Il pianista Danilo Blaiotta ricorda il grande musicista dal tocco morbido che applicò al jazz il concetto di “less is more”

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“Ahmadiyya” era chiamata la comunità islamica a cui, nel 1951,  il giovane Frederick Russell Jones affida la sua vita spirituale. Mirza Ghulam Ahmad, suo fondatore nell’India di fine ‘800, venne allontanato dall’Islam ufficiale e divenne quindi un eretico. Fino ad oggi, Ahmadiyya non appartiene alla stragrande percentuale dell’Islam sunnita. Jones si affida al profeta Ahmad e dalla sua conversione diviene Ahmad Jamal.
Parto da qui, per delineare i tratti più evidenti del profilo di uno dei più grandi pianisti della storia del jazz, scomparso il 16 aprile scorso ad Ashley Falls, Massachusetts.
La storia con la quale ho principiato vi racconta subito di un anticonformista per vocazione, una mina vagante in un periodo nel quale la musica jazz seguiva percorsi quasi obbligati: gli anni del bop, quelli del cool, l’hard-bop. Ahmad Jamal era però tutto e niente. Era un’altra storia.

Il pianista solista di jazz si accompagnava, nell’era post-bop, con la classica ritmica contrabbasso/batteria. La prima formazione di un Jamal poco più che ventenne si avvale invece di contrabbasso e chitarra – Ray Crawford e Eddie Calhoun – come i trio di Nat King Cole e Art Tatum. I pianisti di allora inseguivano le funambolerie bop di Bud Powell e Wynton Kelly. Jamal crea spazi, usa l’armonia come fraseggio, cambia le carte in tavola.
Miles Davis lo ascoltò a Chicago nei primi ’50, ne rimase estasiato e ne divenne amico e supporter, tanto da affermare che Jamal fosse un vero e proprio riferimento per la sua musica. Viene naturale chiedersi allora come mai preferisce nelle sue formazioni pianisti come Horace Silver prima, Red Garland e Bill Evans poi.
Nel 1958 la carriera di Jamal esplose letteralmente, dopo la registrazione per la Argo dell’album live “At the Pershing / But not for me” in trio con Israel Crosby e Vernel Fournier. Il disco vendette quasi 50 mila copie in pochi mesi, rimase in classifica Billboard per 107 settimane e, negli anni ’90, venne calcolato che l’album arrivò a superare il milione di copie vendute. Si ricorda in particolare la sua celebre versione dello standard “Poinciana” di Nat Simon; tanto divenne nota, che molti ancora oggi pensano che sia una composizione dello stesso Jamal.
Curioso, aperto alle contaminazioni ma sempre a servizio dell’arte (la sua e specialmente il suo pianismo sono riconoscibilissimi sin dalle prime note); nei successivi decenni Jamal si avvicina anche al funky, alla musica latina e incide anche alcune perle in piano solo. Il mood però è sempre quello: devozione all’ascolto dell’intero gruppo, grandi dinamiche, gusto infinito per le scelte armoniche, timbriche e ritmiche.
Pensando agli anni ’80 e soprattutto ai gloriosi anni ’90 (decennio in cui la musica di Jamal subì una nuova ondata di successo), voglio consigliarvi due album che hanno stregato la mia adolescenza: “Live at Midem 1981” con il vibrafonista Gary Burton e lo stupendo “I remember Duke, Hoagy and Strayhorn” del 1994 con Ephriam Wolfolk al contrabbasso e Arti Dixson alla batteria.

Danilo Blaiotta

Con questo articolo, “A proposito di Jazz” saluta l’ingresso tra i suoi collaboratori di un grande pianista: Danilo Blaiotta. Di lui ci eravamo già occupati recensendo i suoi due album “Departures” e  “The White Nights Suite”; da poco è uscito il terzo eccellente CD, “Platenariat”, su ci soffermeremo quanto prima con una approfondita intervista allo stesso Blaiotta. Per il momento siamo lietissimi di salutarlo come collaboratore con questo interessante ricordo di Ahmad Jamal, accompagnato anche da un raro spezzone video, girato nel 1998 durante il concerto che l’artista tenne a Udin&Jazz, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, con una speciale testimonianza…

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“Jamal venne a Udin&Jazz nel 1998, in un nuovissimo Teatro Nuovo, e ci regalò eleganza, carisma, interculturalità nella sua massima espressione. Pochi come lui hanno saputo legare armonie e suoni delle origini africane con le più contemporanee letture occidentali. Non era certo un personaggio semplice con cui interloquire; il suo linguaggio espressivo era quasi esclusivamente la sua straordinaria musica”. (Giancarlo Velliscig, direttore artistico Udin&Jazz)

Ahmad Jamal, piano / Othello Molineaux, steel drums / James Cammack, double bass / Idris Muhammad, drums
Udin&Jazz– VIII edizione
Udine, 2 giugno 1998 / Teatro Nuovo Giovanni da Udine (Riprese d’archivio/Archive footage)

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