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Horacio El Negro Hernandez

Horacio El Negro Hernandez

Horacio El Negro Hernandez “Italuba” alla Casa del Jazz, martedì 19 ottobre

“Italuba” e’ il nuovo progetto di Horacio “El negro” Hernandez, che prima di diventare una star in America a lungo ha soggiornato qui in Italia.  Dunque il nuovo lavoro e’ un omaggio alla collaborazione tra Italia e Cuba, ed infatti i componenti del quartetto sono tre cubani residenti a Torino: Amik Guerra  alla tromba, Ivan Bridón al pianoforte ed alle tastiere e Luis Manresa al basso.

Fare la cronaca di questo concerto e’ semplice.  Immaginate volumi altissimi, batteria potenziata e ultra amplificata (un microfono fissato su ogni singolo elemento dello strumento),  pianoforte ( per forza di cose)  suonato nell’ unico modo possibile per essere percepito: percussivo a due mani che picchiano disperatamente sulla tastiera simulando suggestive sincopi e controtempi afrocubani; tromba impedita a qualsiasi dinamica espressiva e costretta per lo piu’ a fraseggi frenetici spesso sconfinanti nel barrito; basso elettrico anche quello percussivo (ad alto tasso di “slap”) e ad altissimo volume.

Quasi sempre spessore sonoro totale, tutti insieme in un travolgente frastuono,  ritmico, ma comunque frastuono.  I virtuosismi di ognuno si perdono nei virtuosismi dell’ altro, essendo fini a se stessi, anche perche’ per emergere, a quei volumi, bisogna sgomitare;  ma e’ Hernandez a vincere, quasi sempre: e’ lui il leader, e lui detta il da farsi.

Certamente si rimane stupiti delle trovate ritmico/atletiche di Horacio che, come leader del gruppo, a briglia sciolta,  inventa numeri funambolici con piedi e mani,  il pubblico si infiamma – come e’ normale – poiche’ Hernandez sa benissimo quali siano i mezzi per ottenere un entusiastico stupore liberatorio e pregiudizialmente referenziale, e lo fa con una freddezza metodica che e’ tutt’ altra cosa che ( l’ oleografico, certo ) calore cubano.  Anzi a ben guardare Hernandez e’ forse il batterista meno “latino” nel senso comune del termine che ci sia in circolazione: riesce con quella strategica freddezza a “ricostruire” (come una scenografia a cinecitta’, o meglio come pazzeschi effetti speciali originati al computer) il sapore “afrocubano” che il pubblico vuole ascoltare. E’ una macchina ritmica programmata per stupire.

Ed e’ questo il punto: dal punto di vista del pubblico – che andando a sentire Hernandez vuole ascoltare il “fenomeno” Hernandez – il concerto alla Casa del Jazz e’ stato un successo, ed Horacio ha meritato dal primo all’ ultimo applauso, e cosi’ i suoi tre musicisti, in un’ ottica del “facci vedere che sai fare” la soddisfazione e’ stata totale, comprese piccole boutade comiche tra i musicisti che hanno gigioneggiato ammiccando ad una  sala molto divertita.

Se invece si sperava di trovare del “Latin Jazz” energico ma anche vibrante, delicato e persino elegante come il Latin Jazz puo’ essere, allora questo non era il concerto giusto: in fondo la musica e’ anche legata allo scopo per la quale viene creata, al target cui e’ destinata, e che piaccia o meno e’ certamente soprattutto questione di punti di vista e di gusti personali.

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