da Marina Tuni | 03/Dic/2023 | Classica, I nostri Eventi, News, Primo piano, Recensioni, Rubriche
A maggio di quest’anno ho avuto l’onore di intervistare il grande pianista ed improvvisatore Danilo Rea, esibitosi al Festival dell’Acqua di Staranzano (Go). In quell’occasione, durante la cena prima del concerto, ebbi modo di dialogare a lungo con Danilo e tra le cose che mi disse mi raccontò del progetto che aveva presentato in anteprima mondiale al Teatro Antico di Taormina: “La Grande Opera in Jazz”; Danilo ne parlò in termini così appassionati che, una volta giunta a casa, andai a cercare immagini e notizie del progetto innamorandomene all’istante!
Nei giorni scorsi, di ritorno da Roma, scopro che il progetto è nel cartellone musicale, curato da Simone D’Eusanio, del Teatro Comunale “Marlena Bonezzi” della mia città, il 1° dicembre. Potevo perderlo? Naturalmente no! Cercherò quindi di contagiarvi emotivamente, sperando di riuscire a condividere l’emozione che io ho provato in modo diretto in una forma istintuale di empatia «scintilla che fa scaturire l’interesse umano per gli altri», sentenziava lo psicologo Martin Hoffman, generata dalle mie parole.
Credo non sia necessario dirvi chi è Danilo Rea, pianista romano, maestro dell’improvvisazione, tra i maggiori esponenti del jazz italiano e internazionale, dotato di una straordinaria padronanza della tecnica e dell’armonia del pianoforte classico e jazz; se volete saperne di più vi rimando all’intervista sopra accennata (http://www.online-jazz.net/?s=danilo+rea ).
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
Danilo non è nuovo ad esperimenti di contaminazione con le arie d’opera, vedi “Lirico” (Egea Records, 2003), del resto stiamo parlando di un artista mai domo, capace di abbattere recinzioni e confini tra generi musicali per creare qualcosa di unico, congiungendo mondi all’apparenza lontani.
Ed unico è stato anche il concerto monfalconese: unico e probabilmente irripetibile, visto che Danilo, improvvisatore totale, inserisce in ogni sua performance citazioni sempre diverse, seguendo ispirazioni hic et nunc, dove nulla è preventivamente programmato, dove il suo estro creativo e la sua profonda conoscenza musicale gli consentono di vagabondare seguendo un corpus narrativo nel quale trovano spazio il jazz, la musica d’autore italiana e internazionale e, come in questo caso, le arie d’opera.
Unico dogma imprescindibile è il rispetto che Danilo ha nei confronti della melodia, che egli forgia aprendo inedite prospettive di ascolto.
Quindi, non chiedetegli mai una scaletta perché lui odia averne, Danilo è uno che ama inventare storie sempre nuove, uno che traduce in musica il suo lessico emotivo condividendolo generosamente con il suo pubblico.
Ritornando alla Grande Opera In Jazz, sul palco del Comunale, dove fa bella mostra di sé un meraviglioso gran coda Fazioli, si alternano note, voci e immagini che raccontano la storia del melodramma italiano. È Danilo stesso ad azionare un dispositivo che fa partire, sullo schermo alle sue spalle, il materiale visivo e sonoro; al di là del certosino lavoro di ricerca delle incisioni originali d’epoca, con le voci ripulite dalla parte strumentale, una citazione speciale va alla pittrice Rossella Fumasoni, che firma delicati e coloratissimi dipinti di volti e di corpi dove danzano, in movimenti evocativi di leggerezza e sospensione, petali, rose, farfalle, foglie, colibrì, di grande fascino.
Non si percepisce alcun distacco spazio-temporale tra le voci dei grandi cantanti lirici del passato e il pianoforte di Danilo Rea, che duetta con estrema naturalezza con Maria Callas (inarrivabili le sue interpretazioni di Casta Diva, la cavatina dalla Norma, preghiera elevata alla luna…) con Elisabeth Schwarzkopf (soprano tedesco dotata di una timbrica cristallina e di un’innata eleganza espressiva) con i grandi Mario Del Monaco, Enrico Caruso, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi e ancora con Maria Caniglia, Amelita Galli-Curci, Nazzareno De Angelis… nelle arie delle Opere più conosciute: Norma, Turandot, Traviata, L’Elisir d’Amore, Cavalleria Rusticana, Madama Butterfly, Tosca.
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
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Danilo Rea – Monfalcone – ph Katia Bonaventura
Ciò che stupisce maggiormente è il modo in cui Danilo riesce a raccordare, con una semplicità che disarma chi lo ascolta, i temi principali delle arie ad infinite citazioni… ed ecco, ad esempio, che Lucevan le stelle si trasforma in Les Feuilles Mortes e questa è solo una delle interazioni che il pianista romano crea nel corso dello spettacolo, così tante che è impossibile ricordarle tutte… cito My Favorite Things di Coltrane, la Barcarola di Offenbach, Bésame Mucho della Velázquez Torres e America di Leonard Bernstein con Libiamo ne’ lieti calici dalla Traviata di Verdi e poi le dolcissime Over the Rainbow che si mescola con Maria di Bernstein.
Il pianismo di Danilo è fluido e circolare – e talvolta lo sono anche i suoi movimenti mentre suona, quando le sue braccia disegnano orbite e le sue mani traiettorie imprevedibili – ed egli s’impossessa di ogni spazio abitabile del suo strumento, intercettando ogni minima sfumatura che un suono può contenere. Ed è così che in una fredda sera d’inizio dicembre, rapita da cotanta bellezza, dalla voce di Enrico Caruso e dalle architetture improvvisative di questo “jazzista imperfetto”, che trascendono qualsivoglia teoria musicale, negli occhi miei spuntò Una Furtiva Lagrima, mentre sullo schermo scorrono le immagini di una ballerina en pointe che danza con grazia, di vortici di foglie che si lasciano trasportare dal vento verso l’inesorabilità del loro destino autunnale, di due innamorati che si tengono per mano, scambiandosi tenerezze al crepuscolo. Omnia vincit amor et nos cedamus amori.
Danilo Rea – ph Luigi Ceccon
A completare il repertorio proposto nel corso della serata, oltre alla già citata Callas, Rea accompagna Mario Del Monaco in Nessun dorma, la Schwarzkopf in Addio al passato e in O mio babbino caro, l’Ave Maria cantata da Tito Schipa e poi Amelita Galli-Curci in Un bel dì vedremo dalla Madama Butterfly di Puccini, Giacomo Lauri Volpi in Di quella pira (con immagini di streghe al rogo…), Beniamino Gigli in E lucevan le stelle, e Nazzareno De Angelis in Dal tuo stellato soglio dal Mosè in Egitto di Rossini (sullo schermo appare anche il maestoso e furioso Mosè michelangiolesco che, come vorrebbe la leggenda, pare sia stato preso a martellate dallo stesso – altrettanto irascibile – scultore, piccato per non aver ricevuto risposta alla sua domanda «Perché non parli?», per quanto gli sembrava vivo e perfetto!).
In conclusione di serata, ritroviamo ancora Enrico Caruso in Tu ca nun chiagne e ‘O sole mio, brano che Rea interpreta magistralmente con passione ed enfasi, accennando nel finale alcune note di Nessun dorma. Splendide le immagini d’epoca di Napoli e New York, le città di Caruso e comunque curata nel dettaglio tutta la narrazione grafica e visual, compresi i suggestivi scorci di Roma, la città di Danilo.
Se pensate che il pubblico monfalconese lo abbia lasciato andar via dopo la superba esecuzione di ‘O Sole mio vi sbagliate di grosso.
Una selva di applausi ha convinto il nostro musicista a sedersi nuovamente al piano per regalarci ancora qualche scampolo della sua visione musicale, fatta di scomposizioni e ricomposizioni, di arrangiamenti e riarrangiamenti, di modellamenti e rimodellamenti, di demolizioni e ricostruzioni à sa manière, che ci hanno restituito un medley di brani di De André (La canzone dell’amore perduto e La Canzone di Marinella), di Tenco (Un giorno dopo l’altro), del suo sodale e compagno di tante avventure Gino Paoli (Sapore di Sale) e di Bindi (Il nostro concerto), in una concatenazione di sbalorditive improvvisazioni, a cavallo tra virtuosismo e lirismo, che gli hanno fatto meritatamente guadagnare l’appellativo di “grande poeta” tra i musicisti di jazz, oltre ad essere spesso accostato all’immenso Keith Jarrett… e scusate se è poco!
Marina Tuni ©
A Proposito di Jazz ringrazia l’Ufficio Teatro del Comune di Monfalcone e la fotografa Katia Bonaventura per le immagini
da Amedeo Furfaro | 28/Gen/2023 | Novità, Primo piano, Recensioni
La seguente selezione di dieci album è un Decathlon fatta per “disciplina” di strumento dei leader di formazione. Ovviamente la scelta è un’istantanea hic et nunc, dettata dal momento. E’ un po’ come al Fantabasket od al Fantacalcio! Si individuano le individualità fra quelle più in forma, e si inseriscono a tavolino in una squadra virtuale che esiste solo sulla carta. Dopo un po’ è prevista una rotazione dei nomi, oltretutto quella proposta non è una classifica delle valenze ma una inquadratura parziale del materiale discografico che ci si ritrova in attesa di esaminarne dell’altro. Il team che ne vien fuori è un ipotetico ensemble di cd con sax/tromba/piano/tastiere/vibrafono/violino/contrabbasso/batteria/percussioni/musica d’insieme.
- Stefano Conforti Quintet, Different Moods. Omaggio a Yusef Lateef, Notami Jazz
L’omaggio a Yusef Lateef (William Evans), grande tenorsassofonista flautista oboista e fagottista americano, come quello che Stefano Conforti ha prodotto per Notami Jazz è di quelli destinati a lasciare il segno. Intanto è un tributo, oggi a dieci anni dalla morte, ad un jazzista dal curriculum straordinario che annovera collaborazioni con Gillespie, Burrell, Grant Green, Mingus, Fuller, Cannonball e Nat Adderley, Lawson, Cecil McBee, ma soprattutto a chi ha sviluppato, dopo gli inizi bop, “different moods” di un “sound ricco e denso di growl “ (Barithel-Gauffre) con influssi mediorientali. Pur consapevole nella difficoltà ad accostarsi ad un siffatto polistrumentista il sassofonista-flautista-oboista italiano vi si è cimentato disinvoltamente nell’album “Different Moods. Omaggio a Yusef Lateef”, inciso per Notami Jazz, con la formazione che vede Doriano Marcucci a chitarra acustica trombone didgeridoo e percussioni, Tonino Monachesi alla chitarra elettrica, David Padella a basso elettrico e contrabbasso e Roberto Bisello alla batteria. Il quintet ha riproposto in tutto otto brani – fra i quali “Metaphor”, “Road runner”, “The Golden flùte”, “Belle isle”, “Spartacus” di Alex North – con buona resa specie se si pensa a certi tributi alla naftalina che capita di ascoltare qua e là. Le esecuzioni, se non sono calligrafiche sul piano filologico-musicale, lo sono a livello di sonorità estesa e tensione distesa nel segno di un musicista dalla narrazione inzeppata di riferimenti filosofici e poetici, espressi tramite una musica che lui stesso ha definito “auto-fisiopsichica”.
- Sean Lucariello, Despite It All, Caligola Records
Gli editor italiani fanno sempre più scouting. Succede anche in campo discografico con label come Caligola Records che pubblica lavori di giovani e/o esordienti per rimpolpare di forze fresche il catalogo. Una politica editoriale che spesso viene premiata dagli ok di pubblico e critica, prospettiva che saremmo pronti a sottoscrivere per l’album Despite It All del trombettista-flicornista nonché compositore Sean Lucariello. E’ indubbio che questa coppia di strumenti principe del jazz ha sempre un fascino che seduce. Ed è di un camaleontismo unico il suo modificarsi a seconda della collocazione. Nel quintetto italo-spagnolo assortito da Lucariello che vede Edoardo Doreste Velasquez a sax soprano e alto, Sasha Lattuca al pianoforte, Francesco Bordignon al contrabbasso e Ignacio Ampurdanès Ruz alla batteria, la cornice è l’esatto contrario dello strepitio tanto è armonicamente sottile. E la tromba, il cui suono a momenti pare richiamare il Wheeler più compassato, vira sciolta la canna d’imboccatura in brani come l’introduttivo “Astral Conjunctions” scritto da Bordignon seguito da “Il Maestro e la Margherita” che il leader ha inteso dedicare a Bulgakov. L’attenzione letteraria è comune con il pianista, autore della suite “Tendre Est La Nuit”, chiaro il riferimento al romanzo di Fitzgerald, dove pare che la tastiera rincorra il silenzio, forse la vera e segreta aspirazione della musica, nonostante tutto. Lasciando scorrere il cd dall’ulteriore “notturno” “Song With No Title” si passa poi ad una atmosfera di taglio più nettamente bop in “The Beaty of Boredom” mentre In “Five”, pezzo di Matteo Nicolin, gli accenti si fanno più metropolitani grazie al piglio elettrico del Fender Rhodes di Lattuca.
- Federica Lorusso, Outside Introspections, Zennez Records/Abeat
Con un album inciso in Olanda per la Zennez Records, la Abeat Records presenta anche sul mercato italiano Outside Introspections, firmato dalla giovane pianista italiana Federica Lorusso. La musicista fa da calamita nell’ integrato interplay del 4et con Claudio Jr. De Rosa al tenore (e ad al clarinetto in “Take A Breath”), David Macchione al contrabbasso ed Egidio Gentile alla batteria. I jazzisti dimostrano singolarmente di poter vantare notevole “arte/fare” nei nove brani in cui il sax lascia sgolare una “voce” suasiva, il contrabbasso inchioda una probante cadenza nel timing, la batteria gioca costante sull’accentare e sincopare, la leader canta a mò di octaver, unisonica sulle note della tastiera: indizi che fanno la prova di un percorso agile per esporre, esplicare, esplicitare the hidden side of the music. Dall’inside all’extroversion, all’outside i vari gradi compositivi arricciolano un bijou di tracklist che gronda di “assorbimenti” stilistici che non vogliono essere, come il titolo del cd, degli ossimori stilistici – postbop-fusion, pop-classical – che poi tali non sono specie se innaffiati di quei semi creativi sparsi anche nella regione dei tulipani.
- Enrico Solazzo, Perfect Journey, Millesuoni/ Via Veneto Jazz
Se esiste una chiave per creare connessione autentica col pubblico quella è anzitutto la musica. Ed esiste un tipo di comunicazione musicale che avvicina perché la si avverte, semplicemente, coetanea. Il tastierista Enrico Solazzo ce ne dà un saggio con l’album Perfect Journey edito da Millesuoni (mai marchio fu più illuminante) della ViaVeneto Jazz. Vi sono esaltate le sue capacità di arrangiatore, oltre che di solista, unitamente a quelle di musical coach in quanto allenatore di un team che conta qualcosa come quaranta fuoriclasse. Riesce alquanto difficile elencarli tutti per ragioni di spazio. Qualche nome? Dennis Chambers, Gumbi Ortiz, John Pena, Kadir Gonzalez Lòpez, Niclas Campagnol, Baptiste Herbin, Lo Van Gorp fra gli stranieri. Roberto Gatto, Stefano Di Battista, Antonio Faraò, Fabiana Rosciglione, Tony Esposito, Gegè Munari fra gli italiani. Insomma un bel “gruppo misto” alle prese con una quindicina circa di brani fra originali e standard di musica internazionale. Tornando al discorso iniziale come fa un professionista, quale Solazzo, è a comunicare la propria musica nell’epoca dei podcast e del gaming? Intanto non basta esser maestri dell’ entertainment. E non è sufficiente riprendere alla grande hits tipo “Crazy” o “Caruso” per avvicinare l’audience. Ogni epoca ha suoni che le si confanno. Ad esempio le keyboards midi avevano un suono che oggi risulterebbe datato come un moog così come certi effetti campionati. La particolarità di questo disco, a parte il caleidoscopio di collaborazioni, sta nell’aver lo strumentario giusto per l’oggi, nell’averne saputo introiettare lo zeitgeist più positivo con gli arrangiamenti, nel trasmetterlo ad un ampio ventaglio di fasce d’ascolto come tappe di un viaggio perfetto, quello di Enrico Solazzo, di Brindisi: da brindisi!
- Michele Sannelli & The Gonghers, Inner Tales, Wow Records.
Mezzo secolo dopo i ’70 si può ancora suonare progressive? La risposta è affermativa se non ci si limita a frugare nel modernariato dei suoni vintage o nei mercatini del suono usato. Il prog, alla mezz’età, si presenta quale estetica musicale vigente, contermine a rock e jazz rock. Vero è che in alcuni casi si è assistito ad un ritorno regressivo all’infanzia e in altri la senescenza ne ha incanutito sembianze e portamenti baRock. Quando però capitano fra le mani album energici e briosi come Inner Tales, della Wow, inciso dal vibrafonista Michele Sannelli & The Gonghers, si ha cognizione di come quel “non genere” abbia ancora un carattere … progressivo. Della band, finalista al contest Jam The Future – Music For A New Planet di JazzMi nel 2019 e, nel 2022, prima al Concorso “Chicco Bettinardi” di Piacenza, fanno parte il chitarrista Davide Sartori, il tastierista Edoardo Maggioni, il bassista/contrabbassista Stefano Zambon e il batterista Fabio Danusso. Questo disco d’esordio rivela ad una platea potenzialmente più ampia dei palcoscenici che i musicisti già calcano una forgiata vis sperimentativa che è uno degli stampini del prog brand. Vi campeggiano due icone: Dave Holland in uno dei sette brani di Sannelli (“Uncle Dave”) eppoi c’è il richiamo in denominazione al gruppo space rock dei visionari Gong di Daevid Allen, fondatore degli psichedelici Soft Machine. Le “Storie interne” al compact, dalla romantica “Song for Chiara” all’iterativo “Circle”, dal marcato “Hard Times” al soffuso “Green Light”, dal dinamico “Run Mingo Run” al lirico “Just in Time to Say Goodbye”, vanno peraltro lette non solo in termini di rivisitazione di modelli esistenti bensì di riscoperta di quei modi di far musica d’insieme che risorgono ciclicamente, resistenti alle intemperie, “eterne modernità” per dirla alla Sironi.
- Francesco Del Prete Violinorchestra, Controvento/Dodicilune.
Fra musica e vino, dicono studi scientifici, esiste una relazione profonda. Il rapporto interessa anche i musicisti, si pensi all’opera (“Fin ch’han dal vino”, dal Don Giovanni di Mozart), ai walzer di Strauss (“Vino donna e canto”), agli standard jazz (“The Days of Wine and Roses”), al canto nero di Nina Simone (“Lilac Wine”), al blues di Amy Winehouse (“Cherry Wine”, coautore Nas), al soul/r&b di Otis Redding (“Champagne and Wine”), al pop di Adele (“Drink Wine”). Dalle nostre parti si ritrovano gli stornelli di Gabriella Ferri (“Osteria dei magnaccioni”), le note cantautoriali di Modugno (“Stasera pago io”), Gaber (“Barbera e champagne”), Guccini (“Canzone delle osterie di fuori porta”) con il rock di Ligabue (“Lambrusco e popcorn”) e Zucchero (“Bacco perbacco”) e la “chanson” di Sergio Cammariere (“Il pane il vino la visione”).
Dalla terra dei messapi si segnala, nella corrente annata discografica, l’album Rohesia di Francesco Del Prete con la Violinorchestra (Controvento/Dodicilune). Un lavoro non della serie jazz & wine, questo del violinista salentino gravitante anche in area jazz, essendo intriso di sonorità legate al territorio in cui si vendemmiano i cinque vini della Azienda Cantele a cui sono dedicati altrettanti brani. Scrive al riguardo Maria Giovanna Barletta che “in Rohesia Pas Dosè, Rohesia Rosso, Teresa Manara, Rohesia Rosè ed Amativo, ecco una diversità resistente che si riappropria attraverso l’arte poetica della melodia del qui e ora”. Il compact, nel cui progetto sono partecipi Lara Ingrosso (voce), Marco Schiavone e Anna Carla Del Prete (violoncelli), Angela Così (arpa), Emanuele Coluccia (piano) e Roberto “Bob” Mangialardo (chitarre), ha un booklet-winelist esplicativo sui “nettari degli dei” oggetto della selezione e sulla musica loro abbinata a mò di etichetta. Amalgamando pizzica e swing, elettronica ed echi mediterranei, a seconda del carattere e delle caratteristiche, non solo organolettiche, del vino da “sonorizzare”, Del Prete ha generato un prodotto originale che oltretutto fornisce un esempio di come la musica possa essere alleata di un’economia resa “circolare”. Da un disco.
- Marco Trabucco, X (Ics), Abeat Records
X (Ics), a marchio Abeat Records, del contrabbassista Marco Trabucco, è album che trae spunto nel titolo dal numero decafonico dei ruoli musicali che vi figurano, appunto dieci (Scaramella, pf; Colussi, dr; Vitale, mar; Ghezzo, g.; Andreatta, v.; Dalla Libera, viola; Calamai, fl.; Pennucci, cor., oltre Trabucco nella doppia veste di compositore e strumentista). X, inoltre, rimanda, come scrive Paolo Cavallone nelle liner notes, “all’incognita che risulta dall’accostamento di sonorità cameristiche classiche con quelle del jazz”. X potrebbe stare anche per Pareggio vista l’equivalenza degli apporti fra legni-ottoni e jazz 4et di base con rivoli afrofolk a base di balanon (e marimba). I brani, in tutto cinque che è la metà di dieci (“One For Max”, “Open Space”, “Untitled”, “Meraki”, “Otranto”), scorrono limpidi come un ruscello alle falde di una montagna tant’è che non si avverte (di)stacco fra l’uno e l’altro. Segnale, questo, che la spinta inventiva ha origine da uno statuto creativo fondato su idee fluide sul come moltiplicare (ancora x) temi armonie timbri spazi improvvisativi sui due confini, classica e jazz, promossi a zona franca da etichettature di sorta. Un disco, inoltre, contrassegnato da atmosfere rarefatte e da un lessico talora minimalista – chissammai perché la mente va al film Dieci di Kiarostami – in cui il regista Trabucco da autore si cala appieno nel “personaggio” del musicista che sa trasmettere, agli/cogli altri interpreti, il gioco instabile, tipo playing 1X2 dove è sempre la X a funzionare da centro di gravità.
- Andrea Penna, A New World, Workin’ Label.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Dvorjak dedicò al Nuovo Mondo la Sinfonia n. 9! Eppure l’aspirazione/ispirazione dettata dal desiderio, magari utopico, di un mondo diverso e migliore, affiora ancora fra i musicisti. Il batterista-compositore piemontese Andrea Penna, con il c.d. A New World (Workin’ Label), è uno dei pensierosi visionari che “usano” la musica per autoproiettarvi i riflessi interiori del proprio mondo in osservazioni (“It Was Just Like That”), ricordi (“Poki”, “In My Arms”), emozioni (“E Fuori piove”), ritratti (“1B My Dear”), flashes (“Tutto in un Momento”) ora raccolti e ordinati. Ah, ecco perché i dischi li chiamano album! Il relativo sound registra umori provenienti dalla memoria – richiami GRP, echi travel/metheniani, ibridismi similrock – nello sfarinare una tracklist di nove brani di fusion effusiva grazie alla formazione che vede Massimo Artiglia a piano e tastiere, Luca Biggio ai sax, Mario Petracca e Andrea Mignone alle chitarre, Umberto Mari al basso e voce, Antonio Santoro al flauto. Se è lecito esprimere una preferenza la scelta cade sul brano d’apertura, “Parlami Ancora”, “scritto immaginando il mare, il discorrere intenso e rilassato passeggiando sulla spiaggia, con qualche brivido di gioia ed una grande voglia di libertà”. Giusto e opportuno antecederlo per far assaporare da subito il gusto della scoperta dell’immaginifico New World di Andrea Penna.
- Roberto Gatti, Amanolibera, Encore Music
Quello delle percussioni è un mondo a sé stante con la propria storia, le riviste, i libri, le cattedre, i miti: Don Azpiazù, Ray Barretto, Alex Acuna, Airto Moreira, Chano Pozo, Mino Cinelu, Ralph MacDonald, James Mtume … Quello delle percussioni non è un mondo a sé stante in quanto legato a filo doppio con gli altri strumenti che ne valorizzano al meglio le peculiarità. Sono due affermazioni uguali e contrarie. E bisognerebbe aggiungerne una terza, sempre ambivalente, che le percussioni possono rappresentare un’idea ritmica della musica, il latin, ad esempio, in cui la collocazione solistica è al tempo stesso elemento funzionale spesso imprescindibile dell’ensemble. L’album Amanolibera di Roberto Gatti, percussionista, edito da Encore Music, con circa una trentina di musicisti coinvolti nel progetto – fra gli ospiti anche Horacio El Negro Hernandez, Paoli Mejias, Oscar Valdes, Roberto Quintero, Jhair Sala, Gabriele Mirabassi, Lorenzo Bisogno, Tetraktis – documenta quanto il percussionismo, in particolare quello di spanish tinge, ne sia elemento vitale appunto insostituibile. Gatti vi si è cimentato anche a livello compositivo ragionandoci sopra con un drum set di congas, bongos, cajon, timbales, voce, tessendovi sei brani degli otto in scaletta (“Gatti Song”, “Bombetta”, “Chachaqua”, “Roberto’s Jam”, “Rumba per Giovanni”, “Jicamo 2.0”) in alcuni casi cofirmati, recitando così free hand un rosario sonoro allargato in sincronia al Sudamerica ed in diacronia a figure storiche dell’afrocubanismo. “La Comparsa” di Lecuona e “Giò Toca” di Valdes sono i due pezzi che Gatti non ha assortito dalla collezione personale, consentendo a chi ascolta un ritorno a melodie già metabolizzate con le sue percussioni a far da sorelle siamesi di una batteria con cui dialogare fittamente, da minimo comun denominatore che diventa massimo comun divisore di microscansioni particellari e poliritmie a catena.
- No Profit Blues Band. Helpin’ Hands. 20th Anniversary LILT di Treviso.
Musica e medicina. Un’arte e una scienza. Con tante applicazioni e “trasfusioni” dall’area sanitaria a quella musicale destinate a creare effetti benefici di vario ordine, a partire dalla musicoterapia. E sono tanti gli operatori del ramo che hanno coniugato Esculapio ed Euterpe. Pensiamo a medici-compositori come Borodin, ai cantautori Jannacci e Locasciulli, a uno stimato pianista jazz come Angelo Canelli, a trombettisti come il docente di ginecologia Nando Giardina della Doctor Dixie Jazz Band, a chitarristi come il radiologo Vittorio Camardese sperimentatore del tapping sulla seicorde, al medico-batterista Zbigniew Robert Prominski membro dei Behemoth (collaboratore degli Artrosis, tanto per rimanere in tema)… Fra gli stili il blues (e derivati) si evidenzia come una fra le più azzeccate medicine dell’anima. Sono vent’anni che lo sperimenta sul campo la No Profit Blues Band che, per il compleanno, presenta l’album Helpin’ Hands frutto della collaborazione con la LILT di Treviso. Dismessi camici e mascherine, messi nel cassetto bisturi e stetoscopi, la band di professionisti della sanità con pianoforte (Alberto Zorzi), chitarra (Maurizio Marzaro), batteria (Danilo Taffarello), basso (Matteo Gasparello), voci (Teo Pelloia, Jessica Vinci, Luisa Lo Santo, Elisabetta Monastero), saxes ( Giacomo “Jack” Berlese) e armonica (Mauro Erri) ha adoperato un altro tipo di attrezzatura per “radiografare” i dintorni del blues . Scopo dell’”operazione”? Far sorridere i pazienti della LILT trevigiana diffondendo pillole di buonumore con iniezioni di spensieratezza. Un ensemble, il loro, mosso esclusivamente dal piacere di offrire la loro musica come antidoto per quanti vi possano trovare motivo di distrazione. Va detto che i pezzi in scaletta sono stati scelti ed eseguiti con maestria e verve. In scaletta ci sono “Smile” di Chaplin (cavallo di battaglia del fisiatra Zorzi), “Mustang Sally” di Rice (si è in pieno r&b alla Pickett ), “Summertime” (Gershwin forever), “Route 66” di Troup (con versioni che vanno da Nat King Cole agli Stones), “Unchain My Heart” di Sharp (ripreso divinamente fra gli altri da Joe Cocker), “Hoochie Coochie Man” di Dixon (Muddy Waters uber alles), “I Got A Woman” e “Halleluja I Love Her So” di Ray Charles, “Let The Good Times Roll” hit di B.B. King … Musica angelica, macchè diabolica, per lenire le ferite dello spirito.
da Marina Tuni | 21/Mar/2022 | Appuntamenti, Classica, I nostri Eventi, News, Primo piano
Coltivare giovani talenti e implementare le loro potenzialità e creatività, trasformandole in opportunità per il futuro. Questa, succintamente, la mission di “Musica con le Ali”, sodalizio milanese di patronage artistico che nasce per volere di Carlo Hruby, che ne è presidente, in seno alla Fondazione “Enzo Hruby”.
Venerdì 18 marzo, nelle Sale Apollinee della Fenice di Venezia, stupendamente tappezzate di damasco in stile neoclassico, è stata presentata la quarta edizione della stagione concertistica “Musica con le Ali 2022”, realizzata con l’importante partenariato della Fondazione Teatro La Fenice. Il ricco calendario prevede otto appuntamenti: 24 marzo, 14 aprile, 19 maggio,16 giugno, 6 e 13 ottobre, 10 novembre e 1 dicembre, tutti programmati di giovedì, con inizio alle ore 18. I concerti proposti hanno un nobile denominatore comune, ovvero fornire un’importante esperienza di crescita ai giovani interpreti emergenti, grazie anche al confronto con alcune figure di spicco della musica classica.
Ha aperto la serie di interventi Fortunato Ortombina, Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro La Fenice – «la casa dei veneziani, nonché il Teatro più bello del mondo» – esprimendo profonda soddisfazione per il rinnovarsi di questa brillante interazione tra impresa e istituzione, essenziale per il futuro della musica, «entità sovrana sulla terra e linguaggio universale che s’impara prima ancora di iniziare a parlare».
Andrea Erri – Direttore Generale del Teatro, parla del rapporto fecondo instauratosi con Musica con le Ali, che condivide il ruolo di funzione sociale della Fenice, non un luogo d’élite ma una struttura aperta e accogliente per i 340.000 visitatori e spettatori che hanno ammirato la bellezza del teatro e premiato le sue proposte artistiche. «Far lavorare i giovani talenti con musicisti di esperienza – afferma Erri – significa trasferire competenze, in una staffetta ideale tra artista affermato e in erba ma con grandi potenzialità per il futuro. Le ali sono uno strumento per volare ma anche per proteggere», richiamando il nome dell’associazione e le sue nobili finalità di patronage artistico.
In chiusura, i ringraziamenti di Carlo Hruby nei confronti dei vertici del Teatro, nel quale Musica con le Ali ha trovato una calorosa e sincera accoglienza per un progetto che ha visto la sua genesi proprio alla Fenice e che posegue grazie ad un’attenta e lungimirante condivisione, in cui il concerto è solo uno tra i tanti strumenti messi a disposizione dall’associazione, che comprendono la partecipazione a festival e rassegne, la produzione di incisioni discografiche con le principali label, il fattivo supporto nella comunicazione e nella promozione dei giovani interpreti anche tramite Radio MCA, la web radio nata nel 2020 e dedicata alla musica e all’arte. I giovani artisti, le cui candidature provengono da Conservatori, Fondazioni e Scuole di Musica, vengono così presi per mano e guidati in un percorso di crescita professionale per valorizzarne il talento, che fornirà loro un prezioso biglietto da visita per intraprendere una carriera internazionale ad alto livello. L’azione di patronage si esaurisce nel momento in cui l’artista sarà in grado di volare con le proprie ali… ali vere e non di cera come quelle di Icaro, che si sciolsero al calore del sole… (Non rammaricarti mai per la tua caduta, o Icaro del volo senza paura. Perché la più grande tragedia di tutti è non provare mai la luce che brucia…O. Wilde)
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Ludovica De Bernardo
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Gennaro Cardaropoli
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Gennaro Cardaropoli
Entrando nel dettaglio, si parte giovedì 24 marzo con il violinista Gennaro Cardaropoli – fresco vincitore dell’autorevole Premio ICMA (International Classical Music Awards) come “Migliore Giovane Musicista dell’Anno”ed anche del prestigioso 1st Grand Prize all’Arthur Grumiaux International Violin Competition, unico vincitore italiano nella storia del concorso – e la pianista Ludovica De Bernardo, che presenteranno l’iridescente e vibrante Sonata n. 1 per violino e pianoforte op. 13 di Gabriel Fauré, suo capolavoro di età giovanile, Humoresque in sol minore di Ottorino Respighi, il più lungo dei Cinque pezzi per violino e pianoforte, i plastici affreschi sonori della Sonata per violino e pianoforte op. 22 di Giuseppe Martucci e il signorile virtuosismo del compositore polacco Henryk Wieniawski nel suo Tema e Variazioni.
Ricordiamo ai nostri lettori che Cardapopoli e De Bernardo si esibiranno anche martedì 22 marzo alle ore 18.30 al Ridotto dei Palchi “A. Toscanini” del Teatro alla Scala (info: tel. 02.38036605, info@musicaconleali.it), nel concerto inaugurale dell’edizione 2022 della rassegna “Il Salotto Musicale”, frutto dell’accordo tra l’Associazione Musica con le Ali e il Museo Teatrale alla Scala di Milano.
Il variegato cartellone prosegue il 14 aprile con la performance del TulipDuo formato dalla violista Eleonora de Poi e dal pianista Massimiliano Turchi, tributo alla temperie romantica e ad alcuni dei suoi compositori simbolo quali Schumann, Glazunov, Schubert e Fauré.
Il 19 maggio sarà la volta di un abbinamento decisamente intrigante, e tutto all’insegna della bellezza, tra contrabbasso e arpa. Le protagoniste saranno Valentina Ciardelli e Anna Astesano che sapranno coinvolgere il pubblico in un nuove avventure musicali con trascrizioni tratte da Puccini e Ravel e presentando una composizione originale della Ciardelli in anteprima assoluta.
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TulipDuo – M. Turchi, E. de Poi
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Anna Astesano, Valentina Ciardelli
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Simona Ruisi
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Federico Guglielmo
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Federico Guglielmo
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Maria Salvatori
Il 16 giugno il celebre violinista padovano Federico Guglielmo, che la stampa americana ha definito “la nuova stella nel panorama della musica antica”, affiancherà le giovani musiciste, sostenute da Musica con le Ali, Simona Ruisi (viola) e Maria Salvatori (violoncello) in un repertorio nel segno del classicismo con sonate di Beethoven, Schubert e Sinigaglia.
Debutto importante il 6 ottobre per il Duo David, ovvero Francesco Angelico (violoncello) e Giulia Russo (pianoforte) che si esibiranno in sonate di Debussy e Rachmaninov con un’autentica chicca: la riscoperta (finalmente!) del compositore napoletano Mario Pilati, di cui interpretano la Sonata in Re del 1929, dal fascino prepotente, edita per la prima volta proprio dal duo in un recente progetto discografico.
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Duo David – F. Angelico, G. Russo
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Martina Consonni
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Fabiola Tedesco
Il 13 ottobre si va nella direzione della forma sonata classica per violino e pianoforte con la violinista Fabiola Tedesco e la pianista Martina Consonni, in un personale omaggio a Beethoven, a Richard Strauss e allo spagnolo Joaquín Turina.
Il penultimo appuntamento, il 10 novembre, sarà incentrato sull’incontro tra il clarinetto di Clara Ricucci e il pianoforte di Federico Pulina, impegnati in una lettura dialogica di brani di Weber, C. Schumann, Widor e Busoni.
La stagione concertistica “Musica con le Ali” 2022 non poteva concludersi in modo migliore, il primo dicembre, con l’imperdibile concerto di una tra le pianiste di fama internazionale più ecletticamente crossover della sua generazione (è del 1986), la veneziana Gloria Campaner, qui assieme alla giovane violinista Sara Zeneli con un repertorio di brani del post-romantico César Auguste Franck e dell’eccentrico e innovativo Maurice Ravel.
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Clara Ricucci, Federico Pulina
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Gloria Campaner (ph. B. Knight)
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Gloria Campaner (ph. B. Knight)
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Sara Zeneli
In questi anni, Musica con le Ali ha saputo ben radicarsi nel tessuto cittadino stringendo importanti rapporti di collaborazione con la Scuola Navale Militare Francesco Morosini e con il Master MaBAC dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, offrendo inoltre tariffe vantaggiose ai residenti nella Città Metropolitana di Venezia e agli studenti.
I biglietti della stagione concertistica sono acquistabili presso la biglietteria del Teatro La Fenice e in prevendita presso le biglietterie Vela Venezia Unica.
Biglietteria online: www.teatrolafenice.it – www.events.veneziaunica.it
Biglietteria telefonica: Tel. 041 2722699
Prezzi dei biglietti: Sale Apollinee €20. Riduzioni: residenti e over 65 €16; studenti €10
Abbonamenti: intera stagione €120; tre concerti nelle Sale Apollinee €50; abbonamento sostenitore €170.
Per informazioni: Tel. 02.38036605; info@musicaconleali.it – www.musicaconleali.it
Marina Tuni
da Marina Tuni | 10/Set/2021 | Classica, News, Primo piano, Recensioni
Evento speciale e di grande prestigio per il 39esimo Festival Internazionale di Musica di Portogruaro (VE) – curato da Alessandro Taverna – una cittadina che è un piccolo gioiello di arte, storia e cultura con un profondo senso di comunità, valore teorizzato da Platone nel definire la città ideale (“Repubblica”), dove la musica era identificata come “palestra dell’anima”.
Sabato 4 settembre si è svolto in Piazza della Repubblica il concerto della Banda dell’Arma dei Carabinieri, diretta dal M° Massimo Martinelli, per ricordare e celebrare tre importanti anniversari della storia del nostro Paese: i 160 anni dall’Unità d’Italia, i 100 anni del Milite Ignoto (sulla piazza è posizionato dal 1928 un monumento alla memoria dei caduti, opera dello scultore Gaetano Orsolini) e i 75 anni della Repubblica Italiana. Il concerto è stato organizzato con la collaborazione della Fondazione milanese “Enzo Hruby”, dal 2007 in prima linea per il suo impegno nella protezione del patrimonio culturale italiano e nella diffusione della cultura della sicurezza (in calce a questo articolo troverete i contributi di Carlo Hruby, vice presidente della Fondazione e di Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival e pianista di indiscussa fama internazionale).
Dopo il concerto, presentato con grazia da Monica Rubele, ho avuto anche modo di incontrare e intervistare il M° Martinelli, ormai un amico, avendo collaborato ai due concerti – che ho poi seguito a Roma e recensito qui – prima dello stop a causa della pandemia, per gli annuali di fondazione dell’Arma, nel 2018 all’Auditorium della “Nuvola” di Fuksas e nel 2019 al Teatro dell’Opera.
Vorrei qui ricordare che nel 2020 Massimo Martinelli ha festeggiato 20 anni di Direzione della Banda dell’Arma, che affonda le sue origini a duecento anni fa ed è attualmente composta da 102 orchestrali. In questi anni, la sua impronta e la sua lungimiranza, che trascende gli impegni istituzionali, si sono fatte sentire. Martinelli è intervenuto sul repertorio, non fermandosi a quello classico ma ampliando l’orizzonte stilistico al jazz, al pop, al rock, alla world, alle musiche da film, con una notevole apertura verso collaborazioni con musicisti che sulla carta sarebbero potute apparire “improbabili” e invece si sono rivelate “magiche”; ha introdotto nuovi strumenti all’organico, sperimentando sonorità inconsuete e colori nuovi; gli estimatori dell’Orchestra sono sempre più numerosi, grazie anche ad apparizioni in programmi televisivi popolari e ai meravigliosi concerti in tutto il mondo! L’ultimo che ho visto è stato semplicemente spettacolare, nella suggestiva scenografia naturale della piana di Castelluccio di Norcia.
Della performance di Portogruaro inizio col dirvi che la Banda dell’Arma si è esibita con un organico ristretto ad una cinquantina di professori d’orchestra, questo a causa delle ancor stringenti disposizioni per il contrasto al Coronavirus.
Il tema del festival di quest’anno è “Ouverture”, che non è un semplice titolo ma una vera e propria dichiarazione d’intenti, un segnale di ottimismo e di apertura verso scelte coraggiose. E ouverture sia, dopo mesi e mesi di fermeture… affinché la sofferenza diventi un’opportunità per ridisegnare una società più solidale e inclusiva e per rendere più umano il futuro.
E il M° Martinelli, in perfetta consonanza con il tema, ha scelto di iniziare da tre delle Ouverture più famose: quelle delle opere rossiniane “Guglielmo Tell” e “La Gazza Ladra” e della verdiana “I Vespri Siciliani”. Per i pochi che ancora non lo sapessero, entrambe le ouverture di Rossini sono state utilizzate da Stanley Kubrick nella colonna sonora del suo “Arancia Meccanica” e quella del “Guglielmo Tell” nel film subisce una vera e propria dissacrazione in una versione accelerata a dir poco schizofrenica…
L’arciere Guglielmo Tell scocca la prima freccia e l’inconfondibile rullo dei timpani, come un tuono in lontananza, preannuncia la tempesta sonora imminente. Tratta dalla tragedia di Schiller, l’opera è l’ultima composta da Rossini, senza dubbio il suo opus magnum, e la Banda esegue l’introduzione evidenziando con impeccabile maestria gli accesi contrasti della natura, elemento primario in tutta l’opera, tanto splendida quanto crudele, in una continua altalena tra l’oscurità e la luce, come in un dipinto caravaggesco.
La melodia iniziale è meravigliosa, così come il celeberrimo galop finale, introdotto dalle trombe e interpretato da tutta l’orchestra, con le sue figurazioni ritmiche puntate. “L’espressione musicale sta nel ritmo, nel ritmo tutta la potenza della musica”. (G. Rossini)
La sinfonia introduttiva dell’opera di Giuseppe Verdi “I Vespri Siciliani” è un distillato di profondità emotiva e di sentimenti intrisi da quella vis drammatica che avvince e provoca commozione nell’animo dell’ascoltatore.
L’ultima di questa trilogia di Ouverture, e probabilmente la più conosciuta, è quella intramontabile dell’opera la “Gazza Ladra”, che pare sia stata scritta da Rossini chiuso in uno sgabuzzino del Teatro alla Scala e che sia stata anche la preferita da Frédéric Chopin.
Scintillante, marziale, maestosa, a volte giocosa, più spesso tragica, comme il faut in un’opera semiseria, la sinfonia ha un colore orchestrale luminoso, caratterizzato dall’assidua presenza dei rullanti che si rincorrono ed introducono i temi in maniera coinvolgente.
Ad un certo punto dell’esecuzione ho proprio immaginato di vedere una gazza ladra svolazzare sulla piazza di Portogruaro, attirata dalle luccicanti spalline in metallo dorato con le frange in canutiglia sull’uniforme del Maestro Martinelli!
“Una sera di Settembre” è un personale tributo in musica di Martinelli alla figura simbolo del Generale Dalla Chiesa. Il brano è un poema sinfonico che si sviluppa come la trama di un film, nella quale il Maestro inserisce una silloge di stili diversi, a segnare i diversi momenti e le vicissitudini della vita del Generale, sia del soldato sia dell’uomo. Dalla marcia militare, alla beguine, al valzer… usando anche strumenti della tradizione popolare come il friscaletto siciliano, lo scacciapensieri, i tamburelli. Avvincente!
E parlando di film e di sicilianità non poteva certo mancare il valzer in Fa Maggiore da “Il Gattopardo”. Nelle note del concerto, viene indicato come compositore unicamente Giuseppe Verdi. In realtà è vero che il brano è costruito sul manoscritto inedito di un valzer brillante che Verdi dedicò alla contessa Maffei, acquistato in una libreria antiquaria di Roma da Serandrei, montatore del film nonché amico di Visconti e di Rota, e poi donato a Visconti, ma è altrettanto vero che Nino Rota lo orchestrò magistralmente, facendolo diventare il valzer più iconico del cinema, ballato da Angelica/Claudia Cardinale e don Fabrizio/Burt Lancaster. La versione classica della Banda dei Carabinieri ci restituisce tutto il fascino, l’eleganza e lo sfarzo che Visconti aveva saputo regalarci nella sequenza del gran ballo nel favoloso salone delle feste di Palazzo Gangi.
Nel 2021 ricorrono anche i cent’anni dalla nascita del compositore argentino e bandoneonista Astor Piazzolla, che con le sue prospezioni sulle strutture ritmiche e la commistione con il jazz ha scardinato la stratificata tradizione del tango con geniale lungimiranza, attraversando da protagonista il Novecento lungo le rotte di Buenos Aires, Parigi e Roma, rincorrendo amori travolgenti…
Del padre del nuevo tango, Martinelli sceglie due delle composizioni più note: “Libertango” e “Oblivion”. Se – e qui ritorno al mio Platone – la musica dona ali al pensiero e fascino alla tristezza, mai parole furono più adeguate per definire la musica di Piazzolla! Certo, per me ascoltare “Libertango” è come ricevere una folgorazione elettrica ad alta tensione, sarà per il suo irresistibile groove ritmico o per la sensualità che trasuda da ogni nota, sarà per il jazz che si fonde con la classica nelle sue armonie estese, sarà per il suo magico crescendo finale… purtuttavia… le sensazioni che mi regala “Oblivion” sono inarrivabili. Nel 2018 lo ascoltai anche alla Nuvola di Fuksas e scrissi: “la vibrazione dell’ancia dell’oboe di Francesco Loppi, che ha duettato con la violinista Anna Tifu, ha fatto vibrare tutta la platea, riuscendo a ricreare, in tutta la sua valenza, il pathos insito nelle note del musicista argentino…”
Ecco, la Tifu in quest’occasione non era presente (si sarebbe esibita al Festival il 9 settembre con l’Orchestra di Padova e del Veneto n.d.a.) ma l’oboe del prof. Loppi mi ha ipnotizzata.
“Oblivion” è la perfetta sintesi tra passione e struggimento, un tòpos poetico-musicale, l’oblio dove i sogni irrealizzati vanno a morire…
Due i bis concessi: la frizzante “Tritsch Tratsch Polka” di Johann Strauss II, che conosco molto bene per essere, sin dall’infanzia, una fedele spettatrice del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker dal Musikverein di Vienna e per averla ballata nei miei saggi di danza classica e “La Cumparsita” di Gerardo Hernán Matos Rodríguez, che viene dai più considerata il tango per antonomasia, “el tango de los tangos”. “Dai più…”
In effetti neppure Piazzolla l’amava molto ma si divertiva a proporla nelle sue esibizioni perché – diceva maliziosamente – «un buon abito migliora sempre l’aspetto».
Dopo i saluti istituzionali di Florio Favero, Sindaco di Portogruaro, di Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival e di Carlo Hruby, vice-presidente della Fondzione Enzo Hruby, in Piazza della Repubblica sono risuonate le note della marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri, “La Fedelissima” del Maestro Cirenei e “Il Canto degli Italiani”, l’Inno Nazionale Italiano. Ad accompagnare il Maestro Martinelli e i suoi valenti orchestrali, lo speciale coro dei numerosi spettatori presenti.
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Florio Favero, Sindaco di Portogruaro
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Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival
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Carlo Hruby, Fondazione Enzo Hruby/Musica con le Ali
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Ed ora, spazio alle interviste da me raccolte nel corso della serata:
Maestro Massimo Martinelli, direttore della Banda dei Carabinieri
–Maestro Martinelli, ordunque possiamo ridare vita al forte legame affettivo che ha sempre unito la Banda dei Carabinieri con il suo pubblico, essendo ripartiti i concerti in presenza dopo la pausa forzata dovuta al Covid. Ci racconti come voi musicisti avete vissuto questo periodo? Che avete fatto?
«Il periodo buio appena trascorso è stato un momento di ‘pausa’ per noi musicisti che ci ha consentito di fare delle riflessioni oppure, come nel mio caso, dei bilanci. Le riflessioni riguardano il senso della nostra professione, che senza pubblico perde gran parte del significato, ovvero è come avere delle partiture o degli spartiti musicali da poter eseguire e non avere nessuno a cui farli ascoltare. Tutto rimane a livello di lettura non letta o lettera morta. La musica è viva se ha una destinazione se incontra l’altro, l’ascoltatore, il fruitore dell’opera musicale, altrimenti, come una partitura mai eseguita, scompare, non esiste. Per quanto riguarda me, che tra l’altro ho passato un breve periodo di malattia a letto per il covid, la sospensione forzata dall’attività musicale ha ingenerato un irrefrenabile desiderio di scrittura; in particolare mi sono dedicato ad argomenti che riguardavano l’essere musicista e compositore all’interno di una Forza armata come l’Arma dei carabinieri, nel caso specifico ho scritto dei pezzi per celebrare la figura di alcune grandi personalità, umane e militari, come Salvo D’Acquisto e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sono nati così due pezzi: “Presente” dedicato a Salvo D’Acquisto e “Una sera di settembre” che avete ascoltato stasera».
-Già. Ho dato una scorsa al repertorio di questa sera, Rossini, Verdi, Piazzolla e… Martinelli! C’è appunto il brano “Una sera di Settembre” che tu hai composto e dedicato al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (ispirato dal bel libro “Il mio valzer con papà”, scritto da Rita, sua figlia), in occasione del centenario della nascita, nel 2020, e il cui trentanovesimo anniversario della morte è stato celebrato proprio ieri (3 settembre n.d.a). Lui fu un uomo eccezionale ed “eccezione” è un termine che proviene dal latino “exceptio”, da excipĕre, ovvero “estrarre, tirare fuori”. Lui, anche nei momenti più bui o quando gli fecero terra bruciata intorno, riuscì a tirar fuori da sé stesso quelle virtù che lo rendono ancora oggi straordinariamente unico, al punto da essere riuscito a cambiare il corso della storia con il proprio immanente pensiero e con le azioni compiute. “Vi sono pochissimi uomini − e sono le eccezioni − capaci di pensare e sentire al di là del momento presente”. Sono parole del Generale prussiano Karl von Clausewitz, che scrisse “Della guerra”, 8 libri in cui ne analizzò tutti gli aspetti, e quella alla mafia è una guerra… all’epoca di Dalla Chiesa come ora. Io credo che la tua dedica sia la testimonianza di quanto il Generale sia sempre molto amato da voi Carabinieri e di quanto il suo pensiero, le sue azioni e la sua integrità morale siano una guida. Come hai pensato di strutturare musicalmente i tanti episodi della la sua vita militare e di uomo?
«”Una sera di settembre” è un brano descrittivo che ripercorre le tappe più importanti della figura del generale più amato dell’Arma dei Carabinieri. Un uomo che aveva un grande senso della famiglia e che doveva dividersi tra delicati incarichi istituzionali, che comportavano lunghe assenze per motivi di lavoro, e la sua famiglia, per la quale doveva ritagliare il poco tempo che gli rimaneva a disposizione…»
In un’intervista ad un direttore d’orchestra chiesero: “Quale è la tua musica preferita?”. Lui rispose: “Qualunque cosa io stia dirigendo in questo momento è la mia musica preferita”. Ti ritrovi in queste parole di Nachev, che dirige la Shen Yun Symphony Orchestra? C’è comunque una musica che prediligi?
«Cara Marina, circa la tua domanda anche io ho le mie preferenze, ad esempio adoro autori come Bach, Beethoven, Bartok, Bernstein! Quattro B. per dire che avendo una formazione di tipo classico ma essendo particolarmente interessato alle declinazioni musicali più varie ti confido che mi trovo a mio agio con la musica che mi piace e questi autori rappresentano per me quello che mi si addice di più. Bisogna a parer mio, come un Giano bifronte, guardare alla grande musica del passato con il rispetto che essa merita ma al contempo, come faceva Bernstein declinarla sempre al presente e possibilmente, ammesso di esserne capaci, come lo era Mozart, al futuro!
Scusami per l’estrema sintesi di questa risposta alla tua bellissima domanda!»
Carlo Hruby – Vice-Presidente della Fondazione Enzo Hruby, Milano
–Dottor Hruby, dopo aver ascoltato il suo intervento alla fine del concerto di Portogruaro, ho pensato che mi sarebbe piaciuto proporre ai nostri lettori un approfondimento sulle attività della Fondazione Enzo Hruby, che credo rappresenti un unicum in Italia.
Dunque, da imprenditore di un’azienda leader nel campo della sicurezza, decide di dare vita alla Fondazione Hruby e poi ancora all’Associazione Musica con le Ali, affiancandola ad un ottimo strumento di diffusione della classica quale è la webradio MCA.
Ognuna di queste attività di patronage riveste una considerevole importanza nei settori in cui opera: la prima nella protezione e la sicurezza dell’immenso patrimonio storico, culturale e architettonico del nostro Paese, le altre due nella meritevole azione volta alla conoscenza e alla valorizzazione della musica classica e dei suoi giovani talenti, attraverso molteplici iniziative. Forse il paragone potrà apparirle un po’ audace, tuttavia, documentandomi su ciò che state facendo, non ho potuto non andare con il pensiero al mecenatismo rinascimentale e ad uno dei suoi personaggi più rappresentativi: Lorenzo il Magnifico. Per lui il mecenatismo non era solamente un’arte per governare ma una necessità del suo animo sensibile. Anche nel suo caso è stata la sua anima, oltre alla consapevolezza di svolgere un meritorio servizio per la collettività, a guidarla nelle scelte che ha portato avanti? Avrebbe piacere di raccontarsi un po’?
«Lei ha citato un personaggio immenso, a cui non posso certo paragonarmi. Le scelte portate avanti nel corso degli anni e che hanno determinato la nascita della Fondazione Enzo Hruby – a cui si è aggiunta, più recentemente, l’Associazione Musica con le Ali – sono scaturite da una formazione umanistica che mi ha dato le basi per apprezzare la bellezza dell’Italia nelle sue infinite sfaccettature e dal desiderio, mio e della mia famiglia, di impegnarci concretamente per offrire un valore alle nuove generazioni e al Paese che ha visto nascere, alla fine degli anni Sessanta, la nostra realtà imprenditoriale, diventata nel corso del tempo un punto di riferimento nel mercato della sicurezza elettronica. Le tecnologie più evolute ci hanno sempre accompagnato nella nostra attività e dunque abbiamo desiderato sostenere con quelle stesse tecnologie la protezione del patrimonio culturale che rende così unica e straordinaria l’Italia. Ma non solo: attraverso la Fondazione Enzo Hruby il nostro desiderio costante è stato fin dall’inizio e continua ad essere tuttora quello di far crescere la cultura della sicurezza e la consapevolezza del valore del nostro tesoro-Italia. Un tesoro che per poter essere valorizzato deve essere per prima cosa protetto contro furti, sottrazioni, atti di vandalismo e danneggiamenti. Per raggiungere questo obiettivo le tecnologie da sole non bastano ma occorre creare un dialogo costante tra gli operatori della sicurezza e gli operatori dei beni culturali, e allo stesso tempo, sensibilizzare le nuove generazioni sul valore dei tesori che ci circondano e sull’importanza di conoscerli, proteggerli e difenderli.
È proprio attraverso l’attività della Fondazione Enzo Hruby che ho avuto l’occasione di approfondire la conoscenza del mondo della musica classica. Questo è avvenuto sia in occasione di progetti destinati alla protezione del patrimonio musicale italiano sia in occasione di eventi organizzati dalla nostra Fondazione, che hanno visto l’esibizione di giovani musicisti di talento. Nel 2016 ho dunque istituito insieme a mia moglie e ai miei figli l’Associazione Musica con le Ali, che svolge un’azione di Patronage Artistico unica nel suo genere in Italia e all’estero sostenendo i migliori giovani talenti italiani, e che parallelamente si propone di diffondere sempre più la conoscenza e l’ascolto della musica classica tra le nuove generazioni. Oggi, anche attraverso uno strumento così utile e innovativo come Radio MCA, portiamo avanti il nostro percorso verso nuove avventure e nuovi traguardi. Pensando sempre – ad ogni progetto, ad ogni nuova iniziativa che ci sta a cuore e che vorremmo tentare – che quasi nulla è impossibile, bisogna sono iniziare. Ecco, forse questa è in sintesi la massima che mi ha più guidato da sempre».
Alessandro Taverna, neo direttore artistico del Festival Internazionale di Musica di Portogruaro:
-Prof. Taverna, abbiamo assistito ad una serata speciale, prestigiosa e densa di significati. Un ottimo biglietto da visita per il nuovo corso del Festival che lei ha iniziato a curare quest’anno.
«Si, per celebrare al livello più alto gli anniversari legati alla nostra Storia (75° anniversario della Repubblica, 100° del Milite Ignoto e 160° dell’Unità d’Italia) abbiamo fortemente desiderato nel Festival la presenza di una compagine di indiscusso prestigio musicale internazionale e che nello stesso tempo incarna al massimo grado i valori della nostra Repubblica. Sono sicuro che per tutti quelli che vi hanno assistito, il concerto di sabato 4 settembre resterà come un ricordo indelebile: una serata magica, e il merito va anzitutto al maestro Massimo Martinelli e a tutti i professori della Banda dell’Arma dei Carabinieri, che con grande maestria ci hanno regalato una lettura memorabile di alcuni dei più celebri capolavori della storia della musica. Un grazie particolare alla Fondazione Enzo Hruby per aver permesso che il nostro desiderio diventasse realtà».
Chiudo questo mio reportage con la citazione completa di Platone, che avevo usato parzialmente per commentare la musica di Piazzolla: “la musica è una legge morale. Essa dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza, e la vita a tutte le cose”.
Marina Tuni
A Proposito di Jazz desidera ringraziare: l’Arma dei Carabinieri, lo Studio Sandrinelli, ufficio stampa e comunicazione del Festival di Musica di Portogruaro (dott.ssa Clara Giangaspero) e il fotografo Andrea Pavan per la gentile concessione delle immagini, la dott.ssa Simona Nistri, Responsabile Relazioni Esterne Fondazione Hruby/Musica con le Ali
da Didier Pennequin | 23/Mar/2021 | Ici France, Ici Paris, News, Primo piano
Per la quinta volta dalla sua costituzione nel 1954, la prestigiosa Accademia del Jazz in Francia ha consacrato una jazzista donna attraverso il suo premio più prestigioso – le Prix Django Reinhardt – per la cronaca la sassofonista e compositrice Sophie Alour.
Nel corso di una cerimonia, volutamente e forzatamente intimista causa pandemia, negli studi del “Club Jazz à FIP”, vale a dire sotto le antenne della Radio Pubblica FIP (gruppo Radio France) il presidente dell’Accademia, François Lacharme ha annunciato i “laureati” 2020, alcuni dei quali erano presenti in studio per una performance live.
Alla fine di un mini concerto con Diego Imbert (contrabbasso) e Alain Jean-Marie (piano), Sophie Alour, originaria di Quimper (in Bretagna) dove è nata 45 anni or sono, s’è detta fiera e soprattutto molto commossa per aver ottenuto questo glorioso riconoscimento (che gode anche del sostegno finanziario della Fondazione BNP Paribas).
E veniamo agli altri premi. La band-leader e arrangiatrice americana Maria Schneider ha ottenuto il Grand Prix de l’Académie (come miglior disco dell’anno) per il suo album “Data Lord” (Artistshare).
Il premio come miglior musicista europeo è andato alla sassofonista olandese Tineke Postma e quello del miglior “Libro Jazz” a Maxine Gordon, vedova del grande sassofonista Dexter Gordon, per la sua opera “Dexter Gordon Sophisticated Giant” (tradotto in francese/Edizioni Lenka Lente e in italiano da Francesco Martinelli per i tipi della EDT).
Il premio del miglior disco registrato da un musicista francese è stato attribuito al duo formato da Diego Imbert (contrabasso)/Alain Jean-Marie (piano), due vere e proprie colonne del jazz francese, per il loro album “Interplay” (Trebim Music/L’Autre distribution), un sentito omaggio al grande Bill Evans.
Il cantante e paroliere belga David Linx ha ottenuto il premio per il jazz vocale grazie al suo album “”Skin In The Game” (Cristal/Sony Music) ed è la seconda volta che un cantante uomo viene premiato dall’Accademia.
Il premio come miglior inedito è andato – ovviamente alla memoria – al leggendario contrabbassista, compositore, band-leader Charles Mingus (1922 – 1979) per “Bremen 1964 & 1975” (Sunnyside/Socadisc), un quadruplo CD le cui registrazioni radio del 1964 ci permettono di riascoltare il multistrumentista Eric Dolphy qualche mese prima della sua scomparsa a Berlino, nel giugno dello stesso anno.
Guillaume Nouaux, con i suoi “Stride Piano Kings“, ha ottenuto il premio del jazz classico con un disco collettivo autoprodotto.
Infine, il premio Blues è andato ad Andrew Ali (“Hard Workin’ Man” – EllerSoul) mentre quello Soul a Don Bryant (“You Make Me Feel” – Fat Possum).
Didier PENNEQUIN
Membre de l’Académie du Jazz
da Didier Pennequin | 02/Gen/2021 | Ici France, Ici Paris, News, Primo piano
Questo terrificante 2020 si è chiuso col botto, ma non quello di Capodanno bensì con la triste notizia giunta da Parigi. La scomparsa di Claude Bolling, eclettico e geniale artista ben noto anche al pubblico italiano. Al riguardo pubblichiamo un contributo del nostro corrispondente da Parigi, Didier Pennequin.
Pianista, compositore/arrangiatore e direttore d’orchestra, Claude Bolling se n’è andato il 29 dicembre scorso come a chiudere questo terribile anno, all’età di 90 anni all’ospedale di Saint-Claude nella regione parigina. Personalità eclettica, aveva un senso geniale della musica.
Se la storia della colonna sonora originale di film gli deve in particolar modo la musica dei due “Borsalino” (con Alain Delon e Jean-Paul Belmondo), “Le magnifique”, “Flic story” o ancora “Les brigades du Tigre” è grazie al jazz che Bolling – nativo di Cannes nel 1930 – è annoverato tra l’élite dei musicisti francesi.
In effetti, dalla fine degli anni ’40, il pianista – che venerava Duke Ellington, al punto che un altro poliedrico e celebre personaggio quale Boris Vian l’aveva soprannominato “Bollington” – collabora con jazzisti americani di passaggio a Parigi come Lionel Hampton, Roy Eldridge, Cat Anderson, Paul Gonsalves e la cantante Carmen McRae. E proprio grazie a queste frequentazioni partecipa a numerose sedute di registrazione.
Il suo stile pianistico, formatosi sotto l’influenza di Maestri quali Earl Hines, Fats Waller, Art Tatum e soprattutto del già nominato Duke Ellington, di cui fu un reale discepolo, fu uno dei suoi migliori atout per questi incontri e per l’allargamento dei suoi orizzonti non solo musicali.
Nel 1955 forma la sua prima Big Band, che si è esibita fino a questi ultimi anni e che è stata una sorta di incubatrice per molti jazzisti francesi, tra cui Claude Tissendier (alto-sax/clarinetto) e André Villéger (tenor-sax e clarinetto).
Oltre alle musiche da film (più di un centinaio) e per serie televisive (più di una quarantina) Bolling ha collaborato anche con personalità della canzone francese quali Juliette Gréco, Henri Salvador o ancora Brigitte Bardot, ed è stato l’ispiratore, nonché supervisore, di un quartetto di sole donne molto in voga negli anni ’60, “Les Parisiennes”.
Nella sua straordinaria carriera non ha trascurato la musica colta riuscendo a coniugare jazz e musica classica, in particolar modo con il flautista Jean-Pierre Rampal: straordinaria, al riguardo, la “Suite pour flûte et piano jazz”, classificata dalla rivista americana Billboard per ben 530 settimane, vale a dire 10 anni di seguito.
Insignito della Legion d’Onore nel 2010, tanto per non farsi mancare alcunché, Claude Bolling è stato anche un grande specialista del ragtime di cui era un vero appassionato.
Didier Pennequin