Una riflessione sul Festival di Sanremo del nostro autore Amedeo Furfaro

Tempo di lettura stimato: 2 minuti

Cari amici jazzofili, immaginiamo vi stiate chiedendo perché su Proposito di Jazz si parli del Festival di Sanremo… argomento all’apparenza in antitesi rispetto alle tematiche che di norma affrontiamo. Del resto, anche uno dei più grandi umoristi italiani del ‘900, Achille Campanile, si chiedeva che cosa legasse gli asparagi e l’immortalità dell’anima… o le seppie coi piselli, che sono uno dei più strani e misteriosi accoppiamenti della cucina! Eppure, un legame c’era… come c’è anche tra Sanremo e il jazz… Non dimentichiamo, infatti – e il nostro Amedeo Furfaro non l’ha fatto! – che in tempi passati, ma anche più di recente, su quel palco si sono esibiti pezzi da novanta della scena jazz, sia internazionale sia nazionale e dunque questo articolo potrebbe anche voler essere uno sprone affinché a Sanremo, oltre alla cosiddetta musica “popolare”, trovino spazio anche i generi musicali meno mainstream…
Noi ce lo auguriamo! (MT – Redazione)

Lo share ha premiato Sanremo, festival in cui era apparsa da subito vincente la strategia di aprire a giovanissimi, a generazione di mezzo ed a più attempati “giganti” dell’ugola per incollare al video più fasce di telespettatori.  Al riguardo ecco alcune considerazioni sulla eventualità che, con alcuni accorgimenti regolamentari, la manifestazione possa trasformarsi da fenomeno nazionalpopolare in campione rispecchiante il meglio dell’Italia canora tutta, pur sempre confermando la propria radicata veste “International” . Va intanto ricordata come positiva la precedente formula delle due sezioni distinte, Nuove Proposte e Big, interne alla manifestazione, anche in ossequio ai titoli dei Big più accreditati. Andrebbe poi implementata la scoperta di nuove voci “sparse” nel territorio (in questa edizione sono rimaste fuori aree come la Calabria) magari affinando il modello stile ”Miss Italia”, diffuso su scala regionale, tentando di prevenire il taglio degli anelli deboli della catena musicale.  E poi, parlando di canzone napoletana, possono bastare Ranieri, Di Capri e il cast di “Mare Fuori” a rappresentarla?
Occorrerebbe inoltre puntare ad un deciso coinvolgimento del cantautorato “classico”. Oltre al concorrente Grignani hanno arricchito la serata delle cover gli ospiti Antonacci, Ramazzotti, Vallesi, Zarrillo, Edoardo Bennato…  Ed il plauso generale è stato di fatto un’indicazione sulla opportunità di rafforzare, nelle future edizioni, la presenza di tale categoria centrale nella storia della canzone nostrana.
Altra annotazione riguarda l’articolazione della canzone italiana in filoni diversi da quelli dominanti ovvero il melodico da una parte ed il pop/rock/rap dall’altra. C’è carenza di folk, world, lirica. Quest’anno, se il blues ha avuto un messaggero in Alex Britti (sempre nella serata delle cover) e Mengoni ha riletto la beatlesiana “Let It Be” nella cornice gospel del Kingdom Choir, non si è sentito molto jazz “applicato” alla canzone. E qui si parla di una kermesse che ha ospitato in passato Louis Armstrong e Lionel Hampton e, in anni più recenti, le voci di Al Jarrow e Cincotti oltre a quelle, di “scuola” italiana, di Gualazzi, Brancale, Molinari, Nicolai, la prima Arisa…

Le rassegne jazzistiche hanno da tempo allargato le fila a interpreti canori di varia provenienza stilistica. E la pur breve performance, nella serata finale sanremese, di Gino Paoli con Danilo Rea dimostra come possa ripetersi con successo l’interscambio fra jazz e canzone d’autore anche dalle parti dell’Ariston.

Amedeo Furfaro

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares