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Musicista, compositore, arrangiatore e ideatore di un festival assai particolare, Alessandro Fedrigo rappresenta qualcosa di nuovo nel panorama musicale del nostro Paese. Specialista del basso acustico, ossia chitarra basso acustica (acoustic bass guitar), Alessandro ha delle concezioni del tutto personali sia sul ruolo del musicista nell’odierna realtà sia su ciò che oggi possiamo ancora definire jazz. Proprio per meglio definire questi concetti ne abbiamo a lungo parlato con lo stesso Fedrigo e il risultato è contenuto nell’intervista che qui di seguito vi proponiamo.

Che significa per te oggi suonare jazz in Italia?
“Portare avanti una ricerca musicale personale e in qualche modo restare agganciato a quella pulsione che mi ha spinto a suonare. Parlo di ricerca perché questo è il momento creativo che mi da le maggiori soddisfazioni quando, da solo o assieme ad altri musicisti, scopro qualcosa di nuovo o mettiamo in atto qualcosa di nuovo. Quando parlo di nuovo non intendo riferirmi ad un concetto assoluto ma relativo al mio essere musicista. Il fatto che siamo in Italia complica un po’ le cose in quanto l’ambiente musicale italiano è appunto complicato e soffre di una crisi che non è semplicemente economico-finanziaria ma anche, se non soprattutto, di valori e di professionalità. Ed è proprio questo, a mio avviso, il punto centrale del discorso. Di qui le difficoltà che incontrano musicisti professionisti i quali svolgono la loro attività con la massima onestà intellettuale e non trovano spazi adeguati per suonare e sviluppare i loro progetti”.

Quali sono le linee guida su cui indirizzi la tua attività di ricerca?
“In senso generale un rapporto nuovo con il jazz e la materia musicale nel suo complesso. In senso più strettamente musicale una ricerca sul parametro della forma: per quanto mi riguarda la cosa più interessante è che una composizione non abbia la forma del chorus tipica del jazz ma abbia uno sviluppo più largo che abbia a che fare, se si vuole, con la composizione nell’ambito colto, classico. Per quanto concerne il ritmo, in questi ultimi tempi nel jazz c’è stato un grande sviluppo di innovazioni ritmiche….con l’utilizzo di tempi dispari, eteroritmie, poliritmie… è questo è senza dubbio un campo interessante. Per quanto riguarda, infine, il lato melodico armonico, la ricerca si sviluppa su nuovi materiali mutuati dalla musica colta per cui la “serie”
piuttosto che la teoria degli insiemi o dei pitch class set. Mi interessa particolarmente declinare queste tecniche compositive in ambito improvvisativo”.

Quindi si può affermare che attraverso la vostra musica c’è una sorta di proficuo scambio con la musica colta contemporanea?
“Si può e si deve dire. Sicuramente la mia idea musicale non prevede i recinti dei generi per cui sicuramente ho tratto grande ispirazione dal jazz ma anche dalla libera improvvisazione e dai compositori della musica colta del ‘900 piuttosto che da certo rock, da certo progressive e dalla musica elettronica. Secondo me tutte queste aree sono interessanti per cui se devo pensare ad una musica stimolante, non posso fare a meno di considerare una musica senza etichette che operi una sorta di fusione di tanti elementi”.

Per raggiungere tali obiettivi, avete formato un gruppo; come è nato e da chi è composto?
“Il gruppo si chiama “XY Quartet” ed è composto da me (Y), e Nicola Fazzini (X). Nicola ed io siamo i due leaders del progetto, e va detto che ci conosciamo da tanti anni. Ho una grande stima di lui sia come sassofonista sia come compositore. Abbiamo iniziato a suonare assieme; poi le nostre strade si sono divise fino a quando ci siamo rincontrati circa sei anni fa ed abbiamo deciso di dedicare la nostra attenzione ad un comune progetto così da andare più a fondo su certe tematiche e pensando anche che in due sarebbe stato più semplice tenere in vita questo progetto. Poi abbiamo coinvolto due musicisti, Luca Colussi alla batteria e Saverio Tasca al vibrafono che sono due eccellenti musicisti a loro agio in tanti generi diversi: Saverio Tasca insegna percussioni al Conservatorio di Vicenza per cui ha una grande pratica della musica contemporanea colta e Luca Colussi è un ottimo batterista, un ottimo lettore con grande padronanza del linguaggio del jazz. Attorno a questo progetto abbiamo cominciato il lavoro di composizione, di prove… ”.

Parallelamente al progetto è nata anche la casa discografica…
“Ecco; “nusica.org” è il nome dell’Associazione e non è propriamente una casa discografica o un’etichetta, ma un progetto più ampio. Mi piacerebbe che fosse un gruppo di musicisti e di appassionati che collaborano da un lato a stampare dei dischi, dall’altro a diffondere questa musica e i suoi contenuti attraverso soprattutto due canali, la Rete (la nostra musica è tutta scaricabile sul sito con le partiture e i video che testimoniano l’attività dei musicisti) e una Rassegna, Sile Jazz, che organizziamo ogni estate a Treviso dedicata al jazz contemporaneo italiano. Nei mesi di giugno-luglio organizziamo sette, otto concerti ogni venerdì sulle sponde del fiume Sile, per l’appunto”.

Ma torniamo alla Rassegna. Qual è stata l’accoglienza del pubblico e della critica?
“Del pubblico ottima: viene ai nostri concerti e la cosa più sorprendente è che si tratta di un pubblico non necessariamente di addetti ai lavori…anzi. Ho notato che ascoltatori dalla mente aperta, desiderosi di scoprire qualcosa di nuovo, si sono fidelizzati, vengono di settimana in settimana anche senza sapere cosa andranno ad ascoltare ma fiduciosi che si tratterà di musica interessante. La critica mi sembra sempre orientata verso i Festival con grandi nomi, artisti blasonati che noi non ci possiamo permettere … ma devo dire che per il momento il nostro obiettivo è valorizzare i tanti “artigiani” della musica che abbiamo in Italia e che fanno ottime cose”.

Quando siete partiti con questo progetto avevate una sorta di modello, un faro ideale cui fare riferimento?
“Il progetto è cominciato circa quattro anni fa quando ho letto un articolo sul magazine della Gema (che è l’equivalente della SIAE in Svizzera) che parlava dell’idea di musica a 360 gradi; in buona sostanza si diceva che il lavoro del musicista deve cambiare e si deve occupare di diverse aree quindi non solo la produzione ma anche la promozione e l’organizzazione di eventi. Attorno a questa idea di musica a 360 gradi è nata “nusica.org.”.

Poco fa hai fatto riferimento ad un’Associazione: di che si tratta? E poi da cosa deriva il nome così particolare che avete scelto sia per il gruppo sia per l’etichetta?
“L’idea che mi animava era quella di trovare un nuovo modo di fare musica, sia dal punto di vista della composizione improvvisazione, sia per quanto concerne la promozione e la pubblicazione dei lavori. Dunque da questo concetto di “nuova” musica” per contrazione è nata nusica, anzi nusica.org per sottolineare la volontà di declinare il nostro lavoro sul web”.

Parliamo adesso di Fedrigo come musicista; come sei arrivato al jazz?
“A casa mia non si ascoltava musica. Ma, quando avevo sedici anni ho visto sui RaiTre il concerto di Miles Davis dell’85 a Umbria Jazz con John Scofield. Ovviamente nulla capivo di quella musica ma restai egualmente folgorato e incuriosito. Di lì ho comprato il disco “You are under arrest” e iniziai un’attività di ricerca attorno alla figura di Davis; dopo un anno ho comprato il primo basso elettrico e ho iniziato a suonare”.

Hai una preparazione di impianto classico o da autodidatta?
“All’inizio sostanzialmente da autodidatta con l’ausilio di alcuni maestri che ho trovato qui in zona. Poi frequentando seminari in giro per l’Italia e solo molto più tardi mi sono iscritto al Conservatorio e mi sono diplomato in jazz a Vicenza”.

C’è un musicista con il quale sogni di poter un giorno suonare?
“Sicuramente John Hollenbeck, batterista americano e ottimo compositore che ammiro molto, Steve Lehman, Vijay Iyer sono sicuramente esponenti di un gruppo di musicisti che stanno facendo cose nuove e a mio parere molto interessanti”.

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