Flaviano Bosco ha seguito e recensito tutti i concerti de festival udinese

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di Flaviano Bosco

Desiderata e sospirata per mesi durante tutto il periodo dei vari esasperanti lockdown, si è finalmente svolta a Udine la settimana celebrativa del trentennale di Udin&Jazz con la prima edizione della sua versione invernale, scambiando maggio per dicembre a causa delle restrizioni e di una continua posticipazione dovute alle norme di prevenzioni anti Covid che, facendo slittare in avanti i concerti, ha fatto sì che ci si ritrovasse con un anno perso in più dietro le spalle, perciò 30+1 non fuori tempo ma in perfetto sincopato jazz.

La manifestazione udinese, nel corso degli anni, ha saputo guadagnarsi il prestigio di punto di riferimento italiano ed europeo per la musica d’ispirazione afro-americana. “Jazz Portraits”, una preziosa mostra fotografica a cura del Maestro della Luce Luca A. d’Agostino e dell’Associazione Fotografi Italiani di Jazz (AFIJ) ne ha illustrato in trenta scatti memorabili il percorso. Ma non è stato certo possibile rinchiudere in quelle immagini un percorso lungo centinaia di concerti, migliaia di spettatori e intense emozioni che valgono una vita. Udin&Jazz, infatti, ha da tempo superato lo status di semplice rassegna musicale, è un autentico presidio culturale che, a partire dall’esplorazione dei suoni, ha sempre voluto coniugare impegno civile e morale in tempi nei quali la musica è spesso solo ornamentale e biecamente di consumo.
A voler proprio cercare un filo rosso (è proprio il colore giusto) che lega la prima edizione del 1991 all’ultima della rinascita post epidemica possiamo sicuramente parlare della musica e dell’opera dell’immenso John Coltrane.

Trent’anni fa, infatti, in un auditorium di un istituto scolastico fece la sua esibizione il batterista Elvin Jones, qualche anno dopo, in un cinema a luci rosse requisito per l’occasione mostrò al cielo i propri miracoli McCoy Tyner e poi ancora Pharoah Sanders e poi tanti della cosiddetta Davis Diaspora che, usciti dall’esperienza formativa con lo sciamano elettrico, hanno aperto nuovi sentieri della musica.

Il concerto di apertura di questa edizione di Udin&Jazz Winter ha riassunto la decennale avventura con lo spettacolo: John Coltrane – Un Amore Supremo. Una musica tra cielo e terra. Produzione di Euritmica che da sempre organizza il festival. La rappresentazione è tratta dall’interessante studio di Valerio Marchi sul sassofonista raccontato dal punto di vista delle donne della sua vita.

Una straordinaria trovata drammaturgica che permette di vedere l’uomo dietro alla leggenda della musica in prospettive talora inedite e quantomeno insolite. Lo stesso autore con l’aiuto dell’attrice Nicoletta Oscuro ha intrattenuto il pubblico del Palamostre di Udine con aneddoti e un racconto tutto al femminile dietro alle famose “cortine di suono” (Sheets of Sound). Ma la meraviglia non si è limitata alla pur intensa recitazione. I racconti sulla vita di Coltrane erano intercalati da lirici interventi dal trio del tenor sassofonista Francesco Bearzatti (Gianpaolo Rinaldi, pianoforte; Luca Colussi, Batteria), brevi momenti di pura estasi sonora durante i quali l’ancia del musicista friulano ha interpretato senza alcuna inibizione o plagio alcune opere d’arte per fiati e anima di Coltrane. La grandezza di Bearzatti sta proprio nella precisa volontà di non voler imitare quelle intangibili altezze, suggerendo e sussurrando la propria devozione al genio senza alcun sussiego o presunzione.

Lo ha dimostrato ancor di più nella seconda serata che lo ha visto di nuovo sul palcoscenico del Palamostre insieme al quintetto di eccezionali promesse del jazz internazionali che accompagna il tour di Enrico Rava. Il fantastico trombettista è un altro grande amico del festival fin dalle prime edizioni. Per di più Rava ha sempre riservato un’attenzione speciale al Friuli Venezia Giulia, sua terra di nascita. Indimenticabile il suo quintetto elettrico che si nutriva delle suggestioni e delle energie di questo territorio in album e concerti che hanno fatto la storia del jazz italiano contemporaneo (Electric Five, Carmen, Noir, Certi angoli segreti ecc.).

Il concerto, oltre alla ben conosciuta raffinatezza della tromba e del flicorno di Rava che dopo sessant’anni di carriera non smette di “mirare al cuore” come il Ramon di “Per un pugno di dollari” di Leone, ha dimostrato ancora una volta l’eccezionale caratura del fedele pianista Giovanni Guidi, romantico e incisivo e a volte rapito in alto a seguire le spirali delle sue note leggere e scintillanti.

Passata la boa di metà regata con un’ovazione trionfale a Rava, ragazzo di ottant’anni più in forma che mai, si è immediatamente veleggiato verso la serata successiva anch’essa ricchissima di malie.

Ha aperto le danze un duo di vecchie conoscenze per il pubblico friulano affezionato e partecipe alla Blue Question delle corde del pianoforte di Claudio Coianiz e di quelle del contrabbasso di Franco Feruglio. Artisticamente maturi, i musicisti del duo hanno dimostrato una profonda dolcezza di suono da non confondersi con le solite melensaggini zuccherose che contaminano una certa idea commerciale del jazz. La nostalgia di Cojaniz e Feruglio fa sognare e sorridere qualche volta tra le lacrime di tristezza è vero ma la vita non è fatta solo di tasti perlacei, ci vogliono anche quelli neri che ci permettono di esprimere i semitoni delle Blue Emotions.

Dal nostalgico, incantato blues del duo è stato un attimo passare ai fasti del rock prog d’annata più infuocati quando è salita sul palco la band di Roberto Gatto che in una serie di concerti riprende il suo progetto musicale del 2009: “Progressivamente” dedicato alle meraviglie del rock sinfonico degli anni ‘70. Proprio in quegli anni adolescenti si è formato il suo immaginario musicale, sotto lo sguardo alieno dell’Osservatore dei cieli (Watcher of the skies/Genesis), sempre più vicino al limite (Close to the Edge/Yes) vicino al mare con “la pelle che splende dolcemente al chiaro di luna” (Sea song/Wyatt), giusto per giocare con i testi di alcuni standard di quel genere che non è per niente tramontato ma le cui energie germogliano nuovamente ogni volta che interpreti intelligenti e appassionati come Roberto Gatto e i suoi musicisti vi si accostano con un pizzico forse di nostalgia ma senza rimpianti. Quelli del prog ormai sono diventati degli standard e sono ormai patrimonio di tutti coloro che intendono la musica come ricerca inesausta e, per l’appunto, progressiva. A riprova di ciò, parte integrante dell’esibizione è stata la performance vocale di Jon Di Leo, che contemporaneamente si è rivelato ancora una volta outsider assoluto con il vigore e la potenza della sua gola, i vertiginosi salti di tonalità, l’estensione e perfino la brutalità dei suoni che riusciva ad intonare è risultato, a tratti, perfino magnificamente insostenibile.

L’ultima serata si è chiusa con un altro doppio concerto che resterà a lungo nella memoria dei fortunati spettatori che hanno regalato oltre agli entusiastici applausi un continuo sold out ai concerti. A dare il La alla serata l’Udin&Jazz Ensemble in un altro concerto-spettacolo prodotto da Euritmica dal titolo Anima, lettura scenica di poesie in lingua friulana (Benedetti e Tavan) e componimenti originali in italiano della poetessa Giorgia D’Artizio.

L’ensemble orchestrale di undici elementi è composto da molti dei migliori giovani musicisti e compositori che sono sbocciati dai semi che il festival in tutti questi anni ha saputo coltivare. Udin&Jazz da sempre programmaticamente ha permesso alle nuove leve del jazz italiano e internazionale non solo di incontrare passivamente i grandi maestri del jazz ma di formarsi accanto a loro, garantendo occasioni e spazi alla loro fresca creatività. Per questo almeno due generazioni di musicisti e altrettanti spettatori sono grati al festival per aver permesso questa mutua crescita fatta di suoni, di ascolti e di buone pratiche.

Nell’esibizione hanno primeggiato i virtuosismi di Mirko Cisilino alla tromba, Max Ravanello al trombone, Mattia romano alla chitarra ed Emanuele Filippi al pianoforte, tutti e quattro anche compositori delle musiche. Incantevole l’attrice Laura Giavon che ha riempito di vita pulsante il cuore dei versi, su tutti quelli della siderale Nâf Spâzial di Federico Tavan vertice della poesia friulana contemporanea.

Il sigillo fiammeggiante al festival del trentennale lo ha messo il Dario Carnovale Lift Him Up che ha il proprio baricentro espressivo nella funambolica tromba di Fabrizio Bosso. Un’esibizione che ha spinto sull’acceleratore di un Hard bop sparato a velocità straordinaria che, pur non lesinando su forsennati tecnicismi, ha saputo trasmettere calore ed emozioni vivissime. A garantire la piacevole sensazione d’ebrezza continua di questa velocità sono stati il pianoforte liquido e trasparente di Carnovale, leader pari tra pari, le geometrie del contrabbasso di Simone Serafini, le fantasmagorie della batteria di Klemens Marktl e la straordinaria eleganza di Bosso. Perfetti, veloci, splendenti come una fuoriserie di quelle che piacevano a Miles Davis e piacciono tanto anche a noi.

Lo storico patron della manifestazione Giancarlo Velliscig ha più volte ricordato con grande emozione i traguardi raggiunti dalla manifestazione nel corso degli anni e i tanti amici che hanno incrociato le loro strade in questo luogo sotto le stelle del Jazz. Lo ha fatto con il giustificato orgoglio di chi ha sempre tenuto la schiena dritta davanti alle tante avversità del tempo. Lo sguardo dritto avanti e le vele piene di futuro. L’ultima serata del festival si è svolta nella prima giornata di zona bianca del Friuli Venezia Giulia. Possiamo dire con un pizzico di azzardo ben augurante che la musica di Udine&Jazz Winter ha dato l’ultima spallata al maledetto virus regalandoci una nuova primavera di note dispari dopo tanto inverno.

Possiamo tranquillamente dire che il festival nato sotto il segno di John Coltrane dopo tre intensi decenni continua ancora sotto la sua egida e le sue parole:

“Non so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato ancora suonato. Non so che cosa è. So che lo sentirò nel momento in cui me ne impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare.”

Flaviano Bosco

A Proposito di Jazz ringrazia i fotografi Luca A. d’Agostino Phocus Agency / Angelo Salvin, Gianni Carlo Peressotti,  Barbara Domenis e l’ufficio stampa di Udin&Jazz

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