Il concerto alla cantina bentivoglio di Bologna
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La Cantina Bentivoglio e' un locale storico di Bologna da sempre, ed e' gremita la sera del 12 novembre, soprattutto nella sala al piano inferiore dove si svolgono i concerti. Nell' ambito del Bologna Jazz Festival l' evento non e' da poco: suona il quartetto “Antonio Sanchez Migration Band”, di uno dei batteristi più quotati del momento a livello internazionale, Antonio Sanchez. “Migration” e' il suo progetto, che e' naturalmente anche un cd . Con lui al sax contralto David Binney, al pianoforte John Escreet ed al contrabbasso Mattew Brewer. La sala e' davvero troppo chiassosa anche per chi, come chi vi scrive, non e' una fanatica del silenzio tombale.
Prevale la funzione “ristorante” su quella del “Jazz Club”… il che e' un po' inspiegabile, il locale e' grandissimo, ha varie sale e bisognerebbe tutelare un po' di più i musicisti. Sanchez infatti e' costretto dopo il primo brano a chiedere il silenzio del pubblico. Prende il via il concerto, comunque, in maniera suggestiva, intensa: note lunghe introduttive del sax contrastano con grappoli di battiti di Sanchez che da subito conferma di essere un fuoriclasse della batteria. Una tecnica ferrea ma una fantasia espressiva enorme, anche nei momenti più muscolari e frenetici. Sanchez come tutti i batteristi – musicisti (pochi a dire la verita') , che quindi abbiano come interesse la musica e non una dimostrazione di forza, instaura un dialogo molto intenso con i componenti del suo quartetto. E' soprattutto il pianoforte di Escreet che con lui costruisce un continuo bilanciamento di dinamiche, fraseggi, stimoli. Il risultato e' coinvolgente, gia' dal primo brano, confezionato sapientemente in modo che il tempo dispari in 7/4 proceda con tutta l' efficacia che la batteria riesce ad esprimere nell' ambito di un tempo sghembo, ma addolcito dalle note lunghe del sax. Quando il sax tace e la parola passa al Trio, il pianoforte e' percussivo e indugia ostinatamente su accordi fortissimi, mentre Sanchez procede con un rullio continuo toccando tutti gli elementi del suo strumento: migliaia di battiti ma la percezione di un flusso costante, che contrasta con le botte regolari ma distinte di Escreet sulla tastiera.
Sanchez durante questo lungo primo set e' riuscito, con la sua musicalita', nell' impresa di “umanizzare” David Binney, contraltista considerato oltreoceano uno dei migliori nuovi talenti del sax, e che pero' nei gruppi in cui e' leader appare – e' un parere naturalmente – piuttosto tecnico, criptico addirittura, e solitamente contraddistinto da una freddezza che rasenta l' inespressivita' . Qui e' regolamentato doppiamente dal fatto di suonare brani scritti da Sanchez e dalle scelte espressive dello stesso Sanchez. In “New Life” ad esempio si comincia con un andamento dolce, sia dal punto di vista del tempo (un cullante 6/8) che dal punto di vista melodico: il tema e' scritto ed e' una melodia semplice, orecchiabile; Binney ha una partitura davanti a se e quindi non puo' che assecondarla. Anche quando si sfocia in momenti più energici la batteria intensifica ma non permette mai agli altri di esasperare i toni neanche quando le dinamiche aumentano notevolmente. Il vero “Binney – funambolo” emerge a tratti, ma per il resto e' costretto a dialogare rispettando il clima complessivo deciso dal leader. Tanto che la batteria riesce a respirare (letteralmente, in alcuni tratti le bacchette fanno vibrare le pelli in una sorta di respiro sonoro) costringendo anche Binney a respiri, nei momenti più introspettivi. Il ruolo del contrabbasso Brewer e' importante: il suono e' pieno e riesce ad emergere in modo da legare armonicamente il quartetto, e i suoi soli sono giustamente molto applauditi.
C'e' da dire che tanto intenso e' stato cio' che si ascoltava, che dopo i primi dieci minuti in sala non e' più volata una mosca, e questo certamente non solo per le proteste di Sanchez, ma perche' la musica ha preso il sopravvento su pietanze, chiacchiere e tintinnare di bicchieri di vino: data la connotazione fortemente da sala ristorante – trattoria vi assicuro che non era poi cosi' scontato che la cosa avvenisse. Ma Sanchez e' Sanchez ed e' riuscito dove altri probabilmente non riusciranno.
Caro Jacopo, per me è sempre un piacere interagire con i lettori e sono contentissima di rispondere ad un parere discordante dal mio! Trovo David Binney molto bravo tecnicamente, ma ahimè non riesco a trovarlo particolarmente espressivo. Leggo poi che tu ami Mark Turner, altro sassofonista che non a caso io trovo bravissimo ma… freddo. Evidentemente io e te siamo toccati emozionalmente da linguaggi diversi! Dunque, come è giusto che sia, una volta riconosciuto il giusto valore a musicisti validi, rimane sempre normale, ed auspicabile che essi parlino ad alcuni in un modo e ad alcuni in un altro. La musica non è tutta uguale, e ce ne è davvero per tutti i gusti. Ben vengano i pareri discordi: le diversità arricchiscono e assolutamente non devono mai spaventare o mettere in crisi!
In bocca al lupo per la tua musica
Daniela Floris
Ciao, mi chiamo Jacopo, suono il sax tenore e sono uno studente del conservatorio di Torino.
Vorrei esprimerti il mio disappunto a proposito dei tuoi commenti su David Binney.
Con tutti i lampanti esempi di sassofonisti “freddi”, quello di Binney mi sembra l’esempio meno calzante.
a parte il fatto che la freddezza in musica è spesso sinonimo di maggiore lucidità e attenzione ai particolari, quindi un pregio più che un difetto, cioè la volontà di non farsi prendere sempre e solo dall’emozione, che a questo punto diventa un blocco.
Oltre a questa sua lucidità Binney mantiene comunque un approccio sonoro MOLTO espressivo, i sovracuti, a differenza di un GRANDISSIMO freddone come Mark Turner (che io adoro e considero un genio, per me l’aggettivo “freddo” è un complimento) non sono puliti e limpidi ma “urlati” e graffianti (alla Coltrane) ; il suono è molto aperto e spontaneo; il fraseggio a tratti molto articolato e complesso, a tratti lirico e melodico (ascolta le 2 versioni di “Free to Dream”), Idem per le composizioni.
Rispetto la tua opinione ma ho voluto dissentire non trovandomi d’accordo.
con stima
Jacopo Albini