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Alberto Parmegiani – “Soul Hunters” – A. Ma. Records
Nel jazz quando, e quanto, conta il canto?!.
Parecchio, a giudicare dall’album “Soul Hunters” (A. Ma) griffato da Alberto Parmegiani. Il chitarrista dà corpo ad un l.p., già presente nei vari digital store, realizzato nel quadro delle iniziative di Puglia Sounds, in cui si propone originale ideatore di musica d’insieme. Che è quella che uno immagina di ascoltare diffusa durante una visita al MOMA di New York o all’ingresso del RedHead di Chicago od in after hours a Montreux e magari capita di sentir provenire da un vicolo di Bari “Vecchia”. Il richiamo viene dall’incalzare delle voci, quelle femminili di Daniela Montinaro e Paola Arcieri e l’altra da rapper di Brian Ferreir, che fanno da scansione melodica “al passo” della pulsazione che ritma le otto tracce del vinile. 
Ed ecco emergere allora, nella “battuta di caccia”, il ruolo strategico della squadra, il batterista Fabio Accardi, il bassista Gianluca Aceto col contrabbassista Gianpaolo Laurentaci, il ‘saxflautista’ Francesco Lomangino, il trombonista Antonio Fallacara, il trombettista Giuseppe Todisco, i tastieristi Pasquale Strizzi e Francesco Schepisi. L’editor Antonio Martino ed il sound engineer Tullio Ciriello, che con Parmegiani sono i “facitori” della produzione, ne siano ben lieti. Il disco piace, intriga, si ascolta, si riascolta, i solchi del long playing tendono a consumarsi. L’augurio è pensarne una seconda puntata e, perché no, immaginarne una trilogia, come “Soul Hunter”, il libro di Artemide Rose. 
Con cinque mondi da visitare e concentrare in musica: jazz, rap, funk, hip hop e naturalmente soul.


Paola Furlano – “When You Are Far” – Holly Music
La popular music americana si è ‘disamericanizzata’ dal momento in cui è divenuta patrimonio culturale dell’umanità? Non si spiegherebbe altrimenti il senso di familiarità che si avverte ascoltando uno standard come “Candy”, di Alex Kramer, giuntoci, quanto a fascino, intatto e intonso dagli anni quaranta del secolo scorso. Quando poi a riproporli sono vocalist come Paola Furlano nell’album “When You Are Far” allora la riconnessione con quel background si compie in pieno. Il risentire da una voce “dedicata” un “That’s All” di Nat King Cole, dopo averne immagazzinato la melodia magari da Frank Sinatra, sta a dimostrare, si ribadisce, come certi standards si siano “globalizzati” per piazzarsi stabilmente nell’immaginario musicale della gente. Così un certo tipo di jazz, quello più classico, come l’opera nell’ottocento, ha trovato il suo posto nel flusso di suoni che accompagna il vivere quotidiano. Fa il resto la bravura degli interpreti, è il caso della Furlano, nel riprodurne la magia anche in brani noti come “What’s a Difference” della Grever e anche nell’innestare in quel songbook nuove proposte come “When You Are Far” di Francesco “Frank” Sorrenti, in veste di autore oltre che presidente della label Holly Music.
Originalità e rispetto della tradizione non è equilibrio facile da raggiungere ma tale non è per un’ ugola esperta come quella della Furlano, abituata a transitare per le ottave alla ricerca delle tonalità più indicate a tinteggiare di chiaro e scuro le linee del proprio melodizzare.
Si avverte a monte dell’album il sapiente arrangiamento e la accorta orchestrazione di Gianni Ephrikian presso il Virtual Studio di Andrea De Marchi a Treviso. Lavoro che, a partire da “Home (when shadows falls)” seguito da “You’re Blase” fino a “Don’t Explain” resa famosa dalla Holiday, attraversa sette “episodi” – così li definisce Luciano Federighi nelle liner notes – densi di ricercatezze armoniche in ambienti musicali delineati da una mente musicale conosciuta e riconosciuta anche dall’altra parte dell’Atlantico.

Valentina Nicolotti – “Calicantus” – Emme Records
Da lirica, nel senso di testo poetico, e arte musicale, possono scaturire album come “Calicantus” della vocalist nonchè songwriter Valentina Nicolotti, inciso da Emme Records. Un giardino coltivato di fragranze melodiche, quello della nostra “Alice in Wonderland” che è fra l’altro l’unico standard ripreso nel disco. Come il “Calicantus”, a cui è dedicato il brano che intitola il cd, che fiorisce sia d’inverno che d’estate, gli altri sette pezzi in scaletta sfoderano variegati clima(x). Si alternano infatti i tepori armonici di “Lying Close to you” con le ampie aperture di orizzonti primaverili in “Briciole”, si danno il cambio i freddi respiri e sospiri di “Again” con la nenia notturna, grigio autunnale, di “Dolce Scivola”. La band al seguito, costituita da Nicola Meloni alle tastiere e piano, Gianmaria Ferrario a basso elettrico e contrabbasso e Francesco Brancato alla batteria, è subito in sinergica evidenza per spirito di gruppo nell’iniziale “Fairytole’s Loves” e la buona impressione si rafforza nei brani a seguire. Si aggiungono più avanti dei graditi ospiti in singoli interventi e cioè i chitarristi Max Carletti e Giangiacomo Parigini quindi Cesare Mecca al flicorno in “L’ultimo Mare”, ballad che connota al meglio la Nicolotti, il suo fare musica stretto in maglie poetiche scosse dal moto ondoso sapendo che “l’estate resterà / nera sulla pelle al sol / nostalgico settembre / arriverà già”.

Martine Thomas & Black Coffee – “Once Upon a Time” – Caligola
Si potrebbero chiamare, per neologismo, “chansongs” le chansons e songs che Martine Thomas canta firmando, unitamente ai Black Coffee, l’album “Once Upon a Time” (Caligola). Sono in tutto dodici brani con una track list di un’ora circa frazionabile in tre tronconi: una mezza dozzina di standard, un paio di pezzi originali e alcune rivisitazioni di classici della canzone francese quali “Et maintenant”, “Ne me quitte pas”, “L’hymne à l’amour” e “La Bohéme” legati alle icone Becaud, Brel, Piaf, Aznavour. Partiamo da qui, da questo blocco transalpino che desta maggiore curiosità. Intendiamoci. La Thomas è musicista di razza, eccelle nel vocalizzare “spesso” (aggettivo, non avverbio), sa caratterizzare partiture di Hancock e Wonder, rendere agreables pezzi come “My Favourite Things” e “Feel Like Makin’ Love” ma è quando mette in campo qualità di (re)interprete dello spirito french che brilla di luce calda. Black Coffee, fondato in Croazia nel 1993, ne è un azzeccato Alter Ego. Le si confanno, anche a livello di arrangiamenti, gli apporti del pianista Ivan Ivić e del bassista Renato Svorinić laddove il batterista Jadan Dućic non è da meno nel ruolo di competenza. Ci sono infine due ospiti italiani a completare la formazione. E sono Massimo Donà, con la sua tromba davisiana in “Butterfly”, “Love is Stronger than Pride” ed in quella “Et maintenant” in cui il bandoneon di Daniele Di Bonaventura aggiunge una speciale pennellata d’Artista.
Insomma un “pacchetto” armonico ben amalgamato da una sorta di Super Io (del trio plus) che indirizza Io canoro ed Es improvvisativo dei singoli verso l’equilibrio del Tutto.


Elsa Martin, Stefano Battaglia – “Al centro delle cose” – Artesuono

Ut musica poësis. Come la musica così la poesia. Il rapporto fra le due arti, che era di unità per gli aedi greci, si è scomposto varie volte nel tempo, per tornare a simbiosi quando le sensibilità di poeti e musicisti si sono di nuovo ritrovate. In “Al centro delle cose”, album Artesuono della cantante Elsa Martin e del pianista Stefano Battaglia, si intesse l’ennesima, ed originale, relazione fra nota e fonema, fra verso e frase musicale, ammantando di suono e canto i versi del poeta friulano Pierluigi Cappello a cui il compact rende omaggio. La fonte letteraria da cui sono tratti è la silloge “Poesie 2010-2016” edita da Rizzoli e per l’esattezza “Al centro delle cose” è un verso da “Stato di quiete”, ultima raccolta poetica a sua firma.
Il disco contiene dieci tracce in tutto per rappresentare, tramite la “riscrittura” su pentagramma di Battaglia e la vocalità vaporosa, talora frammista ad effetti elettronici, della Martin, il mondo narrativo di un esponente di spicco della poesia italiana contemporanea, scomparso nel 2017 a 50 anni. Un Autore che rivendicava con forza la difesa della propria poesia, creatura nata a prescindere dall’incidente che, appena sedicenne, ne aveva sconvolto la vita costringendolo su una sedia a rotelle. Cappello difendeva se stesso e la propria liricità pura e incontaminata, nella consapevolezza che il suo dolore esistenziale aveva superato quello fisico. Delle sue raccolte Battaglia sottolinea che “assomigliano all’opera di un vasaio, al lavoro di un instancabile cesellatore dallo sguardo largo e lucido, sempre calato nella sua realtà e nel suo contesto”.
Artesuono ha postato su You Tube il video ufficiale della produzione, viatico ad un ascolto che conferisce forma visiva oltre che auditiva ad una poesia fortemente simbolica, fantasiosa e trasfigurante; una poesia che, grazie alla delicatezza della tastiera ed alla eterea ‘melodicità’ della voce posata su immagini nitide di luoghi “vivi e misteriosi”, si riscopre più fisica, concreta, materica. Al centro delle cose.

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