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San Remo 2010

San Remo 2010

Questo è il verdetto del 60° Festival della Canzone Italiana di San Remo, anno del Signore 2010. Alla finale, secondo l’imperscrutabile giudizio del popolo sovrano, hanno avuto infatti accesso Marco Mengoni di X-Factor, Valerio Scanu di Amici ed Emanuele Filiberto di Savoia (insieme a Pupo e al tenore Luca Canonici). Ora, tralasciando per un momento le anacronistiche polemiche legate alla figura del poliedrico principe, siamo certo convinti che la musica italiana produca, abbia prodotto e produrrà artisti di livello ben superiore ai tre alfieri che questa sera si sono contesi la palma di vincitore del Festival, poi conquistata da Valerio (ennesimo trionfo di Maria De Filippi, dopo Marco Carta l’anno scorso. Nota: l’autore della canzone vincitrice è Pierdavide, concorrente attuale ad Amici).

In effetti, tranne Malika, Irene Fornaciari e forse Noemi, canzoni di livello quest’anno non se ne sono sentite. Simpatiche le performance di Arisa e Simone Cristicchi, profonda, dura e riflessiva quella di Povia (che dopo piccioni e gay “guariti” ha deciso di trattare il non facile tema dell’eutanasia in modo brillante e per nulla retorico).

Mentre la burrosa e bravissima Antonella Clerici, promossa a pieni voti per aver proposto una versione del Festival allegra e moderna, leggeva la classifica degli esclusi, si sentiva crescere la tensione e la contestazione da parte di pubblico e, per la prima volta almeno a nostra memoria, dell’orchestra: spartiti buttati e cori di dissenso in particolare dopo le eliminazioni di Malika e Irene Fornaciari, con richiesta di poter rendere pubblico il proprio voto; quasi una rivolta da parte della galleria al momento dell’annuncio dell’eliminazione anche di Noemi, con il passaggio del turno di Valerio, Marco e del trio Pupo-Savoia-Tenore. Ha faticato la paiettata Antonella a riprendere le redini della trasmissione in seguito ad una polemica che di musicale aveva ben poco. E provvidenziale è stato l’ingresso di un carismatico Maurizio Costanzo che, tra battute ed una alquanto demagogica intervista agli operai di Termini Imerese, è riuscito a ristabilire l’ordine.

Polemica non musicale, appunto. Al grido di “venduti” il pubblico ha contestato duramente il passaggio alla finale del trio di Pupo. Chiaramente la canzone non è di quelle che resteranno negli annali della musica italiana, ma né più e né meno di tutte le altre presenti in questa edizione del Festival. Chiaramente i fischi sono rivolti ad una persona, un ragazzo, elegante, spigliato e simpatico, che ha come unica colpa quella di essere discendente della real casa del nostro Paese. E di cantare una canzone in cui grida “Italia amore mio”, dichiarandosi fiero della propria cultura e della propria religione, cantando l’amore per una Nazione nella quale per molti anni non è potuto tornare. Fischi per lui? Per quello che rappresenta? Ma cosa rappresenta in fondo: una monarchia morta senza nessuna possibilità di essere riportata in vita, né che lui abbia mai espresso il desiderio di tornare sul trono d’Italia. “Italia amore mio”, lo gridiamo anche noi insieme al tenore Luca Canonici, dovrebbero gridarlo tutti gli italiani. Italiani come i Carabinieri e come l’omaggio alle tagliatelle al ragù con cui si è concluso lo show, in clima da varietà anni ’60. Brava Rai, brava Clerici, pessimo pubblico sia a casa (per i voti) sia in sala (per i fischi).

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