Belle affermazioni di D’Andrea, Marcotulli e Malaguti
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Allora è proprio vero: il jazz italiano non si limita ai quei tre – quattro nomi che dominano il mercato, ma è molto più complesso. La conferma, se pur ce ne fosse stato bisogno, arriva comunque, clamorosa, dal recente “Top Jazz” il referendum indetto dalla rivista “Musica Jazz” tra i giornalisti “specializzati”. Ebbene, sorpresa delle sorprese, nessuno dei “soliti noti” ha vinto questa volta in alcuna categoria.
Tutto ciò dimostra quanto sostenuto in un nostro recente articolo dedicato alla situazione del jazz italiano: purtroppo, anche nel nostro microcosmo, il grande successo è determinato non solo dalla bravura ma anche – e forse soprattutto – da una serie di altri fattori (organizzazione, ufficio stampa influente, rilevanza mediatica) comunque legati al mercato. E che, come si accennava nel già citato articolo, l’eccellenza artistica spesso non fa premio su altri elementi si evince dal fatto che il personaggio risultato vincitore di questa tornata è Franco D’Andrea, giustamente considerato dalla stampa specializzata secondo a nessuno… e non solo a livello italiano.
Quest’anno il pianista di Merano ha vinto in due categorie (miglior formazione e miglior tastierista/pianista), si è classificato secondo come musicista dell’anno, terzo nella categoria dedicata al miglior album con “Sorapis”, quarto come compositore/arrangiatore, e – caso più unico che raro – nella classifica dei gruppi oltre al primo posto ha occupato anche il quinto con il trio.
Eppure D’Andrea non suona spessissimo, eppure D’Andrea non è molto conosciuto al di fuori dell’ambiente jazzistico, eppure D’Andrea non va in televisione. A quest’ultimo riguardo, ci si aspettava che Bollani vincesse in carrozza in parecchie categorie (musicista dell’anno, miglior disco, miglior pianista) dato che è stato praticamente l’unico jazzista italiano ad aver ottenuto spazi (e che spazi…) in televisione da Mamma Rai. Ciò non è accaduto perché ancora oggi i gusti del pubblico spesso non coincidono con quelli dei critici dal momento che necessariamente si usano parametri diversi senza che per questo si gridi allo scandalo.
In linea con queste considerazioni anche la vittoria del chitarrista Lanfranco Malaguti; da anni sulla cresta dell’onda, responsabile di un percorso stilistico quanto mai originale e personale, documentato da tutta una serie di album, Lanfranco non è certo artista da grandi numeri: dopo aver vinto il referendum quale miglior nuovo talento nel 1989, ha dovuto aspettare più di vent’anni per ottenere quest’ulteriore prestigioso riconoscimento.
Un’altra piacevole novità viene, questa volta, dalla classifica dedicata al musicista dell’anno, a prevalere Rita Marcotulli che corona così un periodo d’oro avendo vinto, nel recente passato, il Premio Ciak D’Oro, il Nastro D’Argento e il David di Donatello per la Miglior Colonna Sonora per il film Basilicata Coast to Coast di Rocco Papaleo. Tornando al “Top Jazz” era dal 1982 che tale riconoscimento non andava ad una donna e se in Italia c’è una jazzista che merita questo premio, per l’originalità dell’ispirazione, la costanza, la serietà che ha sempre messo nella sua musica, questa è certamente Rita Marcotulli. Non è questa la sede per ripercorrere la ricca carriera artistica di Rita ma egualmente piace ricordare come ancora giovanissima venne chiamata nel 1988 da Billy Cobham a far parte delle sue formazioni.
Un altro elemento che si può trarre da questo referendum è l’ottimo stato di salute del jazz romano; due musicisti che vivono nella Capitale vincono il TOP JAZZ : oltre a Rita Marcotulli, c’è anche Enzo Pietropaoli, miglior bassista. Tra i vincitori anche musicisti prodotti da Etichette romane: miglior disco «Around Ornette», Giovanni Falzone Quintet (Parco della musica Records); migliori ance : Francesco Bearzatti (Parco della Musica Records); Giovanni Falzone, miglior ottone (Parco della Musica Records); miglior nuovo talento Fulvio Sigurtà (CamJazz); Maria Pia De Vito,miglior voce (Parco della Musica Records). Enzo Pietropaoli è prodotto da Jandomusic,altra etichetta romana. Anche l’ultimo cd di Rita Marcotulli,la colonna sonora di “Basilicata Coast to Coast” è prodotto da un’etichetta romana, Alice Records.
Ciò detto diamo ora uno sguardo più da vicino alle varie classifiche. Il “Premio Arrigo Polillo” – miglior disco dell’anno – è andato ad “Around Ornette” del Giovanni Falzone Quintet; la scelta non è stata facile in quanto l’annata era stata contrassegnata da molti album di sicuro interesse tra cui “Tribe” di Enrico Rava classificato secondo, il già citato “Sorapis” e “In Sicilia una suite” di Giovanni Mazzarino.
La classifica del musicista dell’anno è una sorta di gota del jazz italiano presentando nell’ordine, alle spalle della Marcotulli, D’Andrea, Bollani, Fresu, Rava, Petrella, Bosso, Danilo Gallo, Falzone e Ottolini.
Per la formazione dell’anno, il primo premio è andato ex aequo ad un veterano (il più volte citato D’Andrea) e ad un giovane vale a dire Livio Minafra con il suo quartetto, che hanno preceduto “Tinissima” e il “Falzone quintet”.
Ancor più difficile la scelta del nuovo talento : l’ha spuntata per pochi volti Fulvio Sigurtà su Mattia Cigalini; più distanziato Claudio Filippini che, a nostro avviso, meriterebbe di più… così come Dino Rubino.
Nella classifica dedicata al miglior/compositore/arrangiatore non c’è stata invece storia: Dino Betti Van Der Not ha vinto con 138 punti mentre il secondo classificato, Maurizio Giammarco, ne ha avuti solo 44. Terzo Riccardo Brazzale.
Tra gli ottoni vittoria non scontata di Giovanni Falzone a precedere Petrella, Bosso e Aquino mentre Rava e Fresu sono stati un po’ abbandonati dai rispettivi sostenitori rispettivamente con 29 e 21 voti.
Nel comparto ance vittoria scontata di Francesco Bearzatti su Max Ionata e Francesco Cafiso mentre tra i tastieristi alle spalle di D’Andrea si sono classificati nell’ordine Giovanni Guidi, Stefano Bollani e Dado Moroni; in questa categoria figura anche Rita Marcotulli con 19 preferenze.
Tra i chitarristi bella affermazione del già citato Malaguti che ha preceduto altri due eccellenti musicisti quali Roberto Cecchetto e Maurizio Brunod, mentre qualcosa in più era attesa per Nicola Mingo autore di un eccellente album dedicato a Clifford Brown.
Giusto riconoscimento anche ad Enzo Pietropaoli che ha vinto tra i bassisti con largo margine su Rosario Bonaccorso e Paolino Dalla Porta mentre tra i batteristi il dominio di Roberto Gatto (per altro secondo) è stato infranto da Zeno De Rossi mentre un bel terzo posto è andato a Fabrizio Sferra a parere di chi scrive uno dei batteristi più immaginifici e originali che il jazz europeo possa vantare.
Tra i cantanti scontata affermazione di Maria Pia De Vito che si riconferma giustamente ai vertici dato che mai si è fermata sugli allori andando sempre a cercare nuove e più ardue vie espressive.
Infine nella categoria miscellanea primo il violinista Stefano Pastor sull’armonicista Max De Aloe e il flautista Massimo De Mattia; ottima quinta l’arpista Marcella Carboni.
LA CLASSIFICA TOP JAZZ 2011 NON E’ CREDIBILE,IL JAZZ ITALIANO NON E’ SOLO RAVA,BOLLANI E c.
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Cari amici e colleghi,anche quest’anno è arrivata puntualmente la classifica TOP JAZZ 2011 che indica i nomi di quei musicisti che si sono distinti nei vari strumenti.
Come era successo negli anni precedenti i nomi che la fanno da padrone sono sempre i soliti,vale a dire Rava,Bollani,Petrella,Bosso,Guidi,Giuliani,Piatropaoli,Evangelista,Marcotulli, ecc ecc ecc.
Ma la cosa che più di tutte mi ha colpito è che gran parte di questi musicisti appartengono o hanno registrato per le etichette “Parco della Musica”,”Egea” e “Casa del Jazz”. Insomma un bel monopolio “Made in Rome”.
Premesso il rispetto e la professionalità dei musicisti che ho citato qui sopra,giudico questa classifica molto aleatoria e poco credibile poichè si basa su dati incompleti circa le tantissime e validissime produzioni di musica jazz che ogni anno vengono proposte dalle varie etichette presenti sul territotio nazionale.
Il problema infatti sta proprio qui.Questa classifica viene effettuata con il “patrocinio” delle due principali riviste di musica jazz italiane “Musica Jazz” e “Jazz It” le quali pubblicano recensioni sui migliori lavori discografici.
Gran parte delle recensioni che leggo sul jazz italiano,sono sempre riferite ai soliti nomi che circolano ormai da anni e che anche quando queste sono di scarso livello vengono sempre enfatizzate come capolavori dai giornalisti di turno autori delle recensioni.
Se si vanno poi a vedere i CD recensiti di musicisti sconosciuti possiamo notare che moltissimi di loro inseriscono sempre un ospite di riguardo appartenente alla “top ten” senza il quale la loro produzione non verrebbe presa neanche in considerazione e allora ecco che uno come Danilo Rea (per esempio) oltre al Cd del suo trio compare in una miriade di produzioni come ospite e lo stesso fanno i suoi colleghi musicisti.
Tutto questo per dire che,a mio avviso,i giornalisti “esperti del settore” dovrebbero prestare più attenzione alle realtà musicali meno conosciute (ma pur sempre fatte da validissimi musicisti) ascoltandosi magari i CD prodotti da etichette più piccole e ricercando anche lì i talenti che sono sconosciuti al pubblico ma che nulla hanno da invidiare ai nomi più blasonati.
Sinceramente mi viene da mettere in dubbio la reale preparazione di certi giornalisti quando vedo ad esempio Stefano Bollani con 53 punti superare Enrico Pieranunzi con 51! Questo mi lascia quanto mai esterrefatto e sorpreso considerato il fatto che Pieranunzi,come del resto un Franco D’Andrea,ha fatto e continua a fare la storia del jazz italiano ed internazionale e che ora viene superato da Bollani! Non lo dite neanche per scherzo.
Come intendo contestare il sistema di voto on line dove se ne vedono di tutti i colori (tipo musicisti che si votano tre volte da soli) ormai al punto da non essere più credibile.
In Italia ci sono tantissime etichette minori che producono jazz di tutto rispetto e che non vengono minimamente prese in considerazione per il solo fatto di non far parte di certi “canali”. Cito ad esempio la Drycastle Records,piccola etichetta di Arezzo di proprietà di Maurizio Bozzi (musicista di altissimo livello) che vanta dal 2004 decine di produzioni discografiche. Questa etichetta ha avuto riconoscimenti internazionali tra i quali il Los Angeles Music Award con alcuni suoi artisti italiani ed internazionali come la cantante danese Lene Riebau che ha vinto il Nashville Music Award in Tennessee;è conosciuta perfino in Giappone ma non riesce nonostante la tanta buona volontà ad affermarsi qui in Italia. E come questa ce ne sono tante altre.
Fino a quando questi giornalisti non allargheranno le loro conoscenze a tutto questo sottobosco discografico,non si può parlare in modo serio di jazz italiano e tantomeno etichettarlo con tanto di classifiche!! Lo stesso avviene per i concerti. Ci sono centinaia di musicisti preparatissimi e competenti che vivono nel limbo della musica rimanendo dei perfetti sconosciuti che suonano nei club a 50 euro,mentre tutte queste grandi associazioni musicali oltretutto finanziate con soldi pubblici fanno sempre lavorare i soliti noti.
Questo sistema deve finire,in questo modo non solo non si rende credibile il jazz italiano ma lo si danneggia.
Un’associazione come UMBRIA JAZZ deve cominciare a dare più spazio ai musicisti italiani meno famosi,perchè
è quello che fanno tutti gli altri festivals internazionali che ricevono soldi pubblici. Un impresario come Mario Guidi (quello di Umbria Jazz nel mondo) deve capire che non deve spingere solo quelle produzioni dove compare il “nome” altrimenti i nostri jazzisti non andranno da nessuna parte se tutti facessero come lui. E deve capire anche,il Sig. Mario Guidi,che non da il buon esempio a far bruciare tutte le tappe al figlio Giovanni (pianista che ancora tanta strada deve fare prima di affermarsi ma che in classifica si piazza addirittura prima di Dado Moroni))mandandolo a suonare in mezzo mondo senza che questo abbia fatto la sua doverosa gavetta di apprendistato come abbiamo fatto tutti.Facendo questo,non solo danneggia il figlio,ma fa la figura del classico italiota che dice “io ho il potere in mano,vi faccio vedere dove faccio arrivare questo qui!”. Il jazz italiano ha bisogno di ben altro per essere rilanciato!! Prendiamo esempio dal sistema a campionatura dei Grammy Awards americani. Tutto ciò è la conferma di come in Italia non si riesce a fare niente di serio e trasparente. Così come il silenzio di tanti musicisti convinti ancora che un domani arriverà un Robin Hood a tirarli fuori da questa situazione.