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Mats Gustafsson

Mats Gustafsson

La “Swedish Jazz Celebration” dal 14 al 17 aprile

“Swedish Jazz Celebration 2010” ovvero la festa che ogni anno la Federazione del Jazz svedese organizza in onore dei “suoi” musicisti, in una sorta di passerella che vede sfilare nomi noti accanto alle giovani promesse.
Avevo spesso letto di questa manifestazione ma non mi era mai capitato di assistervi; quest’anno, a seguito delle guide all’ascolto tenute alla Casa del Jazz sulla musica del Nord Europa, ho avuto la fortuna di essere stato invitato e così, unico giornalista italiano (e uno dei pochissimi non scandinavo) ho potuto constatare da vicino lo stato di salute del jazz in Svezia.E al riguardo, prima di entrare nel dettaglio dei moltissimi concerti ascoltati – una sorta di maratona davvero massacrante per chi giovanissimo non è più – si impongono alcune considerazioni di fondo anche per operare un parallelismo con la situazione italiana.
Innanzitutto la qualità della musica. Non lo scopriamo certo ora, ma i Paesi scandinavi possono vantare un’educazione musicale di base molto elevata e strutture in tal senso all’avanguardia..anche se la crisi adesso morde pure lì; partendo da tali fondamenta è logico che vi siano molti ottimi musicisti anche se quelli davvero originali non sono tantissimi. E da questo punto di vista, scomparso prematuramente quel genio di Esbjorn Svensson , si può ben affermare che oggi le punte di diamante del jazz svedese siano, tanto per fare qualche nome, i “grandi vecchi” come Bobo Stenson, Palle Danielsson, Anders Jormin e i “contemporanei” Mats Gustafsson, Rigmor Gustafsson e Jacob Karlz . Comunque nei giorni in cui sono stato ospite a Stoccolma, ho avuto modo di parlare con tanti jazzisti , ivi compresi i “grandissimi” quali, per l’appunto, Palle Danielsson, e mai ho avuto modo di notare la benché minima propensione a quella sorta di divismo che purtroppo sta “contagiando” alcuni jazzisti italiani. In compenso in alcune giovani musiciste ho intravisto una presunzione che ancora poggia sul nulla.

The Real Group

The Real Group

Il pubblico degli appassionati ha seguito numeroso e con buona attenzione tutto il programma tributando però una sola standing ovation al “The Real Group”, un quintetto a cappella di cui parleremo dopo più estesamente. Comunque è da rilevare che in questa parte del mondo ogni stile del jazz ha un suo pubblico cosicché il traditional convive con il free più canonico senza alcun problema.
Conseguente l’atteggiamento dei media. Parallelamente a quanto avviene nel nostro Paese, i quotidiani e la televisione non dedicano largo spazio alle vicende del jazz ma c’è, in compenso, la “Sveriges Radio” (l’equivalente della nostra Radio-RAI) che dedica grande attenzione alla musica afro-americana . Ad esempio la manifestazione di cui stiamo parlando è stata trasmessa sostanzialmente per intero ( in diretta o in differita ) dando così modo al pubblico svedese di seguire quanto accadeva nella Capitale. Il tutto, come si accennava, senza discriminazione alcuna verso stili o tendenze del passato più o meno remoto. Ve l’immaginate la nostra RAI che trasmette in diretta un concerto di dixieland ? Voi no…e io neppure!
Brutte notizie, invece, sul fronte discografico dal momento che, come leggeremo meglio in una intervista a Ulf Björkman responsabile vendite e promozione della storica casa discografica Caprice, anche in Scandinavia il mercato sta vivendo un periodo non particolarmente felice . Colpa della crisi economica i cui effetti si fanno sentire anche in Svezia, ma soprattutto colpa di Internet che ha abituato i giovani a scaricare gratis dalla rete, per cui spendere soldi per comprare un album sembra quasi voler buttare del denaro al vento: perché pagare quel che posso avere gratis? Solo che questo tipo di atteggiamento in ultima analisi finisce con il danneggiare soprattutto i musicisti cui viene meno una fonte di reddito importante. Se a ciò si aggiunge il fatto che, per le suddette difficoltà economiche i sussidi ai musicisti sono drasticamente calati, che il mercato svedese è relativamente piccolo (circa nove milioni di abitanti) e che quindi anche le possibilità di insegnare musica non sono infinite, si capirà come l’attuale congiuntura sia piuttosto pesante per i jazzisti svedesi che non a caso cercano sempre più occasioni di lavoro all’estero.

Jeanette Lindstrom

Jeanette Lindstrom

E veniamo finalmente alla manifestazione articolatasi nell’arco di quattro giornate, dal 14 al 18 aprile. Purtroppo le ben note disavventure legate all’eruzione del vulcano islandese hanno avuto conseguenze anche in Svezia: a parte il fatto che il vostro cronista ha dovuto procrastinare il suo ritorno in Italia di tre giorni dal momento che non c’era modo di partire, il blocco dei voli ha fatto sì che alcuni concerti saltassero. Così sabato 17 non abbiamo potuto ascoltare il Magnus Lindgren Batucada Jazz e la Nils Landgren Funk Unit rimpiazzati, rispettivamente da Hans Backenroth with Friends e dalla “Blue House Jazz Orchestra”.
Ciononostante la mia impressione è che si sia un po’ esagerato circa il numero di concerti: la rassegna, dopo la serata inaugurale presso il Club “Fasching”, si svolgeva presso la “Kulturhuset” in quattro sale (due davvero splendide) poste su altrettanti piani. Di qui una fatica boia soprattutto per arrivare all’ultima e molte esibizioni erano programmate in contemporanea cosicché o si rinunciava a qualcosa o si ascoltava metà concerto per immediatamente precipitarsi nell’altra sala ad ascoltare un’altra metà di concerto (strada scelta dal sottoscritto). E via di questo passo per tre giorni filati…cosicché alla fine ero davvero esausto. Quindi si poteva forse disegnare una programmazione meno ricca ma più rilassante.
E veniamo ai concerti, che recensirò, più o meno brevemente, a seconda dell’ordine cronologico con cui li ho ascoltati.
Appena arrivato a Stoccolma, il 15 aprile pomeriggio, dopo un viaggio abbastanza avventuroso (è stato l’ultimo volo atterrato nella capitale svedese prima che chiudessero l’aeroporto per le intemperanze del Vulcano) giusto il tempo di una rapida doccia ed eccoci fuori dall’ospitale Hotel Adlon, situato in una posizione magnifica, praticamente a due passi da dove si svolgono tutti gli eventi legati alla Celebration. Così, quasi di fronte, c’è il noto “Fasching Jazz Club” che ospita le prime serate della Rassegna. Accolto dal mio “contatto” in Svezia Odd Sneeggen, dello “Swedish Music Information Centre” gusto la mia prima cena svedese e ascolto musica di alto livello. In particolare mi colpisce il duo costituito dal sassofonista Jonas Knutsson e dal pianista Mats Öberg; i due esprimo una simbiosi straordinaria, cementata da tanti anni di collaborazione in cui hanno avuto modo, tra l’altro,di registrare tre ottimi album. Nonostante siano solo in due, alle volte riescono ad ottenere un effetto sonoro quasi orchestrale, anche se ovviamente il terreno su cui si trovano meglio è quello intimista in cui far rilevare la raffinatezza del loro incedere.

Fredrik Norén Band

Fredrik Norén Band

Il giorno dopo tutti alla Kulturhuset perché la Rassegna entra nel vivo.
Il primo gruppo che scelgo è la “Fredrik Norén Band”; la preferenza è determinata dal fatto che conosco il batterista da quando già negli anni ’60 si era imposto alla generale attenzione del pubblico europeo. Questa volta si presenta alla testa di un quintetto e devo dire che nulla mi sembra aver perso dell’originario vigore: il suo drumming è sempre preciso, poderoso, in grado di indicare la via all’intero gruppo che rappresenta una sorta di laboratorio attraverso cui Fredrik scopre e lancia nuovi talenti.
Da un quintetto ad una grande orchestra: la “Bohuslän Big Band & Bengt-Arne Wallin”; la band è una delle formazioni più amate dal pubblico svedese e nel corso dell’oramai lunga carriera ha presentato un repertorio assai variegato passando, sempre con estrema pertinenza, da Ellington a Zappa. In questa occasione ha eseguito composizioni di un autore molto popolare in Scandinavia quale Bengt-Arne Wallin e il risultato è stato eccellente. La formazione ha denotato una straordinaria compattezza con un bel gioco sulla dinamica e alcune individualità di spicco.
Naturalmente dalla big-band si passa ad un piano-solo: protagonista Sten Sandell; musicista dotato di una eccellente preparazione di base , Sten si definisce una sorta di “artista pittorico”; di qui una performance visionaria, a tratti straniante, in cui il pianista, accompagnandosi anche con la voce, disegna trame intricate e intriganti, in un processo improvvisativo di grande lucidità che gli consente, comunque, di entrare in sintonia con un pubblico che mostra di seguirlo con attenta partecipazione.
Poco dopo uno degli appuntamenti, almeno per me, più importanti dell’intero festival: il contrabbassista Palle Danielsson. Palle è davvero una bandiera del jazz europeo e scandinavo in particolare avendo contribuito in maniera determinante ad affrancare il Vecchio Continente dal linguaggio made in USA. Non a caso – lo ricordo en passant – ha suonato con Keith Jarrett e Michel Petrucciani, partecipando, tra l’altro, ad una miriade di incisioni. Negli ultimi tempi aveva subito un certo appannamento dovuto anche a problemi fisici ma a Stoccolma ho rivisto il Palle di un tempo e lui stesso mi ha confidato di sentirsi in perfetta forma. Condizione che , d’altro canto, ha chiaramente evidenziato durante il concerto in trio con Fredrik Nordström al sax tenore e Fredrik Rundqvist alla batteria, un set di rara intensità espressiva, a mio avviso una delle migliori esibizioni della Rassegna.
Appena finito il concerto di Palle, di corsa alle “Main Hall” per ascoltare quella che in Svezia viene considerata la migliore orchestra swing del momento: la “Stockholm Swing All Stars”, un ottetto di tutto rispetto con una front-line ben assortita costituita da Karl Olandersson alla tromba e vocale, Fredrik Lindborg al sax tenore, Klas Lindquist al sax alto e voce, Magnus Wiklund al trombone. L’ottetto si è esibito in un repertorio classico comprendente standard quali “The mooche”, “Mood Indigo”, “It don’t mean a thing”…che hanno letteralmente mandato in visibilio il numeroso pubblico.
Ancora un cambio di sala per ascoltare un musicista su cui nutro più di un dubbio: Mats Gustafsson con la sua Swedish Azz. In realtà non ho mai amato il free portato alle estreme conseguenze, in cui è difficile davvero distinguere tra musica e rumore. Purtroppo, almeno per me, Mats è uno dei maggiori esponenti di questo tipo di musica. Mi aspetto, quindi che anche in questa occasione si ripeta su formule già note ed invece il set è di tutt’altro tenore. Alla testa di questo suo quintetto, Mats si dimostra artista ben misurato, calibrato, e soprattutto dotato di un notevole senso ironico che lo porta ad affrontare il materiale scelto al di fuori di qualsivoglia schema: i brani fanno parte del repertorio in voga in Svezia negli anni ’50 e ’60 e Mats li rivisita alla sua maniera, con sonorità affatto particolari legate al presente , senza che ciò suoni minimamente offensivo nei confronti del passato.

Jacob Karlzon

Jacob Karlzon

In tarda serata quello che considero in assoluto il miglior concerto dell’intera manifestazione: sul palco la cantante Rigmor Gustafsson & Radio String Quartet Vienna; conoscevo Rigmor avendo ascoltato qualche suo album ma dal vivo è tutt’altra storia. Una voce splendida; un gusto raffinato sia nella scelta del repertorio, sia negli arrangiamenti, sia nell’interpretazione; una presenza scenica semplicemente affascinante: queste le doti che Rigmor ha evidenziato nel concerto giustificando ampiamente l’opinione di quanti la considerano come una delle più originali vocalist a livello internazionale. A Stoccolma la Gustafsson ha presentato i brani contenuti nel suo ultimo album – “Calling you” – inciso per l’appunto con il “Radio String Quartet Vienna” (ACT 9722-2, distr. Egea) che sta ottenendo straordinari consensi di pubblico e di critica. In effetti la musica proposta è di altissima qualità dal momento che Rigmor, responsabile degli arrangiamenti e della scelta del repertorio, è riuscita a coniugare la sua voce con il sound prettamente cameristico degli eccezionali strumentisti viennesi.
Sabato avrebbe dovuto essere la giornata clou ma l’atmosfera generale è guastata dalle notizie che arrivano dagli aeroporti di tutta Europa: come si accennava in apertura l’eruzione del vulcano non consente ad alcuni musicisti di giungere a Stoccolma mentre per il sottoscritto la possibilità di tornare in Italia la domenica diventa poco più di una chimera (e infatti non sarà possibile ripartire fino al mercoledì successivo). Comunque mi metto l’animo in pace e mi dispongo a “ben profittare della musica” come giustamente mi suggeriscono gli amici svedesi.
L’inizio, alle due del pomeriggio, è assolutamente trascinante: per la prima volta ascolto la “Kustbandet” una vera e propria istituzione del jazz svedese: pensate che alcuni elementi ne fanno parte fin dalla sua costituzione nel 1962. Letteralmente osannata dal pubblico locale, che giustamente ne ha fatto una sorta di bandiera, la Kustbandet si esprime su ottimi livelli con un repertorio significativamente intitolato “From ragtime to swing”. Jazz tradizionale, quindi, che come dicevo prima trova il suo giusto spazio sostenuto da un pubblico attento e competente.
Tutt’altra musica con la vocalist Jeanette Lindström; voce ben educata, Jeanette è fresca vincitrice di un Grammy per il miglior disco jazz dell’anno “Attitude & Orbit Control”. Ascoltandola dal vivo si capisce ancor meglio il perché di tanto successo: la cantante, compositrice, arrangiatrice non sembra lasciare alcunché al caso. La sua è una musica sofferta, studiata senza per questo risultare minimamente artificiosa. Evidentemente influenzata dalla collaborazione con Robert Wyatt , ha perfettamente introitato la lezione di non seguire alcun cliché ma di restare sempre fedele alla propria ispirazione. Di qui una musica la cui struttura potrebbe sembrare quasi pop nobilitata, però, da una attenta ricerca sul suono e sull’arrangiamento.
Successivamente alla Main Hall un’altra big band, la “Blue House Jazz Orchestra” normalmente guidata dal trombettista Peter Asplund e dal sassofonista Magnus Lindgren ma questa volta diretta dal solo trombettista dato che il cooleader non ha potuto raggiungere la capitale svedese per i ben noti motivi. Anche questa band si muove su terreni tutt’altro che sperimentali, potendo contare su un’ottima intesa di base e la bravura di alcuni solisti tra cui lo stesso Asplund.
Intorno alle 20 noto una strana agitazione: chiedo il perché e mi spiegano che di lì a poco avrebbe avuto inizio, naturalmente nella sala principale, il concerto del gruppo in assoluto più amato del momento, “The Real Group”. In effetti la “Main Hall” è piena come mai avevo visto in questi giorni e fin dall’apparire sulla scena il quintetto è accolto da una vera e propria ovazione. Si tratta di un eccellente gruppo a cappella con un repertorio assai variegato che comprende successi internazionali così come musiche tratte dalla tradizione svedese. L’impatto è effettivamente di grande portata e i cinque conoscono assai bene l’arte del canto a cappella tanto da non sfigurare al confronto con i più titolati gruppi del genere. Alla fine entusiasta standing ovation, ed è l’unica che vedremo tributare durante tutto l’arco del Festival.
Nel frattempo le ore passano e la stanchezza si fa sentire; ascolto così parte del concerto di un’altra eccellente vocalist, Lina Nyberg, e convoglio tutte le mie forze verso l’ultimo concerto: in cartellone il trio del pianista Jacob Karlzon. Conoscevo ed apprezzavo già Jacob per aver ascoltato i suoi dischi, tanto che li avevo presentati nel corso di un mio fortunato ciclo di conferenze alla Casa del Jazz dedicato per l’appunto al jazz scandinavo. Ebbene dal vivo Jacob è ancora più convincente: scelto come accompagnatore da alcuni solisti di assoluto livello quale, tanto per fare un nome Viktoria Tolstoy, è nel trio che comunque il pianista trova la sua dimensione ideale. Ben sorretto da Hans Andersson al basso e Jonas Holgersson alla batteria, Karlzon ha espresso un jazz vigoroso, originale, in cui l’improvvisazione si sposa magnificamente con la pagina scritta e con la profonda conoscenza della letteratura pianistica, non solo jazz, che Karlzon dimostra di possedere.
Così, mentre il sipario cala, su questa edizione 2010 della Swedish Jazz Celebration, me ne torno in albergo pensando a cosa fare nei prossimi giorni…che naturalmente trascorrerò nella tranquillità più assoluta grazie alla squisita ospitalità dell’organizzazione.

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