Jazz. Ed Enrico Rava non delude nemmeno stavolta.
Solo brani originali: “Inutile che ve li annunci, sono tutti brani originali”, dice lui stesso.
Brani originali, e il timbro inconfondibile del flicorno di Rava, i suoi fraseggi essenziali (in quanto a “numero di note” usate) e anche in virtù di ciò ricchi per intensità, dinamiche, efficacia espressiva. Con il suo trio Rava  si mette continuamente in gioco: dialoga moltissimo con Diodati, quasi un alter-ego elettrico, lascia molto spazio a chitarra, contrabbasso, batteria lasciando che si apra una finestra su un gruppo di per sé notevolmente interessante: un concerto nel concerto, in pratica. La batteria di Morello passa agevolmente dal soffio alla potenza massima,  sempre modulata da un controllo totale che ne rende intellegibile ogni istante di ogni successione ritmica, anche la più ardita. Il contrabbasso di Ponticelli è in continua proficua interazione ritmico – armonica con chitarra e batteria. Diodati è un chitarrista dalla personalità musicale ben spiccata, che padroneggia il suo strumento non smettendo mai di sperimentare.










L’impatto su chi vi scrive

Non si può che dire bene di un concerto come questo. Mai nulla di musicalmente scontato. Un musicista pressoché leggendario, che da sempre continua a rimettersi in gioco con musicisti nuovi – giovani – o semplicemente diversi da altri con cui ha interagito in precedenza. Il suo carisma e la sua personalità artistica ne escono sempre rafforzati. Il tre giovani artisti sul palco con lui sono tre talenti del Jazz oramai giustamente affermati,con un loro linguaggio ben riconoscibile e una creatività in continuo divenire. Il dialogo tra i quattro è fitto, è un dialogo tra pari.
In alcuni momenti ho personalmente percepito un certo sbilanciamento tra quella sintesi (intensa) di Rava di cui parlavo sopra, spesso incentrata sul suono in sé,  e la musicalità traboccante di note e battiti del trio con lui sul palco. Quasi certamente questa dualità è cercata e voluta,  e sono consapevole dunque che il contrasto che io sento in alcuni casi come sporadico squilibrio potrebbe per altri rappresentare il valore aggiunto del progetto.

                                                                                                                                                           *****************************************

La nottata è andata avanti fino a notte inoltrata al Caffè del Teatro con i bravi, giovani  e infaticabili The Essence 4tet ( Sara Kari: sax, Emanuele Sartoris: pianoforte, Antonio Stizzoli: batteria e Dario Scopesi: contrabbasso) che hanno animato la nottata con il loro Jazz vitale ed energico

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL – edizione 38 – La prima giornata


Le foto sono di Carlo Mogavero

 

Elogio della follia era il tema di questo trentottesimo Open Papyrus Jazz Festival che si è svolto ad Ivrea. E la follia è certamente quella di chi ancora si ostina (per fortuna) ad organizzare festival , per di più multiculturali. “Ma è di quello che si ha bisogno per sopravvivere, di una sana follia perché solo quella ci rende liberi. Liberi di danzare sino alla fine perché quel senso di libertà diventa irrinunciabile, nonostante il prezzo che si dovrà pagare.” Uno di questi folli (il virgolettato è suo) è appunto il direttore artistico Massimo Barbiero, che ha al suo seguito (per fortuna) anche un bel numero di folli volontari, giovanissimi, che si fanno in quattro perché tutto vada come deve andare.
E’ così che Open Papyrus è arrivato alla 38sima edizione, che si è svolta come sempre tra musica, presentazioni di libri, spettacoli di danza, degustazioni di vini del territorio, e anche una mostra di pittura presso Sala S.Marta e Caffè del Teatro, a cura di ARTE IN FUGA e GoArtFactory.

Non sono stata purtroppo presente all’ anteprima di sabato 17 marzo, svoltasi con Enten Eller ed il progetto Minotaurus, al museo Garda: un progetto per quattro musicisti e quattro danzatrici
Alberto Mandarini: tromba
Maurizio Brunod: chitarra
Giovanni Maier: contrabbasso
Massimo Barbiero: batteria
Dance: Giulia Ceolin, Roberta Tirassa, Sara Peters , Tommaso Serratore

Sono arrivata ad Ivrea giovedì 22 marzo, primo giorno effettivo di Festival.
I concerti si sono svolti nella bella sala Santa Marta, chiesa sconsacrata ma consacrata alle arti proprio per merito di questo festival, e nel bellissimo Teatro Giacosa. I dopo concerti notturni per la prima volta nel grande spazio del Caffè del Teatro, fino a tarda notte.
Ivrea dunque non è solo Carnevale, oramai da 38 anni.

E allora cominciamo con questo Elogio alla follia, reso ancora più folle dalle imperdibili presentazioni di Daniele Lucca, altro volto imprescindibile del festival, che fluttua tra seria professionalità e guizzi improvvisi di ironia accompagnando il pubblico da un evento all’ altro come un amico intelligente.

*********************************************************************

Per mia scelta i commenti sui concerti saranno, per tutte e tre le serate, divisi in due parti, delle quali la seconda è intitolata ” L’impatto su chi vi scrive” ed è il mio commento personalissimo e dichiaratamente non ammantato di alcuna pretesa obiettività. A prescindere dalla competenza, la musica impatta diversamente a seconda della personalità, della formazione, dei gusti di ognuno.

PRIMA SERATA, GIOVEDI’ 22 MARZO 2018

Sala Santa Marta, ore 21:30

Cominoli, De Aloe, Zanchi

Max De Aloe fisarmonica e armonica cromatica
Lorenzo Cominoli, chitarra
Attilio Zanchi, contrabbasso

Il tenero ricordo in musica dell’indimenticato Garrison Fewell, chitarrista e didatta scomparso nel 2015, amatissimo anche dai colleghi musicisti tutti, in un progetto che comprende suoi brani e brani originali.
I brani si susseguono fluidi, i temi sono semplici, esposti alternativamente da De Aloe, Zanchi o Cominoli, i timbri cambiano essenzialmente per l’avvicendarsi di fisarmonica e armoniche cromatiche. Gli assoli, gli scambi, le improvvisazioni sono garbate, in sequenza, lineari, senza sussulti. “A reason to believe” di Attilio Zanchi gode di una introduzione appassionata di fisarmonica. La loop station espande e reitera creando atmosfere sospese ma sempre morbide e lineari.

 

L’impatto su chi vi scrive:

Un jazz easy listening, ottimamente curato, dalla struttura lineare. Un progetto alla base del quale si percepisce, un fondante, sincero trasporto emotivo verso un musicista stimato come pochi altri non solo dal pubblico ma anche nel suo stesso ambiente.

*********************************************************

Sala Santa Marta, ore 22:30

Tre coreografie sulle musiche dal cd di Barbiero, Savoldelli, Zorzi

Coreografie
Francesca Galardi, Cristina Ruberto, Giulia Ceolin

Danzano:
Erika Ricci accompagnata da Eleonora Buratti, Paola Risoli, Anna Calamita di Tria, Elisa Parla, Miriam Buffa, Luciana Trimarchi, Valentina Corrado, Teresa Pedrotta, Demetra Birtone.
Cecilia Boldrin, Alice Mistretta, Alina Mistretta, Arianna Mistretta, Valentina Papaccio, Sara Ugorese, Ilaria Vitale.
Beatrice Benetazzo.

Parlare di danza non è facile per chi, come chi vi scrive, non ne ha la minima competenza. Ho visto l’intento (riuscito), complessivamente,  di rappresentare il male del vivere in un’epoca sorda, cieca, muta, inerme di fronte ai reali bisogni di esseri umani oramai ineluttabilmente inglobati in un prefigurato, angosciante, appiattente conformismo, guidato da meccanismi per nulla in sintonia con una vita libera e felice, un modus vivendi che ci viene imposto dall’alto e che, anche nell’attimo in cui si tenti di distinguersi, implacabilmente ci ottunde, ci soffoca, ci rende irrimediabilmente schiavi, conformi e dunque manipolabili.
Volti angosciati, movimenti distonici, scatti tonici clonici espressivi di fastidio e disagio, bocche spalancate in urli silenziosi, serpeggiare e brulicare di corpi tendenti progressivamente ad una crescente inumanità e che tendono, dopo tanto soffrire, ad una inevitabile fissità dello sguardo: movenze espressive eseguite alla perfezione da tutte le brave ballerine sul palco. Che però, per ringraziare i sentiti applausi del pubblico hanno finalmente sorriso.


L’impatto su chi vi scrive

Ballerine bravissime e intense, coreografie espressivamente molto efficaci.

Il Giacomo Toni Trio in concerto allo Zingarò Jazz Club di Faenza

La stagione dello Zingarò Jazz Club prosegue, mercoledì 4 aprile 2018, con il concerto del Giacomo Toni Trio, formato dal cantante e musicista Giacomo Toni insieme a Roberto Villa al contrabbasso e a Marco Frattini alla batteria. La serata è ad ingresso libero con inizio alle 22.

Giacomo Toni è pianista, autore e compositore. La sua musica spazia dal piano punk al jazz, dal pop-rock alla canzone d’autore. Chi segue i suoi concerti, consoce il suo utilizzo paradossale del lessico e i suoi monologhi improvvisati che legano un brano all’altro.

Il suo ultimo lavoro si intitola Nafta è stato pubblicato nello scorso ottobre per Brutture Moderne. Maturate con la band durante i live e i viaggi in furgone, le canzoni del disco somigliano ai paesaggi agrodolci e ai personaggi stralunati e imprevedibili, presenti nei territori della provincia. Girone dopo girone, si affronta l’emarginazione, la solitudine, la velocità, la prostituzione, il lavoro, l’insolenza, l’eroina, la polizia, fino alla chiusura, in piano e voce, dove si ritorna al suono classico e si parla, appunto, di assenza di amore, che metaforicamente è applicabile anche alla società, al pericolo del disinteressamento sociale, del nichilismo individualista, che probabilmente oggi riguarda un po’ tutti. Un album sporco, grezzo, verace: nessun suono di plastica, ma suoni di trivelle e rombi di marmitte. Una serie di storie che raccontano le vicissitudini di diversi personaggi che si possono incontrare in qualsiasi provincia italiana.

Nell’ultimo decennio, Giacomo Toni si è imposto nel panorama indipendente come cantautore contemporaneo. Le sue canzoni sono a tratti serie e a tratti comiche, ma più spesso serie e comiche insieme. Dietro la scorza strafottente, Toni è tra quelli ancora abili e attenti a giocare con le parole: le sceglie con cura sorprendente, le tratta come se fossero uno strumento musicale. Una maturità nell’approccio stilistico che sapranno accontentare tanto gli intenditori e appassionati del genere quanto i fruitori più liberi, arrivati ad incontrare le sue canzoni in modo casuale e fortuito.

Ha frequentato il Conservatorio Maderna di Cesena per poi dedicarsi allo studio del linguaggio jazz. Nel corso degli anni è stato invitato alle rassegne più prestigiose della nuova musica italiana, come tra gli altri il Premio Tenco e il Pistoia Blues, ed è stato il vincitore di Hitweek nel 2013.

Mercoledì 11 aprile 2018, torna il tradizionale appuntamento dedicato agli Allievi della Scuola Sarti: lo Zingarò Jazz Club offre la sua ribalta ai talenti più interessanti del territorio e guarda a quelli che saranno i protagonisti della nostra scena jazzistica nelle prossime stagioni.

Lo Zingarò Jazz Club è a Faenza in Via Campidori, 11.

Italiani alla ribalta: Roberto Laneri e Francesco Venerucci

Quando un musicista parla di “venti di cambiamento” vuol dire che dentro di sé soffia ancora la creatività e che sa coltivare lo spirito libertario del 1968 (di cui si ricorda quest’anno il cinquantenario).

“Winds of Change” di Roberto Laneri (prodotto in Giappone dall’etichetta DaVinci Jazz) è un album allo stesso tempo di bilancio e di rilancio della propria e plurima dimensione di compositore, polistrumentista, leader, arrangiatore. Dopo un ventennio trascorso in gran parte nell’ambito della musica contemporanea e della docenza in conservatorio (a Firenze, fino al 2011), Laneri – che è anche attivissimo nel campo, pratico e teorico, del “canto armonico” – ha avuto l’esigenza di tornare in territori più jazzistici e di dar vita (nel 2016) ad un quartetto stabile. Esso vede l’elegante e duttile voce di Giuppi Paone, il versatile ed ispirato pianoforte di Stefano Diotallevi ed il propulsivo contrabbasso di Alessandro Del Signore. “Winds of Change” è, in un certo senso, lo specchio fedele del gruppo e del suo leader, calati in un presente musicale fitto di ispirazioni e radicati in un passato che ha visto Laneri attraversare molte esperienze: dagli studi in filosofia a Roma a quelli musicali alla University of California di San Diego, dalle collaborazioni con Charles Mingus a quelle con Peter Gabriel, dai molti soggiorni e viaggi (negli States come in Asia, Africa ed Australia) ai due volumi sull’ “overtone singing”.

Nell’album gli otto brani si muovono secondo un asse del tempo che va dal ’68 (“Canone perpetuo”, dove si inseguono tre voci: sax alto, canto e piano) sino al 2017 (la conclusiva “Winds of Change” che presenta due sezioni a contrasto, rispettivamente in 5/4 e 4/4).  Il campo sonoro dell’album prevede anche un asse dello spazio che comprende – in un atlante tra il reale ed il fantastico – il Colorado (“Imaginary Crossroads n.1”),  il Sud come terra natìa del Blues e categoria mentale (“South”), l’Egitto (“Voice of Ancient Queens”), l’India che finisce per incontrare l’Australia del didgeridoo (l’intensa “Mala” in cui la voce della Paone ed il sax sopranino – che suona come uno shanai indiano, un aerofono tra il flauto e l’oboe occidentali – ricreano l’intensità ipnotica della musica hindustani; nella seconda parte del brano dialogano contrabbasso e didgeridoo). Non manca un riferimento diretto al jazz, in particolare al John Coltrane di “Spiritual” che viene elaborato in “Tumbleweeds”, uno dei vertici del Cd per la fitta, magmatica e sciamanica interazione tra i quattro musicisti nonché esempio di un’idea della musica quale aspirazione alla trascendenza. Ci sono altre chiavi di lettura per “Winds of Change” che si svela ascolto dopo ascolto nella sua complessità e stratigrafia. Intanto Laneri è compositore di valore che trova nel polistrumentismo (sopranino, soprano, alto, clarinetto basso e didgeridoo) una varietà di colori sonori e dimensioni acustiche perfettamente integrate con il resto del gruppo che – in un’estetica dalle venature cool – non utilizza né batteria né percussioni. Inoltre è autore di brevi quanto efficaci testi in cinque brani. Tra essi c’è “Delta Yearning” che – grazie alla complicità e versatilità di Giuppi Paone, con cui il sassofonista romano collabora da decenni – è una sorta di parodistica canzone-blues. In effetti il polistrumentista non utilizza i generi “canonici” del jazz, piuttosto li evoca e crea nuove forme, come nel caso di “Winds of Change”, un canto di speranza che si nutre della forza cosmica della natura. C’è grande bisogno di messaggi positivi, oggi.

Venerucci è un pianista e compositore (autore di musiche di scena, balletti, colonne sonore, musica da camera e sinfonica) che molto si è dedicato alla tradizione “colta” e contemporanea del Novecento europeo mantenendo, tuttavia, per il jazz un’attenzione ed uno studio profondi. Non si tratta di un pianista classico che si diletta di musica afroamericana: il rapporto è molto più intenso e, soprattutto, strettamente intrecciato alla ricerca estetica complessiva che, non a caso, pone al suo centro il delicato e fecondo rapporto fra composizione ed improvvisazione. <<Ci sono molte più cose in comune di quanto non si creda – ci ha detto in una recente intervista -: bisogna fare un atto di umiltà come studioso di musica classica e un atto di consapevolezza, di superiorità come “amatore” di jazz ed ad un certo punto si arriva ad un gradino superiore>>. Nell’album (coprodotto dall’artista con Gabriele Rampino, “motore” dell’etichetta dodicilune) c’è un diretto riferimento a Massimo Fagioli, <<medico psichiatra, pensatore ed artista (che) ha speso la vita per la realizzazione e il benessere psichico degli esseri umani. Dedico questo lavoro a lui ed all’Analisi Collettiva a cui ho avuto l’immenso piacere di partecipare>> (Fagioli è scomparso il 13 febbraio 2017)

Un inequivocabile segnale della valenza dei dieci brani proposti (nove originali e lo standard “When You Wish Upon a Star”) è la presenza in quattro titoli del sax soprano di Dave Liebman. Non c’è stato “contatto diretto” tra i due artisti: Venerucci ha inviato le sue musiche (registrate e su partitura) al celebre solista e didatta il quale ha accettato con entusiasmo di sovraincidere (presso il Red Rock Recording studio di Saylorsburg, in Pennsylvania) ed arricchire “Good Morning Mr Samsa”, “Music fo Lilith”, “Exodus” ed “Early Afternoon”, composizioni in cui si avvertono riferimenti letterari e sonori. Talmente è marcata la personalità di Dave Liebman – tra i migliori e più creativi discepoli di John Coltrane, da cui ha ereditato l’urgenza espressiva e la maestria tecnica mai fine a sé stessa – che l’effetto sovraincisione sparisce a favore di una compresenza degli artisti, pur distanti nel tempo e nello spazio, che si fa reale e palpabile. Tutto ciò senza una base ritmica e nella più empatica interazione fra piano e sax soprano.

<<Si vede danzare qualcuno sopra il pianoforte, si aggiunge un movimento in più ed era proprio quello che cercavo (…) Il disco all’inizio doveva essere – precisa Venerucci –  in piano solo. I brani sono stati composti originariamente per sax soprano solista o un ensemble orchestrale. Quindi ho dovuto fare una riduzione dell’orchestrazione fino al piano solo, anche per poter portare in giro i brani più agevolmente. Poi mi sono accorto che avevo comunque questo legame con il sax soprano, alcuni pezzi erano assolutamente adatti a quella presenza ed ho pensato che Liebman fosse la persona ideale: per l’ammirazione che gli porto, per la sua vicenda, per la statura d’artista e per come ha attraversato la storia del jazz, partendo dai massimi livelli (Miles Davis), cercando di non tradirsi mai e di evolversi sempre>>.  Musica fortemente connotata e strutturata quella del pianista che nasce in un arco temporale vasto e da circostanze concrete. L’occasione per preparare i materiali di “Early Afternoon” (dopo circa dieci anni da “Tango Fugato”, 2007) origina da un recital commissionato nel 2011 dall’Associazione “Amore e Psiche” presso la loro sede, <<una bellissima libreria del centro storico di Roma>>, come precisa l’autore. Il tema portante è quello dei rapporti tra musica e letteratura e l’autoindagine di Venerucci copre un arco compositivo di circa vent’anni: attinge, in buona sostanza, ad un repertorio personale di brani nati sulla suggestione di letture (“Delitto e castigo”, “La piccola fiammiferaia”…) che traducono in vibrazioni sonore quello scatenarsi di emozioni e sentimenti causati dallo scendere “dentro” un testo letterario.

<<Ci sono circostanze – racconta Venerucci – che mi hanno portato ad avere contatto con certe letterature; le musiche sono nate in quella temperie lì. Altre volte sono nate per degli spettacoli ma non sono didascaliche. E’ tutto un fatto di temperie emotiva e di circostanze della mia vita personale che mi hanno condotto a coinvolgermi verso certe letture>>.  Altro tema importante è quello delle figure femminili disseminate in vari titoli e frutto di un elaborato processo, come ha spiegato l’autore. <<“Aurora” era per Nietzsche, un confronto con un gigante scritto quando ero molto giovane. Confrontarmi con Nietzsche, Kafka, Dostoevskij, Andersen lo potevo fare quando ero abbastanza incosciente. Di immagini femminili ci sono la piccola fiammiferaia, Siduri e Lilith. Siduri viene dalla sagra di Gilgamesh e Lilith era una figura biblica-prebiblica di origine sumerica. Siamo nell’ambito delle origini della letteratura che mi ha sempre interessato, le “immagini primordiali” che sono alla base della nostra cultura e, a volte, sono precedenti a qualsiasi documento scritto. Sono interessato a rifletterci da vari stimoli>>.

Un album, in definitiva, che coniuga rigore compositivo con fluenza improvvisativa, temi culturali e letterari vissuti senza effetti “mimetici”, musiche che si collocano tra Europa/Asia/NordAmerica attingendo ovunque. Un Cd avventuroso e maturo, meditato e spontaneo, costruito da una personalità complessa che non rinuncia a sé stessa pur trovando una comunicativa diretta e, a tratti, irresistibile. Cosa dire del candore e della tenerezza che traspaiono (si vorrebbe dire trasudano) da “When You Wish Upon a Star”?

Luigi Onori