Moderato Cantabile: Anja Lechner e François Couturier in concerto a Pescara

Venerdì 22 marzo 2019, la stagione musicale della Società del Teatro e della Musica “Luigi Barbara” prosegue con Moderato Cantabile, il concerto di Anja Lechner, violoncello, e François Couturier, pianoforte. Il concerto è realizzato in esclusiva nazionale

Moderato Cantabile è un viaggio musicale sorprendente, insolito e sempre affascinante, condotto con elegante misura da due musicisti di grandissimo spessore artistico e di riconosciuto livello internazionale come la violoncellista tedesca Anja Lechner e il pianista francese François Couturier, un percorso tracciato attraverso composizioni originali, senso per l’improvvisazione e le pagine di musicisti come Komitas Vardapet, Georges Ivanovic Gurdjieff e Federico Mompou.

Il concerto si terrà al Teatro Massimo di Pescara e avrà inizio alle 21. Il biglietto di ingresso costa 20€ (ridotto a 15€ per i soci della Società del Teatro e della Musica “Luigi Barbara”) e si può acquistare sui circuiti online e a Pescara, presso la sede di Via Liguria.

Dopo un decennio di lavoro condiviso nel Tarkovsky Quartet e il recente lavoro su Pergolesi (con la cantante Maria Pia de Vito e il percussionista Michele Rabbia), la violoncellista tedesca Anja Lechner e il pianista francese François Couturier presentano “Moderato cantabile”, il loro progetto in duo.

I percorsi che hanno avvicinato i due musicisti a questo progetto sono differenti. La Lechner è una musicista classica con un forte interesse per l’improvvisazione e Couturier è un musicista jazz che viaggia sempre più al di fuori di questi confini. Su “Moderato cantabile” presentano i loro arrangiamenti di tre affascinanti compositori tenuti forse un pò al margine della “grande” storia della musica: Georges Ivanovic Gurdjieff, Komitas Vardapet e Federico Mompou. Per molti versi la loro musica rivela le influenze dell’Europa Orientale, sia in termini di relazione con il folk tradizionale e la musica religiosa, sia da un punto di vista filosofico. Un’aria contemplativa pervade la musica. Il programma ha dei punti in comune con il lavoro che Anja Lechner aveva svolto sulla musica di Gurdjieff nel precedente Chants, Hymns and Dances (con Vassilis Tsabropoulos), ma questo duo ha una sua identità propria. Il tempo trascorso in Armenia dalla Lechner le ha fatto interiorizzare il contesto dal quale la musica emerge, facendo assumere al violoncello il ruolo di voce solista. Le composizioni di Couturier, che tra l’altro ha una lunga esperienza sulla musica di Mompou, donano al contempo contrasto e complementarietà. Il pianista è stato inoltre influenzato dalle sonorità del Medio Oriente per via della sua collaborazione con Anouar Brahem.

“Moderato cantabile” è anche il titolo di un album sorprendente e insolito, registrato nello studio di Lugano nel 2013 e prodotto da Manfred Eicher per la ECM Records.

La Stagione Musicale della Società del Teatro e della Musica “Luigi Barbara” si conclude venerdì 29 marzo 2019 con il concerto di Francesca Dego, violino, Martin Owen, corno, e Maria Perrotta, pianoforte.

Se una radio è libera…. note su una legge che verrà

A tutela del mercato musicale italiano la Lega ha proposto di garantire almeno una canzone italiana su tre nelle trasmissioni radio. Fra i favorevoli Mogol, Baudo e Al Bano. Fra i contrari conduttori come Linus e musicisti /produttori discografici come Saturnino Celani. Abbiamo provato, tramite uno dei redattori di questa testata, ad evidenziare il nostro punto di vista, ovviamente jazzistico, nella seguente nota
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Se una radio è libera, ma è libera veramente: con che spirito Finardi canterebbe oggi questo riff dopo la svolta “protettiva”, non protezionistica, preannunciata dalla proposta di legge (primo firmatario l’on. Alessandro Morelli) recante “Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana”.
L’intento è nobile: la difesa della italianità melodica e dei diritti autoriali, contro le incursioni barbariche, in senso musicale, ovviamente. Da attuare riservando almeno un terzo della “programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, ad opera di autori e artisti italiani e incisa e prodotta in Italia” e una quota del 10%, sempre a cura delle emittenti radiofoniche, nazionali e private “alle produzioni degli artisti
emergenti”. .
Un sistema di quote in uso già in Europa, in particolare in Francia dove, grazie alla legge Toubon del 1994, la percentuale è fissata al 40% della produzione radio giornaliera.
Una legge aspramente avversata, all’epoca, da linguisti come Tullio De Mauro, le cui origini risalgono alla politica linguistica di De Gaulle. Oggi, in Italia, non è che si inseguano propositi di grandeur. Il fatto è che, secondo dati Siae riferiti dal presidente Mogol, su dieci stazioni radiofoniche solo quattro avrebbero rispettato la soglia del 33%” fra il 2010 e il 2017.

Ma il rimedio, così come proposto, è la soluzione giusta? Il pianista Simone Graziano, presidente Midj, Musicisti Italiani Di Jazz, osserva che “in assoluto il principio si potrebbe estendere per esempio ai festival, riservando un terzo dei concerti ai musicisti italiani”. Ed aggiunge che la misura sarebbe veramente positiva specie “se rivolta alla musica di qualità più che di quantità”. La considerazione tocca un punto nevralgico del provvedimento in itinere che appare di evidente significato politico, artistico ed economico. Fra i pareri più autorevoli di segno contrario da citare Francesco De Gregori: “non so cosa sarebbe stata la mia vita da musicista se non avessi potuto ascoltare fin da piccolo tutte le canzoni straniere che ho sentito”. E mugugni sono apparsi sul web dal mondo della musica afroamericana, che è quello fra i più esposti all’abbraccio “contagioso” di (im)migrazioni musicali. Visto che in materia, peraltro, viene sollecitato dagli stessi proponenti il dibattito… diciamo la nostra.
Ciò che la normativa (adottanda?) potrebbe meglio individuare è la “cifra” artistica, visti i rapporti di forza in campo.

In parole povere se la tutela fosse generica finirebbe nel rafforzare (oltre giustamente al belcanto) anzitutto quel genere “nazionalpop” che già fruisce di spazi cospicui sui network radiofonici e non solo tali. Perché allora non agevolare, in modo non costrittivo, settori (non chiamiamoli minori, né deboli perché la loro caratura artistica ė il più delle volte, notevole) che stentano ad avere il risalto che meriterebbero? Insomma se proprio si vuol meglio promuovere la musica ‘patriota’, perché non offrire corsie preferenziali a quella meno gettonata dalle radio, tipo sinfonica, classica, etnica, ed anche, se permettete, il jazz “fatto in casa”? Non siamo più ai tempi di Pietro Bembo, della polemica puristi-antipuristi, dell’opposizione agli internazionalismi. E la musica neroamericana fa parte ormai, dai tempi di Sesto Carlini e Gorni Kramer, della nostra cultura. Ciò posto, insistiamo sull’ opportunità che, se si va verso la citata delimitazione di controlli ideali alle frontiere, sarebbe il caso di premiare le cenerentole prima delle principesse.
È vero, c’è Rai Radio3, ci sono le radio web specialistiche e via elencando.
Eppure quanto proposto potrebbe delineare una traccia giuridica anche per quanto si sta per legiferare in tutto l’ambito musicale (legge sullo spettacolo, Alta Formazione…) fornendo segnali di un’attenzione miratamente selettiva. Oltretutto, dando voce a generi diversi dal seminato, si ridurrebbero i rischi di ripetitività nell’ascolto (accade spesso che, pur cambiando frequenza, si senta trasmettere lo stesso brano). Etere o non etere, questo è il problema: che le emittenti diventino un campo aperto, ma differenziato, e la musica italiana tutta, anche quella strumentale, sia vista come un fiume in piena che attende solo di debordare dagli argini.

Al di là della linea più o meno “nazionalistica” che si riterrà di adottare, resta positivo il fatto che in Parlamento si lavori per delineare indirizzi che disciplinino il fascinoso caos anarcoide/neoliberistico del mercato musicale italico, con uno sguardo a giovani artisti e piccole etichette. Resta la speranza che, se pure si vuol regolare il laissez faire laissez passer di musiche “straniere” che contaminano la purezza indigena, si possano aprire nuovi varchi legislativi nella direzione sopracitata: affinché sempre più la musica, per citare ancora “La radio” di Finardi, liberi la mente.

                                                                                                            Amedeo Furfaro

Antonino Cicero e Luciano Troja a Lecce

Camerata Musicale Salentina
è lieta di presentare:

CANTABILE:
ANTONINO CICERO & LUCIANO TROJA
IN CONCERTO

Domenica 17 marzo 2019
ore 11.00
Teatro Paisiello
Via Giuseppe Palmieri
Lecce

Posto Unico:
Intero € 15,
Ridotto € 12
(per over 65 anni | Docenti | Studenti | Soci BiCinema | Dipendenti BPP Banca Popolare Pugliese)

Cantabile. Non c’è aggettivo migliore per definire la musica di Antonino Cicero e Luciano Troja, e non è un caso che i due artisti siciliani lo abbiano scelto per il primo dei loro cinque concerti primaverili. Appuntamento speciale domenica 17 marzo al Teatro Paisiello di Lecce con un concerto importante, nel prestigioso cartellone della 49ma Stagione Concertistica della Camerata Musicale Salentina, la storica associazione fondata dal M° Carlo Vitale nel 1970. E’ il quinto dei matinée domenicali con aperitivo di questa stagione inaugurata lo scorso ottobre da Matthew Lee e l’Orchestra della Magna Grecia: al termine del concerto, come sempre, l’aperitivo diventerà l’occasione per un commento a caldo della performance in compagnia dell’artista. Prevendite disponibili presso la sede della Camerata Musicale Salentina, il Castello Carlo V, online e nei punti vendita del circuito Vivaticket Italia.

Il programma musicale di Lecce segna una novità rispetto alle precedenti esperienze che Cicero e Troja hanno affrontato insieme, poichè alle musiche di Troja, contenute nell’apprezzato An Italian Tale (pubblicato nel 2016 da Almendra Music), il fagottista e il pianista affiancano An American Tale: titoli celeberrimi di George & Ira Gershwin (Summertime), Billy Strayhorn (Lush Life, Satin Doll, Daydream e Take The “A” Train), Duke Ellington (In A Sentimental Mood), Cole Porter (I’ve Got You Under My Skin), Joseph Kosma/Jacques Prevert (Autumn Leaves). Un repertorio straordinario, un connubio tra jazz e melodia, tra Italia e America, inevitabilmente cantabile. Sarà ancora una volta la dimostrazione della collaudata e singolare combinazione strumentale di pianoforte e fagotto all’insegna della melodia, ampiamente esplorata nell’album An Italian Tale e nei numerosi concerti che il duo ha tenuto dal 2016.

An Italian Tale ha rappresentato un momento cruciale per Antonino Cicero e Luciano Troja, il disco infatti ha raccolto straordinarie recensioni (es. Musica Jazz, Il Manifesto, Jazzit, L’Isola della Musica Italiana, Italia In Jazz etc.) grazie alla pregevolezza delle composizioni firmate da Troja e all’originalità del duo fagotto-pianoforte, con un’operazione dedicata a un’Italia che non c’è più, quella evocata dalle canzoni di Giovanni D’Anzi al quale l’album era ispirato. An Italian Tale, anche in concerto, sprigiona un notevole potere immaginativo, evoca il cinema, le canzonette, la radio, i vinili, la gommalacca e il Campari, Milano, le bellezze e le biciclette, memorie di un’Italia che in quella musica trovava respiro e rinnovamento senza smarrire le proprie peculiarità. Accanto ai sei brani italiani, i pezzi americani rilanciano l’orizzonte artistico del duo e la capacità di interpretare degli standard alla luce di una personalità forte e definita.

Luciano Troja è un compositore e pianista jazz di fama internazionale (non è raro trovarlo su All About Jazz USA, Cadence o Stereophile, o vederlo dal vivo a New York), Antonino Cicero è un fagottista tra i più attivi e preparati in area classica: i due musicisti messinesi hanno trovato nella melodia, nella cantabilità, nella narrazione strumentale il punto di incontro che rende An Italian Tale, per usare le parole dello stesso Troja, “una specie di colonna sonora di un film immaginato, legato a un periodo storico, magari girato in bianco e nero”. Le prossime date del duo saranno: Reggio Calabria (Università, 5 aprile); Messina (Teatro Savio, 6 aprile), Carlentini (Auditorium, 13 aprile); Comiso (Teatro Naselli, 26 maggio).

Info evento:
http://www.cameratamusicalesalentina.com/evento/antonino-cicero-e-luciano-troja/

Cettina Donato in tour a Tokyo

Dopo i 5 sold out consecutivi del suo tour siciliano con il nuovo album “Piano 4Hands”, la pianista, compositrice e direttore d’orchestra Cettina Donato riprende il suo tour internazionale dedicato al disco “Persistency-The New York Project”, registrato a New York e edito da AlfaMusic. Dal 13 al 16 marzo sarà in concerto a Tokyo, insieme a 2 band giapponesi: il 13 e 14 marzo alle ore 20 salirà sul palco del club APOLLO Shimokitazawa insieme al sassofonista Kei Matsumaru, il contrabbassista Daisuke Ijichi e il batterista Sota Kira, mentre il 16 marzo sarà impegnata in un doppio concerto al B FLAT di Akasaka (Tokyo), rispettivamente alle 19.30 e alle 21, con il bassista Rikiya Kanazawa e il batterista Masatsugu Hattori. Durante i live, oltre ai brani di “Persistency” presenterà le sue nuove composizioni.

Artista internazionale, dalla carriera parallela tra Europa e Stati Uniti, tra mondo classico e tradizione jazzistica, Cettina Donato si è sempre distinta per la grande raffinatezza e versatilità nell’affrontare e fondere tra loro i diversi generi, ottenendo grande consenso dalla stampa di settore sia per i suoi lavori discografici che per la sua attività concertistica.
“Il mio percorso nell’ambito classico si fonde con i miei studi e con il mio amore per la tradizione jazzistica: questa unione è evidente sia nel mio modo di suonare sia nella musica che scrivo. Nei miei brani vi è ampio spazio sia alla cantabilità, all’aspetto lirico, che ai tratti distintivi del jazz, come i riff della mano sinistra. Del jazz colgo anche la disciplina che, per alcuni versi, trovo anche più restrittiva di quella della musica classica. Un mio grande Maestro, Salvatore Bonafede, affermava: “Il jazz è libero, ma è una libertà vigilata.”

Prima donna italiana a dirigere orchestre sinfoniche con un repertorio jazz da lei arrangiato, sia standard che originale, è stata più volte votata tra i migliori arrangiatori italiani al JAZZIT AWARD. In Italia ha collaborato come direttore, compositrice e arrangiatrice con varie orchestre tra cui l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari, l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele di Messina, la New Talents Jazz Orchestra di Roma, l’Orchestra Giovanile “Città di Molfetta”, la Late Night Jazz Orchestra di Los Angeles. Sempre in Italia si è diplomata in pianoforte classico, mentre a Boston in Jazz Composition presso il prestigioso Berklee College of Music, dove è stata nominata “Best Jazz Revelation Composer and Performer” e ha ricevuto l’ambito Carla Bley Award for “Best Jazz Composer of Berklee College of Music”. Proprio a Boston ha fondato un’orchestra a suo nome, la “Cettina Donato Orchestra” composta da musicisti provenienti dai cinque continenti, con cui ha inciso un album per l’etichetta Jazzy Records, insieme a un quartetto d’archi.

Ha ricoperto il ruolo di International President del Women In Jazz del South Florida, associazione volta alla promozione di musiciste e compositrici di tutto il mondo, ed è attualmente membro del The Worldwide Association of Female Professional che ha sede a New York.

Negli anni ha suonato con alcuni tra i didatti-jazzisti più importanti, tra cui Eliot Zigmund, Stefano Di Battista, Fabrizio Bosso, Salvatore Bonafede, Ray Santisi, Laszlo Gardony, Joanne Brackeen, Greg Hopkins, Jackson Schultz, Ken Pullig, Dick Lowell, David Santoro, Adam Nussbaum, Hal Galper, Billy Harper, Ron Savage, Scott Free, Dario Deidda, Roberto Gatto, Ken Cervenka, Bob Pilkington, Marcello Pellitteri, Marco Panascia, Orazio Maugeri, Dado Moroni, Bob Mintzer, Garrison Fewell.
“Nella mi musica si trovano tutte le mie esperienze, i miei luoghi e i miei vissuti. Alcuni spettatori mi dicono che dopo un mio concerto continuano a canticchiare mentalmente le mie melodie, altri che suono il piano come se fossi uno strumento a fiato: respiro, lascio dei vuoti per poi ricominciare a “parlare”.

Laureata in Psicologia Sociale con due Master sulla didattica speciale, dedicata a soggetti che presentano diversità di apprendimento, con la promozione del suo disco “Persistency-The New York Project” sta portando avanti da anni il sogno della creazione di una residenza per ragazzi autistici in provincia di Messina, chiamata “VillagGioVanna”, anche grazie all’aiuto del noto attore e regista Ninni Bruschetta che ha aderito alla campagna di promozione come testimonial e con cui ha stretto da anni un sodalizio artistico attraverso diversi spettacoli teatrali.

Attivo è anche l’impegno sul fronte della didattica musicale. Attualmente è titolare di cattedra al Conservatorio di Bari e insegnamenti in altri Conservatori italiani.
“Per me l’insegnamento è meraviglioso, trasferire le mie conoscenze e il mio percorso artistico è una fonte di grande soddisfazione. Ogni settimana percorro moltissimi km per poterlo fare. La musica ha un fortissimo potere pedagogico, e riesce persino a sbloccare alcuni meccanismi o limiti della personalità. Se si insegna in maniera attiva, la didattica è una grandissima occasione di arricchimento: osservando il processo di apprendimento e le personalità degli studenti, un insegnante può imparare moltissimo.
Non so se questa mia predisposizione sia innata o derivi dagli studi per la Laurea in Psicologia Sociale.”

INFO
www.cettinadonato.com email: info@cettinadonato.com
Ufficio Stampa Cettina Donato: Fiorenza Gherardi De Candei > tel. 328.1743236 e-mail info@fiorenzagherardi.com

John Surman, icona del jazz moderno, a Tricesimo per Note Nuove 12

Tra le icone del “jazz moderno” un posto di rilievo lo occupa certamente John Surman, sassofonista e compositore visionario e immaginifico. Purtroppo, negli ultimi tempi, è diventato piuttosto difficile ascoltarlo in concerto vuoi per l’età non più verde (è nato a Tavistock, Regno Unito, nel 1944) vuoi per l’inevitabile stanchezza di una carriera condotta sempre ai massimi livelli.

Di qui l’importanza di ogni sua performance, l’interesse che accompagna ogni sua comparsa sulle scene jazzistiche.

Ebbene Surman sarà in Italia il 15 marzo, al Teatro Garzoni di Tricesimo (Udine) nell’ambito di Note Nuove 12, la rassegna giunta alla sua dodicesima edizione per la direzione artistica di Giancarlo Velliscig di Euritmica (www.euritmica.it), con il sostegno della Regione FVG e del Comune di Tricesimo.

In programma la presentazione del suo nuovo progetto “Invisible Threads” (pubblicato dalla prestigiosa ECM), in trio con Nelson Ayres al pianoforte e Rob Waring al vibrafono, marimba.

Non occorrono, quindi, molte parole per evidenziare l’importanza dell’appuntamento; comunque per quei quattro-cinque lettori che ancora non conoscessero bene la statura dell’artista inglese, sarà sufficiente aggiungere che John Surman è tra i più autorevoli e innovativi sassofonisti contemporanei, un musicista che ha definito il ruolo del sassofono nella musica moderna, riuscendo a fondere alcuni degli stilemi del jazz moderno con una sensibilità tutta inglese. E gli “Invisible Threads“ del n uovo progetto sono, per l’appunto, quei fili invisibili che per lui rappresentano semplicemente la musica, una forza in grado di unire mondi apparentemente lontani per stili di vita e cultura. Una musica che è probabilmente l’unico linguaggio che può essere inteso da tutti gli uomini al di là di qualsivoglia barriera di lingua, di religione, di sesso. Non a caso nell’arco della sua carriera, l’artista ha perseguito un obiettivo ben preciso: inventare uno stile personalissimo, in cui far convivere sperimentazioni, improvvisazione, free-jazz ma anche il folk della sua terra, la musica antica e l’elettronica. E per evidenziare come tale obiettivo sia stato magistralmente centrato basti ricordare alcuni dei suoi album più famosi, come “The Road to Saint Ives” e  “Saltash Bells”.

Venendo al trio attuale, Surman ha incontrato il pianista Nelson Ayres – noto agli appassionati del jazz brasiliano per le sue collaborazioni con Airto Moreira, Milton Nascimento e Banda Pau Brasil – mentre era in tour in Sud America. A Oslo, ha invece conosciuto Rob Waring, vibrafonista statunitense trasferitosi in Norvegia (recentemente ascoltato su ECM con Mats Eilertsen). Da questi incontri nasce dunque questo entusiasmante progetto, che mette in evidenza ancora una volta l’inesauribile vena compositiva di Surman e la sua freschezza interpretativa.

Gerlando Gatto

 

I NOSTRI CD

a proposito di jazz - i nostri cd

Hands Jazz Trio – “Our Favorite Standards & Other” – autoproduzione.
Capita, da parte di qualcuno, di guardare agli standard con una certa sufficienza. Ma ciò non si giustifica se chi li esegue ce li restituisce come nuovi, con un corretto dosaggio di improvvisazione, un interplay sapientemente interagito, un arrangiamento che ne dia in qualche modo una “nuova visione” comunicativa, connessa con la propria poetica musicale. E di che mood sono, in proposito, i componenti dell’Hands Jazz Trio? Antonio Tosques alla chitarra, Marco Contardi all’organo e Leo Marcantonio alla batteria nel cd “Our Favorite Standards & Other” forniscono un plausibile esempio di piccolo gruppo di grande potenzialità espressiva, di quelli cioè che sanno trattare la letteratura degli “evergreen” jazzistici con la predetta artigianalità espressiva, manuale e mentale. Che i brani siano di Silver, Fisher o Barron non cambia, oltretutto è benvenuto il variare, come nel caso in questione, fra la rarefatta atmosfera di “O Grande Amor” di Jobim, il Monk straniante di “Hackensack” o un “Along Came Betty” di Golson. L’ascolto del disco va avanti con leggerezza antigravitazionale, grazie anche ad acuti melodici come nel brano di Tosques, “For Jim”, brano “other” come “Hands Blues” dell’organista. Ed una nota di merito è da ascrivere proprio a Marco Contardi, conosciuto come pianista, che con l’hammond pare andare a nozze, tanto è postato e controllato nei movimenti. Ha assunto quell’understatement tipico dei professionisti più avvezzi, a partire dal grande Jimmy Smith a finire ai contemporanei, tipo Joey DeFrancesco. E il dialogo con un chitarrista navigato come Tosques ed il rinforzo ritmico “motorio” di Marcantonio non fa che rafforzarne qualità e la qualità.

Matera/Pignataro/Maurogiovanni/ – “Stanic Boulevard” – Villani, Verve
La presentazione del 4et, affidata al brano “More Or Less”, del pianista Mirko Maria Matera, esibisce subito l’idea del range jazzistico proposto: un hard bop robusto e fibrillante, non immune da influssi blues e rock, talora intensamente lirico come in “L’inverno e altre storie”, del chitarrista Fabio Pignataro, altre volte propenso alla riflessione onirica come il “sincopatico” “Impromptu” del batterista Pierluigi Villani od increspato dal groove ostinato e altalenante di “Escape for the soul” del bassista Viz Maurogiovanni. “Stanic” è lo storico quartiere operaio della periferia di Bari, il cui nome è affiancato a Boulevard per meglio abbozzare la teoria di contrasti metropolitani che l’album evoca. Un gioco angolare di specchi ricorre nelle dieci tracce, ispessite da contrapposizioni metrico/ritmiche, per situarsi su una linea immaginaria, in un paesaggio postindustriale che dagli anni del boom arriva sino ad oggi per riecheggiare flussi sonori elettrici e fusion. Che sono poi quelli di “Tomorrow We’ll See”, ancora di Villani mentre “The Lonely Axeman”, a firma del ricordato bassista, è un omaggio ad Alan Holdsworth. In chiusura, oltre a “Svandea”, a firma di Pignataro, ecco “Khamsin”, stendardo modale che il pianista sventola, in crescenza/decrescenza di climax, a vessillo della formazione. “Stanic Boulevard”, antitesi di contrari, si rivela, alla fine, un percorso praticabile per un jazz che non rinnega il passato di quella … modernità che ancora, nonostante il tempo trascorso, ci risulta – e non è un ossimoro –  contemporanea.

The Roger Beaujolais Trio – “Barba Lunga” – Stay Tuned.
Si pensi pure ciò che si vuole ma un jazzista che esegue in un suo cd un brano di Jimi Hendrix offre, per così dire, il migliore aperitivo ad un ascolto trasversale, non limitato ai soli jazzofili. È il caso di Roger Beaujolais con il suo Italian Trio e il disco in questione è “Barba Lunga” della Stay Tuned. Hendrixiana è infatti “The Wind Cries Mary”, che non è propriamente un must per chi suona jazz, il cui inserimento in scaletta denota una sensibilità blues/rock di base che, a nostro modesto avviso, non guasta anzi ne infiocchetta ancor meglio il biglietto da visita per i palati musicali più aperti. Il vibrafonista inglese annovera collaborazioni di lusso in ambito pop, fra gli altri con Robert Plant e Paul Weller, per fare due nomi a dir poco di prestigio, ma il suo linguaggio utilizza un vocabolario sicuramente jazz, compartecipato dalla giovane ma già matura sezione ritmica che gli si affianca: il bassista Giacomo Dominici e il batterista Alessandro Pivi. Alcune esperienze acid e quelle di jump jive con i Chevaliers Brothers hanno sicuramente lasciato su di lui delle precise impronte stilistiche in qualche modo rinvenibili in quanto si ascolta negli undici brani di questo album; che presenta comunque un buon risultato di sintesi compositiva nei diversi pezzi originali e, anche in “Faith” di Freeman e Lawrence, di godibile coloritura armonica e coerenza melodica, dettate dal procedere di un vibrafono ben levigato nelle impro, con accordi talora prolungati come la barba fluente del leader del gruppo e suoni di gusto fresco come un buon beaujolais nouveau!

World Spirit Orchestra – “Black History” – Mario Donatone Network.
Una storia in note – quella della “Black History”, interpretata dalla World Spirit Orchestra, formazione nata nel 2011 alla Casa del Jazz di Roma, diretta da Mario Donatone, qui con la partecipazione di Riccardo Biseo – è racchiusa in questo album uscito quasi in accoppiata all’omonimo spettacolo musicale. La selezione di brani non è tracciata seguendo cronologie stilistiche (spiritual, gospel, blues, jazz, swing, r.&b., soul, funk, hip hop, rap) bensì attraverso la opzione di brani fatta in base a criteri di varietà, cantabilità, riferibilità alle vicende del popolo afroamericano. “Abbiamo navigato in luoghi sconosciuti all’uomo/dove le navi vanno a morire” (We sailed for parts unknown to man/where ships come home to die): è uno dei versi di “A Salty Dog”, successo ripreso dai Procol Harum, in quanto possibile incipit di questa plurisecolare vicenda scaturita da deportazioni schiaviste dall’Africa alle Americhe. Che trova voce in un trifoglio di traditional, “Jesus On The Mainline”, “Wade In The Water” e “Freedom”, a denotare un’epopea di umiliazioni e illibertà ma anche di orgoglio e anelito all’affermazione identitaria. La musica, in tale prospettiva, pur con tutte le specificità del caso, fa il paio con letteratura, cinema, arti visive e, naturalmente, con la lotta politica legata al riconoscimento di diritti; in primis la piena cittadinanza, con apice nel novecento, secolo (non tanto) breve in cui si interfacciano personaggi-chiave della black culture, Martin Luther King e Malcom X, Louis Armstrong e Charlie Parker, Mahalia Jackson e Miles Davis, Langston Hughes e Amiri Baraka, Jean-Michel Basquiat e Spike Lee… Le ‘coralizzazioni’ guardano anche avanti, oltre il tempo della race music, ed ecco in scaletta due classici di Ellington, “Don’t Get Around Much Anymore” e “Come Sunday” unitamente ad “Halleluyah Time” di Oscar Peterson (con Ray Brown). Completano il quadro “People Get Ready” di Curtis Mayfield poi “Sail Away” e “Short People” di Randy Newman. Musicista bianco, certo, ma in perfetto World Spirit. Nell’Orchestra, in cui spicca Giò Bosco, ben figurano le voci di Sonia Cannizzo, Isabella Del Principe, Luna Whibbe, del chitarrista Angelo Cascarano, del tastierista Andrea Mercadante, del batterista Roberto Ferrante e del percussionista Milo Silvestro.