Riccardo Muti, sul podio di Chicago, si rifiuta di modificare il termine “negri” da “Un Ballo in maschera di Verdi. Ne disquisisce Amedeo Furfaro

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U.S.A. : Riccardo Muti, sul podio davanti alla Chicago Simphony Orchestra, si è rifiutato di modificare il termine “negri” nella concertazione di “Un Ballo in maschera di Giuseppe Verdi”. La frase incriminata è “s’appella Ulrica l’immondo sangue dei negri”.  Siamo d’accordo col Maestro. Di questo passo la Aida potrebbe essere sbianchettata e così il violento Otello, mentre Carmen la zingara di Bizet la si finirà per definire nomade.
L’anno scorso a Londra si era pensato di censurare pezzi di Madama Butterfly in base all’accusa di “colonialismo” (Pinkerton, turista sessuale? ) da parte del critico Roger Parker. Una provocazione che aveva suscitato molta eco e per contro rivendicazioni italiane della intoccabilità pucciniana.

Se si desse il la a tali “ristrutturazioni” si andrebbe a porre mano a “L’alfier nero” di Arrigo Boito, alla goffaggine dei turchi rossiniani, alla ilarità dell’Idolo cinese di Paisiello con la satira del napoletano sul trono di quel paese. Ma dai, non coltiviamo il talebano che è in noi con la scusa della cancel culture e del politically correct!
Un certo odore di fondamentalismo “linguistico” era stato avvertito nella stessa musica americana dove qualcuno aveva definito offensivo il “Negro dialect” della gershwiniana “Porgy and Bess”.

E dire che vari jazzisti di colore hanno ripreso temi dal film “Orfeu Negro”!
Il razzismo non si combatte creando un “cappotto” al vocabolario, (d/epurandone le parole, istituendo apartheid per i testi di lavori dell’ingegno storicamente dat(at)i.
Sarebbe ovviamente diverso se un certo linguaggio venisse usato oggi, in un contesto radicalmente diverso, dove certe forzature espressive non sono auspicabili. Nel caso della messinscena lirica è ormai ammessa ogni innovazione ma non ci si chieda, per carità, di attualizzare il capolavoro verdiano intitolandolo “Un ballo in mascherina”!

Amedeo Furfaro

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