PROCLAMATI I VINCITORI DEL 15° ORPHEUS AWARD

La 15ª edizione degli ORPHEUS AWARD 2024 si è tenuta regolarmente, come consuetudine, dopo la pandemia, adottando la formula online. La cerimonia è stata presentata attraverso un video in !PREMIERE internazionale, accessibile tramite il seguente link: https://youtu.be/r5gTyQTjQzA
L’evento promosso dall’Associazione Promozione Arte, sotto la direzione artistica del nostro direttore Gerlando Gatto e la presidenza del M° Renzo Ruggieri, ha suscitato un grande interesse anche quest’anno, con ben 38 produzioni suddivise in tre grandi categorie: Classica, Jazz, World & altre musiche, oltre al premio speciale alla Carriera. Hanno risposto al premio 19 personalità, fra cui critici, giornalisti musicali ed esperti con almeno una rubrica musicale attiva nei magazine del settore: Gerlando Gatto (www.apropositodijazz.it), Giuseppe Attardi (Segnalisonori, Sicilianpost), Nicola Barin (Jazz Convention, Percorsi Musicali, Yastaradio), Francesca Bellino (Mattino, RadioRai), Flavio Caprera (Jazz Convention), Fabio Ciminiera (www.jazzconvention.net), Stefano Dentice (Strumenti & Musica Magazine), Luciano Di Giulio (TG Roseto), Stefano Duranti Poccetti (Il Giornale OFF, Il Corriere dello spettacolo), Maurizio Favot (Suono), Daniela Floris (JazzDaniels), Amedeo Furfaro (Musica News, A Proposito di Jazz), Adriano Ghirardo (Mellophonium, Jazz e World Music), Kimmo Mattila (Finlandia: Hanuri magazine), Alessandro Mugnoz (Strumenti & Musica Magazine), Carlo Pecoraro (Avanti), Paolo Picchio (Suonare News), Herbert Scheibenreif (Austria: Akkordeon mag., Accordions Worldwide, Harmonika-forum), Marina Tuni (A Proposito di Jazz, instArt).

Tra tutti, 13 hanno manifestato preferenza per la categoria Classica, 14 per il Jazz e 12 per la categoria World e altre Musiche.
Lo scopo fondamentale del premio è senz’altro quello di offrire una panoramica della scena fisarmonicistica dell’anno. L’associazione compila una lista “non esaustiva” basata sulle segnalazioni ricevute liberamente, che vengono successivamente inviate a testate giornalistiche, critici, giornalisti musicali e professionisti del settore. Questa lista è resa disponibile anche sul sito ufficiale dell’associazione per favorirne la diffusione. È importante sottolineare che i critici inviano le proprie preferenze senza essere vincolati da particolari modalità di ascolto, in linea con i premi della critica più prestigiosi. Le loro scelte sono guidate dalle loro specializzazioni e esperienze nel settore. L’Associazione Promozione Arte non esercita alcun controllo o pressione sui critici, garantendo loro massima libertà nelle loro preferenze. Inoltre, i critici possono scegliere liberamente tra le opzioni presenti nella lista o attingere dai propri archivi annuali. L’associazione con grande trasparenza rende pubblico il regolamento e tutte le singole preferenze.
La proclamazione dei vincitori è preceduta dalle NOMINATION (tre per categoria) una settimana prima della premiere, fra queste: C. Chiacchiaretta – F. Arlia – OFC “Piazzolla: Aconcagua, Oblivion, Adios Nonino, Tangazo”, Andrea Di Giacomo “Classical Lines”, Antonino De Luca “Respiri”, Renzo Ruggieri “Leaves”, D. Di Bonaventura – I. Pilar Patassini “Italia Folksongs”, Danilo Di Paolonicola “No Gender 2”.

Ecco i vincitori:
CLASSICA:
Claudio Jacomucci,
LE CITTÀ INVISIBILI (microtonal accordion),
Italian Accordion Academy Amsterdam

JAZZ
V. Abbracciante – A. Sabatino,
MELODICO,
Dodicilune

WORLD & altre musiche
Riccardo Tesi,
LA GIUSTA DISTANZA,
Visage Music

ALLA CARRIERA
Guy Klucevsek
Questo eccezionale virtuoso della fisarmonica, fra i più versatili e rispettati al mondo, ha contribuito in modo significativo alla rinascita della fisarmonica moderna negli ultimi 25 anni. La sua musica fonde elementi autoctoni con il jazz e la musica d’avanguardia.

Maggiori informazioni:
www.associazionepromozionearte.com/orpheusaward

Roberto Ottaviano mai delude

Non sono certo moltissimi, oggi, i musicisti che mai deludono, gli artisti che non sbagliano un colpo sia nelle produzioni discografiche sia negli eventi live. Bene, tra questi pochi c’è sicuramente il sassofonista Roberto Ottaviano il quale giorni fa si è esibito alla Casa del Jazz di Roma alla testa del suo quintetto ‘Eternal Love’ con Marco Colonna al clarinetto basso, Alexander Hawkins al pianoforte, Giovanni Majer al contrabbasso e Ermanno Baron alla batteria in sostituzione di Zeno De Rossi.

L’occasione mi è particolarmente gradita per ribadire un concetto che porto avanti oramai da tanti anni: Ottaviano è uno dei più grandi musicisti europei, un sassofonista e un band-leader che non ha ancora raccolto tutto ciò che effettivamente merita. In effetti Ottaviano ha sviluppato un linguaggio del tutto personale in cui il gusto per l’improvvisazione si coniuga da un lato con la profonda conoscenza delle tradizioni jazzistiche dall’altro con la ferrea volontà di guardare sempre avanti. Il tutto impreziosito da una tecnica che gli consente di esprimere compiutamente i sentimenti, le sensazioni del momento che, proprio per questo, riescono a smuovere nell’ascoltatore un mondo di emozioni.

Il concerto di Roma è stato salutato dalla folta partecipazione di un pubblico numeroso che ha seguito con entusiasmo la musica eseguita da Ottaviano e compagni. Musica che come recita il titolo del suo ultimo cd – “People” – è una sorta di inno alla pace, alla tolleranza, alla concordia universale. Ma non solo ché il musicista ci tiene a lumeggiare un altro elemento della sua poetica: la necessità sociale di denunciare ciò che non va. Dall’osservazione dell’umanità, con tutti i suoi pregi e difatti, nasce questo album in cui Roberto ha voluto raccogliere alcuni dei momenti salienti del gruppo durante le sue esibizioni nel tentativo di “disegnare ritratti di questa umanità fatta di persone incontrate realmente e virtualmente, persone che ci hanno dato qualcosa, i loro luoghi ed i loro respiri».

Nelle circa due ore di concerto, Ottaviano ha presentato quasi per intero il contenuto del disco vale a dire quattro delle sue cinque composizioni originali (Mong’s Speakin’, Hariprasad, Homo Sum e Ohnedaruth) e i brani At The Wheel Well di Nikos Kypourgos, Gare Guillemans di Misha Mengelberg e come bis, Caminho Das Águas di Rodrigo Manhero e African Marketplace di Abdullah Ibrahim.

Ora, a prescindere dai contenuti sociali sopra esposti, la musica in sé è semplicemente superlativa. L’intesa tra i cinque è perfetta e anche l’apporto singolo è in linea con la cifra generale del gruppo. E l’empatia che si respira all’interno di “Eternal Love” è dimostrata dal fatto che a Roma la mancanza del batterista titolare Zeno De Rossi non è stata avvertita più di tanto data la facilità, la spontaneità con cui Ermanno Baron si è inserito. Insomma un quintetto davvero straordinario in cui ogni segmento sonoro si incastra alla perfezione nel puzzle magnificamente disegnato dal leader.

Gerlando Gatto

Casa del Jazz gremita per Cinzia Tedesco e Laura Sciocchetti, con Gerlando Gatto per “L’altra metà del Jazz”

Se mi si consente l’espressione, si è chiuso con il classico “botto” il secondo ciclo de “L’Altra Metà del Jazz” ideato e condotto da Gerlando Gatto alla Casa del Jazz di Roma.
Martedì scorso, per la serata conclusiva che ha visto come ospiti Cinzia Tedesco e Laura Sciocchetti, sala praticamente piena e pubblico sinceramente entusiasta ad applaudire sia le interviste sia le performance delle due straordinarie vocalist.
Questi appuntamenti avevano un preciso obiettivo: prendendo spunto dal libro di Gatto “L’Altra Metà del Jazz”, si voleva portare a conoscenza del pubblico il fatto che oramai la scena jazzistica è frequentata da un gran numero di jazziste che sul piano artistico nulla hanno da invidiare ai colleghi “maschi”. Di qui la scelta di 22 musiciste, due per ciascuna serata, una già affermata, l’altra in sicura crescita.
Ebbene, a conti fatti, si può ben affermare che tutte le musiciste invitate hanno dato prova di un talento indiscusso che ha letteralmente affascinato il pubblico accorso, sempre numeroso.
Per corroborare il presupposto di tutta l’iniziativa, alla fine dell’ultima serata mi sono divertito a chiedere il parere di alcuni spettatori e le risposte sono state pressoché unanimi: “Ottimo format e ottima la scelta delle artiste”, “Strepitosa Cinzia, suadente Laura, elegante l’intervistatore”, “Bella la formula che tende a far conoscere chi c’è oltre l’artista”.
In effetti Gatto, con le sue interviste, ha sempre inteso mostrare al pubblico chi sono i personaggi da lui intervistati al di là del profilo pubblico facilmente rintracciabile dai dischi e sui social. E ovviamente anche l’ultima serata si è dipanata lungo questo filo conduttore con una specificità: Gatto ha sempre dichiarato di conoscere bene le musiciste da lui intervistate tranne qualche eccezione tra cui la vocalist che ha chiuso la serata vale a dire Laura Sciocchetti.
Ma procediamo con ordine.

Come accennato, la vocalist Cinzia Tedesco ha aperto la serata raccontando la sua storia, confermando l’intuizione di Gatto che voluto mettere in luce il suo lato umano, al di là del suo nutrito curriculum artistico. Cinzia, per una forma di pudore interiore, tende a non far trasparire il suo essere, la sua anima. Ciononostante, vuoi per l’atmosfera creatasi nell’incontro, vuoi per la consapevolezza che l’intento di Gatto era unicamente quello di farla sentire a proprio agio, la vocalist parla a ruota libera ripercorrendo con partecipazione e non senza una punta di orgoglio i vari stadi della sua vita: dall’infanzia vissuta in un aeroporto militare, ai suoi studi e ai traguardi conseguiti grazie al duro lavoro e all’impegno: si dichiara infatti soddisfatta e talvolta anche sorpresa di quello che è riuscita ad ottenere, oltre che curiosa di quanto ancora può raggiungere. Parlando più specificatamente della sua carriera, racconta di aver iniziato a cantare con la band del padre, polistrumentista autodidatta ed ex cantante, che organizzava dei concerti in aeroporto, alle feste di matrimonio ed anche alle feste patronali; per quanto riguarda invece la formazione esterna alla musica, Cinzia ha studiato informatica all’università e si è laureata a pieni voti, laurea che la porterà a lavorare per alcune aziende di alto profilo soprattutto nel campo della direzione commerciale e, proprio per questo, a trasferirsi a Roma.
Alla ormai consueta domanda di Gatto sulle eventuali difficoltà riscontrate nell’ambiente dovute al suo essere donna, Cinzia risponde parlando delle iniziative a cui prende parte che si occupano proprio di questo tema, dando particolare spazio al suo lavoro come ambasciatrice della rete Inclusione Donna, che si occupa di portare avanti istanze a livello istituzionale riguardo alla prevalenza di uomini, negli organi direzionali di numerose aziende, uomini con i quali, puntualizza Cinzia, non ha alcun malvolere, così come verso i numerosi musicisti con cui ha lavorato. Ciò non toglie, comunque, che sia necessario un lavoro più incisivo per avere una presenza maggiore di donne, ad esempio nelle direzioni artistiche dei vari festival, dominate da uomini che spesso guardano con titubanza le artiste, in primis le vocalist; Cinzia ci tiene tuttavia a precisare la sua posizione contro i festival cosiddetti “al femminile”, colpevoli a suo dire di attuare una ghettizzazione delle artiste, e un loro confinamento in un recinto ad esse riservato.
Virando invece sul lato più intimo della sua vita, parla del suo matrimonio che resiste da tanti anni, affermando che nonostante la difficoltà di mantenere un rapporto così duraturo, data la sua professione, qualcosa di bello si può costruire, e a questo proposito spende delle bellissime parole per il giovane figlio presente in prima fila.
Riguardo alla sua carriera, si parla maggiormente della pubblicazione dei due ultimi lavori, Verdi’s Mood e Mister Puccini, ambedue frutto di una rivisitazione in chiave jazzistica di brani tratti dai due capolavori.
Verdi’s Mood del 2015 è, al di là dell’indiscusso valore artistico, nasce anche dall’intraprendenza dell’artista che racconta di come, a disco finito, si sia recata al quartier generale della Sony Italia a Milano ottenendo un colloquio con Luciano Rebeggiani. Alla di lui domanda sul perché proprio quel disco tra tanti dovesse essere pubblicato, lei diede una risposta tanto semplice quanto incisiva e decisa: “Perché questo disco merita.” Tale affermazione venne confermata da Rebeggiani quando, tre mesi dopo, le comunicò la sua decisione di pubblicare il disco e di inserirlo nel catalogo jazz della Sony Italia. Sui meriti del disco, Cinzia afferma che essi risiedono nella capacità di costituire un ponte tra il grande passato di Verdi e il presente. Inoltre, un elemento distintivo del disco è la pertinenza delle sue rielaborazioni con il materiale originale. Questo principio le fu inculcato da Pippo Baudo, con il quale ha avuto il piacere di lavorare, ovvero il rispetto per il materiale di base durante qualsivoglia rivisitazione.
Dedica infine due parole all’uso dello scat e a ciò che esso rappresenta per lei, vale a dire un senso di libertà, di “lancio” di note che provengono dai sentimenti più profondi provati in quel preciso momento e fa giustamente notare come lo scat di una performance dal vivo difficilmente venga replicato in tutta la sua interezza in un’altra occasione, donando ad ogni esibizione un’unicità altrimenti non così facilmente raggiungibile.
I brani eseguiti da Cinzia, in coppia con il celeberrimo pianista Pino Jodice, sono stati Sailing di Christopher Cross, riarrangiata da Jodice, Celeste Aida e In quelle trine morbide rispettivamente tratte dall’Aida di Verdi e dalla Manon Lescaut di Puccini, e RiTe TiMe, tratto dall’omonimo disco del 2004 registrato insieme a Jodice.

Il secondo tempo ha visto come protagonista la vocalist Laura Sciocchetti, accompagnata da Danilo Blaiotta, già al fianco della cantante Chiara Viola. Laura racconta di aver iniziato a cantare molto presto e che poi, da adolescente, ha cominciato a studiare da autodidatta pianoforte e chitarra per accompagnare le sue canzoni: il suo primo contatto con il jazz invece avverrà a 20 anni, ma in questo caso si può parlare più che altro di una “riscoperta”; infatti il primissimo incontro con il jazz lo aveva avuto, seppure in maniera inconsapevole, durante la sua infanzia grazie al fratello, sassofonista, grande appassionato del genere; quindi, oltre a suonare il suo strumento, ascoltava molti dischi dei grandi dell’olimpo jazzistico quali Davis, Parker o Coltrane. Laura spiega come la sua carriera sia iniziata sostituendo un’altra vocalist in un concerto, e come sia continuata studiando al Conservatorio Santa Cecilia con Elisabetta Antonini, Maria Pia de Vito e Carla Marcotulli – come suoi modelli, cita artiste quali Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Carmen McRae e Gretchen Parlato, ma anche vocalist al di fuori del genere e più vicine al mondo del folk come Joni Mitchell.
Parlando più approfonditamente della sua carriera, racconta con affetto sia la sua esperienza come voce solista nell’Orchestra Nazionale di  Jazz dei Conservatori italiani, diretta da Pino Jodice, le selezioni svolte tra tutti i conservatori d’Italia e dei due tour fatti con l’orchestra (uno basato su rivisitazioni in chiave jazz di colonne sonore di cartoni animati, l’altro un tributo alla canzone napoletana), sia la registrazione nel 2020 del suo primo e finora unico disco Characters, in cui sono contenuti sette brani originali e due cover di Joni Mitchell e Thelonious Monk. Infine racconta della sua passione per la tecnica vocale dello scat, da lei definito “croce e delizia, cruccio di ogni cantante jazz” a cui ha dedicato la propria tesi di laurea e di come, sebbene all’inizio avesse cercato di imitare le grandi cantanti del passato e copiare le vocali e i fonemi da loro usati, col tempo sia riuscita a trovare la propria strada.
I primi tre brani presentati sono state composizioni originali di Laura: Emily, adattamento in musica di una poesia di Emily Dickinson, Medo con testo di Chiara Viola e The Witch, con testo di  Chiara Morucci; come ultimo brano lei e Danilo hanno scelto di interpretare una toccante cover di The Circle Game di Joni Mitchell.
Una considerazione finale: ascoltate queste interpretazioni abbiamo lasciato la Casa del Jazz con la consapevolezza di un talento che non ha ancora trovato la giusta dimensione ma che sicuramente c’è. Speriamo quindi che Laura – lei per prima – se ne renda conto e che intensifichi la sua attività: ne varrà sicuramente la pena… per lei… ma soprattutto per noi.

Beniamino Gatto

Greta Panettieri ed Elena Paparusso: ancora due grandi artiste a “L’altra Metà del Jazz””

Anche il penultimo incontro del ciclo “L’altra Metà del Jazz”, ideato e condotto da Gerlando Gatto, ha confermato le premesse da cui la serie ha preso avvio. Rifacendosi al secondo libro di Gatto, “L’altra Metà del Jazz”, il giornalista ha voluto presentare uno spaccato di quanto ricco sia il panorama delle musiciste jazz nel nostro Paese. Di qui una carrellata di artiste notissime, conosciute e meno conosciute che hanno tutte evidenziato un livello artistico di qualità assoluta e che forse, almeno in molti casi, meriterebbero maggiore considerazione.
Ma, rimandando alla prossima, conclusiva puntata del ciclo (martedì 12 marzo, con  Cinzia Tedesco e Laura Sciocchetti) un bilancio più approfondito, veniamo alla serata di martedì scorso.

La prima musicista intervistata da Gatto è stata Greta Panettieri, che esordisce raccontando la sua infanzia a dir poco peculiare: cresciuta facendo vita rurale in una comune in Umbria, ovvero in un casale abbandonato e occupato dai suoi genitori e un gruppo di stretti amici, Greta racconta che questa vita, oltre ad insegnarle ad affrontare con coraggio le difficoltà del momento e a crescere in maniera organica con la natura, è stata fondamentale per avvicinarla al macrocosmo musicale in cui vive oggi. Infatti erano molto comuni le esibizioni musicali e gli ascolti in comunità di numerosi dischi, soprattutto di Frank Zappa, ed è proprio da questo ascolto che nascerà la sua passione per la musica, passione che si concretizzerà tramite lo studio del violino dall’età di sei anni, proseguito a sedici anni con l’ingresso al conservatorio.
A questo proposito viene evidenziato un particolare anno nella vita della cantante, ovvero il 1994: infatti quello sarà l’anno in cui inizierà a studiare canto sotto la maestra Cinzia Spata, prima e unica insegnante di canto – per il resto Greta racconta di essere autodidatta – della quale ricorda con affetto il fatto di essere stata la prima sia ad instillare in lei la concezione della voce come vero e proprio strumento, sia ad approfondire la forma del canto jazz; narra inoltre un simpatico aneddoto secondo cui la passione di Greta per il canto e la sua foga fossero tali da far esclamare alla maestra, l’ultimo giorno di lezione: “Non so nemmeno cosa ti ho insegnato!”. E alla constatazione di Gatto sulle radici siciliane della maestra Spata, come del resto di altre insegnanti – vocalist già menzionate nelle scorse serate – Greta risponde lodando la generosità della gente di Sicilia e la loro voglia di condividere la propria conoscenza.
Altro anno cruciale per la carriera di Greta sarà il 1998, anno in cui vincerà una borsa di studio per andare al Berkeley College of Music di Boston; tuttavia, a differenza di sue altre colleghe, lei non studierà veramente lì: infatti, per una questione di sostenibilità dei costi, non coperti del tutto dalla borsa di studio, si fermerà a New York City per un periodo,  che a conti fatti si dimostrerà molto fruttuoso.
Nel 2004 forma una band, i Greta’s Bakery, con il pianista, produttore e arrangiatore Andrea Sanmartino, suo accompagnatore per la serata nonché compagno nella vita, e il bassista Mike LaValle; con questa band firmerà nel 2007 un contratto con la prestigiosa casa discografica Decca Records, da cui uscirà nel 2010 l’album The Edge of Everything, che comprende sia composizioni originali del trio sia cover di altri celeberrimi artisti come Diane Warren, Mina o gli Outkast. Se da un lato Greta descrive quest’esperienza come estremamente formativa per conoscere meglio il mestiere sia del cantante che del discografico, d’altra parte riconosce le profonde difficoltà riscontrate durante quel periodo: infatti le era stato chiesto dalla casa un cambiamento radicale, sia d’immagine sia dal punto di vista musicale. Di qui la necessità – nonché la voglia – di un cambiamento che la porterà, nel 2011, a rescindere il contratto con la Decca per ritornare ad essere un’artista completamente indipendente. Da questa svolta nascerà nel 2011 l’album Brazilian Nights, in collaborazione con il pianista Cidinho Teixeira, il sassofonista Rodrigo Ursaia,  il batterista Mauricio Zottarelli e il bassista Itaiguara Brandão, disco nel quale, a suo dire, ha ritrovato quell’integrità artistica smarrita durante il periodo con la Decca.
Infine Greta racconta della sua attività secondaria, ovvero la scrittura di libri: infatti a repertorio ha una graphic novel intitolata Viaggio di Jazz, narrazione della sua storia fino a quel momento, e La voce nel pop e nel jazz, un testo universitario in cui si analizzano cento canzoni tratte dal repertorio del pop classico americano degli anni ‘20-‘60. Certo è piuttosto sorprendente scoprire una musicista che scrive libri, ma a ben vedere la cosa non è poi così strana.  Al riguardo, prendendo spunto anche dall’intervista della serata scorsa ad Ottavia Parrilla, che raccontava del suo ruolo di storyteller, non appare particolarmente bizzarro che un compositore, già avvezzo a raccontare storie per mezzo della musica, si trovi nel suo elemento cimentandosi in quelle che in fondo sono altre forme di espressione artistica. È il caso per esempio del rapper spagnolo Rayden, al secolo David Martínez Álvarez, che ha sempre coltivato una passione per la letteratura tale da arrivare non solo a scrivere romanzi durante la carriera, ma addirittura a ritirarsi l’anno scorso, proprio all’apice del suo successo, per dedicarsi in toto alla letteratura e alla scrittura.
I brani presentati live dai due artisti sono stati Don’t know (Sammartino, Panettieri) The Sabiá di Chico Buarque e Tom Jobim, e Strangers In the Night, tratto dal songbook di Frank Sinatra, cui sarà dedicato il prossimo album della Panettieri in uscita a breve.

La serata prosegue con Elena Paparusso, artista poliedrica che nonostante i suoi legami con numerose forme d’arte, tra cui la danza, si sente prima di tutto musicista; di lei Gatto nota subito il curriculum zeppo di eventi cui ha partecipato, ed Elena risponde affermando che questa è una passione nata fin da quando lei era piccola: condividere e far conoscere degli artisti da lei stimati attraverso l’organizzazione di eventi, concerti e rappresentazioni. Inoltre, interrogata riguardo la scarsa produzione discografica da parte sua, spiega come la sua attività non si fermi alla musica, ma si estenda anche ad altre branche dell’arte – e di conseguenza la maggior parte delle sue idee non trova concretizzazione in dischi (ad esempio la danza contemporanea).
Parla poi della sua storia personale: nata a Noci, cittadina in provincia di Bari, dopo aver finito le superiori si trasferisce a Roma – inizialmente per studiare economia, ma poco dopo si iscrive al Conservatorio di Santa Cecilia studiando con Maria Pia de Vito, laureandosi e specializzandosi in canto jazz ma proseguendo comunque i suoi studi di canto con il contralto lirico Lucia Cossu; a questo proposito racconta che, dato il suo timbro da mezzosoprano, ha sempre avuto una particolare attenzione alla tecnica vocale, notando la difficoltà da parte delle persone con il suo stesso timbro vocale nel cambiare registro.
A proposito della sua discografia e delle sue opere, parlando del suo primo album Inner Nature del 2016, l’artista afferma il legame profondo con la tradizione jazz presente in esso; a questo proposito cita i suoi modelli di riferimento: in quanto a cantanti Carmen McRae, Jeanne Lee, Becca Stevens, Sarah Vaughan, Abbey Lincoln ed Ella Fitzgerald. Inoltre, riguardo alle sue composizioni, la cantante spiega come il testo di una canzone e scrivere quello che si canta siano visti da lei come elementi di estrema importanza nei suoi lavori, nonostante questo non le impedisca di musicare alcune poesie già esistenti: a questo proposito, oltre a citare tra i suoi lavori un adattamento di Dark August di Derek Walcott, racconta di come abbia messo in musica una raccolta di poesie dello scrittore Vittorio Tinelli. A proposito interviene Gatto che racconta un gustoso episodio di come molti anni addietro, prima del Nobel,  conobbe Walcott in una splendida spiaggia caraibica, trovandolo un uomo molto colto ma allo stesso tempo gentile e affabile.
Riguardo alla sua carriera, nel 2015 vince il premio come Miglior Compositrice nel Women in Jazz Competition, vittoria che le permetterà di suonare sia a Londra sia  ala Casa del Jazz; a questo proposito, rispondendo alla consueta domanda di Gatto sulle discriminazioni a stampo sessista nell’ambito jazzistico e musicale, lei risponde che non molti uomini, fortunatamente, mettono in atto comportamenti di questo genere, esistono tuttavia ancora discriminazioni in questo ambito: in sostanza, si sono fatti passi avanti ma c’è ancora molto da fare.
Nel 2018 partecipa al progetto della sua insegnante Maria Pia de Vito, Moresche e altre invenzioni, realizzato in collaborazione con l’Ensemble Burnogualà: di questa collaborazione Elena ricorda divertita le sessioni di registrazione a Ventotene, le esibizioni sulle Dolomiti e a Ravello e in generale l’atmosfera cameratesca che si respirava in quell’ambiente.
Accenna infine alle sue altre attività, sia parlando dell’evento Cantiere Infinito nel 2019 in collaborazione con la coreografa Mariagiovanna Esposito, descritto come una collaborazione tra il conservatorio e l’accademia nazionale di danza e come un momento di sperimentazione tra musicisti e ballerini, sia raccontando della sua attività didattica come docente di canto jazz al conservatorio. Dell’entusiasta racconto che Elena fa di questa sua esperienza, ormai quinquennale, due sono i punti su cui focalizza maggiormente la sua attenzione: la soddisfazione ottenuta dal buon feedback ricevuto dai suoi alunni e l’aver capito la necessità da parte loro di lavorare con persone attive e appassionate.
I pezzi presentati dalla cantante e dal suo accompagnatore Francesco Poeti, alla chitarra-basso, sono stati Labile, sua composizione originale eseguita originariamente in quintetto con Francesco Poeti, Domenico Sanna al piano, Luca Fattorini al basso e Fabio Sasso alla batteria, My First Dance With You come anteprima del suo nuovo album Anatomy of the Sun di prossima uscita, In attesa e Poor Butterfly.

Beniamino Gatto

Divertenti e brave Susanna Stivali e Chiara Viola

Serata “scoppiettante” quella di martedì scorso che alla Casa del Jazz, nell’ambito del ciclo “L’altra metà del Jazz” curato da Gerlando Gatto, ha visto protagoniste Susanna Stivali, accompagnata da Alessandro Gwis al piano, e Chiara Viola con Danilo Blaiotta al piano.

Come si accennava, ospite del primo tempo Susanna Stivali, che ha esordito rispondendo alla domanda di Gatto riguardo ad eventuali problemi legati al sessismo nel mondo del jazz; l’artista ha invitato tutti ad una riflessione, non su episodi specifici ma su un atteggiamento generale abbastanza arretrato nei confronti delle musiciste jazz in Italia sebbene oggi,  grazie ad iniziative di musicisti, organizzatori e manager si stia avviando un lento ma inesorabile cambiamento, con una conseguente apertura maggiore alle musiciste jazz. Tra gli eventi più significativi, la creazione dell’associazione Musicisti Italiani di Jazz (MIDJ) del cui direttivo Susanna fa parte, l’istituzione del Premio Gender Equality destinato al festival più impegnato dal punto di vista della parità di genere e un report annuale che descrive la situazione relativa a questa problematica con riferimento al panorama nazionale.

Conclusa la parte relativa alle questioni di genere Susanna, guidata dalle domande di Gatto, parla della sua carriera partendo dalla sua preparazione: nel raccontare dei suoi studi di pianoforte, canto classico e canto jazz ricorda come la sua formazione classica sia stata indispensabile per avere solide fondamenta su cui costruire anche il canto jazz – disciplina che aveva intrapreso di nascosto, contro il volere della sua insegnante di canto. Una particolarità che riguarda la sua formazione è che anche lei, come altre musiciste di questa serie di incontri, ha studiato presso il Berklee College of Music di Boston per un anno e mezzo, grazie al conseguimento di una borsa di studio; proprio a Boston Susanna decide di dedicarsi in toto allo studio della musica. Relativamente a quell’esperienza, ma anche ai suoi numerosi viaggi in vari paesi tra cui Sudafrica, Brasile, Thailandia, Lettonia e Mozambico, Susanna descrive una sensazione molto particolare, che si prova studiando a lungo all’estero: paradossalmente quando si è più lontani da casa, a suo dire, ci si avvicina di più alle proprie radici e alla propria terra e ci si trasforma; a questo proposito condivide un bel ricordo di una sua partecipazione ad un festival locale di musica internazionale. Tra gli insegnanti avuti in questo periodo ricorda Bob Stoloff, Mark Murphy, ma soprattutto Hal Crook, trombonista di vaglia nonché autore del libro How To Improvise, uno dei più conosciuti manuali di improvvisazione jazz in circolazione.

In seguito parla delle sue collaborazioni una volta tornata in Italia: oltre ai sodalizi  con artisti del calibro di Lee Collins, Miriam Makeba e Rita Marcotulli (già ospite di questa serie) Susanna dà particolare spazio al suo rapporto di amicizia con Giorgia, conosciuta in un campus in Inghilterra e con cui ha sviluppato fin da subito un legame grazie alla passione comune per Whitney Houston; legame che si è esteso  anche in ambito artistico, dal momento che Susanna ha scritto il brano Chiaraluce per l’amica, contenuto nell’album Stonata del 2007. Un’altra collaborazione di cui la cantante parla con affetto è quella con il Trio Corrente composto da Paulo Paulelli al contrabbasso, Fabio Torres al pianoforte e Edu Ribeiro alla batteria, trio brasiliano tra i più conosciuti nell’ambito jazz in patria per uno stile musicale che adotta una pulsazione ritmica diversa da quella tipica  brasiliana per fare spazio ad atmosfere più soavi e morbide (vincitori peraltro di un Grammy Award al miglior album di musica latina nel 2014 con Song For Maura, registrato con Paquito D’Rivera). Ed è collegandosi proprio a quest’argomento che si va a toccare l’ultimo punto della chiacchierata, ovvero l’importanza della scrittura, fondamentale a detta della vocalist che ha anche raccontato la sua evoluzione dal punto di vista della lingua usata: ha infatti iniziato a scrivere in inglese, cambiando poi registro quando è passata alla scrittura in italiano. Conclude quindi esprimendo la sua opinione riguardo alla correlazione tra sensibilità femminile e scrittura musicale, sostenendo l’effettiva inesistenza di questa dicotomia.

I brani cantati da Susanna, insieme al pianista Alessandro Gwiss, sono stati Valsinha, tratto dall’album Caro Chico; Fee-Fi-Fo-Fum dello scomparso Wayne Shorter e Decostruzione della stessa cantante, un’anteprima del suo prossimo album, in uscita a giugno in Brasile.

La seconda cantante della serata, Chiara Viola, entrata sul palco accompagnata dal pianista Danilo Blaiotta, inizia raccontando del suo rapporto con la musica, di cui si è innamorata soprattutto per quanto riguarda il canto, grazie al film Sister Act, la cui visione era una tradizione annuale nella scuola di suore che frequentava durante l’infanzia. In seguito, racconta dei suoi studi di chitarra classica e di come la sua passione per la musica degli 883 l’abbia da una parte spinta ad imparare a suonare lo strumento, e dall’altra l’abbia messa un po’ in contrasto con il suo insegnante. In seguito si iscrive alla Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia per studiare canto, e a seguito di un concerto di Joey Garrison si innamora del jazz e decide che quella sarà la sua strada (una divertita Chiara racconta, a questo proposito, dell’indifferente reazione di Garrison all’entusiasmo della cantante). Prosegue raccontando dei tanti lavori da lei svolti al di fuori della musica: dal fare l’hostess di terra per Alitalia a lavorare in un albergo di Parigi, dove si è trasferita in seguito e dove adesso risiede.

Tornando alla musica, continua parlando del suo periodo di studio al Conservatorio Santa Cecilia, con insegnanti del calibro di Maria Pia de Vito (già anche lei ospite del ciclo) e Danilo Rea, e della tesi con cui si è laureata con 110 e lode, dedicata al silenzio. Dietro sollecitazione di Gatto, la Viola esprime una particolare ammirazione  per il “silenzio” che lei ama come una tela bianca che permette di apprezzarne i colori – in questo caso i suoni. Un dato curioso è che un’altra musicista ospite del ciclo, Miriam Fornari, aveva dedicato la sua tesi di laurea allo stesso argomento esprimendo più o meno le stesse opinioni di Chiara.

Il racconto prosegue con una artista assolutamente padrona del palco che denota una sorta di umorismo davvero apprezzabile con cui tiene desta l’attenzione del folto pubblico, chiaramente divertito e interessato. Ecco quindi l’esperienza in un gruppo di jazz tradizionale in contemporanea ad un suo tour con un complesso di free jazz – tour nato per puro caso, in cui lei era entrata in sostituzione della cantante titolare a causa di un malore di quest’ultima.

L’ultima parte della chiacchierata è dedicata ad un intenso dibattito, in cui è stato coinvolto anche Danilo, riguardo alle differenze tra l’Italia e Parigi per quanto riguarda il ruolo dei musicisti nella società: la nostra cantante racconta di un pubblico parigino educato fin da piccolo alla musica, grazie anche all’istituzione dei conservatoires, rinomate scuole di musica statali presenti in abbondanza nella Città delle Luci, una per ogni banlieue – ma più in generale grazie ad uno stato che investe di più sulla cultura rispetto a quello italiano, tanto che lì è in vigore una legge che consente ai musicisti di ricevere un sussidio statale (legge che, come fa notare Danilo, è passata in maniera molto più restrittiva anche qui in Italia); da qui è emersa un profondo disappunto da parte di Chiara nei confronti dello Stato italiano e degli organizzatori che non pagano abbastanza i musicisti, trascurando anche l’aspetto culturale.

I pezzi eseguiti da Chiara e Danilo sono stati Didsbury, tratta dall’album Until Down pubblicato da Chiara nel 2019, Lullaby for Francesco, anch’essa una toccante composizione della cantante, e una originale rielaborazione di Harvest Moon di Neil Young.

Degno di una nota a parte è stato il finale della serata: in virtù di un rapporto di amicizia che lega Chiara e Susanna, le due cantanti, accompagnate da Danilo Blaiotta al piano, si sono esibite insieme in una frizzante esecuzione di Bye Bye Blackbird.

Beniamino Gatto

Cinzia Gizzi e Noemi Nuti entusiasmano il pubblico: Ripresa alla Casa del Jazz la fortunata serie L’Altra Metà del Jazz condotta e ideata dal nostro direttore Gerlando Gatto

Dopo un’attesa di circa due mesi e mezzo, la fortunata serie L’Altra Metà del Jazz, a cura di Gerlando Gatto, è ricominciata alla Casa del Jazz con due valide artiste: la pianista Cinzia Gizzi e l’arpista e vocalist Noemi Nuti.
La prima parte della serata è dedicata appunto a Cinzia Gizzi, la cui intervista inizia con una riflessione sull’assenza del canto jazz nel Festival della Canzone Italiana di Sanremo, conclusosi pochi giorni prima dell’evento: riflessione da cui scaturisce l’amara considerazione di un confinamento del jazz in certe nicchie e ambienti definiti, nonostante  l’attuale tendenza alla contaminazione tra generi.

Parla poi della sua carriera: partendo dal primo incontro con la musica che avvenne per caso durante i suoi studi universitari in una facoltà impostale dalla famiglia . Ma ben presto la musica ebbe la meglio e nell’arco di poco tempo si andò delineando la personalità di una grande artista che  proseguì con il suo rapporto con il piano classico, che lei definisce fondamentale per una buona formazione jazzistica ma non indispensabile. Sulla musica classica tornerà in seguito, esprimendo la sua preferenza, tra i compositori, per Bach, genio capace di donare equilibrio a chi lo ascolta. Enumera quindi alcune delle sue collaborazioni più significative e di alto profilo come Harry “Sweets” Edison, Joe Newman, Sammy Davis e Tony Scott, dei quali ricorda con grande affetto l’aspetto umano oltre a quello artistico. E si arriva così  al 1988, anno della svolta per la sua carriera: sarà infatti quello l’anno in cui vincerà una borsa di studio, grazie ad una sua amica che la convinse a presentare la domanda, che la porterà negli USA, a Berkeley; Cinzia ricorda questi tempi negli Stati Uniti come duri ma molto soddisfacenti. Altri incontri e collaborazioni l’hanno segnata: nello specifico con Chet Baker, Dizzy Gillespie e in particolare Jaki Byard, con cui ha studiato metodologia a seguito di un incontro presso il Mississippi Jazz Club, allora gestito dai fratelli Toth.
Racconta poi del suo ritorno in Italia e della pubblicazione del suo primo disco Trio and Sextet, nel 1991, con la collaborazione di musicisti come Flavio Boltro alla tromba, Piero Odorici al sassofono, Giovanni Tommaso al basso, Gianni Cazzola alla batteria e Mario Migliardi al trombone, e della sua carriera didattica di cui ricorda luci e ombre: tra le prime ricorda la soddisfazione dell’insegnamento, sottolineandone tuttavia la complessità; tra le seconde illustra le difficoltà affrontate a causa di un sistema che imponeva al detentore della cattedra unica l’insegnamento di sette materie in tutto il semestre ed anche del fatto che, in quanto donna, ha dovuto dimostrare più degli altri colleghi maschi. Da questo complessivo bagaglio di esperienze le deriva la forza e la capacità di scrivere due libri dedicati agli “Arrangiatori Jazz”.
Toccando infine gli aspetti più recenti della sua carriera, ricorda il premio alla carriera vinto nel 2017 nell’ambito del Premio Internazionale Profilo Donna, grazie alla segnalazione di Patricia Adkins Chiti, e conclude con una piccola riflessione sulla quasi totale assenza di jazz nella Rai, collegandosi alla prima domanda fatta durante l’incontro da cui si evince, secondo Cinzia, che i giovani d’oggi vengono bombardati da un determinato tipo di musica, mentre dovrebbero avere la possibilità di scegliere la musica che amano e la Rai – servizio pubblico, non dimentichiamolo – dovrebbe dare modo ai suoi ascoltatori, che pagano un canone, di seguire ogni genere musicale.
Come al solito non sono mancati interventi musicali: in questo caso Cinzia è stata accompagnata dal contrabbassista Pietro Ciancaglini e dal batterista Marco Valeri, e insieme hanno suonato I Keep Love in You di Bud Powell, Subconsciously di Lee Collins e Te Vojo Bene Assaje.

Dopo il consueto intervallo di cinque minuti, la serata è ripresa con l’arpista e vocalist Noemi Nuti che purtroppo, a causa di un problema tecnico con l’arpa, si è presentata solo nelle vesti di cantante, accompagnata dall’eccellente pianista Andrew McCormack, compagno non solo sulla scena ma anche nella vita.
La vita di Noemi è caratterizzata da numerosi viaggi e contatti con diverse culture: nasce infatti a New York da famiglia italiana e ci rimane fino agli otto anni; da quel momento si trasferisce in Italia dove passerà la tarda infanzia e l’adolescenza, per poi trasferirsi a Londra, dove tuttora risiede. Già fin dall’età di otto anni Noemi inizia a studiare l’arpa, di cui si è innamorata grazie alla copertina di una rivista che la raffigurava in tutto il suo splendore; comincia quindi con lo studio dell’arpa classica e folk (soprattutto celtica) fino all’ottavo grado, ma grazie al contatto con la musica di Kurt Rosenwinkel ed Ella Fitzgerald decide di passare alla musica jazz: ed è in questo ambito che nel 2012 si diplomerà al Trinity College di Londra, studiando con insegnanti del calibro di Anita Waddell, John Hendrix e Sammie Purcell.
Nella sua musica risulta evidente un vivo interesse per la musica brasiliana, soprattutto per l’unione, da lei illustrata, tra ricchi ritmi e melodie leggere, semplici solo all’apparenza ma che in realtà nascondono una complessità disarmante: questa passione la porterà a formare una band di samba che arriverà fino al celeberrimo Carnevale di Rio de Janeiro. A proposito del Brasile, Noemi lo descrive come un posto molto particolare: un luogo isolato e un porto allo stesso tempo, contemporaneamente un melting pot e un luogo legato alla propria cultura.
Un altro luogo di cui parla con molto affetto è la sua residenza attuale, ovvero Londra: facendo un paragone tra la scena musicale londinese e quella italiana Noemi nota un attaccamento al passato e alle tradizioni molto più presente in Italia che nel Regno Unito dove, al contrario, osserva una maggiore apertura all’innovazione e attenzione da parte del governo nei confronti delle arti. Sempre a proposito del jazz inglese, descrive l’influenza subita dalla musica sudafricana e le differenze dei ritmi afro-jazz presenti nelle varie regioni del mondo: da una chiacchierata con il pianista panamense Danilo Pérez nasce una maggiore attenzione alle casse e ai bassi nelle regioni del Sud America, mentre, al contrario, una predilezione nei confronti dei piatti e delle frequenze alte nel Regno Unito; a questo proposito ha citato la cantante britannica Norma Winstone e come un suo brano, Azimuth, sia tornato alla ribalta grazie ai celebri rapper Drake e Yeat e ai produttori Bnyx e Sebastian Shah, che l’hanno campionata nel loro  IDGAF, uscito nello scorso ottobre. Conclude infine il suo intervento con un ulteriore elogio nei confronti di Londra, ovvero di come la scena inglese permetta un’ottima formazione a livello professionale e di affrontare a ogni sorta di pubblico e ambiente.
I brani proposti con il pianista Andrew McCormack sono stati “For What I See,” composizione originale di Noemi contenuta nel suo disco ‘Venus Eye’ uscito nel 2020 e ispirata da “Treme Terra” di Flora Purim e Airto Moreira con Joe Farrell (il disco si chiama “Three-Way Mirror”). A questa prima, trascinante esibizione hanno fatto seguito “Disfarça e Chora” di Cartola e “I Can’t Believe You’re In Love With Me” di Jimmy McHugh, interpretato anche da Billie Holiday.
In quanto a pubblico la serata è stata un successo, facendo registrare non solo un numero di spettatori tale da riempire quasi l’intera sala ma anche un entusiasmo e un gradimento che chi vi scrive non può che condividere.

Il prossimo appuntamento è in programma martedì 20 Febbraio alle 21 con Susanna Stivali e Chiara Viola. Clicca qui per info&tickets

Beniamino Gatto