Muore a 87 anni la pianista, compositrice e direttrice d’orchestra Carla Bley

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  • Scrivere un ricordo di una tizia tosta qual era Carla Bley, sconfitta qualche giorno fa a 87 anni da un tumore al cervello, è tutt’altro che facile. È inimmaginabile una reductio artium di questa icona assoluta della musica contemporanea, essenza dell’improvvisazione, genio proteiforme, inarrestabile forza generatrice di pensiero.
    La sua arte è fatta di visionarietà, di intuizioni profonde e di una concezione rivoluzionaria della materia sonora.
    Il suo lascito di oltre 50 dischi, i suoi innumerevoli progetti, le sue lotte politiche sono la testimonianza della sua appassionata e diuturna ricerca di stimoli culturali, ricerca che è stata la fedele compagna di tutta la sua vita.
    Carla nasce a Oakland nel 1936. All’anagrafe è Lovella May Borg. Il padre Emil, insegnante di pianoforte, organista e maestro di coro di origini svedesi, la avvicina alla musica sin da bambina e già nell’adolescenza sente una forte attrazione per il jazz al punto che decide di trasferirsi a New York, in quegli anni la “terra promessa” per i musicisti di quel genere.
    È una ragazza molto determinata e per poter ascoltare gli amati e famosi jazzisti dell’epoca trova lavoro come cigarette girl al Birdland, storico locale jazz.
    Nel 1957 sposa il pianista canadese Paul Bley, del quale manterrà il cognome anche dopo il divorzio; la coppia si trasferisce a Los Angeles, dove Carla inizia a scrivere la sua musica, per poi ritornare a New York.
    Tre gli uomini fondamentali nella sua vita, tutti musicisti. Oltre a Paul Bley, si sposa con il trombettista e compositore austriaco Michael Mantler (padre della sua unica figlia Karen, anch’essa musicista, e con il quale fondò la Jazz Composer’s Orchestra) e infine con il contrabbassista Steve Swallow, sempre al suo fianco, dal 1991.
    Lei, in merito ai suoi uomini, ha dichiarato in un’intervista: «Non mi sono fatta indirizzare dagli uomini che amavo e con cui ho vissuto, ma ho imparato dai musicisti con cui ho collaborato».
    Una donna emancipata, forte, indipendente e intelligente, che ha sempre vissuto in modo anticonvenzionale. Io amo questa donna, di un amore che va ben oltre la musica… per quello che è stata, per quanto ci ha dato.

Non posso dunque che partire dalla sua monumentale opera prima, “Escalator Over the Hill” (EOTH) del 1971.
C’è tutta l’universalità della sua arte in questo triplo vinile: poesia, teatro, jazz soprattutto, ma anche pop, progressive coevo, elettronica, sonorità indiane…
Carla scrisse le musiche e il poeta Paul Haines i testi; il disco fu realizzato con la supervisione di Michael Mantler. Oltre cinquanta musicisti hanno collaborato a questo lavoro; vi figurano artisti quali Don Cherry, Paul Motian, Gato Barbieri, Enrico Rava (che la ricorda così nel suo libro  “Incontri con Musicisti Straordinari”: «Carla dirigeva l’orchestra. Era difficilissimo concentrarsi sulla musica perché Carla era veramente bellissima a quei tempi»), Roswell Rudd, Charlie Haden, John McLaughlin ma anche Sheila Jordan, Don Preston (ex Mothers of Invention di Frank Zappa), Jack Bruce dei Cream…
a Chronotransduction by Carla Bley and Paul Haines, così sottotitolarono il loro lavoro.
Un album incredibile, che richiese tre anni di lavoro e che inizia con “Hotel Ouverture”, dove l’assolo fuori tempo del sax tenore di Gato Barbieri è un urlo di una bellezza lancinante, quasi intollerabile…
Come lo è tutta la musica di Carla Bley.
Mentre è alle prese con la registrazione di EOTH, nel 1969 Bley mette la sua feconda vena compositiva al servizio del suo appassionato impegno politico, che sgorga fluentemente da ogni singola nota nello storico album “Charlie Haden, Liberation Music Orchestra”. Lo ricordate? In copertina c’erano tutti i musicisti, immortalati in uno scatto  immediatamente rivelatore della militanza politica, mentre reggevano uno striscione, come se stessero partecipando ad una delle tante manifestazione dell’epoca.
Oltre alle composizioni originali – tra le quali “Song for Che”, scritta da Haden e Coleman dopo la morte di Che Guevara, di cui Ornette registrò una prima e indimenticabile versione –  e le antiwar songs, nell’album sono inseriti anche alcuni canti di lotta del folklore iberico. Bley ne cura gli arrangiamenti che evidenziano la sua notevole capacità di accostare diversi generi musicali.

Carla Bley e Charlie Haden

Da appassionata dei Weather Report e soprattutto del bassista Jaco Pastorius, non posso esimermi dal ricordare che lei compose cinque brani per “Jaco”, disco registrato live per l’etichetta di Paul Bley nel 1974, con lo stesso Paul al pianoforte elettrico, Pat Metheny alla chitarra, Bruce Ditmas alla batteria. Un album che è uno scrigno di preziose improvvisazioni e composizioni avant e free jazz, dove la “mano” di Carla è inconfondibile.
Come dicevo all’inizio, non è possibile far stare tutta la discografia e i progetti di Carla Bley in questo spazio. Concludo quindi con “Life Goes On”, album ECM del 2020, la sua ultima incisione… un drumless trio con Steve Swallow al basso elettrico e Andy Sheppard al sax tenore e soprano, che ha ispirato anche il titolo di questo ricordo.

Carla Bley, Steve Swallow, Andy Sheppard

Il vinile, si articola in tre suite e la magia inizia con il brano che dà il titolo all’LP, dove il pianoforte avanza lento, sulle note basse, in una sinuosa trenodia blues ed apre la strada alla essenziale ma non meno sorprendente linea di basso, sulla quale s’inserisce il sax di Sheppard. Struggente e languido. «Volevo scrivere un blues semplice, ma non è venuto semplice – spiega Bley in un’intervista – È diventato più complicato man mano che andava avanti… come la vita». Già. Esattamente come la vita, sempre in salita…
La politica entra anche in questo lavoro, con la suite “Beautiful Telephones”,  una sorta di satira in musica liberamente ispirata all’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e ai suoi primi commenti sull’arredamento dello Studio Ovale… sui suoi “bei telefoni” in primis!

In alcune parti, si individuano rimandi a melodie patriottiche americane, a Chopin e persino a “My Way”. Un’altra illuminante prova del suo eclettismo.
La terza e sicuramente più affascinante suite è Copycat, dove il perfetto interplay dei tre musicisti, dato dalla profonda conoscenza reciproca, permette loro di lasciarsi andare e di esprimersi in una geniale e riuscitissima ricerca della melodia perfetta.
Steve Swallow, l’amore della sua vita, che la chiamava affettuosamente “Bleythoven” disse: «È così sfuggente e in continua evoluzione. Tuttavia, è la mia eroina, e mi fermo qui».
Le sue cifre distintive, sono state proprio l’insondabilità, la sfuggevolezza, la sua ineguagliabile identità. La sua forza risiedeva nella sua inesauribile creatività; Steve Swallow l’aveva capito, tanto da paragonarla ad un’eroina, poetica, irriducibile, animata dalle passioni, all’ennesima potenza.

Carla Bley, Steve Swallow – ph: Antonio Baiano

Una geniale eroina moderna, bellissima, con quel caschetto biondo scarmigliato, che ha saputo sfidare le imposizioni e le convenzioni, che non si è piegata mai.
«Il pendolo del mondo è il cuore di Antigone», scriveva Marguerite Yourcenar in conclusione dello splendido racconto “Antigone o la scelta”.
Antigone, Carla… eroine di epoche diverse.
E come Steve Swallow, mi fermo qui.

Marina Tuni

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