Concluso con successo anche il secondo ciclo di incontri

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Se mi si consente l’espressione, si è chiuso con il classico “botto” il secondo ciclo de “L’Altra Metà del Jazz” ideato e condotto da Gerlando Gatto alla Casa del Jazz di Roma.
Martedì scorso, per la serata conclusiva che ha visto come ospiti Cinzia Tedesco e Laura Sciocchetti, sala praticamente piena e pubblico sinceramente entusiasta ad applaudire sia le interviste sia le performance delle due straordinarie vocalist.
Questi appuntamenti avevano un preciso obiettivo: prendendo spunto dal libro di Gatto “L’Altra Metà del Jazz”, si voleva portare a conoscenza del pubblico il fatto che oramai la scena jazzistica è frequentata da un gran numero di jazziste che sul piano artistico nulla hanno da invidiare ai colleghi “maschi”. Di qui la scelta di 22 musiciste, due per ciascuna serata, una già affermata, l’altra in sicura crescita.
Ebbene, a conti fatti, si può ben affermare che tutte le musiciste invitate hanno dato prova di un talento indiscusso che ha letteralmente affascinato il pubblico accorso, sempre numeroso.
Per corroborare il presupposto di tutta l’iniziativa, alla fine dell’ultima serata mi sono divertito a chiedere il parere di alcuni spettatori e le risposte sono state pressoché unanimi: “Ottimo format e ottima la scelta delle artiste”, “Strepitosa Cinzia, suadente Laura, elegante l’intervistatore”, “Bella la formula che tende a far conoscere chi c’è oltre l’artista”.
In effetti Gatto, con le sue interviste, ha sempre inteso mostrare al pubblico chi sono i personaggi da lui intervistati al di là del profilo pubblico facilmente rintracciabile dai dischi e sui social. E ovviamente anche l’ultima serata si è dipanata lungo questo filo conduttore con una specificità: Gatto ha sempre dichiarato di conoscere bene le musiciste da lui intervistate tranne qualche eccezione tra cui la vocalist che ha chiuso la serata vale a dire Laura Sciocchetti.
Ma procediamo con ordine.

Come accennato, la vocalist Cinzia Tedesco ha aperto la serata raccontando la sua storia, confermando l’intuizione di Gatto che voluto mettere in luce il suo lato umano, al di là del suo nutrito curriculum artistico. Cinzia, per una forma di pudore interiore, tende a non far trasparire il suo essere, la sua anima. Ciononostante, vuoi per l’atmosfera creatasi nell’incontro, vuoi per la consapevolezza che l’intento di Gatto era unicamente quello di farla sentire a proprio agio, la vocalist parla a ruota libera ripercorrendo con partecipazione e non senza una punta di orgoglio i vari stadi della sua vita: dall’infanzia vissuta in un aeroporto militare, ai suoi studi e ai traguardi conseguiti grazie al duro lavoro e all’impegno: si dichiara infatti soddisfatta e talvolta anche sorpresa di quello che è riuscita ad ottenere, oltre che curiosa di quanto ancora può raggiungere. Parlando più specificatamente della sua carriera, racconta di aver iniziato a cantare con la band del padre, polistrumentista autodidatta ed ex cantante, che organizzava dei concerti in aeroporto, alle feste di matrimonio ed anche alle feste patronali; per quanto riguarda invece la formazione esterna alla musica, Cinzia ha studiato informatica all’università e si è laureata a pieni voti, laurea che la porterà a lavorare per alcune aziende di alto profilo soprattutto nel campo della direzione commerciale e, proprio per questo, a trasferirsi a Roma.
Alla ormai consueta domanda di Gatto sulle eventuali difficoltà riscontrate nell’ambiente dovute al suo essere donna, Cinzia risponde parlando delle iniziative a cui prende parte che si occupano proprio di questo tema, dando particolare spazio al suo lavoro come ambasciatrice della rete Inclusione Donna, che si occupa di portare avanti istanze a livello istituzionale riguardo alla prevalenza di uomini, negli organi direzionali di numerose aziende, uomini con i quali, puntualizza Cinzia, non ha alcun malvolere, così come verso i numerosi musicisti con cui ha lavorato. Ciò non toglie, comunque, che sia necessario un lavoro più incisivo per avere una presenza maggiore di donne, ad esempio nelle direzioni artistiche dei vari festival, dominate da uomini che spesso guardano con titubanza le artiste, in primis le vocalist; Cinzia ci tiene tuttavia a precisare la sua posizione contro i festival cosiddetti “al femminile”, colpevoli a suo dire di attuare una ghettizzazione delle artiste, e un loro confinamento in un recinto ad esse riservato.
Virando invece sul lato più intimo della sua vita, parla del suo matrimonio che resiste da tanti anni, affermando che nonostante la difficoltà di mantenere un rapporto così duraturo, data la sua professione, qualcosa di bello si può costruire, e a questo proposito spende delle bellissime parole per il giovane figlio presente in prima fila.
Riguardo alla sua carriera, si parla maggiormente della pubblicazione dei due ultimi lavori, Verdi’s Mood e Mister Puccini, ambedue frutto di una rivisitazione in chiave jazzistica di brani tratti dai due capolavori.
Verdi’s Mood del 2015 è, al di là dell’indiscusso valore artistico, nasce anche dall’intraprendenza dell’artista che racconta di come, a disco finito, si sia recata al quartier generale della Sony Italia a Milano ottenendo un colloquio con Luciano Rebeggiani. Alla di lui domanda sul perché proprio quel disco tra tanti dovesse essere pubblicato, lei diede una risposta tanto semplice quanto incisiva e decisa: “Perché questo disco merita.” Tale affermazione venne confermata da Rebeggiani quando, tre mesi dopo, le comunicò la sua decisione di pubblicare il disco e di inserirlo nel catalogo jazz della Sony Italia. Sui meriti del disco, Cinzia afferma che essi risiedono nella capacità di costituire un ponte tra il grande passato di Verdi e il presente. Inoltre, un elemento distintivo del disco è la pertinenza delle sue rielaborazioni con il materiale originale. Questo principio le fu inculcato da Pippo Baudo, con il quale ha avuto il piacere di lavorare, ovvero il rispetto per il materiale di base durante qualsivoglia rivisitazione.
Dedica infine due parole all’uso dello scat e a ciò che esso rappresenta per lei, vale a dire un senso di libertà, di “lancio” di note che provengono dai sentimenti più profondi provati in quel preciso momento e fa giustamente notare come lo scat di una performance dal vivo difficilmente venga replicato in tutta la sua interezza in un’altra occasione, donando ad ogni esibizione un’unicità altrimenti non così facilmente raggiungibile.
I brani eseguiti da Cinzia, in coppia con il celeberrimo pianista Pino Jodice, sono stati Sailing di Christopher Cross, riarrangiata da Jodice, Celeste Aida e In quelle trine morbide rispettivamente tratte dall’Aida di Verdi e dalla Manon Lescaut di Puccini, e RiTe TiMe, tratto dall’omonimo disco del 2004 registrato insieme a Jodice.

Il secondo tempo ha visto come protagonista la vocalist Laura Sciocchetti, accompagnata da Danilo Blaiotta, già al fianco della cantante Chiara Viola. Laura racconta di aver iniziato a cantare molto presto e che poi, da adolescente, ha cominciato a studiare da autodidatta pianoforte e chitarra per accompagnare le sue canzoni: il suo primo contatto con il jazz invece avverrà a 20 anni, ma in questo caso si può parlare più che altro di una “riscoperta”; infatti il primissimo incontro con il jazz lo aveva avuto, seppure in maniera inconsapevole, durante la sua infanzia grazie al fratello, sassofonista, grande appassionato del genere; quindi, oltre a suonare il suo strumento, ascoltava molti dischi dei grandi dell’olimpo jazzistico quali Davis, Parker o Coltrane. Laura spiega come la sua carriera sia iniziata sostituendo un’altra vocalist in un concerto, e come sia continuata studiando al Conservatorio Santa Cecilia con Elisabetta Antonini, Maria Pia de Vito e Carla Marcotulli – come suoi modelli, cita artiste quali Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Carmen McRae e Gretchen Parlato, ma anche vocalist al di fuori del genere e più vicine al mondo del folk come Joni Mitchell.
Parlando più approfonditamente della sua carriera, racconta con affetto sia la sua esperienza come voce solista nell’Orchestra Nazionale di  Jazz dei Conservatori italiani, diretta da Pino Jodice, le selezioni svolte tra tutti i conservatori d’Italia e dei due tour fatti con l’orchestra (uno basato su rivisitazioni in chiave jazz di colonne sonore di cartoni animati, l’altro un tributo alla canzone napoletana), sia la registrazione nel 2020 del suo primo e finora unico disco Characters, in cui sono contenuti sette brani originali e due cover di Joni Mitchell e Thelonious Monk. Infine racconta della sua passione per la tecnica vocale dello scat, da lei definito “croce e delizia, cruccio di ogni cantante jazz” a cui ha dedicato la propria tesi di laurea e di come, sebbene all’inizio avesse cercato di imitare le grandi cantanti del passato e copiare le vocali e i fonemi da loro usati, col tempo sia riuscita a trovare la propria strada.
I primi tre brani presentati sono state composizioni originali di Laura: Emily, adattamento in musica di una poesia di Emily Dickinson, Medo con testo di Chiara Viola e The Witch, con testo di  Chiara Morucci; come ultimo brano lei e Danilo hanno scelto di interpretare una toccante cover di The Circle Game di Joni Mitchell.
Una considerazione finale: ascoltate queste interpretazioni abbiamo lasciato la Casa del Jazz con la consapevolezza di un talento che non ha ancora trovato la giusta dimensione ma che sicuramente c’è. Speriamo quindi che Laura – lei per prima – se ne renda conto e che intensifichi la sua attività: ne varrà sicuramente la pena… per lei… ma soprattutto per noi.

Beniamino Gatto

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