Danilo Rea – La Grande Opera in Jazz: il progetto perfetto del “jazzista imperfetto”

A maggio di quest’anno ho avuto l’onore di intervistare il grande pianista ed improvvisatore Danilo Rea, esibitosi al Festival dell’Acqua di Staranzano (Go). In quell’occasione, durante la cena prima del concerto, ebbi modo di dialogare a lungo con Danilo e tra le cose che mi disse mi raccontò del progetto che aveva presentato in anteprima mondiale al Teatro Antico di Taormina: “La Grande Opera in Jazz”; Danilo ne parlò in termini così appassionati che, una volta giunta a casa, andai a cercare immagini e notizie del progetto innamorandomene all’istante!
Nei giorni scorsi, di ritorno da Roma, scopro che il progetto è nel cartellone musicale, curato da Simone D’Eusanio, del Teatro Comunale “Marlena Bonezzi” della mia città, il 1° dicembre. Potevo perderlo? Naturalmente no! Cercherò quindi di contagiarvi emotivamente, sperando di riuscire a condividere l’emozione che io ho provato in modo diretto in una forma istintuale di empatia «scintilla che fa scaturire l’interesse umano per gli altri», sentenziava lo psicologo Martin Hoffman, generata dalle mie parole.
Credo non sia necessario dirvi chi è Danilo Rea, pianista romano, maestro dell’improvvisazione, tra i maggiori esponenti del jazz italiano e internazionale, dotato di una straordinaria padronanza della tecnica e dell’armonia del pianoforte classico e jazz; se volete saperne di più vi rimando all’intervista sopra accennata (http://www.online-jazz.net/?s=danilo+rea ).

Danilo non è nuovo ad esperimenti di contaminazione con le arie d’opera, vedi “Lirico” (Egea Records, 2003), del resto stiamo parlando di un artista mai domo, capace di abbattere recinzioni e confini tra generi musicali per creare qualcosa di unico, congiungendo mondi all’apparenza lontani.
Ed unico è stato anche il concerto monfalconese: unico e probabilmente irripetibile, visto che Danilo, improvvisatore totale, inserisce in ogni sua performance citazioni sempre diverse, seguendo ispirazioni hic et nunc, dove nulla è preventivamente programmato, dove il suo estro creativo e la sua profonda conoscenza musicale gli consentono di vagabondare seguendo un corpus narrativo nel quale trovano spazio il jazz, la musica d’autore italiana e internazionale e, come in questo caso, le arie d’opera.
Unico dogma imprescindibile è il rispetto che Danilo ha nei confronti della melodia, che egli forgia aprendo inedite prospettive di ascolto.
Quindi, non chiedetegli mai una scaletta perché lui odia averne, Danilo è uno che ama inventare storie sempre nuove, uno che traduce in musica il suo lessico emotivo condividendolo generosamente con il suo pubblico.
Ritornando alla Grande Opera In Jazz, sul palco del Comunale, dove fa bella mostra di sé un meraviglioso gran coda Fazioli, si alternano note, voci e immagini che raccontano la storia del melodramma italiano. È Danilo stesso ad azionare un dispositivo che fa partire, sullo schermo alle sue spalle, il materiale visivo e sonoro; al di là del certosino lavoro di ricerca delle incisioni originali d’epoca, con le voci ripulite dalla parte strumentale, una citazione speciale va alla pittrice Rossella Fumasoni, che firma delicati e coloratissimi dipinti di volti e di corpi dove danzano, in movimenti evocativi di leggerezza e sospensione, petali, rose, farfalle, foglie, colibrì, di grande fascino.
Non si percepisce alcun distacco spazio-temporale tra le voci dei grandi cantanti lirici del passato e il pianoforte di Danilo Rea, che duetta con estrema naturalezza con Maria Callas (inarrivabili le sue interpretazioni di Casta Diva, la cavatina dalla Norma, preghiera elevata alla luna…) con Elisabeth Schwarzkopf (soprano tedesco dotata di una timbrica cristallina e di un’innata eleganza espressiva) con i grandi Mario Del Monaco, Enrico Caruso, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi e ancora con Maria Caniglia, Amelita Galli-Curci, Nazzareno De Angelis… nelle arie delle Opere più conosciute: Norma, Turandot, Traviata, L’Elisir d’Amore, Cavalleria Rusticana, Madama Butterfly, Tosca.

Ciò che stupisce maggiormente è il modo in cui Danilo riesce a raccordare, con una semplicità che disarma chi lo ascolta, i temi principali delle arie ad infinite citazioni… ed ecco, ad esempio, che Lucevan  le stelle si trasforma in Les Feuilles Mortes e questa è solo una delle interazioni che il pianista romano crea nel corso dello spettacolo, così tante che è impossibile ricordarle tutte… cito My Favorite Things di Coltrane, la Barcarola di Offenbach, Bésame Mucho della Velázquez Torres e America di Leonard Bernstein con Libiamo ne’ lieti calici dalla Traviata di Verdi e poi le dolcissime Over the Rainbow che si mescola con Maria di Bernstein.
Il pianismo di Danilo è fluido e circolare – e talvolta lo sono anche i suoi movimenti mentre suona, quando le sue braccia disegnano orbite e le sue mani traiettorie imprevedibili – ed egli s’impossessa di ogni spazio abitabile del suo strumento, intercettando ogni minima sfumatura che un suono può contenere. Ed è così che in una fredda sera d’inizio dicembre, rapita da cotanta bellezza, dalla voce di Enrico Caruso e dalle architetture improvvisative di questo “jazzista imperfetto”, che trascendono qualsivoglia teoria musicale, negli occhi miei spuntò Una Furtiva Lagrima, mentre sullo schermo scorrono le immagini di una ballerina en pointe che danza con grazia, di vortici di foglie che si lasciano trasportare dal vento verso l’inesorabilità del loro destino autunnale, di due innamorati che si tengono per mano, scambiandosi tenerezze al crepuscolo. Omnia vincit amor et nos cedamus amori.

Danilo Rea – ph Luigi Ceccon

A completare il repertorio proposto nel corso della serata, oltre alla già citata Callas, Rea accompagna Mario Del Monaco in Nessun dorma, la Schwarzkopf in Addio al passato e in O mio babbino caro, l’Ave Maria cantata da Tito Schipa e poi Amelita Galli-Curci in Un bel dì vedremo dalla Madama Butterfly di Puccini, Giacomo Lauri Volpi in Di quella pira (con immagini di streghe al rogo…), Beniamino Gigli in E lucevan le stelle, e Nazzareno De Angelis in Dal tuo stellato soglio dal Mosè in Egitto di Rossini (sullo schermo appare anche il maestoso e furioso Mosè michelangiolesco che, come vorrebbe la leggenda, pare sia stato preso a martellate dallo stesso – altrettanto irascibile – scultore, piccato per non aver ricevuto risposta alla sua domanda «Perché non parli?», per quanto gli sembrava vivo e perfetto!).
In conclusione di serata, ritroviamo ancora Enrico Caruso in Tu ca nun chiagne e ‘O sole mio, brano che Rea interpreta magistralmente con passione ed enfasi, accennando nel finale alcune note di Nessun dorma. Splendide le immagini d’epoca di Napoli e New York, le città di Caruso e comunque curata nel dettaglio tutta la narrazione grafica e visual, compresi i suggestivi scorci di Roma, la città di Danilo.
Se pensate che il pubblico monfalconese lo abbia lasciato andar via dopo la superba esecuzione di ‘O Sole mio vi sbagliate di grosso.
Una selva di applausi ha convinto il nostro musicista a sedersi nuovamente al piano per regalarci ancora qualche scampolo della sua visione musicale, fatta di scomposizioni e ricomposizioni, di arrangiamenti e riarrangiamenti, di modellamenti e rimodellamenti, di demolizioni e ricostruzioni à sa manière, che ci hanno restituito un medley di brani di De André (La canzone dell’amore perduto e La Canzone di Marinella), di Tenco (Un giorno dopo l’altro), del suo sodale e compagno di tante avventure Gino Paoli (Sapore di Sale) e di Bindi (Il nostro concerto), in una concatenazione di sbalorditive improvvisazioni, a cavallo tra virtuosismo e lirismo, che gli hanno fatto meritatamente guadagnare l’appellativo di “grande poeta” tra i musicisti di jazz, oltre ad essere spesso accostato all’immenso Keith Jarrett… e scusate se è poco!

Marina Tuni ©

A Proposito di Jazz ringrazia l’Ufficio Teatro del Comune di Monfalcone e la fotografa Katia Bonaventura per le immagini

Presentata al Teatro La Fenice di Venezia la stagione concertistica “Musica con le Ali” 2022

Coltivare giovani talenti e implementare le loro potenzialità e creatività, trasformandole in opportunità per il futuro. Questa, succintamente, la mission di “Musica con le Ali”, sodalizio milanese di patronage artistico che nasce per volere di Carlo Hruby, che ne è presidente, in seno alla Fondazione “Enzo Hruby”.
Venerdì 18 marzo, nelle Sale Apollinee della Fenice di Venezia, stupendamente tappezzate di damasco in stile neoclassico, è stata presentata la quarta edizione della stagione concertistica “Musica con le Ali 2022”, realizzata con l’importante partenariato della Fondazione Teatro La Fenice. Il ricco calendario prevede otto appuntamenti: 24 marzo, 14 aprile, 19 maggio,16 giugno, 6 e 13 ottobre, 10 novembre e 1 dicembre, tutti programmati di giovedì, con inizio alle ore 18. I concerti proposti hanno un nobile denominatore comune, ovvero fornire un’importante esperienza di crescita ai giovani interpreti emergenti, grazie anche al confronto con  alcune figure di spicco della musica classica.
Ha aperto la serie di interventi Fortunato Ortombina, Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro La Fenice – «la casa dei veneziani, nonché il Teatro più bello del mondo» – esprimendo profonda soddisfazione per il rinnovarsi di questa brillante interazione tra impresa e istituzione, essenziale per il futuro della musica, «entità sovrana sulla terra e linguaggio universale che s’impara prima ancora di iniziare a parlare».

Andrea Erri – Direttore Generale del Teatro, parla del rapporto fecondo instauratosi con Musica con le Ali, che condivide il ruolo di funzione sociale della Fenice, non un luogo d’élite ma una struttura aperta e accogliente per i 340.000 visitatori e spettatori che hanno ammirato la bellezza del teatro e premiato le sue proposte artistiche. «Far lavorare i giovani talenti con musicisti di esperienza – afferma Erri – significa trasferire competenze, in una staffetta ideale tra artista affermato e in erba ma con grandi potenzialità per il futuro. Le ali sono uno strumento per volare ma anche per proteggere», richiamando il nome dell’associazione e le sue nobili finalità di patronage artistico.
In chiusura, i ringraziamenti di Carlo Hruby nei confronti dei vertici del Teatro, nel quale Musica con le Ali ha trovato una calorosa e sincera accoglienza per un progetto che ha visto la sua genesi proprio alla Fenice e che posegue grazie ad un’attenta e lungimirante condivisione, in cui il concerto è solo uno tra i tanti strumenti messi a disposizione dall’associazione, che comprendono la partecipazione a festival e rassegne, la produzione di incisioni discografiche con le principali label, il fattivo supporto nella comunicazione e nella promozione dei giovani interpreti anche tramite Radio MCA, la web radio nata nel 2020 e dedicata alla musica e all’arte. I giovani artisti, le cui candidature provengono da Conservatori, Fondazioni e Scuole di Musica, vengono così presi per mano e guidati in un percorso di crescita professionale per valorizzarne il talento, che fornirà loro un prezioso biglietto da visita per intraprendere una carriera internazionale ad alto livello. L’azione di patronage si esaurisce nel momento in cui l’artista sarà in grado di volare con le proprie ali… ali vere e non di cera come quelle di Icaro, che si sciolsero al calore del sole… (Non rammaricarti mai per la tua caduta, o Icaro del volo senza paura. Perché la più grande tragedia di tutti è non provare mai la luce che brucia…O. Wilde)

Entrando nel dettaglio, si parte giovedì 24 marzo con il violinista Gennaro Cardaropoli – fresco vincitore dell’autorevole Premio ICMA (International Classical Music Awards) come “Migliore Giovane Musicista dell’Anno”ed anche del prestigioso 1st Grand Prize all’Arthur Grumiaux International Violin Competition, unico vincitore italiano nella storia del concorso – e la pianista Ludovica De Bernardo, che presenteranno l’iridescente e vibrante Sonata n. 1 per violino e pianoforte op. 13 di Gabriel Fauré, suo capolavoro di età giovanile, Humoresque in sol minore di Ottorino Respighi, il più lungo dei Cinque pezzi per violino e pianoforte, i plastici affreschi sonori della Sonata per violino e pianoforte op. 22 di Giuseppe Martucci e il signorile virtuosismo del compositore polacco Henryk Wieniawski nel suo Tema e Variazioni.
Ricordiamo ai nostri lettori che Cardapopoli e De Bernardo si esibiranno anche martedì 22 marzo alle ore 18.30 al Ridotto dei Palchi “A. Toscanini” del Teatro alla Scala (info: tel. 02.38036605, info@musicaconleali.it), nel concerto inaugurale dell’edizione 2022 della rassegna “Il Salotto Musicale”, frutto dell’accordo tra l’Associazione Musica con le Ali e il Museo Teatrale alla Scala di Milano.
Il variegato cartellone prosegue il 14 aprile con la performance del TulipDuo formato dalla violista Eleonora de Poi e dal pianista Massimiliano Turchi, tributo alla temperie romantica e ad alcuni dei suoi compositori simbolo quali Schumann, Glazunov, Schubert e Fauré.
Il 19 maggio sarà la volta di un abbinamento decisamente intrigante, e tutto all’insegna della bellezza, tra contrabbasso e arpa. Le protagoniste saranno Valentina Ciardelli e Anna Astesano che sapranno coinvolgere il pubblico in un nuove avventure musicali con trascrizioni tratte da Puccini e Ravel e presentando una composizione originale della Ciardelli in anteprima assoluta.

Il 16 giugno il celebre violinista padovano Federico Guglielmo, che la stampa americana ha definito “la nuova stella nel panorama della musica antica”, affiancherà le giovani musiciste, sostenute da Musica con le Ali, Simona Ruisi (viola) e Maria Salvatori (violoncello) in un repertorio nel segno del classicismo con sonate di Beethoven, Schubert e Sinigaglia.
Debutto importante il 6 ottobre per il Duo David, ovvero Francesco Angelico (violoncello) e Giulia Russo (pianoforte) che si esibiranno in sonate di Debussy e Rachmaninov con un’autentica chicca: la riscoperta (finalmente!) del compositore napoletano Mario Pilati, di cui interpretano la Sonata in Re del 1929, dal fascino prepotente, edita per la prima volta proprio dal duo in un recente progetto discografico.

Il 13 ottobre si va nella direzione della forma sonata classica per violino e pianoforte con la violinista Fabiola Tedesco e la pianista Martina Consonni, in un personale omaggio a Beethoven, a Richard Strauss e allo spagnolo Joaquín Turina.
Il penultimo appuntamento, il 10 novembre, sarà incentrato sull’incontro tra il clarinetto di Clara Ricucci e il pianoforte di Federico Pulina, impegnati in una lettura dialogica di brani di Weber, C. Schumann, Widor e Busoni.
La stagione concertistica “Musica con le Ali” 2022 non poteva concludersi in modo migliore, il primo dicembre, con l’imperdibile concerto di una tra le pianiste di fama internazionale più ecletticamente crossover della sua generazione (è del 1986), la veneziana Gloria Campaner, qui assieme alla giovane violinista Sara Zeneli con un repertorio di brani del post-romantico César Auguste Franck e dell’eccentrico e innovativo Maurice Ravel.

In questi anni, Musica con le Ali ha saputo ben radicarsi nel tessuto cittadino stringendo importanti rapporti di collaborazione con la Scuola Navale Militare Francesco Morosini e con il Master MaBAC dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, offrendo inoltre tariffe vantaggiose ai residenti nella Città Metropolitana di Venezia e agli studenti.
I biglietti della stagione concertistica sono acquistabili presso la biglietteria del Teatro La Fenice e in prevendita presso le biglietterie Vela Venezia Unica.
Biglietteria online: www.teatrolafenice.itwww.events.veneziaunica.it
Biglietteria telefonica: Tel.  041 2722699
Prezzi dei biglietti: Sale Apollinee €20. Riduzioni: residenti e over 65 €16; studenti €10
Abbonamenti: intera stagione €120; tre concerti nelle Sale Apollinee €50; abbonamento sostenitore €170.
Per informazioni: Tel. 02.38036605; info@musicaconleali.itwww.musicaconleali.it

Marina Tuni

La Banda dei Carabinieri al Portogruaro Festival: musica salvifica che trasmette i valori fondanti della comunità

Evento speciale e di grande prestigio per il 39esimo Festival Internazionale di Musica di Portogruaro (VE) – curato da Alessandro Taverna – una cittadina che è un piccolo gioiello di arte, storia e cultura con un profondo senso di comunità, valore teorizzato da Platone nel definire la città ideale (“Repubblica”), dove la musica era identificata come “palestra dell’anima”.
Sabato 4 settembre si è svolto in Piazza della Repubblica il concerto della Banda dell’Arma dei Carabinieri, diretta dal M° Massimo Martinelli, per ricordare e celebrare tre importanti anniversari della storia del nostro Paese: i 160 anni dall’Unità d’Italia, i 100 anni del Milite Ignoto (sulla piazza è posizionato dal 1928 un monumento alla memoria dei caduti, opera dello scultore Gaetano Orsolini) e i 75 anni della Repubblica Italiana. Il concerto è stato organizzato con la collaborazione della Fondazione milanese “Enzo Hruby”, dal 2007 in prima linea per il suo impegno nella protezione del patrimonio culturale italiano e nella diffusione della cultura della sicurezza (in calce a questo articolo troverete i contributi di Carlo Hruby, vice presidente della Fondazione e di Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival e pianista di indiscussa fama internazionale).
Dopo il concerto, presentato con grazia da Monica Rubele, ho avuto anche modo di incontrare e intervistare il M° Martinelli, ormai un amico, avendo collaborato ai due concerti – che ho poi seguito a Roma e recensito qui – prima dello stop a causa della pandemia, per gli annuali di fondazione dell’Arma, nel 2018 all’Auditorium della “Nuvola” di Fuksas e nel  2019 al Teatro dell’Opera.
Vorrei qui ricordare che nel 2020 Massimo Martinelli ha festeggiato 20 anni di Direzione della Banda dell’Arma, che affonda le sue origini a duecento anni fa ed è attualmente composta da 102 orchestrali. In questi anni, la sua impronta e la sua lungimiranza, che trascende gli impegni istituzionali, si sono fatte sentire. Martinelli è intervenuto sul repertorio, non fermandosi a quello classico ma ampliando l’orizzonte stilistico al jazz, al pop, al rock, alla world, alle musiche da film, con una notevole apertura verso collaborazioni con musicisti che sulla carta sarebbero potute apparire “improbabili” e invece si sono rivelate “magiche”; ha introdotto nuovi strumenti all’organico, sperimentando sonorità inconsuete e colori nuovi; gli estimatori dell’Orchestra sono sempre più numerosi, grazie anche ad apparizioni in programmi televisivi popolari e ai meravigliosi concerti in tutto il mondo! L’ultimo che ho visto è stato semplicemente spettacolare, nella suggestiva scenografia naturale della piana di Castelluccio di Norcia.
Della performance di Portogruaro inizio col dirvi che la Banda dell’Arma si è esibita con un organico ristretto ad una cinquantina di professori d’orchestra, questo a causa delle ancor stringenti disposizioni per il contrasto al Coronavirus.
Il tema del festival di quest’anno è “Ouverture”, che non è un semplice titolo ma una vera e propria dichiarazione d’intenti, un segnale di ottimismo e di apertura verso scelte coraggiose. E ouverture sia, dopo mesi e mesi di fermeture… affinché la sofferenza diventi un’opportunità per ridisegnare una società più solidale e inclusiva e per rendere più umano il futuro.
E il M° Martinelli, in perfetta consonanza con il tema, ha scelto di iniziare da tre delle Ouverture più famose: quelle delle opere rossiniane “Guglielmo Tell” e “La Gazza Ladra” e della verdiana “I Vespri Siciliani”. Per i pochi che ancora non lo sapessero, entrambe le ouverture di Rossini sono state utilizzate da Stanley Kubrick nella colonna sonora del suo “Arancia Meccanica” e quella del “Guglielmo Tell” nel film subisce una vera e propria dissacrazione in una versione accelerata a dir poco schizofrenica…
L’arciere Guglielmo Tell scocca la prima freccia e l’inconfondibile rullo dei timpani, come un tuono in lontananza, preannuncia la tempesta sonora imminente. Tratta dalla tragedia di Schiller, l’opera è l’ultima composta da Rossini, senza dubbio il suo opus magnum, e la Banda esegue l’introduzione evidenziando con impeccabile maestria gli accesi contrasti della natura, elemento primario in tutta l’opera, tanto splendida quanto crudele, in una continua altalena tra l’oscurità e la luce, come in un dipinto caravaggesco.
La melodia iniziale è meravigliosa, così come il  celeberrimo galop finale, introdotto dalle trombe e interpretato da tutta l’orchestra, con le sue figurazioni ritmiche puntate. “L’espressione musicale sta nel ritmo, nel ritmo tutta la potenza della musica”. (G. Rossini)

La sinfonia introduttiva dell’opera di Giuseppe Verdi “I Vespri Siciliani” è un distillato di profondità emotiva e di sentimenti intrisi da quella vis drammatica che avvince e provoca commozione nell’animo dell’ascoltatore.
L’ultima di questa trilogia di Ouverture, e probabilmente la più conosciuta, è quella intramontabile dell’opera la “Gazza Ladra”, che pare sia stata scritta da Rossini chiuso in uno sgabuzzino del Teatro alla Scala e che sia stata anche la preferita da Frédéric Chopin.
Scintillante, marziale, maestosa, a volte giocosa, più spesso tragica, comme il faut in un’opera semiseria, la sinfonia ha un colore orchestrale luminoso, caratterizzato dall’assidua presenza dei rullanti che si rincorrono ed introducono i temi in maniera coinvolgente.
Ad un certo punto dell’esecuzione ho proprio immaginato di vedere una gazza ladra svolazzare sulla piazza di Portogruaro, attirata dalle luccicanti spalline in metallo dorato con le frange in canutiglia sull’uniforme del Maestro Martinelli!
“Una sera di Settembre” è un personale tributo in musica di Martinelli alla figura simbolo del Generale Dalla Chiesa. Il brano è un poema sinfonico che si sviluppa come la trama di un film, nella quale il Maestro inserisce una silloge di stili diversi, a segnare i diversi momenti e le vicissitudini della vita del Generale, sia del soldato sia dell’uomo. Dalla marcia militare, alla beguine, al valzer… usando anche strumenti della tradizione popolare come il friscaletto siciliano, lo scacciapensieri, i tamburelli. Avvincente!

E parlando di film e di sicilianità non poteva certo mancare il valzer in Fa Maggiore da “Il Gattopardo”. Nelle note del concerto, viene indicato come compositore unicamente Giuseppe Verdi. In realtà è vero che il brano è costruito sul manoscritto inedito di un valzer brillante che Verdi dedicò alla contessa Maffei, acquistato in una libreria antiquaria di Roma da Serandrei, montatore del film nonché amico di Visconti e di  Rota, e poi donato a Visconti, ma è altrettanto vero che Nino Rota lo orchestrò magistralmente, facendolo diventare il valzer più iconico del cinema, ballato da Angelica/Claudia Cardinale e don Fabrizio/Burt Lancaster. La versione classica della Banda dei Carabinieri ci restituisce tutto il fascino, l’eleganza e lo sfarzo che Visconti aveva saputo regalarci nella sequenza del gran ballo nel favoloso salone delle feste di Palazzo Gangi.
Nel 2021 ricorrono anche i cent’anni dalla nascita del compositore argentino e bandoneonista Astor Piazzolla, che con le sue prospezioni sulle strutture ritmiche e la commistione con il jazz ha scardinato la stratificata tradizione del tango con geniale lungimiranza, attraversando da protagonista il Novecento lungo le rotte di Buenos Aires, Parigi e Roma, rincorrendo amori travolgenti…

Del padre del nuevo tango, Martinelli sceglie due delle composizioni più note: “Libertango” e “Oblivion”. Se – e qui ritorno al mio Platone –  la musica dona ali al pensiero e fascino alla tristezza, mai parole furono più adeguate per definire la musica di Piazzolla! Certo, per me ascoltare “Libertango” è come ricevere una folgorazione elettrica ad alta tensione, sarà per il suo irresistibile groove ritmico o per la sensualità che trasuda da ogni nota, sarà per il jazz che si fonde con la classica nelle sue armonie estese, sarà per il suo magico crescendo finale… purtuttavia… le sensazioni che mi regala “Oblivion” sono inarrivabili. Nel 2018 lo ascoltai anche alla Nuvola di Fuksas e scrissi: “la vibrazione dell’ancia dell’oboe di Francesco Loppi, che ha duettato con la violinista Anna Tifu, ha fatto vibrare tutta la platea, riuscendo a ricreare, in tutta la sua valenza, il pathos insito nelle note del musicista argentino…”
Ecco, la Tifu in quest’occasione non era presente (si sarebbe esibita al Festival il 9 settembre con l’Orchestra di Padova e del Veneto n.d.a.) ma l’oboe del prof. Loppi mi ha ipnotizzata.
“Oblivion” è la perfetta sintesi tra passione e struggimento, un tòpos poetico-musicale, l’oblio  dove i sogni irrealizzati vanno a morire…
Due i bis concessi: la frizzante “Tritsch Tratsch Polka” di Johann Strauss II, che conosco molto bene per essere, sin dall’infanzia, una fedele spettatrice del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker dal Musikverein di Vienna e per averla ballata  nei miei saggi di danza classica e “La Cumparsita” di Gerardo Hernán Matos Rodríguez, che viene dai più considerata il tango per antonomasia, “el tango de los tangos”. “Dai più…”
In effetti neppure Piazzolla l’amava molto ma si divertiva a proporla nelle sue esibizioni perché – diceva maliziosamente – «un buon abito migliora sempre l’aspetto».
Dopo i saluti istituzionali di Florio Favero, Sindaco di Portogruaro, di Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival e di Carlo Hruby, vice-presidente della Fondzione Enzo Hruby, in Piazza della Repubblica sono risuonate le note della marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri, “La Fedelissima” del Maestro Cirenei e “Il Canto degli Italiani”, l’Inno Nazionale Italiano. Ad accompagnare il Maestro Martinelli e i suoi valenti orchestrali, lo speciale coro dei numerosi spettatori presenti.

Ed ora, spazio alle interviste da me raccolte nel corso della serata:
Maestro Massimo Martinelli, direttore della Banda dei Carabinieri
Maestro Martinelli, ordunque possiamo ridare vita al forte legame affettivo che ha sempre unito la Banda dei Carabinieri con il suo pubblico, essendo ripartiti i concerti in presenza dopo la pausa forzata dovuta al Covid. Ci racconti come voi musicisti avete vissuto questo periodo? Che avete fatto?
«Il periodo buio appena trascorso è stato un momento di ‘pausa’ per noi musicisti che ci ha consentito di fare delle riflessioni oppure, come nel mio caso, dei bilanci. Le riflessioni riguardano il senso della nostra professione, che senza pubblico perde gran parte del significato, ovvero è come avere delle partiture o degli spartiti musicali da poter eseguire e non avere nessuno a cui farli ascoltare. Tutto rimane a livello di lettura non letta o lettera morta. La musica è viva se ha una destinazione se  incontra l’altro,  l’ascoltatore, il fruitore dell’opera musicale,  altrimenti, come una partitura mai eseguita, scompare, non esiste. Per quanto riguarda me, che tra l’altro ho passato un breve periodo di malattia a letto per il covid, la sospensione forzata dall’attività musicale ha ingenerato un irrefrenabile desiderio di scrittura; in particolare mi sono dedicato ad argomenti che riguardavano l’essere musicista e compositore all’interno di una Forza armata come l’Arma dei carabinieri, nel caso specifico ho scritto dei pezzi per celebrare la figura di alcune grandi personalità, umane e militari,  come Salvo D’Acquisto e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sono nati così due pezzi: “Presente” dedicato a Salvo D’Acquisto e “Una sera di settembre” che avete ascoltato stasera».
-Già. Ho dato una scorsa al repertorio di questa sera, Rossini, Verdi, Piazzolla e… Martinelli! C’è appunto il brano “Una sera di Settembre” che tu hai composto e dedicato al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (ispirato dal bel libro “Il mio valzer con papà”, scritto da Rita, sua figlia), in occasione del centenario della nascita, nel 2020, e il cui trentanovesimo anniversario della morte è stato celebrato proprio ieri (3 settembre n.d.a). Lui fu un uomo eccezionale ed “eccezione” è un termine che proviene dal latino “exceptio”, da excipĕre, ovvero “estrarre, tirare fuori”. Lui, anche nei momenti più bui o quando gli fecero terra bruciata intorno, riuscì a tirar fuori da sé stesso quelle virtù che lo rendono ancora oggi straordinariamente unico, al punto da  essere riuscito a cambiare il corso della storia con il proprio immanente pensiero e con le azioni compiute. “Vi sono pochissimi uomini − e sono le eccezioni − capaci di pensare e sentire al di là del momento presente”. Sono parole del Generale prussiano Karl von Clausewitz,  che scrisse “Della guerra”, 8 libri in cui ne analizzò tutti gli aspetti, e quella alla mafia è una guerra… all’epoca di Dalla Chiesa come ora. Io credo che la tua dedica sia la testimonianza di quanto il Generale sia sempre molto amato da voi Carabinieri e di quanto il suo pensiero, le sue azioni e la sua integrità morale siano una guida. Come hai pensato di strutturare musicalmente i tanti episodi della la sua vita militare e di uomo?
«”Una sera di settembre” è un brano descrittivo che ripercorre le tappe più importanti della figura del generale più amato dell’Arma dei Carabinieri. Un uomo che aveva un grande senso della famiglia e che doveva dividersi tra delicati incarichi istituzionali, che comportavano lunghe assenze per motivi  di lavoro, e la sua famiglia, per la quale doveva ritagliare il poco tempo che gli rimaneva a disposizione…»
In un’intervista ad un direttore d’orchestra chiesero: “Quale è la tua musica preferita?”. Lui rispose: “Qualunque cosa io stia dirigendo in questo momento è la mia musica preferita”. Ti ritrovi in queste parole di Nachev, che dirige la Shen Yun Symphony Orchestra? C’è comunque una musica che prediligi?
«Cara Marina, circa la tua domanda anche io ho le mie preferenze, ad esempio adoro autori come Bach, Beethoven, Bartok, Bernstein! Quattro B. per dire che avendo una formazione di tipo classico ma essendo particolarmente interessato alle declinazioni musicali più varie ti confido che mi trovo a mio agio con la musica che mi piace e questi autori rappresentano per me quello che mi si addice di più. Bisogna a parer mio, come un Giano bifronte, guardare alla grande musica del passato con il rispetto che essa merita ma al contempo, come faceva Bernstein declinarla sempre al presente e possibilmente, ammesso di esserne capaci, come lo era Mozart, al futuro!
Scusami per l’estrema sintesi di questa risposta alla tua bellissima domanda!»
Carlo Hruby – Vice-Presidente della Fondazione Enzo Hruby, Milano
Dottor Hruby, dopo aver ascoltato il suo intervento alla fine del concerto di Portogruaro, ho pensato che mi sarebbe piaciuto proporre ai nostri lettori un approfondimento sulle attività della Fondazione Enzo Hruby, che credo rappresenti un unicum in Italia.
Dunque, da imprenditore di un’azienda leader nel campo della sicurezza, decide di dare vita alla Fondazione Hruby e poi ancora all’Associazione Musica con le Ali, affiancandola ad un ottimo strumento di diffusione della classica quale è la webradio MCA.
Ognuna di queste attività di patronage riveste una considerevole  importanza nei settori in cui opera: la prima nella protezione e la sicurezza dell’immenso patrimonio storico, culturale e architettonico del nostro Paese, le altre due nella meritevole azione volta alla conoscenza e alla valorizzazione della musica classica e dei suoi giovani talenti, attraverso molteplici iniziative. Forse il paragone potrà apparirle un po’ audace, tuttavia, documentandomi su ciò che state facendo, non ho potuto non andare con il pensiero al mecenatismo rinascimentale e ad uno dei suoi personaggi più rappresentativi: Lorenzo il Magnifico. Per lui il mecenatismo non era solamente un’arte per governare ma una necessità del suo animo sensibile. Anche nel suo caso è stata la sua anima, oltre alla consapevolezza di svolgere un meritorio servizio per la collettività, a guidarla nelle scelte che ha portato avanti? Avrebbe piacere di raccontarsi un po’?
«Lei ha citato un personaggio immenso, a cui non posso certo paragonarmi. Le scelte portate avanti nel corso degli anni e che hanno determinato la nascita della Fondazione Enzo Hruby – a cui si è aggiunta, più recentemente, l’Associazione Musica con le Ali – sono scaturite da una formazione umanistica che mi ha dato le basi per apprezzare la bellezza dell’Italia nelle sue infinite sfaccettature e dal desiderio, mio e della mia famiglia, di impegnarci concretamente per offrire un valore alle nuove generazioni e al Paese che ha visto nascere, alla fine degli anni Sessanta, la nostra realtà imprenditoriale, diventata nel corso del tempo un punto di riferimento nel mercato della sicurezza elettronica. Le tecnologie più evolute ci hanno sempre accompagnato nella nostra attività e dunque abbiamo desiderato sostenere con quelle stesse tecnologie la protezione del patrimonio culturale che rende così unica e straordinaria l’Italia. Ma non solo: attraverso la Fondazione Enzo Hruby il nostro desiderio costante è stato fin dall’inizio e continua ad essere tuttora quello di far crescere la cultura della sicurezza e la consapevolezza del valore del nostro tesoro-Italia. Un tesoro che per poter essere valorizzato deve essere per prima cosa protetto contro furti, sottrazioni, atti di vandalismo e danneggiamenti. Per raggiungere questo obiettivo le tecnologie da sole non bastano ma occorre creare un dialogo costante tra gli operatori della sicurezza e gli operatori dei beni culturali, e allo stesso tempo, sensibilizzare le nuove generazioni sul valore dei tesori che ci circondano e sull’importanza di conoscerli, proteggerli e difenderli.
È proprio attraverso l’attività della Fondazione Enzo Hruby che ho avuto l’occasione di approfondire la conoscenza del mondo della musica classica. Questo è avvenuto sia in occasione di progetti  destinati alla protezione del patrimonio musicale italiano sia in occasione di eventi organizzati dalla nostra Fondazione, che hanno visto l’esibizione di giovani musicisti di talento. Nel 2016 ho dunque istituito insieme a mia moglie e ai miei figli l’Associazione Musica con le Ali, che svolge un’azione di Patronage Artistico unica nel suo genere in Italia e all’estero sostenendo i migliori giovani talenti italiani, e che parallelamente si propone di diffondere sempre più la conoscenza e l’ascolto della musica classica tra le nuove generazioni. Oggi, anche attraverso uno strumento così utile e innovativo come Radio MCA, portiamo avanti il nostro percorso verso nuove avventure e nuovi traguardi. Pensando sempre –  ad ogni progetto, ad ogni nuova iniziativa che ci sta a cuore e che vorremmo tentare – che quasi nulla è impossibile, bisogna sono iniziare. Ecco, forse questa è in sintesi la massima che mi ha più guidato da sempre».
Alessandro Taverna, neo direttore artistico del Festival Internazionale di Musica di Portogruaro:
-Prof. Taverna, abbiamo assistito ad una serata speciale, prestigiosa e densa di significati. Un ottimo biglietto da visita per il nuovo corso del Festival che lei ha iniziato a curare quest’anno.
«Si, per celebrare al livello più alto gli anniversari legati alla nostra Storia (75° anniversario della Repubblica, 100° del Milite Ignoto e 160° dell’Unità d’Italia) abbiamo fortemente desiderato nel Festival la presenza di una compagine di indiscusso prestigio musicale internazionale e che nello stesso tempo incarna al massimo grado i valori della nostra Repubblica. Sono sicuro che per tutti quelli che vi hanno assistito, il concerto di sabato 4 settembre resterà come un ricordo indelebile: una serata magica, e il merito va anzitutto al maestro Massimo Martinelli e a tutti i professori della Banda dell’Arma dei Carabinieri, che con grande maestria ci hanno regalato una lettura memorabile di alcuni dei più celebri capolavori della storia della musica. Un grazie particolare alla Fondazione Enzo Hruby per aver permesso che il nostro desiderio diventasse realtà».
Chiudo questo mio reportage con la citazione completa di Platone, che avevo usato parzialmente per commentare la musica di Piazzolla: “la musica è una legge morale. Essa dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza, e la vita a tutte le cose”.

Marina Tuni

A Proposito di Jazz desidera ringraziare: l’Arma dei Carabinieri, lo Studio Sandrinelli, ufficio stampa e comunicazione del Festival di Musica di Portogruaro (dott.ssa Clara Giangaspero) e il fotografo Andrea Pavan per la gentile concessione delle immagini, la dott.ssa Simona Nistri, Responsabile Relazioni Esterne Fondazione Hruby/Musica con le Ali

Lo specchio di Narciso

Trascrivere come tradurre, adattare una composizione a un mezzo fonico nuovo? Vexata quæstio. Da una parte i puristi, che non tollerano Bach e Scarlatti al pianoforte, aborrono le manipolazioni orchestrali di Stokowski e persino a sentir parlare dei “Tableaux” di Ravel arricciano le labbra con virtuosa indignazione. Sull’altro versante del fiume i dissipatori, assetati di inediti significati, vogliosi di sfumature “cross-over” e, se strumentisti, alla ricerca di nuovo repertorio al fine di distinguersi nell’era della globalizzazione. Se hanno tutti ragione, i primi come i secondi, si concederà a chi scrive lo schierarsi senza meno dalla parte di questi ultimi. Quando un vero artista trascrive, in realtà, rivive l’ opera che va rielaborando. Vi si apre nella memoria una finestra da cui s’affaccia, benevolo e sorridente, il compositore. L’opera trascritta è speculum, lastra rifrangente. Rimirando se stesso, vicino quanto irraggiungibile, nello specchio d’acqua cui l’ha condotto con l’inganno Nemesi, il bellissimo Narciso si definisce e, in certo qual modo, rinasce; anche se ciò lo porterà alla morte più perversa e dolorosa.

Questo bellissimo lavoro di Eugenio Della Chiara, “Guitarra Clásica” (DECCA) rompe lo specchio di Narciso e lascia che la musica, fuor di metafora, viva a una seconda vita. Si tratta di celebri pagine dei grandi autori della prima Scuola di Vienna (Haydn, Mozart, Beethoven) trascritte per chitarra da maestri come Francisco Tárrega (Vila-real, 1852 – Barcellona,1909) Miguel Llobet (Barcellona, 1878 –1938) e Andrés Segovia (Linares, 1893 – Madrid, 1987). Meno noto Wolfgang Joseph Lanz (Michaelnbach, 1797 – Vienna, 1873) di cui l’interprete propone il grazioso ‘Rondino’.

In chiusura, una perla che da sola, forse, motiverebbe l’acquisto dell’album: il raffinato “Cammeo di Joseph Haydn in forma di Minuetto” di Carlo Galante, nato a Trento nel 1959. Soffusa di colori dorati, elegante e misteriosa, la miniatura è essa stessa una trascrizione, non della lettera quanto dello spirito haydniano. Geometria e affetti si danno amichevolmente la mano, c’è precisione, figura, poesia e non potèvasi desiderare conclusione più persuasiva. Queste ultime due composizioni sono qui presentate in prima registrazione assoluta. Eugenio Della Chiara è chitarrista di classe, suona con tecnica brillante, bella qualità timbrica e un gusto maturo del fraseggio. Gli si fa, credo, il miglior complimento col dirgli che la sua esecuzione riduce ai minimi termini l’abissale differenza timbrica e spirituale tra gli organici originali di queste opere e la chitarra: queste composizioni sembrano quasi concepite per le sei corde e non è risultato da poco. “Guitarra Clásica” è un omaggio al passato visto non come realtà artificiale, postuma, ma viva e presente e il merito va forse più all’interprete che ai pure giustamente blasonati trascrittori. Molto buona la qualità dell’incisione.

“Les Troyens” di Hector Berlioz: l’anima virgiliana in musica

Dopo il sonoro fiasco della sua opera Benvenuto Cellini, del 1838, Hector Berlioz fece a se stesso una promessa solenne: mai più opera. Ma tale espressione artistica, per le sue caratteristiche intrinseche, era fatta apposta per veicolarne l’arte visionaria. E così arrivò in porto un progetto quasi più ambizioso del precedente: ‘Les Troyens’. Composta fra il 1856 ed il 1858, ispirata all’Eneide di Virgilio, quest’opera incontrò grandi difficoltà ad essere messa in scena. Forse addirittura uniche. Problema primario, anzi tutto, la lunghezza: quattro ore buone, quasi cinque. Si era in epoca wagneriana, non era così insolito, tuttavia l’epopea del pio Enea in musica dovette essere scissa in due opere distinte, La Prise de Troie e la più ampia Les Troyens à Carthage. Procedura, curioso notarlo, oggi non insolita nel cinema (“Kill Bill” di Quentin Tarantino, “Novecento” di Bertolucci), forma d’arte che, non a caso, discende più direttamente di altre dal melodramma ottocentesco e ne esorcizza l’eredità. Disgraziatamente Berlioz poté assistere in vita solo all’ultima sezione, rappresentata al Théâtre Lyrique di Parigi il 4 novembre 1863.

La prima parte venne invece eseguita in forma di concerto nel 1879. Le due metà, finalmente riunite in un’unica creatura, furono rappresentate per la prima volta – quasi parto distòcico – a Karlsruhe il 6 e 7 dicembre 1890, sotto la direzione di André Messager, compositore e direttore grande amico di Faurè. La prima vera esecuzione integrale in una sola serata, però, non ebbe luogo che nel 1957 al Covent Garden. Un ulteriore ostacolo alla rappresentazione dell’opera completa fu ed è tuttora il costo alto di un allestimento che richiede grandi masse orchestrali (sei arpe…) e corali.

Per citare un esempio ‘ex pluribus’, oltre all’imponente coro che agisce sul palcoscenico, è previsto l’intervento di un coro fuori scena ma soltanto per due brevi interventi, collocati al primo e ultimo atto: quindi ad alcune ore di distanza l’uno dall’altro! Per tacere poi della modernità del linguaggio, che alla prima rappresentazione destò sgomento tra le compagini, chiamate a un difficilissimo quanto irrituale compito. Ma com’è, ad ascoltarla oggi, ‘Les Troyens’? Senza esitazione: stupenda, avvincente e piena di senso del bello. Essa rappresenta una terza via, alternativa sia al wagnerismo (cui è in qualche modo imparentata più fraternamente) che all’opera italiana a forme chiuse. Come Dallapiccola escogitò una via italiana alla dodecafonia, potremmo dire che Berlioz seppe trovare, ante litteram, una via ‘francese’, o ‘latina’ a Wagner il cui lascito, imprescindibile, è espressione eminentemente teutonica. Se nei ‘Troiani’ quindi cerchi la grande melodia belliniana o verdiana non la troverai; ma ciò che che accade in orchestra, nelle variopinte correnti ascensionali del coro così come nel sofferto ed eroico vaticinare dei solisti che si agitano in una natura vivente, tutta questa energia vitale, questa “shakti”, esprimono gioia impareggiabile come di fronte alla scoperta di un nuovo mondo, poiché di questo si tratta. Berlioz viene considerato uno sperimentatore e lo fu, certamente, ma nelle sue creazioni il progetto compositivo comprende quello costruttivo. Nulla vi è di arbitrario nelle soluzioni linguistiche adottate; vi confluiscono, per contro, energie eterogenee plausibilizzate da un’ispirazione sicura, che ingloba il passato comprendendo il presente. Grande avvocato di quest’opera nei tempi moderni fu, come è noto, Colin Davis, che la incise per Decca subito dopo la rappresentazione londinese summenzionata. Successivamente, la registrò, pure brillantemente, Charles Dutoit. Ritengo però che questa nuova realizzazione Erato superi le pur pregevoli sopra citate ponendosi come edizione di riferimento, quantomeno mio personale. Ognuno merita di essere citato poiché tutti eclatanti: Joyce DiDonato, Michael Spyres, Marie-Nicole Lemieux, Stéphane Degout, Nicolas Courjal, Marianne Crebassa, Hanna Hipp, Cyrille Dubois, Stanislas de Barbeyrac, Philippe Sly, Choeur de l’Opéra du Rhin, Badischer Staatsopernchor, Choeur philharmonique de Strasbourg, Orchestre philharmonique de Strasbourg. Il cofanetto di quattro CD comprende anche un DVD extra con estratti da ognuno dei cinque atti. Esso rende possibile ammirare, attraverso una rappresentazione in forma di concerto, il vero eroe dell’impresa, il direttore John Nelson: preciso, ispirato, esattissimo, e pure simpatico. Registrazione accurata sul piano della chiarezza come del calore, e voci ben integrate nel panorama sonoro dell’orchestra. Menzione speciale all’emozionante Cassandra di Marie-Nicole Lemieux, che si ammira anche nel DVD e purtroppo sparisce dopo il primo atto

 

 

 

 

 

Come Prospero, Duca della canzone

Antonio Ballista, uno dei più cari ed intimi amici della Musica, ha compiuto da poco ottant’anni. Per l’occasione “La Bottega Discantica” licenzia l’album forse più personale, cui lavorava da tempo, titolato “Hit Parade – il meglio della canzone secondo me”. Singolare il repertorio: si va da rivisitazioni proprie e del compositore Alessandro Lucchetti di Bixio, Churchill, Gershwin per giungere fino a Grieg, Schumann, Strauss, Gluck e altri giganti. Curioso il percorso ‘a ritroso’ essendo forgiata a gambero l’intera scaletta, proprio come le classiche hit-parade: salvo che qui, fortunatamente, si finisce con  “Anything goes” di Cole Porter e non con Rovazzi.

“Canzone” è termine quasi logoro, sfibrato dall’amore dei melomani; dacché nel canto consiste l’apparato cardiovascolare della musica. Arnold Schoenberg provò ad abolire la melodia cercandola nei timbri e mal gliene incolse. Ogni esperienza moderna in cui la melodia venne oscurata per preferirle il ‘bruitisme’ o altri parametri causò ammutinamenti nel pubblico. Instancabile, l’uomo cerca un’anima gemella e nella canzone, lui fedifrago per natura, sembra trovare l’unica irriducibile fedeltà. Si dirà che con discorsi del genere io voglia fare carne di porco di ogni ricerca linguistica avanzata. Ma non è così, soprattutto non è questo il punto. Tutti ammiriamo Schoenberg e Xenakis, ci buttiamo ginocchioni davanti al compianto Boulez come di buon grado ci siamo fatti trapanare i timpani dalle “Mikrophonie” di Stockhausen, il grande Lancillotto del secondo Novecento. Sembrerebbe non esserci via d’uscita da questa aporìa. Ma se ammettessimo che forse essa è illusoria? ‘Melos’ è parametro cardinale, secondo alcuni imprescindibile, per trovare il codice di accesso dell’ascoltatore. A questa tesi tiene bordone il noto pianista jazz Keith Jarrett, non certo un ‘Beckmesser’ qualsiasi, quando severo dichiara: “La musica è melodia”. Affermazione disgustosa alle orecchie di un adorniano, ma non per forza infondata.
La Canzone appartiene all’arte di ogni tempo ed è moneta corrente anche nel nostro, “grato che mai non si stingue del libro che ’l preterito rassegna”. Le avanguardie hanno fatto le loro rivoluzioni e continueranno a farle in sæcula sæculorum , indisturbate e benedette dal Cielo. Amen, e così sia.

Tornando al CD, il significato suo più profondo si rivela all’ascolto più che alla lettura del programma: l’abbattimento dei generi. Fornisce prova inconfutabile del fatto che in musica, a certe condizioni, le distinzioni di genere non sono che costruzioni abusive che non condizionano neppure gli orientamenti del pubblico. Il presente Compact Disc è simile a un’entità plurigemellare nel cui petto batte unico cuore; non  prodotto di laboratorio ma creatura viva, figlia di Arte e Fantasia, educata dal Tempo. Ballista non si balocca con  accoppiamenti più o meno giudiziosi, giustapposizioni facili: più che a un giocoliere somiglia a un chimico tintore che esplori l’anima della musica con l’intento di trovare il proprio “colore nuovo”. L’interprete demiurgo cerca affinità tra sè e le cose ritrovando se stesso, per triangolazione logica, tra le cose medesime. Il programma non somiglia a una collana di perle, sembra piuttosto un’intera barriera corallina. Ascolti un incantato Morgen, “Parlami d’Amore Mariù”, Brahms e un “I tre Porcellini” contornato da bagliori musorgskijani, finché smarrisci gli Autori e trovi la Musica; quindi, per la medesima silloge, trovi Ballista che “è” la musica. Come si diceva,un simile sincretismo può inverarsi solo a certe condizioni, in primis la sincerità totale dell’interprete. Guai a gettarsi in operazioni meta-linguistiche con scarsa attrezzatura e convinzione.
E quanto cross-over inutile e corrivo si sente ultimamente! “Hit Parade” riassume con discrezione l’umile e prezioso lavoro di un Poeta.  Antonio Ballista è appunto questo: pianista-Poeta che fa musica nell’unico modo possibile, dicendo la verità.
A chi è destinata una silloge tanto insolita? A tutti, ma in particolare a un ascoltatore “nuovo”, privo di inibizioni e schemi preconcetti.
Nel magnifico discorso finale della “Tempesta” il Duca di Milano, Prospero, concittadino di Ballista non che sovrano della piccola isola in cui tròvasi relegato, invoca liberazione per sé e i compagni attraverso un benevolo applauso del pubblico, in un entanglement tra poesia e realtà. Ad Antonio – Prospero sia tributata l’acclamazione più calorosa per quanto continua a dare all’arte musicale e alla vita. Esecuzioni pianistiche vive e colme di grazia; molto buona l’incisione, curato il packaging.

Interessanti le note vergate dallo stesso Ballista e da Davide Tortorella.