Tempo di lettura stimato: 9 minuti
Bossanova Forever Quartet – “Enneagramma” – Splasc(H) CDH 1533.2
Non so se ci avete fatto caso ma, in questo periodo, quando un musicista decide di realizzare un album di standards, vi inserisce assai spesso almeno due pezzi di musica brasiliana, probabilmente contando sul fatto che gli stessi sono assai conosciuti e ben accetti ad un vasto pubblico. Solo che, purtroppo, altrettanto spesso si tratta di riproduzioni oleografiche, che non vanno in fondo limitandosi ad una riproposizione il più possibile vicina all’originale. Questo quartetto ha invece compiuto l’operazione inversa; il batterista e percussionista Marcello Davoli, da sempre appassionato di musica brasiliana e latina, e Mario Parisini sassofonista e arrangiatore con vasta esperienza anche in campo internazionale, hanno deciso di formare un quartetto che, in qualche modo, riproponesse la “loro” visione di questo genere musicale. Per raggiungere tale obiettivo hanno chiamato il pianista Giulio Ferrari e il contrabbassista Steve Riva. Coerentemente all’idea di fondo, il repertorio non si basa su brani già noti ma su quattordici composizioni originali scritte da tutti e quattro i componenti il gruppo. Il risultato è ora a nostra disposizione e ci sembra più che apprezzabile. In effetti il quartetto cerca di proporre una propria originale visione non tanto e non solo della musica brasiliana e latina quanto delle contaminazioni tra queste e il jazz, contaminazioni vissute alla lue di una moderna sensibilità che ha conosciuto altri modelli di commistione oltre la bossa nova. In questo senso l’album è ben articolato, con variazioni di atmosfere e di ritmi e con alcuni pezzi particolarnmente riusciti quali, a nostro avviso, “Bimba getti fuoco” di Parisini e “Rhythm du soleil” di Giulio Ferrari.
Gent.le Michele
Innanzitutto vorrei ringarziarLa per la Sua lettera in quanto dimostra che si può dire tutto, in tono civile, senza trascendere e ricorrere ad insulti assolutamente gratuiti. Quindi pieno accordo sul tono… un po’ meno sul merito. E vediamo perché.
Innanzitutto sgombriamo il campo da un macigno: Lei sostiene, non senza ragione, che “scrivere sarcasticamente “non siamo in presenza di un novello Mingus” di un musicista che, come tutti, profonde un impegno totalizzante in quello che fa, non è certo un modello di eleganza”. Ma forse dimentica: a) che la mia frase è una risposta ad un precedente vero e proprio insulto; b) che la mia considerazione è, comunque, oggettivamente veritiera mentre quella rivolta dal Suo amico al sottoscritto di “sedicente critico” è del tutto soggettiva e gratuita.
Ciò detto occorre un’altra considerazione di fondo: quando un musicista o una casa discografica decide di inviare un disco per “recensione” occorrerebbe forse una migliore conoscenza della lingua italiana nel senso che, cito testualmente dal Vocabolario Treccani, la recensione è un “esame CRITICO, in forma di articolo più o meno esteso, di un’opera di recente pubblicazione”. Ciò per dire che un musicista – ed un artista in generale – deve essere pronto ad accettare il giudizio del pubblico e della critica qualunque esso sia. Certo, tale giudizio lo si può contestare, ci mancherebbe altro!, ma sempre con il dovuto garbo. Invece capita sempre più spesso che quando si parla bene di un disco, di un musicista allora si è professionali e competenti, quando se ne parla male… Ed è proprio ciò che è accaduto con il Suo amico dal momento che – lo ripeto ma è importante – in molte altre occasioni avevo ben parlato della Sua musica senza ricevere in riscontro una sola riga.
Quanto all’altra Sua affermazione circa una presunta superficialità della critica, ovviamente posso rispondere solo a titolo personale e Le dico che prima di scrivere su un disco lo ascolto con attenzione almeno tre volte; dopo di che esprimo un giudizio su quello che ho ascoltato. Certo, le motivazioni sono importanti, ma se un album non mi piace… non mi piace a prescindere dalle motivazioni. E tenga ben presente che – come ho già detto centinaia di volte – non ho la pretesa di dire la verità: esprimo solo un mio parere secondo dei parametri per lo più soggettivi. Ad esempio, a mio avviso, la “spregiudicatezza” in musica è spesso un pregio: nel caso in questione, da musicisti bravi e preparati come Voi – lo ribadisco – io (e forse solo IO Ma poco importa) mi aspettavo qualcosa di più. E’ lecito pensarlo? E’ lecito scriverlo o si compie qualche operazione di lesa maestà? E con ciò credo di averLe risposto anche circa il fatto di giudicare con la “pancia” o meno.
Comunque l’argomento è scottante e quanto meno ci ritornerò con un editoriale.
Per il momento La saluto cordialmente.
Caro Gerlando, non volevo proprio entrare nella polemica, poiché le polemiche tolgono tempo al mio lavoro di musicista, ma la sua risposta piccata mi costringe ad alcune precisazioni, affinché chi legge possa farsi delle idee un po’ più chiare sull’argomento. Mi scuso innanzitutto se i toni esasperati del mio collega, che peraltro conosco come persona garbata e intelligente, sono stati offensivi e premetto che non ho concordato con lui né il precedente intervento, né questo. Lei mi parla di democrazia, ma chi suona sa quanto sia esposto a critiche unilaterali più o meno sensate, che rimangono fissate sulla carta, o in questo caso nelle maglie della rete, senza avere quasi mai la facoltà di spiegarsi. Fa parte del gioco, lo so. In ogni caso, anche scrivere sarcasticamente “non siamo in presenza di un novello Mingus” di un musicista che, come tutti, profonde un impegno totalizzante in quello che fa, non è certo un modello di eleganza. Quello che costantemente ci sembra di notare nella stampa specializzata è comunque davvero una certa superficialità di fondo, che spesso porta a trascurare le ragioni di una determinata scelta musicale. In questo caso, ad esempio, se musicisti di oltre quarant’anni (la ringrazio per l’aggettivo “giovani”!), con alle spalle un lungo percorso trascorso per lo più all’insegna del jazz moderno e d’avanguardia, noti per l’attività di compositori e per collaborazioni con artisti di punta del jazz di ricerca, anche statunitensi ed europei, DECIDE di stampare un CD di jazz di ascolto più facile, ben suonato (da quando questa è una colpa?), “pulito”, è perché è esattamente questo che vuole dare ai propri ascoltatori più o meno fedeli, qualcosa di sincero e gioioso con cui una volta tanto “battere i piedi”. Evidentemente, ci siamo riusciti! Trovo comunque piuttosto gratuita la ramanzina su una nostra mancanza di originalità e “spregiudicatezza” (da quando quest’ultima è un pregio?), che poteva essere evitata tenendo conto di tante scelte coraggiose da ciascuno di noi fatte in passato!
Lei mi dirà che è libero di farsi piacere o meno il CD indipendentemente dalle intenzioni e dal trascorso dei musicisti, che preferisce giudicare “con la pancia”, come si suol dire, e l’obiezione sarebbe lecita, in effetti, ma continuo a credere che chi legge sarebbe felice di qualche informazione in più. Non entrerò più nel merito e non volevo farlo, prima della lettera del mio collega, ma queste precisazioni mi sembravano doverose.
Saluti.
Michele Franzini
Quando, scrivendo di musica, si danno pareri, gia’ il fatto di dare “pareri” significa dire cio’ che si pensa riguardo un determinato lavoro. Dire cio’ che si pensa non significa avere in mano la verita’ assoluta, ma dare un parere, spesso e volentieri richiestoci dagli stessi artisti o dalle case discografiche che li producono. Ma e’ chiara la differenza tra “critico musicale” e “promoter”? A volte sembrerebbe di no. Su questo ci sarebbe da riflettere: anche perche’ di solito se un lavoro ci piace, allora vuol dire che di musica ne capiamo. Se non ci piace, immediatamente cadiamo nel baratro dell’ incompetenza. Ma succede anche che: se un lavoro ci piace, per operatori del settore e/o musicisti che hanno un parere diverso dal nostro riguardo quell’ artista diveniamo incompetenti, e viceversa. Ma anche qui, si parla di pareri! E se semplicemente si ascoltassero i pareri, senza addivenire all’ insulto?
Daniela Floris
Gentile Mangialjo Rantzer,
evidentemente la modestia e la tolleranza non fanno parte del Suo bagaglio culturale, mentre abbonda la presunzione, merce , purtroppo, non particolarmente rara ai giorni d’oggi. In realtà mi scrive quando qualche Suo album non mi piace (cosa possibilissima dato che, a quanto mi consta, non siamo in presenza di un novello Charles Mingus) mentre tralascia le molte volte in cui, evidentemente con estrema superficialità e incompetenza, ho parlato bene della Sua musica. Ma questo è un problema Suo… e la cosa potrebbe chiudersi qui, solo che per rispetto dei miei lettori devo loro qualche ulteriore precisazione.
Sarebbe, innanzitutto, auspicabile che ognuno restasse nel proprio campo: Lei suona e fa dischi, io li critico secondo i miei parametri (che Le piacciano o meno poco importa), Lei a sua volta può benissimo criticare le mie critiche. E fino a quando non ci sarà una qualche forma di Minculpop le cose nel nostro Paese funzionano così. Quello che invece non è concesso, tra persone civili, è ricorrere all’insulto arma che Lei adopera con troppa disinvoltura. Così, volendo scendere al Suo livello, se io sono un “sedicente critico italiano” Lei potrebbe benissimo essere un sedicente artista… Lei poi afferma, in modo apodittico, che la sua musica deve essere per forza valida dal momento che la suona da vent’anni… E allora io che mi procuro da vivere scrivendo da quaranta di anni? Come vede gli argomenti bisogna maneggiarli con cura.
Comunque Le propongo un patto: Lei continui a non leggere le recensioni dei “sedicenti critici italiani” e quando Le arriva una e-mail con un mio scritto la cestini senza leggerlo; io farò a meno di ascoltare la Sua musica: non mi mancherà.
In bocca al lupo
Gerlando Gatto
Anche la sua recensione è scritta con discreta disinvoltura senza sbavatura alcuna, ben scritta ma a conti fatti piuttosto scolastica. Insomma, era necessario metterci qualcosa in più.
Se in 20 anni di carriera musicale, io avessi suonato male e superficialmente come lei scrive le recensioni dei dischi, avrei dovuto cambiare mestiere quasi subito. E invece sono sempre uno dei bassisti più richiesti. Così come apprezzatissimi, soprattutto dai musicisti e dal pubblico che alla fine dei nostri concerti va a casa felice, Franzini, Pintori e Ajmar.
Generalmente non leggo le recensioni dei sedicenti critici italiani da anni, ma questa mi è arrivata via mail e non ho potuto fare a meno di leggerla. Vedo che il livello è sempre bassino…
Le auguro una buona estate.
Tito Mangialajo rantzer