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Concha Buika

Dal punto di vista prettamente vocale è stata una delle esperienze più interessanti che abbia vissuto negli ultimi tempi: confermando appieno le impressioni che avevo ricavato dall’ascolto dei suoi tre album, Concha Buika si è dimostrata una delle vocalist più originali attualmente in esercizio sulla scena internazionale.
Di origini africane (Guinea Equatoriale), ma nata e cresciuta a Palma de Mayorca, Buika ha elaborato uno stile assolutamente personale in cui si fondono echi di jazz (bello il suo scat), di musica spagnola (in primo luogo flamenco) e ovviamente di melopee e ritmi africani, il tutto sublimato da una voce straordinaria e da capacità interpretative assolutamente fuori dal comune.
Dotata di un strumento affascinante, grumoso, scuro, tutto giocato sui registri medio e grave, eppure di grande potenza, l’artista riesce a far proprio qualunque pezzo decida di eseguire adattandolo alle proprie esigenze espressive. Di qui la netta sensazione che alle volte Concha, con il suo canto, intenda mettere a nudo, raccontare tutta una vita non facile, fatta di dolore, di privazioni, di sofferenze ma alla fine anche di grandi soddisfazioni soprattutto per la perfetta coerenza tra quanto si sente e quanto in effetti si è riusciti a trasmettere.
Il pubblico avverte tutto ciò, si lascia trascinare dalla sua sincerità ed espressività e le tributa un trionfo più che meritato… e a questo punto sorge spontaneo un paragone tra quel che Buika sa veicolare e l’arido tecnicismo di molte, troppe cantanti odierne che impadronitesi di una certa tecnica la considerano un punto d’ arrivo, anziché, come sarebbe molto più giusto, una semplice base di partenza, da cui attingere a quei livelli emozionali che soli riescono a coinvolgere la platea.
E al riguardo Buika è stata grande nel concerto di lunedì 25 maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma; la performance inizia quasi in sordina, con un assolo del pianista Ivan Gonzales Levis cui, poco dopo, si aggiunge Concha che esegue il primo pezzo, “Niña de fuego”, che già offre agli ascoltatori un piccolo saggio di quanto si ascolterà in seguito. A questo punto entra in gioco il resto della band ossia Angel Javier Llosera seduto sul “cajón” il cassone di legno tipico del flamenco, Daniel Noel Martinez Izquierdo al basso e Carlos Sarduy Dimet alla tromba e percussioni .
Il concerto prende decisamente quota grazie a Buika che presenta uno dopo l’altro una decina di brani molti dei quali contenuti nei tre album finora pubblicati, “Buika” del 2005, “Mi niña Lola” del 2006 e “Niña de fuego” del 2008. Così compare, inopinatamente, una splendida versione di quel “Volver” portato al successo parecchi anni fa dal miglior esponente del tango vocale argentino Carlos Gardel, cui fanno seguito pezzi attesi come “La falsa moneda”, “Ay de mi primavera” , “Mentirosa” una rumba che canta le disillusioni d’amore composta da Buika durante una notte insonne a Tokio, “Volver, volver” facente parte della tradizione messicana, “Mienteme bien” e soprattutto quel “Mi niña Lola” che ha segnato il successo internazionale della cantante.
L’entusiasmo del pubblico sale alle stelle mentre Lei, gran sacerdotessa della serata, continua a donarsi senza riserve al suo pubblico accoppiando movimenti di flamenco a movenze danzanti di rara eleganza chiaramente derivanti dalle sue origini. Così l’ora e mezzo del concerto scorre via rapida e alla fine, richiamata a gran voce da un pubblico entusiasta, Concha regala un bis cantando per metà in lingua africana e per metà in spagnolo.

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