Udin&Jazz torna a Udine, nella sua sede naturale, dal 12 al 16 luglio

Udin&Jazz ritorna nel suo luogo naturale: il capoluogo friulano ospiterà dal 12 al 16 luglio la 32° edizione di “Udin&Jazz”, a cura di Euritmica, la gloriosa manifestazione che nel corso degli anni ha assunto un’importanza sempre crescente nel pur vastissimo panorama dei festival italiani dedicati alla musica afro-americana.
Viene così archiviata la parentesi, per altro più che positiva, di GradoJazz, che per tre anni, anche in tempi di pandemia, ha portato in regione grandi stelle della musica nazionale e internazionale (King Crimson, Paolo Conte, Stefano Bollani, Gonzalo Rubalcaba, Paolo Fresu, Dee Dee Bridgewater, Brad Mehldau e molti altri…) e il successo delle due edizioni invernali di Udin&JazzWinter al Teatro Palamostre di Udine.

Ma, a mio avviso, un festival che si chiama “Udin&Jazz” trova il suo perché anche per la località in cui si svolge. In effetti molte volte mi è capitato di sottolineare come oggi un Festival del Jazz assume rilievo solo se soddisfa determinate condizioni. In primo luogo essere strettamente legato al territorio in cui si svolge, sì da valorizzarne i contenuti cultuali ed economici (prodotti tipici); in secondo luogo se, contrariamente ai “grandi festival” non  si inseguono i grandi nomi solo per fare cassetta (poco importa se poi con il jazz poco o nulla hanno a che vedere) e viceversa si dà il giusto spazio ai musicisti locali. E sotto questo specifico aspetto tutte le regioni italiane potrebbero benissimo dare spazio ai tanti talenti locali solo che a Udine si fa da sempre e in molti altri posti purtroppo no.
Ciò, ovviamente, nulla toglie che si dia ampio rilievo alle stelle di primaria grandezza e più in generale a quei musicisti che si esprimono su alti livelli qualitativi. E anche da questo punto di vista Udin&Jazz non ha mai deluso, cosa che accadrà anche quest’anno visto le prime notizie che si hanno sul programma il cui dettaglio verrà presentato a breve.
In effetti si sa già che la chiusura del Festival sarà affidata sabato 16 luglio 2022 alle 21, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, ad una delle band più acclamate dello scenario del nuovo jazz contemporaneo mondiale, gli Snarky Puppy. Guidato da Michael League, il collettivo, con circa 25 musicisti in rotazione, si muove tra jazz, funk e R&B, musica scritta e improvvisazione totale e ritorna nel 2022 con un nuovo album live appena inciso, “Empire Central”, il quattordicesimo, una lettera d’amore a Dallas, il luogo dove l’avventura è iniziata nel 2004. “Empire Central”, per loro stessa ammissione, è il progetto più ambizioso e comunicativo di sempre, e arriva dopo quasi 2.000 spettacoli, 13 album, 4 premi Grammy, 8 premi JazzTimes e Downbeat e centinaia di masterclass presso istituzioni educative in tutto il mondo.
Ovviamente appena sarà varato il calendario completo avrete modo di leggerlo su questo stesso spazio.
U&J è ideato e organizzato dall’Associazione Culturale Euritmica e gode del sostegno di: Regione FVG, Fondazione Friuli, Reale Mutua Assicurazioni Udine Franz&Dilena, Banca di Udine, oltre agli importanti partenariati con Radio 1 Rai, Radio 3 Rai e Rai FVG. Udin&Jazz è altresì gemellato con alcuni tra i più prestigiosi festival jazz europei, come quello di Vienne in Francia, di cui è partner nell’organizzazione della 3a edizione di JazzUp.

Gerlando Gatto

Pasolini: jazz e non solo…

Pasolini 1922-2022. 100 anni ben portati, anche in campo musicale. Basti vedere le cronache degli eventi festivalieri per rendersi conto di quanto questo Autore sia tuttora “cool”. Pensiamo alla classica, agli amati archi, come il violino di Pina Kalc che fu sua maestra di musica. Il “loro” sublime Bach è stato ripreso da Mario Brunello, il cui violoncello si è accompagnato alla voce di Neri Marcorè nello spettacolo allestito per il quarantennale a Bologna nell’ambito di Vorrei essere scrittore di musica della Fondazione Musica Insieme. Così dicasi del recente omaggio “world” dei Linguamadre reso al poeta di Casarsa nell’ambito della rassegna Ethnos di San Giorgio a Cremano. Per il jazz da segnalare quantomeno le recenti performances del Roberto Gatto Perfect Trio alla Casa del Jazz, in “Accattone”, a cura della Fondazione Musica per Roma, con Valerio Mastandrea nonché il pianista Glauco Venier con Alba Nacinovich in “Suite per Pierpaolo” a Jazz Area Metropolitana.

La relazione fra Pasolini e il jazz ha il baricentro nel film documentario “Appunti per un’Orestiade Africana”, del 1970, reportage sul sopralluogo effettuato fra 1968 e 1969, propedeutico ad un film mai girato. Non si tratta propriamente di una pellicola sul jazz, tant’è che non viene citato nella quindicina di titoli del 1970 riportate da Jean-Roland Hippenmeyer in “Jazz sur Films” (Editions de la Thiele, 1971). Ciò forse anche per i ritardi dei circuiti distributivi e poi il lavoro è di “studio” preliminare, un diario di viaggio di taglio mitico-antropologico in Tanzania e Uganda nel quadro di un Poema del Terzo Mondo, sui cinque continenti con aree in via di sviluppo (Africa, India, Paesi arabi, America del Sud e del Nord), progetto peraltro destinato a rimanere incompiuto.
Sono Appunti con cambiamenti e correzioni, come nella scrittura, senza attori professionisti, con interviste a studenti africani dell’Università di Roma, quindi sagome, volti e ambienti in loco, con lo scopo di “musicare”, trasposta, l’omonima tragedia greca di Eschilo: “far cantare anziché far recitare l’Orestiade. Farla cantare per la precisione nello stile del jazz e, in altre parole, scegliere dunque dei cantanti-attori nero-americani”. Le note iniziali sono comunque del bianco Gato Barbieri, eseguite su una base modale, già sulle prime immagini. Il sax di “Gato”, qui anche nelle vesti di compositore, ha un tono dolente ma composto nel sovrastare la ritmica formata dal contrabbassista Marcello Melis e dal batterista Famoudou Don Moye mentre accompagna liberamente le voci di Archie Savage e Yvonne Murray in una sala del Folkstudio di Roma. L’averle inserite nella scena di “Cassandra” è “una scelta importantissima che conferma la ricerca pasoliniana di quel nuovo orizzonte espressivo asemantico che solo la musica poteva realizzare (Roberto Calabretto, “Pasolini e la musica”, “Cinemazero”, Pordenone, 1999). Sono anni in cui la musica afroamericana è sinonimo di rivolta, liberazione, avanguardia, pur non dismettendo il proprio background radicato nelle tradizioni culturali del canto e del suono nero. “Gato” vivrà, di lì a poco, un momento di straordinaria popolarità legata al tema del film “Ultimo Tango a Parigi”, di Bernardo Bertolucci, amico di Pasolini. La jam session in pellicola è qualcosa di più che un cameo, non è già incisa in disco come il blues di Blind Willie Johnson in “Il Vangelo secondo Matteo”, è “musica effettivamente convivente” per citare un’espressione che Raffaele Gervasio coniò in La musica nel documentario (in “La Musica nel film, Bianco e Nero” Ed., Roma, 1950). Per altro verso il film ha una valenza etnologica – si pensi alle danze wa-go-go riprese dalla m.d.p. – e storica che oggi una visione “a distanza” di decenni rende ancor più palpabile in quanto documento di un mondo ormai sommerso.

La seguente Discografia post mortem, essendo riferita al jazz, per impronta del lavoro od anche per la presenza di jazzisti quant’anche in situazioni “di frontiera” o/e multimediali, prescinde dai soundtrack che vanno dal Morricone di La musica nel cinema di Pasolini (General Music, 1983), Teorema edito da Carosello nel 1968 o lo stesso Piero Piccioni della colonna sonora di Una vita violenta (Cam Sugar / Decca, 1962). L’intento della Cronologia rimane essenzialmente quello di dimostrare come l’interesse della musica, in primis del jazz, verso il mondo pasoliniano sia rimasto costante, per non dire crescente, e diffuso, basti pensare alla venerazione nutrita da musicisti come il sassofonista Sherman Irby verso il poeta di Casarsa (oltre che per l’Inferno di Dante). O all’attenzione del flautista James Newton che ha trascritto in musica “Il Vangelo secondo Matteo” per la produzione “Passione secondo Matteo” al Torino Jazz Festival. Fra i dischi ne è stata a seguire individuata una selezione in cui il jazz, lato sensu, compare a fianco alla figura di Pasolini, sia in lavori monografici sia in spicchi di produzioni non mirate. In dettaglio:
1982, Michel Petrucciani Trio feat. Furio Di Castri (cb) e Aldo Romano (dr.), il brano è Pasolini, nel l.p. Estate, della Riviera Records, prodotto fra gli altri da Amedeo Sorrentino. La ballad, su ritmo latino, è stata scritta dallo stesso batterista. A riprova del culto francese per Pasolini si ricordano, fra le varie esecuzioni, oltre a quella pianistica di Jean-Pierre Mas col contrabbassista Cesarius Alvim in Rue de Lourmel (l.p. Owl, 1977) anche quella per grande orchestra diretta da Lionel Belmondo. Per la cronaca il cantante Claude Nougaro ne ha scritto il testo reintitolandola Visiteurs. Aldo Romano ha avuto diverse occasioni di frequentazione con Pasolini a casa di Elsa Morante, a Roma, in compagnia di Bernardo Bertolucci, al tempo in cui in Italia soleva recarsi e presenziare alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
1989, Andrea Centazzo (dir.), Omaggio a Pier Paolo Pasolini. Concerto per piccola orchestra (Mitteleuropa Orchestra) con Gabriella Ravazzi (soprano), Marco Puntin (voce recitante), Index Records. Su etichetta Ictus è inciso il Secondo Concerto per Orchestra. Omaggio a Pier Paolo Pasolini.
1993, Massimo De Mattia (fl.), con Glauco Venier (pf), Poésie pour Pasolini, Splasc(h). L’album contiene fra l’altro anche omaggi ad altri registi come Bunuel, Kurosawa, Truffaut, Kubrick, Wenders, Tarkovskij.
1997, Johann Kresnik (cor.) Kurt Schwertsik (comp.), Pasolini. Gastmahl Der Liebe, VolksbÜrne Recordings. Il disco è censito su www.discogs.com come genere electronic/jazz accanto a lavori poetici (Meditazione Orale, RCA, 1995; Pasolini rilegge Pasolini, Archinto, 2005) e altri con contenuti musicali (Giovanna Marini, Le ceneri di Gramsci, Block Nota – I dischi di Angelica, 2006; Luigi Maieron, I Turcs Tal Friul, Block Nota, 2009). Segnalato infine per le “Edizioni Letterarie” RCA, Pier Paolo Pasolini, La Guinea detta dall’autore, del 1962 (due tracce per le due distinte parti di La Guinea 1962).

2005, Antonio Faraò (pf) Miroslav Vitous (cb), Daniel Humair (dr.), Takes On Pasolini, CamJazz , lavoro pregevole sulla figura pasoliniana. In scaletta, fra gli altri brani, Medea, Teorema, Stornello (Mamma Roma).
2006, Stefano Bollani (pf), 5et con Mirko Guerrini (sax) , Nico Gori (cl.) , Ferruccio Spinetti (cn), Cristiano Calcagnile (dr.) feat. Mark Feldman (v.) Paolo Fresu (tr.9, Petra Magoni (v.), I visionari, Label Bleu, 2006. Il doppio disco contiene, fra le “Visioni” il brano Cosa sono le nuvole? unitamente ad altri brani jazz e della tradizione italiana. La citazione dell’album viene fatta per la statura artistica degli artisti pur non essendo incentrato sulla figura di PPP. Cosa sono le nuvole?, musica di Modugno, testo di Pasolini, ha avuto le versioni più varie nel tempo quali quella della Piccola Orchestra Avion Travel del 1992 fino alla più recente del giovane cantautore Lorenzo Fragola (2014) vincitore di X Factor, per non parlare delle assonanze riscontrate al riguardo in una famosa pellicola Disney-Pixar (G. Cercone, Toy Story 3: quando Walt Disney cita Pasolini, libertiamo.it, 31.7.2010).
2007, Roberto Bonati (b.) Quintet, con Riccardo Luppi (sax), Alberto Tacchini (pf) Antony Moreno (dr.) e Claudio Guain (narr,), Un sospeso silenzio. Appunti a Pier Paolo Pasolini, MM Records/JazzPrint. Particolarmente sensibile al rapporto poesia-musica (e danza – arti visive) Bonati trova nella Torto il giusto contraltare vocale su cui modellare il proprio arcaico ritorno al binomio voce-citara e negli altri musicisti i corifei di uno spettacolo registrato dal vivo durante l’edizione 2005 di ParmaJazz Frontiere.
2007, Stefano Battaglia (pf.). Re : Pasolini, E.C.M., feat. Michael Gassmann (tr.), Mirco Mariottini (cl.), Aya Shimura (cello), Salvatore Maiore (cb), Roberto Dani (dr.), Dominique Pifarély (v.), Vincent Courtois (cello), Bruno Chevillon (cb), Michele Rabbia (perc.). Il doppio album, il secondo per la E.C.M., annovera 23 proprie composizioni oltre a Cosa sono le nuvole? . Per la cronaca Totò e Ninetto sono state inserite nel 2016 da “Rockìt” fra le 10 canzoni italiane dedicate a Pier Paolo Pasolini con Irata (CSI), Una storia sbagliata (De Andrè), A Pà (De Gregori), Pasolini un incontro (Tre Allegri Ragazzi Morti), L’alba dei tram (Anzovino – Giovanardi), La Giulia Bianca (Giurato), Pasolini (Hengeller), Piazza dei Cinquecento (Ianva), Lamento per la morte di Pasolini (di Giovanna Marini, della quale è da menzionare il fondamentale disco Pour Pier Paolo edito da Le Chant du Monde nel 1984).
2007, Aisha Cerami (v.), Nuccio Siano (v.) e Roberto Marino (pf), Le canzoni di Pasolini, Block Nota. L’album, che registra la partecipazione del pianista salernitano già apprezzato in Trasparenze (Dodicilune, 2010), è una valida compilation di testi pasoliniani con 15 brani musicati da diversi autori, Morricone, Hadjidakis, Modigno, Umiliani, Fusco, De Carolis, Piccioni, Endrigo, lo stesso Marino. Il trio comprende Salvatore Zambataro alla fisarmonica e Andrea Colocci al contrabbasso. Ne sono produttori Graziella Chiarcossi, cugina di Pier Paolo, e Walter Colle.
2008, Guido Mazzon, La tromba a cilindri. La musica, io e Pasolini, cd allegato al volume edito da Ibis che il compositore, cugino di Pasolini, ha presentato in forma di concerto-performance con interventi in diretta della tromba e i movimenti coreutici di Piera Principe con gesto suono e parola che si intersecano liberamente.
2008, Norma Winstone (v.), Glauco Venier (pf), Klaus Gesing (s. Cl.), Distances, ECM. Il cd contiene un tributo a Pasolini nel brano Cjant, testo di Pasolini su musica di Eric Satie, la Petite Ouverture a Danser, traduzione in inglese di Francesca Valente e Lawrence Ferlinghetti. Il pianista ha in preparazione in studio un album registrato in studio interamente dedicato a Pasolini, la Suite per Pier Paolo.

2014, Rita Marcotulli – Luciano Biondini Duo Art, La strada invisibile, Act. Il disco della label tedesca contiene 12 pezzi per piano e fisa nove dei quali originali. Una delle cover è Cosa sono le nuvole di Modugno, tratta dall’omonimo episodio di Pasolini del film Capriccio all’italiana, del 1968.
2019, Elsa Martin-Stefano Battaglia, Sfueâi, Artesuono. Il disco è un’antologia di versi di autori rappresentativi del novecento friulano, fra cui Pasolini, messi in voce dalla Martin, gravitante anche in area folk-progressiva in quanto componente della band Linguamadre (col Duo Bottasso e Davide Ambrogio) che ha esordito di recente con l’album Il Canzoniere di Pasolini.
2021, Mauro Gargano (cb), 4et con Matteo Pastorino (cl.), Giovanni Ceccarelli (pf.), Patrick Goraguer (dr.), Che cosa sono le nuvole? e Pasolini nel cd Nuages, Diggin Music. Molto singolare il Modugno di Pasolini che sposa le nuages di Django Reinhardt!
2021, Autostoppisti del Magico Sentiero, Pasolini e la Peste, New Model Label. Si tratta di un album composito nel quale al gruppo di Fabrizio Citossi con Federico Sbaiz, Martin O’Loughlin, Marco Tomasin, Franco Polentarutti si aggiungono, fra gli altri ospiti, jazzisti come Francesco Bearzatti, Massimo De Mattia, Giorgio Pacorig… Il brano-manifesto è quello di chiusura, il Blues dell’Idroscalo.
2021, Antonio Ciacca (pf) Selah Quartet, String Quartet n. 1 Pasolini, String Quartet n.2 Whitman, Twins Music. Si tratta di sette brani del pianista naturalizzato statunitense, già partner con il suo 5et di Steve Grosssman (oltre che di Farmer, Golson, Konitz, Griffin, W. Marsalis ), con i primi quattro movimenti – Allegro, Minuetto, Blues, Largo – intitolati a Pasolini. La formazione comprende Laurence Schaufele (viola), Douglas Kwoon e Sarah Kim (violino), Junkin Park (cello).

Il ventaglio del rapporto musica-Pasolini potrebbe estendersi ad altri ambiti a iniziare dalla musica contemporanea, con Sylvano Bussotti che in Memoria con voci e orchestre intona il testo di Alla bandiera rossa, dalla raccolta La religione del mio tempo (1961) in un incontro fra testo poetico e musica il cui livello linguistico-espressivo è stato approfondito da Claudia Calabrese in Pasolini e la musica. (La musica e Pasolini, Correspondances, Diastema., 2019).
Sempre in ambito musica di ricerca e sperimentazione, l’elencazione includerebbe una partitura del compositore e direttore d’orchestra Enrico Marocchini, Le azioni della vita, all’interno di Pier Paolo Pasolini poeta di opposizione (1995) nonché, a firma di Giovanni Guaccero, l’oratorio Salmo Metropolitano (v. cd “Domani Musica” con note di Valentino Sani, 1998). Al riguardo Enzo Siciliano, altra figura del microcosmo pasoliniano, sul Il Venerdì di “La Repubblica” del 30/7/1999, aveva riscontrato nel compositore influenze di Petrassi, Maderna e Coltrane; dal canto suo Girolamo De Simone, già su “Konsequenz” nel 2005 ne aveva apprezzato “alcune modalità improvvisative”.
Guardando al “vintage” d’autore si ritrova la psichedelia di Chetro & Co., band di fine anni ’60 (De Carolis, Coletta, Ripani e Gegè Munari) che inserì in Danze della sera 12 versi da L’usignolo della Chiesa Cattolica, su autorizzazione di Pasolini in persona.

Ed eccoci arrivare oggidì ad hip hop e rap. Jay Z, marito di Beyoncè, dal “compagno” PPP si lascia ispirare da “I racconti di Canterbury” e “Le 120 giornate di Sodoma”. Ai rapper Selton (Pasolini) e Paolito (Pasolini FreeStyle) andrebbe quantomeno aggiunto il gruppo censito da Filippo Motti su “Billboard” e cioè Fedez (Parli di rap), Fabri Fibra (Dagli sbagli si impara), Caparezza (Giotto Beat), J Ax (Limonare al Multisala), Bassi Maestro (Sushi Bar), ancora Fabri Fibra (Questo è il nuovo singolo), Ghemon (64 Bars). E il fatto che i ravennati Kut associno Tenco e Pasolini e i Baustelle lo ricordino in Baudelaire non fa che rafforzare l’evidenza della popolarità di questo intellettuale come una delle figure autoriali più ricorrenti oggi anche nel new sound. E’ un brulicare di idee progetti spettacoli dischi che ruota attorno allo strenuo difensore della diversità propria delle culture eccentriche opposta alla onnivora cultura del centro, quella che propugna la omologazione e, diremmo oggi, la generalizzata globalizzazione. Da questa posizione di difesa-attacco scaturiscono effetti che ancora deflagrano attorno alla figura del “poeta dei suoni” geniale e sregolato, colui che celebrò gli idiomi locali, i relitti culturali, i margini, le borgate, le periferie.
A Scampia, all’uscita della stazione metro, il volto di Angela Davis campeggia con quello di Pasolini su due murales di Jorit. Nuove banlieue recano a volte i segni rugosi del passaggio nel mondo attraversato dal suo messaggio profetico. Perché Pasolini riusciva a guardare oltre. Come talvolta capita al jazz.

Amedeo Furfaro

I NOSTRI CD. Stranieri in primo piano, ma senza trascurare il made in Italy

ACT

Nils Landgren Funk Unit – “Funk is my Religion” – ACT
Nils Landgren – “Nature Boy” – ACT
Nils Landgren, personaggio di punta del jazz, è ben noto anche ai lettori di queste note avendo in passato recensito alcune sue significative produzioni. Adesso lo riascoltiamo in due differenti contesti: nel primo album Nils è alla testa della suo celebrata “Funk Unit” mentre nel secondo abbiamo modo di apprezzarlo come arrangiatore e strumentista dal momento che suona da solo.
Ma procediamo con ordine. “Funk is my Religion” è l’undicesimo album registrato dalla pregiata ditta “Funk Unit” da quando venne creata nel 1994 ed ha avuto una vita piuttosto travagliata per vedere la luce: in effetti tutto era pronto per essere registrato nell’isola di Maiorca ma la cosa non fu possibile a causa del Covid; allora si virò verso il distretto di Redhorn in Bad Meinberg ma anche questa volta, sempre a causa del virus, non se ne fece alcunché. Ultima ratio l’Ingrid Studio di Stoccolma in cui l’album venne effettivamente registrato dal 3 al 7 novembre del 2020 per uscire in Germania il 28 maggio scorso. Come spesso sottolineato, capita raramente che il titolo di un album abbia un qualche effettivo collegamento con la musica che propone: in questo caso non poteva esserci titolo più azzeccato dal momento che effettivamente oramai da anni Nils Landgren va predicando questa sua passione per il Funk. Così, anche questa volta, il sestetto si muove sulle coordinate di una musica piacevole, orecchiabile, spesso trascinante in cui se è vero che non si avverte alcuna novità è altresì vero che non sempre nuova musica equivale a buona musica…e viceversa. All’interno dei dieci brani proposti, particolarmente riuscita l’interpretazione di “Play Funk” disegnata dalla bella voce di Magnum Coltrane Price.
Del tutto diverso “Nature Boy”; abbandonate le tinte forti del Funk, Lindgren si concede un esperimento tanto ardito quanto affascinante: presentare ben quattordici brani in solitudine. L’album prende il nome da un brano famoso, quel “Nature Boy” scritto da Eden Ahbez e registrato per la prima volta da Nat King Cole con l’orchestra diretta da Frank DeVol il 22 agosto del 1947. Ma, a parte questo brano, l’album è incentrato sulla musica tradizionale del proprio paese, una strada già percorsa da Landgren quando alla fine degli anni ’90 in duo con il pianista Esbjörn Svensson incise due album incentrati sulla folk music , “Swedish Folk Modern” e “Layers Of Light”. Questa volta la prova è più difficile in quanto Landgren si trova ad affrontare un repertorio oggettivamente ostico da solo con il proprio trombone. Risultato: viste le premesse si può ben dire che l’artista svedese si conferma musicista di prim’ordine, in grado di eseguire con sincera partecipazione partiture che molto si allontanano dal linguaggio prettamente jazzistico. Ottima, infine, la resa sonora grazie anche all’acustica della Ingelstorps Church dove è stato registrato l’album nel febbraio di questo 2021.

ATS

Raphael Kafers Constellation Project – “Retrospection” – ATS
Album d’esordio nella scuderia ATS per il giovane chitarrista austriaco Raphael Käfer che nell’occasione si presenta sotto l’insegna “Raphael Käfer’s Constellation Project”. A coadiuvarlo nella non facile impresa alcuni tra i migliori jazzisti austriaci come Tobias Pustelnik sax, Urs Hager piano, Philipp Zarfl basso e Matheus Jardim batteria. In programma sei brani originali del leader più il celebre standard “How Deep Is The Ocean” di Irving Berlin. L’album si fa apprezzare particolarmente per l’eccellente equilibrio raggiunto tra i cinque: il leader non si ritaglia alcuno spazio in più rispetto ai “colleghi” e nei suoi brani (tutti ben scritti e altrettanto ben arrangiati) c’è posto per tutti. Così ognuno ha un proprio spazio per evidenziare le proprie potenzialità, che non sono di poco conto. Per quanto concerne il linguaggio, siamo nell’ambito di un jazz mainstream contemporaneo – se mi consentite il termine – vale a dire un jazz nell’alveo della tradizione, ma al contempo attuale che pur senza alcuna pretesa di sperimentare alcunché di nuovo esprime la consapevolezza di raccontare compiutamente il proprio essere. Di qui la godibilità della musica che interessa tutto l’album cosicché riesce davvero difficile segnalare un singolo brano. Comunque qualche parola mi sento di spenderla sull’unico standard: presentare un brano celebrato come “How Deep Is The Ocean” non è facile anche perché i modelli con cui confrontarsi sono molti ed eccelsi; ebbene Käfer e compagni se la sono cavata egregiamente con una esecuzione pienamente rispettosa delle originali caratteristiche del brano.

Upper Austrian Jazz Orchestra – “Crazy Days: UAJO Plays The Music Of Ed Puddick” – ATS
Di carattere completamente diverso il secondo album targato ATS che vede all’opera la Big Band Upper Austrian Jazz Orchestra (UAJO). In effetti l’album è la risultante di una visita in Austria del trombonista, compositore e arrangiatore inglese Ed Puddick poco tempo prima del lockdown nei primi giorni del gennaio 2020. La UAJO nei suoi 28 anni di attività si è affermata sulla scena europea grazie alla sua duttilità che le consente di collaborare con musicisti di estrazione assai diversa passando così da Kenny Wheeler, a Johnny Griffin, da Mike Gibbs a Maria Joao… a Slide Hampton. In questo nuovo album il cui repertorio è firmato e arrangiato da Ed Puddick, c’è la conferma di quanto detto in precedenza: l’orchestra si adatta perfettamente sia a quegli arrangiamenti in cui Puddick si rifà esplicitamente ad un jazz più tradizionale sia a quei pezzi in cui la musica dell’inglese vira decisamente verso lidi più moderni evidenziando una diretta discendenza da Mike Gibbs. Seguendo questo schema si può affermare che i primi tre pezzi “Crazy Days”, “An Ocean of Air” e “Forum Internum”, appartengono alla prima categoria con in evidenza le sezioni di ottoni e di sassofoni. Di converso l’influenza di Mike Gibbs è particolarmente evidente in “Slow News Day” e “New Familiar” con il chitarrista Primus Sitter in primo piano. Tra gli altri solisti occorre ricordare il pianista Herman Hill, i sassofonisti Andreas See e Christian Maurer e il trombettista Manfred Weinberger.

ECM

Andrew Cyrille – “The News” – ECM
Gli anni passano ma sembrano non incidere più di tanto sull’arte del veterano Andrew Cyrille (classe 1939). Ecco quindi il terzo album prodotto dal celebre batterista per la casa tedesca, un “The News” che, manco a dirlo, non tradisce le attese. Ben completato da Bill Frisell alla chitarra, David Virelles piano e sin e Ben Street contrabbasso, il quartetto si muove in maniera empatica dimostrando di aver ben assorbito la perdita di Richard Teitelbaum venuto a mancare nel 2020. Il sostituto David Virelles si è perfettamente integrato nella logica del gruppo anzi è riuscito in un tempo relativamente breve a costituire una straordinaria intesa con il leader ché i due costituiscono adesso l’asse portante della formazione. Certo Frisell e Ben Street non sono dei comprimari e il loro ruolo è di assoluta importanza per la riuscita del tutto. Al riguardo non si può non sottolineare ancora una volta la straordinaria personalità di Cyrille che superata la soglia degli 80 resta validamente in sella non solo come insuperabile strumentista ma anche come compositore originale. Non è certo un caso che in repertorio figurino tre suoi brani di cui uno, “Dance of the Nuances”, scritto in collaborazione con Virelles. Gli altri pezzi sono opera di Bill Frisell, di David Virelles e di Adegoke Steve Colson (“Leaving East of Java”) brano tra i meglio riusciti grazie alla perfetta intesa evidenziata dal gruppo che alterna con assoluta naturalezza parti scritte a parti improvvisate.

Mathias Eick – “When We Leave” – ECM
Non sono certo molti i musicisti che suonano bene sia il pianoforte sia la tromba. In Italia abbiamo l’eccellente Dino Rubino; in Norvegia c’è questo Mathias Eick che oltre ai due su citati strumenti si fa apprezzare anche al basso, al vibrafono e alla chitarra. Nato in una famiglia in cui la musica è di casa (i due fratelli Johannes e Trude sono anch’essi musicisti) Mathias ancora non è troppo noto dalle nostre parti anche se può già vantare un curriculum di tutto rispetto avendo già collaborato, tra gli altri, con Chick Corea, Iro Haarla, Manu Katché e Jacob Young. In questa sua nuova fatica discografica, Eick suona con Håkon Aase al violino, Andreas Ulvo al piano, Audun Erlien al basso, i due batteristi Torstein Lofthus e Helge Norbakken nonché Stian Casrtensen alla pedal steel guitar. Eick appartiene di diritto a quella folta schiera di musicisti nordici che pur suonando jazz si rifanno in modo più o meno esplicito alle radici folk della loro musica. Ecco quindi, in organico, un eccellente violinista quale Håkon Aase che il leader inserisce nei suoi brani proprio per dare alle esecuzioni quella particolare coloratura cui si accennava. Così Aase divide con il leader e con il pianista Andreas Ulvo il ruolo di prim’attore in un repertorio declinato attraverso sette brani
tutti scritti dal leader e tutti accomunati da quella struggente malinconia che spesso caratterizza le composizioni dei musicisti del Nord Europa, in special modo norvegesi.

Marc Johnson – “Overpass” – ECM
Gli album per contrabbasso solo non sono frequenti e la cosa è perfettamente spiegabile dal momento che lo strumento è nato e si è sviluppato in funzione di accompagnamento del gruppo. Certo, nel corso degli anni, proprio nel jazz, il contrabbasso ha trovato la possibilità di elevarsi, da strumento di mero accompagnamento e sostegno armonico, a vero e proprio strumento solista, ma di qui ad essere il protagonista solitario di un concerto o di un disco ce ne corre. Non stupisce quindi, come si diceva in apertura, che gli album per solo contrabbasso siano relativamente pochi: tra questi si ricorda “Journal violone” di Barre Phillips del ’68 (probabilmente il primo del genere), e poi nel corso degli anni, tanto per citare qualche nome, Larry Grenadier, Larry Ronald, Lars Danielsson, John Patitucci, Daniel Studer… mentre in Italia si sono misurati con questa pratica, tra gli altri, Jacopo Ferrazza, Roberto Bonati, Furio Di Castri e Enzo Pietropaoli. Adesso arriva questo album di Marc Johnson e si tratta di un CD davvero strepitoso. Marc Johnson è in gran forma e d’altronde non è certo una sorpresa dato tutto ciò che questo artista ha già realizzato.Gli appassionati di jazz lo conoscono e con questo “Overpass” Marc si ripropone come uno dei principali artefici della modernizzazione che ha interessato il linguaggio contrabbassistico. L’album è declinato attraverso otto brani di cui cinque composti dallo stesso Marc cui si affiancano “Freedom Jazz Dance” di Eddie Harris, “Nardis” di Miles Davis e il tema d’amore della colonna sonora del film “Spartacus” di Alex North. Marc affronta questo impegnativo repertorio con assoluta padronanza del proprio strumento evidenziando la solita cavata possente, la consueta maestria tecnica sia al pizzicato sia con l’archetto, la ben nota capacità di valorizzare i contenuti tematici del pezzo come accade, ad esempio, in “Samurai Fly”, composizione che dall’inizio con archetto riprende il tema di “Samurai Hee Haw” tratto dall’album “Bass Desires” che il contrabbassista registrò nel 2018 con Bill Frisell, John Scofield e Peter Erskine.

Craig Taborn – “Shadow Plays” – ECM
Ecco un’altra preziosa incisione di Craig Taborn registrato in splendida solitudine durante un concerto tenuto nel marzo del 2020 alla Wiener Konzerthaus. L’album si articola su sette brani tutti composti dallo stesso Taborn cha ha da poco superato la soglia dei 50 anni. La cifra stilistica del pianista, organista, tastierista e compositore statunitense è oramai ben nota: un pianismo assolutamente originale, spesso improvvisato (come nell’album qui proposto) in cui suono e silenzi scandiscono un trascorrere del tempo caratterizzato dal fatto che fantasia e preparazione tecnica, dinamiche perfettamente controllate, intrecci poliritmici, ricorso sapiente al contrappunto, improvvise cascate di note coesistono a formare una musica sempre nuova, affascinante, spesso trascinante. Taborn è assolutamente padrone della materia; non c’è un solo momento in cui si avverte la pur minima sensazione che l’artista non sia in grado di padroneggiare ciò che sta suonando: tutto resta ancorato ad una visione che l’artista svela all’ascoltatore man mano che il concerto procede. E nel prosieguo dell’ascolto si può avvertire come l’arte di Taborn affondi le proprie radici nella migliore tradizione del piano jazz, riconoscendo tra i suoi numi ispiratori i nomi di Ellington, Monk, Cecil Taylor, Sun Ra, Abdullah Ibrahim, Ahmad Jamal in un perfetto connubio tra modernità e classicismo. Ma non basa ché tra le fonti ispiratrici di Craig bisogna annoverare anche il cinema, la pittura e tornando alla musica una folta schiera di musicisti che non appartengono al jazz quali Debussy, Glass, Ligeti.

Marcin Wasilewski Trio – “En Attendant” – ECM 2677
La ECM ci ripropone una delle formazioni europee più significative degli ultimi anni. Il trio polacco del pianista Marcin Wasilewski con Sławomir Kurkiewicz al contrabbasso e Michał Miśkiewicz alla batteria. Tanto per sottolineare la cifra artistica del gruppo, basti considerare che i tre hanno talmente entusiasmato il trombettista Tomasz Stańko da collaborare assieme per oltre 20 anni. Il fatto è che i tre suonano in trio dall’oramai lontano 1993 per cui hanno sviluppato un idem sentire, una fluidità di suono, una compattezza non facilmente riscontrabile in altri gruppi seppur di chiara fama. Tutti questi elementi li ritroviamo nell’album in oggetto che accanto alle composizioni del leader e del trio ci presenta una rivisitazione di “Variation 25” tratta dalle “Godberg Variations” di Bach, “Vashka” di Carla Bley e “Riders On The Storm” dei Doors. Evidenziare un brano piuttosto che un altro è impresa quanto mai ardua, comunque se si volesse avere un’idea ben chiara di come i tre siano davvero accomunati da una intesa speciale suggeriremmo di ascoltare le tre improvvisazioni del trio (“In Motion Part I,II,III”): sarà facile capire come Wasilewski e compagni non si adagino su pattern o punti di riferimento precostituiti, ma si avventurino su terreni totalmente improvvisati in cui i tre strumenti cambiano di ruolo, giocando anche su dinamiche spesso inattese. A chiudere forse non è inutile
sottolineare come questo album sia il primo, dopo 10 anni, registrato dal trio in studio (La Buissonne, nel sud della Francia), senza ospiti, e il settimo pubblicato dalla etichetta discografica di Manfred Eicher.

LOSEN RECORDS

La norvegese Losen Records, proseguendo nelle sue proposte di qualità, ci presenta due trii, il primo guidato dal batterista tedesco Frederik Villmow coadiuvato da due norvegesi: il pianista Vigleik Storaas e il bassista Bjørn Marius Hegge; il secondo dal pianista Christian Jormin con Magnus Bergström basso e Adam Ross batteria.

Frederik Villmow Trio – “Motion” – Losen Records
L’album comprende oltre a quattro original, tre standard, scelti ognuno dai componenti del trio: “A Lovely Way to Spend an Evening” di Jimmy McHugh, “Blame It On My Youth” di Oscar Levant e “Like Someone In Love” di Jimmy Van Heusen. Un repertorio, quindi, abbastanza variegato ma capace di farci apprezzare da un lato anche le capacità compositive del leader, dall’altro le possibilità esecutive del combo che si muove perfettamente a proprio agio anche sui terreni così battuti come quelli rappresentati dai citati standard. In effetti i tre possono contare su una ottima intesa cementata da precedenti esperienze e il tutto viene declinato attraverso un giusto equilibrio tra parti improvvisate e parti scritte. Insomma siamo sul terreno del classico jazz-trio che, ad onta di qualsivoglia sperimentazione, rimane sempre un organico di tutto rispetto…sempre che, ovviamente, sia composto da musicisti di livello come questi che si ascoltano nel CD in oggetto. In particolare Willmow pur essendo nato a Colonia ha studiato e sviluppato la sua attività in Norvegia dove ha avuto modo di collaborare con alcuni prestigiosi jazzisti del Nord Europa e non solo tra cui Vigleik Storaas (NO), Bjørn Alterhaug (NO), Tore Brunborg (NO), Bendik Hofseth (NO), Alan Skidmore (UK), Cappella Amsterdam (NL), Mats Holmquist Big Band (SWE), Metropole Orkest Academy diretta da Vince Mendoza (NL). Ma è proprio all’interno del trio presente in “Motion” che sembra aver trovato la giusta collocazione. Comunque lo si attende a prove ancora più impegnative.

Christian Jormin Trio – “See The Unseen” – Losen Records
“See The Unseen” vede all’opera lo svedese Christian Jormin al piano con i già citati Magnus Bergström e Adam Ross. Si tratta del debutto di Jormin da leader in casa Losen e l’esordio è più che positivo. Registrato il 22 e 23 luglio 2020, quindi in pieno lockdown, presso la Concert Hall Sjostromsalen at Artisten in Gothenburg, l’album presenta dieci composizioni firmate dal leader e scritte appositamente per il trio. In realtà il nocciolo duro del combo era costituito da Jormin e Bergstrom che, incontratisi con Adam Ross, hanno pensato bene di allargare il duo costituendo il trio che stiamo ascoltando. L’album prende spunto dal fatto di voler reagire, in qualche modo, all’isolamento che ci era stato imposto. Così, attraverso, la musica le distanze sono abolite e l’interazione è assicurata. In effetti, anche in questo caso, una delle maggiori qualità del trio è proprio l’intesa che si avverte: i tre si muovono in modo spontaneo ma perfettamente consapevole che i compagni d’avventura non solo seguiranno lungo il percorso scelto ma saranno in grado di proseguire il discorso in maniera coerente e consapevole. Le dieci tracce sono tutte innervate da armonie ben congegnate e da un certo minimalismo all’interno di strutture molto ben disegnate, strutture che consentono a tutti e tre i musicisti di esporre compiutamente il proprio potenziale. Tutti godibili i brani con una preferenza per “Mola Mola”.

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B.I.T. – Danielle Di Majo e Manuela Pasqui –  “Come Again” – Filibusta
E’ un duo al femminile quello che ci propone la Filibusta Records in questo album: protagoniste Danielle Di Maio ai sassofoni e Manuela Pasqui al pianoforte. La sassofonista avevamo già avuto modo di apprezzarla, tra l’altro, negli album di Ajugada Quartet e della vocalist Antonella Vitale mentre la Pasqui ha già firmato un album come leader (“Il filo dell’aquilone”) oltre ad aver collaborato con numerosi jazzisti di vaglia. Questo per dire che le due artiste sono ben note nell’ambiente del jazz, godendo di una meritata stima. Stima che viene confermata dall’album in oggetto che si articola su nove brani declinati sia sul versante prettamente jazzistico grazie a due original firmati rispettivamente dalla sassofonista (“Cagnaccio”) e dalla pianista (“Della mancanza e dell’amore”) sia, soprattutto, sulla rielaborazione di brani tratti dal repertorio “colto”, arrangiati dalla Pasqui che da sempre si caratterizza per questa sua capacità di attingere dal repertorio classico per rivitalizzarlo con il linguaggio dell’improvvisazione. Ecco quindi in scaletta Thibaut, John Dowland, Claudio Monteverdi, Franz Schubert, Johann Pachelbel. A mio avviso il pregio maggiore dell’album consiste nel fatto che, ascoltando i brani (tutti eseguiti magistralmente), non si avverte nessuno iato tra pezzi che traggono ispirazione da due mondi così diversi, eppure così vicini nella considerazione dell’Amore quale elemento, forse l’unico, che può aiutarci a vivere.

Enzo Favata – “The Crossing “ – Niafunken
Conosco Enzo favata da molti anni e credo di poter dire che questo è uno dei migliori album da lui realizzato nel corso di una oramai lunga e prestigiosa carriera. Il musicista sardo, in questa occasione al sax, theremin, samples è coadiuvato da Pasquale Mirra al vibrafono, marimba midi e Fender Rhodes, Rosa Brunello al Fender Bass, Marco Frattini, batteria e percussioni, cui si aggiungono in qualità di ospiti Ilaria Pilar Patassini voce, Salvatore Maiore cello, Maria Vicentini violino e viola e il chitarrista Marcello Peghin, già accanto a Favata in numerose avventure. Una tantum il titolo dell’album così come dei vari brani non è occasionale ma deriva compiutamente dalla musica proposta. Così, ad esempio, “The Crossing” (“Attraversamento, incrocio”) sta a significare proprio l’intenzione di Favata di proporre una musica che testimoni l’incrocio di più culture. Non a caso il brano d’apertura, “Roots”, di Jan Carr dei Nucleus, segnala una profonda attenzione verso il jazz-rock così come “Salt Way” dello stesso Favata ci riporta alla mente quella via del sale che attraversava il deserto della Dancalia grazie ad una musica orientaleggiante, ricca di umori, sapori così sapientemente speziati mentre particolarmente toccante è “Black Lives Matter”. Il brano, composto a più mani da Favata, Brunello, Mirra e Frattini vuole esprimere lo sdegno presente ancora in tutti noi per un episodio inaccettabile, con il sax di Favata a enfatizzare il clima del pezzo, su un tappeto sonoro che sembra richiamare i grandi paladini, musicisti e non, dell’eguaglianza dei neri negli States…e non solo; particolarmente adatto il campionamento delle voci di Steve Biko, Fela Kuti e Malcom X.

Karima – “No Filter” – Parco della Musica
E’ da molto tempo che seguo Karima la cui carriera, a mio avviso, non è stata finora adeguata alle sue effettive possibilità. Ma andiamo indietro nel tempo. Karima è stata, a mio sommesso avviso, l’unico vero talento che sia emerso dalla trasmissione “Amici”. Quell’anno, però, non vinse e la cosa mi fece talmente arrabbiare che smisi di vedere il programma. Adesso di anni ne sono passati, ma Karima stenta ad emergere nonostante il suo talento sia stato riconosciuto da personaggi di assoluto livello come Burt Bacharach, che ha scritto per lei dei brani e prodotto, nel 2010, il suo primo album dal titolo “Karima”. Questo nuovo album, che arriva dopo sei anni dall’ultima fatica discografica, rende giustizia, anche se non del tutto, delle due qualità: bellissima voce, ottime dosi interpretative, capacità di affrontare con sapienza un repertorio certo non facile. In effetti la vocalist presenta in rapida successione tutta una serie di successi della musica internazionale, per la precisione ben undici, tra cui i celebri “Walk on the Wild Side” di Lou Reed prima traccia del disco e anche primo singolo accompagnato dal videoclip che narra la recording session dell’album pubblicato come anticipazione sulla pagina Facebook di Karima, “Feel Like Making Love” di George Benson e Roberta Flack, “Come Together” e “Blackbyrd” dei Beatles. Ad accompagnare Karima, Gabriele Evangelista al basso, Piero Frassi al pianoforte e arrangiamenti, e la Piemme Orchestra diretta da Marcello Sirignano.

Roberto Magris – “Suite!” – 2 CD JMOOD
Roberto Magris, Eric Hochberg – “Shuffling Ivories“ JMOOD
Roberto Magris è uno dei non moltissimi jazzisti italiani che abbia oramai acquisito una statura effettivamente internazionale come dimostrano i due album in oggetto.
Il primo – “Suite”- è il diciassettesimo album in studio registrato negli Stati Uniti da Roberto Magris per la casa discografica JMood di Kansas City. È il primo disco inciso da Magris a Chicago, assieme a musicisti della scena jazz Chicagoana, per la cronaca Eric Jacobson tromba, Mark Colby tenor sax, Eric Hochberg basso, Greg Artry batteria, Pj Aubree Collins voce, con l’aggiunta di Spoken word in alcuni brani, e con alcuni pezzi incisi in piano solo, provenienti da una successiva session discografica tenutasi a Miami. Il programma è prevalentemente basato su brani e testi originali, con alcune rivisitazioni di standard del jazz e due brani pop degli anni ‘70 come “In the Wake of Poseidon” dei King Crimson e “One with the Sun” dei Santana con la ripresa di “Imagine” di John Lennon. Da evidenziare come sotto molti aspetti si tratti di un coincept album dal momento che nei pezzi scritti dallo stesso Magris è molto presente il richiamo alla pace, alla fratellanza. In altre parole con questa splendida realizzazione il pianista triestino vuole veicolare un messaggio di speranza e lo fa con i mezzi a sua disposizione. Di qui un linguaggio che è una sorta di summa delle più significative correnti che hanno attraversato il jazz degli ultimi decenni mentre nei brani per piano solo ritroviamo il Magris sensibile, introspettivo che abbiamo imparato a conoscere in questi anni.
Pubblicato nel 2021 sempre per la JMood di Chicago, il secondo album – “Shuffling Ivories“- presenta il pianista triestino in duo con il contrabbassista Eric Hochberg in un programma dedicato interamente da un canto al piano jazz, da Eubie Blacke ad Andrew Hill, dall’altro alle più profonde radici del jazz statunitense da cui provengono echi di blues e ragtime, di gospel, di free. Il tutto intervallato da original dello stesso Magris. Quasi inutile dirlo, ma il pianista ancora una volta fa centro, grazie ad una sorta di ispirazione che pervade ogni sua esibizione. Il suo pianismo, anche in questo caso scevro da qualsivoglia tentativo di stupire l’ascoltatore, si sofferma sulla necessità espressiva di creare un fitto dialogo con il suo partner, dialogo che venga recepito appieno dall’ascoltatore. E così accade anche perché il contrabbassista dimostra di condividere appieno gli intendimenti del compagno di strada. Di qui un dialogo che si sviluppa fitto, impegnativo, mai banale con i due impegnati ad ascoltarsi e rispondersi sull’onda di un’intesa che non conosce tentennamenti. Ad avvalorare quanto sin qui detto, citiamo alcuni dei titoli contenuti nell’album: “Memories of You” di Blake, “Laverne” di Hill”, “I’ve Found A New Baby” di Palmer e Williams, “The Time Of This World Is At Hand” scritto dal pianista e compositore Billy Gault, “Quiet Dawn” di Cal Massey vero e proprio cavallo di battaglia di Archie Shepp che lo incluse nel celebre album “Attica Blues” del ’72.

Sade Farina Mangiaracina – “Madiba” – Tuk Music
La pianista siciliana (in un brano anche al Fender Rhodes) si ripresenta in trio con il bassista Marco Bardosica e il batterista Gianluca Brugnano cui si aggiunge Zid Trablesi al loud in tre pezzi. E già quindi da questo organico si può comprendere quali siano le intenzioni di Sade, intenzioni rese ancora più esplicite dal titolo dell’album. In buona sostanza l’artista intende dedicare questa musica ad un eroe dei nostri tempi, Nelson Mandela, del quale narrare la storia. Impresa ovviamente al limite del possibile data l’annosa polemica sulla semanticità o meno della musica. Comunque, a parte queste considerazioni, non c’è dubbio che questo album riesce a far riflettere chi lo ascolta, dipingendo un contesto in cui la storia di Mandela può trovare giusta collocazione. La Mangiaracina sfoggia ancora una volta un pianismo oramai maturo che esprime compiutamente le sue idee. Così, ad esempio, in “Winnie”, dedicato alla moglie del leader sudafricano, il ritmo si fa incandescente come a voler sottolineare le difficoltà incontrate dalla donna nello stare accanto a Nelson. Ma questo è solo un episodio ché in tutti i brani si ritrova qualcosa di interessante non disgiunta dal tema centrale. Ecco quindi, per fare un altro esempio, la ripresa del brano “Letter From A Prison”, una splendida ballad con Bardoscia in grande spolvero. Ma, citato Bardoscia, non si possono dimenticare gli altri componenti il gruppo, tutti perfettamente all’altezza di un compito certo non facile.

Germano Mazzocchetti Ensemble – “Muggianne” – Alfa Music
Germano Mazzocchetti è uno di quei pochi musicisti che mai delude; questo grazie anche al fatto che entra in sala di incisione solo quando ritiene di avere qualcosa di importante e di nuovo da dire. E quest’ultimo suo CD non fa eccezione alla regola. “Muggianne” è un album che si ascolta con interesse dalla prima all’ultima nota, soffuso com’è, specie nei primi brani, da un sottile velo di malinconia. Il tutto eseguito magistralmente da un gruppo coeso dalla lunga militanza e che comprende Francesco Marini al sassofono e ai clarinetti, Paola Emanuele alla viola, Marco Acquarelli alla chitarra, Luca Pirozzi al contrabbasso e Valerio Vantaggio alla batteria. E già la struttura dell’organico e i nomi dei musicisti dicono molto circa la statura artistica di Mazzocchetti: il fisarmonicista e compositore abruzzese, nel suo personalissimo bagaglio culturale, può vantare una passione per il jazz, una conoscenza approfondita della musica colta nelle sue varie declinazioni, nonché una approfondita conoscenza del musical e una ricca frequentazione del teatro di prosa: non a caso Germano è anche uno dei più apprezzati autori di musiche di scena. Questa miscela la si ritrova compiutamente nella sua musica che quindi risulta difficilissima da classificare, ammesso poi che la cosa sia importante! Quel che viceversa risulta importante è la qualità di ciò che propone, sempre originale, mai banale e soprattutto sempre coinvolgente. Un’ultima notazione: molti si saranno chiesti che significa ‘Muggianne’; la risposta ce la fornisce lo stesso Mazzocchetti: ”Il titolo Muggianne è una parola che nel dialetto del mio paese significa ‘Sta zitto e non parlare più’” come a dire, forse (ma questa è una nostra personalissima interpretazione) che la musica non ha bisogno di essere spiegata per entrare nei nostri cuori.

Enrico Rava – “Edizione Speciale” – ECM
Siamo nell’estate del 2019 e si festeggiano due compleanni importanti: i 50 anni della ECM e gli 80 di Enrico Rava. Il gruppo del trombettista e flicornista si esibisce ad Antwerp, Belgio, con l’abituale organico completato da Francesco Diodati alla chitarra elettrica, Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria, cui si aggiungono due ospiti “eccellenti” quali Francesco Bearzatti al sax tenore e Giovanni Guidi al pianoforte. Il concerto viene registrato ed eccolo qui a disposizione di tutti noi. Rava è universalmente riconosciuto come uno dei musicisti più creativi ed originali che il jazz europeo abbia conosciuto, grazie ad una versatilità che nel corso di una carriera oramai molto lunga gli ha permesso sia di restare fedele alla tradizione, sia di elaborare un linguaggio melodico consono alla tradizione italica, il tutto senza trascurare le innovazioni dettate dal free di Ornette Coleman e le suggestioni ritmiche della musica sud americana nelle sue varie declinazioni. A ciò si aggiunga il fatto che Rava ha lanciato diversi giovani musicisti come quelli che compongono il suo attuale quartetto. Per questa “Edizione speciale” Rava ha voluto ripercorrere il suo repertorio proponendo pezzi che vanno dal 1978 al 2015, anno di pubblicazione di “Wild Dance”, più nuove versioni di “ Once Upon A Summertime” , un classico di Michel Legrand e di “Quizás, Quizás, Quizás”, celebre brano di musica cubana. Come suo solito Rava si ritaglia spazi solistici ma lascia ampia libertà d’azione ai compagni di viaggio e così in particolare Diodati, Guidi e Bearzatti hanno modo di evidenziare ancora una volta quel talento che tutti riconosciamo loro. Insomma un disco davvero da “Edizione speciale”.

Santi Scarcella – “Da Manhattan a Cefalù” –
Il più jazzista dei cantautori italiani. Così è stato definito Santi Scarcella, definizione da condividere in toto dopo aver ascoltato l’album “Da Manhattan a Cefalù”, dedicato alla memoria di Nick La Rocca, un emigrante siciliano a cui, per convenzione, si deve la registrazione del primo disco di jazz nel 1917. Partendo da un repertorio di quattordici brani di cui ben dodici scritti dallo stesso Scarcella da solo o in compagnia di Viscuso o Mesolella, con l’aggiunta del traditional “Vitti na crozza” di Li Causi e lo standard di chiusura “Some Day My Prince Will Come”, Scarcella sfodera uno stile tanto arguto quanto personale. Mescolando il dialetto siciliano con l’italiano ma anche con lo spagnolo e l’inglese, nonché differenti stili come il samba, il mambo, passando attraverso il rag time, lo ska, Santi prepara una ricetta assolutamente fruibile…anche se farà storcere la bocca ai puristi del jazz. Tuttavia a beneficio di questi ultimi forse non è inutile sottolineare in primo luogo che il progetto di Scarcella, partito dai canti di lavoro siciliani, è riuscito a trovare elementi in comune con il blues americano e, proprio per questo, è stato approvato dalla statunitense Uconn University e in secondo luogo che sotto la veste dell’allegria, l’album tratta temi molto ma molto seri come l’emigrazione, l’integrazione, il glocalismo, patologie gravi come l’Asperger.

Giovanni e Jasmine Tommaso – “As Time Goes By” – Parco della Musica
Non è inusuale che membri della stessa famiglia collaborino nella realizzazione di un album ma ciò non ci impedisce di salutare con simpatia questo album che vede l’uno accanto all’altra il papà Giovanni Tommaso e la figlia Jasmine Tommaso in quintetto con Claudio Filippini al piano e Fender Rhodes, Andrea Molinari alla chitarra e Alessandro “Pacho” Rossi alla batteria. Sgombriamo subito il campo da qualsivoglia equivoco: Jasmine non è solo la figlia di un gigante del jazz quale Giovanni Tommaso, ma è una vocalist che ha tutte le carte in regola per intraprendere una brillante carriera; da anni stabilita a Los Angeles, può vantare un intenso percorso accademico speso tra la School of the Arts di South Orange e l’Università della California e gli studi in ambito jazz presso il Berklee College of Music di Boston. A ciò si aggiungono collaborazioni di rilievo con Stefano Bollani, Danilo Rea, Tia Fueller, Kim Thompson e Fabrizio Bosso. Questo album arriva al momento giusto per certificare l’avvenuta maturazione dell’artista. Jasmine interpreta bene un repertorio variegato in cui accanto a brani dal sapore prettamente jazzistico quali “Once Upon A Dream” di Sammy Fain e Jack Lawrence, “Lullaby Of Birdland” di George Shearing e la successiva “Someone To Watch Over Me” di George Gershwin, possiamo ascoltare una suggestiva versione di “Marinella” di Fabrizio De André nonché alcuni original scritti dalla stessa Jasmine con Lorenzo Grassi e dallo stesso leader.

Quando le foto parlano: due interessanti volumi di Roberto Masotti

Quanti seguono con un minimo di attenzione ”A Proposito di Jazz” si saranno resi conto di come questa testata abbia nel tempo dedicato la massima attenzione a tutte le forme attraverso cui si manifesta, si sviluppa la musica jazz. Quindi, ovviamente, anche la fotografia che anzi si è posta come elemento fondamentale per cogliere meglio l’evoluzione di questa musica. Si pensi, ad esempio, cosa ha significato per gli studiosi riuscire a carpire alcuni momenti dell’arte jazzistica quando ancora non esistevano o non erano così diffusi i filmati. Un solo esempio credo sia sufficiente a meglio spiegare quanto fin qui detto: nell’estate del 1958 venne scattata una delle foto più famose nel mondo del jazz, quella foto che ritrae, uno accanto all’altro, cinquantasette tra i migliori jazzisti di tutti i tempi in una strada di Harlem. Non musicisti qualsiasi, ma veri e propri “giganti” che hanno fatto la storia del jazz quali Armstrong, Duke Ellington, Count Basie, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Sonny Rollins, Monk, Charlie Mingus, Coleman Hawkins.

Anche in Italia l’arte della foto-jazz, grazie all’opera appassionata di molti fotografi-artisti, ha raggiunto ottimi risultati di cui su questi spazi è stata fornita ampia documentazione. Tra quanti hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo di quest’arte nel nostro Paese c’è sicuramente Roberto Masotti che conosco bene oramai da tanti anni e i cui scatti mi hanno sempre appassionato e stupito per la carica di verità che contengono. Tracciare una biografia di Masotti in questa sede è tutto sommato inutile; basti sottolineare alcune tappe fondamentali: nel 1973 inizia una lunga e proficua collaborazione con ECM Records di cui è stato responsabile della comunicazione per l’Italia, oltre a veicolare nel mondo l’immagine della casa tedesca; dal 1979 al 1996 è il fotografo ufficiale del Teatro alla Scala di Milano con Silvia Lelli; nel 2005 viene realizzato un programma televisivo a lui dedicato per SKY/Leonardo nella serie Click… nel corso degli anni le sue fotografie sono state esposte in numerose città italiane ed europee. E proprio a questa sorta di “categoria” appartiene il primo dei due volumi che presentiamo in questa sede.

“Jazz Area – seipersei – Pgg.160 ” trae origine dalla mostra “Jazz Area la mia storia con il jazz in 25 quadri” commissionata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Pavia nel  1999, e poi esposta   una decina di volte. Come sottolinea lo stesso Masotti, l’opera andrebbe considerata come “la mia storia attraverso il jazz più che con il jazz”.  Insomma una sorta di viaggio autobiografico il cui tragitto viene ripercorso attraverso una serie di immagini mai banali. Il libro si apre con la formazione “Detroit Free Jazz”, con Art Fletcher, Don Moye e Ron Miller al Conservatorio di Bologna nel 1968, e si chiude con un fotomontaggio relativo a Sun Ra.

Le foto sono impaginate in modo assai particolare: una stampa a colore argento su una carta spessa e nera, associate a titoli, didascalie, brevi testi, per cui, evidenzia ancora Masotti, è “più un progetto di mostra che un risultato fissato per sempre, più una riflessione sul jazz filtrata dalla mia personale esperienza che una storia del jazz per immagini per forza di cose limitata e parziale”. Così si susseguono una serie di istantanee accomunate da un filo rosso: l’intenzione di Masotti di non presentare una galleria di ritratti ma, in qualche modo, di interpretare il soggetto che viene ripreso in un momento di verità. Quindi nessuna posa ma scatti che colgono i musicisti o sul palco o in un momento di pausa. Le foto sono organizzate per aree tematiche tra cui: blues; blowers sassofoni; canto; Miles Davis; Sam Rivers – Archie Shepp, Jazz & Polities; Steve Lacy; Drums – drummers; Gruppi; Dave Holland big-band; Brotherhood of Breath; Jazz italiano; Jazz Rock; Chitarristi; ECM, Keith Jarrett… I protagonisti di questa galleria sono quindi  tantissimi e sarebbe inutile citarli tutti; valga comunque qualche nome: Miles Davis, Gato Barbieri, Steve Lacy, Max Roach, Ornette Coleman, Sonny Rollins, Archie Shepp, Carla Bley, Sam Rivers, Cecil Taylor, Charles Mingus, e, tra gli italiani, Stefano Bollani, Antonello Salis, Roberto Ottaviano, Gianluca Petrella.
Insomma un volume che sicuramente interesserà tutti gli appassionati di jazz.

“Keith Jarrett a portrait – seipersei – Pgg. 112” è invece di impostazione completamente diversa. Si tratta di un vero e proprio omaggio, o se volete un atto d’amore, che il fotografo dedica ad uno dei più grandi pianisti del jazz. Le foto sono accompagnate da testi di Geoff Dyer, Franco Fabbri e dello stesso Masotti il quale afferma esplicitamente che “In questa lunga serie di fotografie che osservo retrospettivamente, si gioca decisamente sulla presenza, quella del corpo e dello strumento, che compaiono nell’immagine. Le foto sono il risultato di una intima e oggettiva attenzione nei confronti di un artista a lungo seguito e ammirato, ma anche di una sua risposta che è consapevole accettazione, e soprattutto, partecipazione. Suo, solo suo, è il suono di una musica inconfondibile che la serie di fotografie ambisce di evocare e far risuonare.” In effetti Masotti ha assistito ad un centinaio di suoi concerti avendo così moltissime occasioni per estrinsecare la sua arte. Il libro si apre con una foto molti importante nella vita di Roberto: siamo nel 1969 e Keith Jarrett si esibisce al Teatro Comunale di Bologna nell’ambito del locale jazz Festival. Masotti non è ancora un professionista; fotografa con la Rolleiflex del padre, ma il risultato è talmente soddisfacente da indurlo a proseguire lungo la via delle foto. Dopo questa prima foto, gli scatti, esclusivamente in bianco e nero, sono organizzati in ordine cronologico fino al 2009… ed è davvero straniante constatare come l’aspetto del pianista sia cambiato con lo scorrere del tempo e come Masotti sia riuscito a cogliere gli aspetti più intimi della personalità dell’artista…anche perché è stato per lungo tempo l’unico fotografo ammesso alle prove di Jarrett. Ecco quindi il pianista impegnato durante un concerto… o in un momento di riposo accomodato in poltrona… o ancora seduto dietro una batteria o intento a suonare il sax soprano. E ammirando queste foto si ha quasi l’impressione di sentire le dita di Jarrett scorrere sulla tastiera per quelle straordinarie improvvisazioni che ci hanno deliziato fino al 2018 anno che ha segnato il definitivo abbandono delle scene da parte del pianista colpito da due ictus.

Gerlando Gatto

I nostri libri

Pochi giorni fa mi sono soffermato sulla necessità di scrivere in maniera chiara sì che tutti possano capire; chiarito questo concetto per me fondamentale, vi presento la nostra rubrica dedicata ai libri, sei volumi che sicuramente non “lo fanno strano”.
Buona lettura.

Serena Berneschi – “La pittrice di suoni – Vita e musica di Carmen McRae” – Pgg.362 – € 15,00

Atto d’amore verso una grande interprete: credo che questa definizione si attagli benissimo al volume in oggetto, rielaborazione della tesi di laurea in Canto jazz, conseguita dalla Berneschi nel 2018, che esamina la vita e la carriera di una delle più grandi vocalist del jazz, troppo spesso sottovalutata. L’autrice è anch’essa una musicista: cantante, compositrice, arrangiatrice, autrice di testi e attrice di musical e teatro, oltre che insegnante di musica e canto, vanta già una buona esperienza professionale. Insomma ha tutte le carte in regola per scrivere un lavoro che cattura l’attenzione del lettore, non necessariamente appassionato di jazz.
In effetti la Berneschi traccia un quadro esaustivo della personalità di Carmen McRae (Harlem, 8 aprile 1920 – Beverly Hills, 10 novembre 1994), vista non solo come musicista ma anche come donna. Di qui tutta una serie di suggestioni che inquadrano perfettamente la figura dell’artista e ci fanno capire perché sia a ben ragione considerata una delle figure fondamentali della musica jazz, capace di lasciare un’impronta indelebile nella storia della musica americana…e non solo.
Il volume è suddiviso in quattro parti: La vita – La musica – Woman Talk – La discografia, tutte molto ben curate. In particolare la biografia è dettagliata, e la vita artistica della McRae ricostruita in modo tale da far risaltare le capacità dell’artista particolarmente rilevanti nell’interpretazione dei testi, suo vero e proprio cavallo di battaglia. Nella seconda parte la Berneschi si addentra in un’analisi dello stile interpretativo della McRae che prendendo le mosse dalla grande Billie Holiday se ne distaccò per esprimersi secondo stilemi assolutamente personali. La terza sezione del libro, contiene estratti di varie interviste, cui fa seguito, nella quarta sezione una discografia, suddivisa per decenni, dagli anni Cinquanta ai Novanta. Il volume è corredato da un glossario dei termini musicali e jazzistici più ricorrenti e dei brevi cenni sulla storia del jazz. Ecco francamente di questi “brevi cenni” non si sentiva assolutamente la necessità dato che sono troppo brevi per risultare interessanti a chi nulla sa di jazz, e di converso assolutamente inutili per chi questa musica segue e apprezza.

Flavio Caprera – “Franco D’Andrea un ritratto” – EDT – Pgg. 209 – € 20,00

Franco D’Andrea si è oramai ritagliato un posto tutto suo nella storia del jazz, non solo italiano. Artista poliedrico, sempre alla ricerca di qualcosa che potesse meglio esprimere il proprio io, D’Andrea coniuga la sua straordinaria arte musicale con una personalità umana davvero straordinaria. Lo conosco oramai da tanti anni e non c’è stata una sola volta, e sottolineo una sola volta, in cui D’Andrea non abbia risposto alle mie sollecitazioni, di persona o per telefono, con la massima cortesia e disponibilità, mai dando per certezze le sue opinioni, aprendosi così ad un confronto serrato ma costruttivo,
E’ quindi con gioia che vi segnalo questo volume scritto da Flavio Caprera per i tipi della EDT, una casa editrice che si va sempre più caratterizzando per la produzione di volumi interessanti.
Devo confessare che quando leggo una biografia così accurata, in cui le varie tappe artistiche vengono seguite con precisione come se l’autore fosse stato sempre accanto al musicista, avverto un po’ d’invidia. Questo perché sono oramai tre anni che cerco di scrivere una biografia di Gonzalo Rubalcaba e non ci riesco perché sono troppi i tasselli che mancano alla costruzione del disegno complessivo.
Ma torniamo al volume di Caprera che, come avrete capito, è in grado di seguire passo dopo passo la vita artistica di D’Andrea da quando giovane si innamora di Louis Armstrong e degli strumenti a fiato, fino al 2019 quando incide “New Things”.
Sorretto da un periodare semplice ma non banale, l’autore ci accompagna quindi alla scoperta di una carriera davvero formidabile mettendo sempre in primo piano le motivazioni artistiche che hanno portato D’Andrea a scegliere alcune strade piuttosto che altre. E lo fa ricorrendo sovente a dichiarazioni dello stesso musicista, riportate in virgolettato; il tutto corredato da valutazioni sui dischi più significativi della carriera artistica del pianista. Il volume è corredato da una preziosa prefazione di Enrico Rava, da una discografia ragionata, da un’accurata bibliografia e da un sempre utilissimo indice dei nomi.
Insomma un volume che si raccomanda alla lettura di quanti ascoltano la buona musica. Personalmente, pur avendo apprezzato in toto il libro (come si evince facilmente da quanto sin qui scritto), mi sarebbe piaciuto avere qualche notizia in più sull’uomo D’Andrea, sulle sue sensazioni, emozioni anche al di fuori della musica.

Amedeo Furfaro – “Il giro del jazz in 80 dischi (‘20)” – Pgg.121 €10,00

Dopo i primi volumi su cui ci siamo già soffermati, eccoci alla quinta tappa della serie “Il giro del jazz in 80 dischi” con sottotitolo “’20” riferita cioè al ventennio appena chiuso e delimitato dall’ assalto alle Torri Gemelle e dalla pandemia. Per il jazz italiano, il ciclo, nonostante le gravi evenienze che hanno interessato il globo nella sua interezza, è stato comunque prodigo di novità discografiche da cui l’Autore ha potuto decifrare lo stato di salute di questo genere di musica nel nostro paese. Stato di salute che tutto sommato potremmo definire buono, frutto di contaminazioni ma comunque ricco di contrasti come nell’arte e nella moda contemporanee che vivono per altro verso una fase di assenza di idee forti ed indicazioni dominanti.
Anche in questo lavoro gli album rappresentano la traccia seguita per individuare come solisti e gruppi, label e operatori del mondo jazz, abbiano continuato anche in pieno lockdown a muoversi in un ambito, in particolare quello dello spettacolo dal vivo, che è stato fra i più penalizzati dalle recenti restrizioni. Nello specifico Furfaro ha recensito nuove proposte e maestri acclarati e riconosciuti dando luogo ad una sorta di inchiesta in cinque puntate, di cui questa rappresenta l’ultima, in cui ha analizzato spesso con vis critica quello che i nostri jazzisti sono andati esprimendo in questo inizio millennio.
Ecco, quindi, comparire accanto a musicisti celebrati quali Stefano Bollani, Stefano Battaglia, Ermanno Maria Signorelli, Maurizio Brunod, Dino Piana, Maurizio Giammarco (tanto per fare qualche esempio), i nomi di artisti che devono ancora farsi conoscere come Emanuele Primavera, Bruno Aloise, Valentina Nicoletta…e molti, molti altri.
Il libro si chiude con l’indicazione di 10 dischi da incorniciare (particolarmente condivisibile la scelta di “Ciak” firmato da Renzo Ruggieri e Mauro De Federicis), l’indice dei musicisti, quello delle label e gli indici di tutti gli album citati nelle quattro precedenti “puntate” di questo “giro del jazzz”
In buona sostanza, quindi, non un repertorio o un dizionario in 5 tomi bensì una fotografia per molti versi indicativa e realistica di cosa va succedendo in Italia a livello jazzistico attraverso la messa a confronto di tutta una serie di dischi. La risultante è un panorama di indubbia vitalità ed effervescenza in cui il ricambio generazionale funziona a pieno ritmo.
Un motivo in più per rafforzare ed incoraggiare questo “giacimento artistico” di cui l’Italia può andare ben fiera.

Valerio Marchi – “John Coltrane – Un amore supremo – Musica fra terra e cielo” – Kappa Vu – Pgg.80 – € 11,00

Un volumetto snello, agile, solo ottanta pagine, ma quanta devozione, quanto amore trasudano da questo scritto verso uno dei musicisti in assoluto più, importante del secolo scorso. L’autore è personaggio ben noto specie in Friuli: storico, scrittore e giornalista, ha pubblicato una decina di libri e numerosi saggi e articoli di argomento storico, collabora con le pagine culturali del Messaggero Veneto e da qualche anno scrive testi teatrali e organizza spettacoli, salendo anche sul palco. Ultimamente ha curato due racconti sceneggiati per Radio Rai del Fvg. In effetti la storia di Coltrane, così come sintetizzata da Marchi, ha costituito l’ossatura di uno spettacolo andato in onda di recente al Teatro Pasolini di Cervignano, nel cartellone della stagione musicale del Teatro, a cura di Euritmica e in replica a Udine, al Teatro Palamostre, nel programma di Udin&Jazz Winter. La drammaturgia è firmata, quindi, da Valerio Marchi e lo spettacolo ha preso forma grazie alla volontà di Euritmica e all’apporto di jazzisti straordinari quali il sassofonista Francesco Bearzatti, il batterista Luca Colussi e il pianista Gianpaolo Rinaldi. Le voci recitanti sono state quelle dello stesso Marchi e dell’attrice Nicoletta Oscuro. Marchi e Oscuro, accompagnati dalla musica del Bearzatti-Colussi-Rinaldi Trio, hanno messo in scena una performance multimediale per narrare la complessa parabola umana ed artistica del grande sassofonista del North Carolina, che giunto alla fine dei suoi giorni, è forse riuscito a trovare quel ponte ideale che lega la musica a Dio, un cammino ancora non del tutto esplorato e su cui Coltrane ha praticamente speso tutta la sua vita di ricerca. Questo particolare aspetto della poetica di Coltrane traspare chiaramente dal libro in oggetto non solo nella parte biografica ma soprattutto nella seconda parte in cui l’autore immagina di intervistare Coltrane traendo le sue riposte da interviste e dichiarazioni effettivamente rilasciate dal sassofonista. Il libro è completato da una serie di interessanti suggerimenti bibliografici.

Massarutto, Squaz – “Mingus” – Coconino Press Fandango – Pgg.154 – € 20,00

Bella accoppiata, questa, tra il giornalista Flavio Massarutto e il disegnatore Squaz. Argomento della loro indagine la vita e la musica di Charles Mingus; contrabbassista e pianista, compositore e band leader, Charles Mingus è a ben ragione considerato uno dei più grandi musicisti della storia del jazz, un talento naturale straordinario in un uomo dal carattere ribelle che spese la sua vita in una instancabile lotta contro la società americana così fortemente caratterizzata da un razzismo ancora oggi ben presente. Mingus nacque il 22 aprile del 1922 e quindi in vista del centenario della sua nascita, Massarutto e Squaz presentano una biografia a fumetti che tratta la vita dell’artista. Come sottolinea, però, lo stesso Massarutto nella postfazione “un fumetto non è un saggio. Un fumetto è un’opera narrativa Questo libro perciò non è il racconto illustrato della vita di Mingus. Qui ci sono frammenti di una esistenza raccontati pescando da sue interviste e scritti, da testimonianze, da fatti storici. E rielaborati in forma visionaria”.
La strada scelta è infatti quella di procedere per episodi impaginati come una successione di brani che vanno a formare una suite musicale: dagli esordi nella Los Angeles degli anni Quaranta fino alla scomparsa in Messico. Si parte così con “Eclipse” registrato da Mingus al Plaza Sound Studios, NYC, il 25 maggio 1960 e si chiude con “Sophisticated Lady” con esplicito riferimento all’episodio avvenuto a Yale nell’ottobre del 1972; era stato organizzato un concerto in onore di Duke Ellington e al concerto che faceva parte del programma Mingus era sul palco quando nel bel mezzo della musica un capitano della polizia arrivò nel retropalco per avvisare che era stata annunciata la presenza di una bomba. Tutti uscirono dalla sala a parte Mingus che continuò a suonare il suo contrabbasso da solo sul palco. Quando la polizia cercò di convincerlo a uscire come tutti gli altri lui rispose: «Io resto qui! Un giorno o l’altro devo morire, e non c’è un momento migliore di questo. Il razzismo ha messo la bomba, ma i razzisti non sono abbastanza forti da uccidere questa musica. Se devo morire sono pronto, ma me ne andrò suonando “Sophisticated Lady””. E così continuò a suonare da solo per venti minuti finché non fu annunciato il cessato allarme e il concerto riprese.
Insomma un libro che farà felice non solo quanti amano il jazz e i fumetti.

Marco Restucci – “Temporale Jazz” – arcana – Pgg.213 – € 16,50

Può un filosofo scrivere adeguatamente di jazz? E, viceversa, può un musicista jazz essere contemporaneamente un filosofo? La risposta ce la fornisce proprio Marco Restucci; laureato in filosofia, pubblicista e musicista si è occupato per anni di critica musicale,  mentre in ambito filosofico si occupa soprattutto di estetica, in particolare della dimensione sonora del pensiero. In questo libro affronta uno dei temi più affascinanti e controversi che da sempre animano il dibattitto sulla musica jazz: l’improvvisazione. Cos’è l’improvvisazione, come nasce, come si sviluppa, attraverso quali passaggi? Sono questi gli interrogativi, certo non semplici, cui Restucci fornisce risposte. Esaurienti? Onestamente credo proprio di sì in quanto l’Autore non si perde dietro inutili e fumose congetture, ma traccia un preciso percorso al cui interno possiamo davvero seguire nota dopo nota, passo dopo passo come il musicista improvvisa, come si rapporta con l’ascoltatore, come riesce a smuovere in chi ascolta sentimenti profondi, vivi, spesso in netto contrasto tra loro. Come si nota è materia davvero affascinante cui credo ognuno di noi avrà cercato, almeno una volta, di rivolgere la propria attenzione alla ricerca di risposte agli interrogativi di cui sopra. Per svelare l’arcano, l’Autore insiste prevalentemente sul concetto di “tempo”, con tutte le sue sfumature, quale componente essenziale della musica e della vita: il “tempo” viene declinato in esempi concreti, calato nella quotidianità: “percezione e tempo sono, infatti, i luoghi dell’improvvisazione – dimensioni estetiche in cui si muovono contemporaneamente musicista e spettatore – ma sono anche dimensioni dell’essere, forme di ciò che siamo, modi del nostro stare al mondo”. In effetti, scrive Restucci, “L’avventura sonora nel jazz deve sempre ancora accadere. Nessun jazzista verrà mai a raccontarci qualcosa di cui conosce già l’esistenza, qualcosa che esiste prima di esistere. E noi saremo lì, in quel tempo misterioso mentre accadrà, ne saremo parte, e qualora i suoni non dovessero riuscire completamente nel compito a loro più congeniale, quello di suonare risuonando dentro di noi, qualora non dovessimo sentirci protagonisti al pari dei musicisti, vivremmo l’avventura quantomeno da testimoni reali, presenti sulla scena del tempo, durante, mentre si spalanca davanti ai nostri occhi, mentre si forma dentro i nostri timpani”. Ecco questo è solo un piccolo assaggio di ciò che si può trovare all’interno di un libro che va letto, assaporato pagina dopo pagina anche da chi non si intende particolarmente di jazz. Anzi forse questi ultimi cominceranno ad apprezzare questa musica proprio per i contenuti veicolati da Restucci.

Con le masterclass di Roberto Gatto e Roberto Tarenzi, torna in presenza la didattica jazz di Celano Jazz Convention

Venerdì 27 agosto 2021, dalle 14 alle 17, Celano Jazz Convention torna alla didattica in presenza con due incontri di altissimo spessore. Il batterista Roberto Gatto e il pianista Roberto Tarenzi condurranno infatti due masterclass dedicate ai rispettivi strumenti, trasmettendo ai partecipanti l’importanza e il valore delle loro esperienze musicali, sia quelle più strettamente tecniche sia quelle maturate suonando dal vivo come leader di formazioni o al fianco dei più importanti protagonisti del jazz italiano ed internazionale.

Gli incontri si svolgeranno a Celano, nelle sale di Palazzo Don Minozzi. Per iscriversi, occorre prenotarsi inviando una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com. Il costo di iscrizione a ciascuna delle due masterclass è di 35€.

Roberto Gatto si esibirà in concerto, poi, nella serata di venerdì 27 agosto, sempre a Celano, alla guida del suo quartetto e con la presenza di Beatrice Gatto come ospite alla voce.

Roberto Gatto è sicuramente il più rinomato batterista italiano all’estero e vanta importanti partnerships con artisti del mondo del jazz e non solo. Nato a Roma il 6 ottobre 1958, il suo debutto professionale risale al 1975 con il Trio di Roma (insieme a Danilo Rea ed Enzo Pietropaoli) e da allora ha suonato in tutta Europa e nel mondo con i suoi gruppi e a fianco di artisti internazionali. È stato inoltre componente di Lingomania, una delle formazioni più importanti della storia jazz italiano. Oltre ad una ricerca timbrica raffinata e a una tecnica esecutiva perfetta, i gruppi a suo nome sono caratterizzati dal calore tipico della cultura mediterranea: questo rende senza dubbio Roberto Gatto uno dei più interessanti batteristi e compositori in Europa e nel mondo. Nella sua carriera musicale, Roberto Gatto ha collaborato come sideman con i più importanti interpreti della storia e dell’attualità del jazz internazionale: da Chet Baker a Freddie Hubbard e Lester Bowie, da Gato Barbieri a Kenny Wheeler e Randy Brecker e poi con Enrico Rava, Ivan Lins, Vince Mendoza, Kurt Rosenwinkel, Joey Calderazzo, Bob Berg, Steve Lacy e moltissimi altri.

Come leader ha registrato molti album: Notes, Fare, Luna, Jungle Three, Improvvisi, Sing Sing Sing, Roberto Gatto plays Rugantino, Deep, Traps, Gatto-Stefano Bollani Gershwin and more, A Tribute to Miles Davis Quintet, Omaggio al Progressive, The Music Next Door, Roberto Gatto Lysergic Band, Remebering Shelly, fino ai più recenti Sixth Sense, Now e My Secret Place. Nel corso degli anni ha composto musica per il cinema, in particolare insieme a Maurizio Giammarco la colonna sonora di “Nudo di donna” per la regia di Nino Manfredi, e, in collaborazione con Battista Lena, le colonne sonore di “Mignon e Partita”, che ha ottenuto cinque David di Donatello, “Verso Sera” e “Il grande cocomero”, tutti diretti da Francesca Archibugi.

Nel 1993 ha realizzato due video didattici “Batteria vol. 1 e 2”. È stato il direttore artistico di Jazz in progress presso il Teatro dell’Angelo a Roma. Per oltre dodici anni ha insegnato batteria e musica d’insieme presso i seminari di Siena Jazz. Ha frequentato il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma e il Conservatorio de L’Aquila. Roberto Gatto è titolare della cattedra di batteria jazz al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma.

Dopo lo studio del pianoforte classico, iniziato all’età di otto anni, Roberto Tarenzi scopre il jazz nell’adolescenza e studia con Enrico Intra e Roberto Pronzato ai Civici Corsi di Jazz di Milano, dove ottiene il diploma nel 1999, e frequenta i seminari della Berklee School a Umbria Jazz e i corsi di Siena Jazz.

Nel 1995 entra a far parte della Big Band diretta da Enrico Intra con cui incide quattro dischi e accompagna, tra gli altri, Dave Liebman, Max Roach, Bobby Watson, Bob Brookmeyer, Franco Cerri, Enrico Rava, Franco Ambrosetti. All’inizio del 2006 si trasferisce a New York per sei mesi, dove svolge un’intensa attività concertistica nei club e registra con la cantante Alice Ricciardi, Gaetano Partipilo, Franco Ambrosetti e Michele Bozza. Al ritorno dagli Stati Uniti, viene scelto assieme ad altri undici pianisti in tutto il mondo (tra cui Aaron Parks e Gerald Clayton) per partecipare al prestigioso “Thelonious Monk International Piano Competition”, esibendosi di fronte ad una giuria presieduta da Herbie Hancock e comprendente, tra gli altri, Danilo Perez e Andrew Hill. Nel 2008 si trasferisce a Roma e inizia una intensissima attività concertistica al fianco di Stefano Di Battista e Rosario Giuliani, collaborando altresì con Roberto Gatto, Maurizio Giammarco, Dario Deidda, Fabio Zeppetella, Fabrizio Bosso, Max Ionata e praticamente tutti i migliori musicisti della scena italiana.

A suo nome ha pubblicato diversi lavori discografici, tra i quali “Other Digressions”, “Trio Live”, “Love and Other Simple Matters” e “11 Little Things”, mentre con Cues Trio, formato insieme a Lucio Terzano e Tony Arco, ha inciso”Introducing Cues trio” e “Feel” con David Liebman come ospite.

Insegna stabilmente presso il Saint Louis College of Music di Roma, il Conservatorio di Latina, oltre a tenere seminari e workshop di improvvisazione.

Il percorso didattico di Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, torna in presenza dopo aver continuato le attività online durante il periodo della pandemia. Sia l’edizione 2020 della rassegna che le iniziative promosse nel corso dell’inverno si sono tenute in rete e hanno proposto i seminari condotti da alcuni dei protagonisti più rilevanti della scena jazz italiana come Marco Di Battista, Max Ionata, Giovanni Falzone, Luca Mannutza, Marcello Di Leonardo, Ada Montellanico, Claudio Filippini, Umberto Fiorentino, Roberto Gatto e Tino Tracanna e con un ospite di assoluto rilievo internazionale come Jerry Bergonzi.