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Ketil Bjørnstad – “Night song”

Ketil Bjørnstad – “Night song”

Ketil Bjørnstad – “Night song” – ECM 2108

Molto si è discusso sul fatto che la musica non possa essere semantica (tesi su cui per altro concordo appieno) eppure è innegabile che certe musiche richiamino atmosfere, paesaggi assolutamente ben precisi e identificabili. Così, per chi conosce bene la Norvegia, le atmosfere ovattate di quei straordinari paesaggi, la struggente malinconia che ti prende quando osservi il maestoso spettacolo dei fiordi o quello delle nevi perenni nei territori dell’estremo nord, è fin troppo facile capire – o meglio percepire – che la musica di questo album appartiene ad un tale contesto. In effetti Bjørnstad è uno dei più acclamati artisti della scena pianistica nordica (non solo norvegese), protagonista di molte incisioni per la stessa ECM. Questa volta ritorna ad una formula per lui non estranea, vale a dire quel duo piano/cello, con cui aveva firmato due splendidi album, sempre per la ECM, vale a dire “The river” ed “Epigraphs” rispettivamente del 1996 e 1998, in cui però accanto al pianista figurava David Darling. Questa collaborazione con Swede Svante Henryson nasce da un concerto che i due avevano effettuato nel 2007 al Bath Festival e si concretizza , dal punto di vista discografico, per l’ennesima felice intuizione del patron ECM Manfred Eicher. I due si trovano alla perfezione anche perché hanno un terreno comune su cui agire, l’amore per Schubert, per la bellezza delle sue linee melodiche, per i suoi patterns armonici. Così, l’album si sviluppa come una sorta di omaggio al genio di Schubert in cui le composizioni del pianista ben si amalgamano con quelle del violoncellista attraverso un cammino emozionante e coinvolgente… Un’ultima avvertenza: per chi concepisce la musica e il jazz solo come mero divertimento è un disco da evitare.

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Markku Ounaskari, Samuli Mikkonen, Per Jørgensen – “Kuara”

Markku Ounaskari, Samuli Mikkonen, Per Jørgensen – “Kuara”

Markku Ounaskari, Samuli Mikkonen, Per Jørgensen – “Kuara” – ECM 2116

Ecco un altro album ECM in cui la mano di Manfred Eicher risulta decisiva. Qui siamo ben lontani dal mondo del jazz canonicamente inteso; i tre si addentrano in quei territori di confine in cui reminiscenze jazzistiche (date esclusivamente dalla strutturazione dell’organico: batteria, piano, tromba) si mescolano con musiche tradizionali (nel caso specifico di Karelia, Udmurtia e Vepsia, territori russi ai confini con la Finlandia ) e musica religiosa russa, introdotta proprio dietro suggerimento di Eicher. A questo punto il trio si è trovato di fronte ad una scelta assai difficile: come interpretare il repertorio scelto? In maniera canonica o facendo leva su nuovi arrangiamenti? La via scelta è stata, per fortuna, la seconda cosicché i vari pezzi sono presentati un una versione affatto nuova, con arrangiamenti particolari in cui – come nel jazz di qualità – le parti scritte si amalgamano con quelle improvvisate a disegnare un assieme composito ma affascinante. Quindi da un canto c’è la perfetta aderenza al modello originario, dall’altro si nota il tocco particolare dei tre musicisti cui non fa certo difetto la creatività. In particolare Mikkonen, al piano, denuncia una profonda preparazione di base che si estrinseca soprattutto in un perfetto controllo della dinamica e soprattutto in un tocco sempre pertinente. Ounaskari ci fa comprendere come, se si è dotati di particolare sensibilità, le percussioni possano trovare una precisa collocazione anche in contesti sulla carta del tutto ostici mentre Jørgensen sia alla tromba sia quando si esprime con la voce evidenzia una perfetta aderenza allo spirito della musica che i tre hanno voluto ricreare.

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Boris Savoldelli  - “Biocosmopolitan”

Boris Savoldelli - “Biocosmopolitan”

Boris Savoldelli – “Biocosmopolitan” – MoonJune Records MJR 037

Album molto “concettuale” del vocalist Boris Savoldelli che così presenta questo suo ultimo progetto discografico: “Biocosmopolitan, come il precedente, è un disco interamente realizzato con la mia voce e l’ausilio di un looper, senza strumenti aggiuntivi. Il lavoro si basa, per la composizione delle canzoni, su un’idea ‘mantrica’ dei brani, dove la ripetizione continua di brevi porzioni armoniche e ritmiche sovrapposte le une alle altre, in un delicato e complesso equilibrio ritmico – armonico, creano il brano”. E’, quindi, sostanzialmente un “progetto” in cui la parte del leone la recita la voce e che spazia in vari campi, dal rock al jazz, dal funky alla sperimentazione… il tutto impreziosito dalla tromba e flicorno di Paolo Fresu in due brani e dal contrabbasso di Jimmy Haslip, storico bassista degli YellowJackets, in un pezzo.
Ciò detto, qual è il risultato di tutta questa complessa operazione? L’album ha momenti di sicura attrazione in cui il vocalismo di Savoldelli si fa ammirare per l’originalità dell’esposizione, altri in cui i contorsionismi e le acrobazie vocali risultano davvero eccitanti ed intriganti (si ascolti al riguardo “The Discordia” )… e altri ancora in cui, viceversa, i motivi di interesse scemano notevolmente anche per il non eccelso livello delle composizioni. Francamente, come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, sto diventando allergico ai progetti e allora mi chiedo: non sarebbe stato più produttivo registrare un “normale” disco di jazz?

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