Rosalba Bentivoglio Incanto di pietra lavica

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Artista di grande spessore, vocalist che si è fatta apprezzare anche al di fuori dei confini azionali, Rosalba Bentivoglio è rimasta fortemente legata alla sua terra. Di qui una scelta tanto impegnativa quanto, dal punto di vista artistico, non del tutto gratificante: restare nella propria terra, continuare a vivere nella natia Catania. Qui, ovviamente, ha proseguito la sua attività di jazzista a tutto tondo, affiancando una intensa attività didattica.
L’abbiamo intervistata di recente affrontando tutta una serie di tematiche molto delicate e abbiamo trovato una donna, un’artista intelligente, coraggiosa, ben consapevole delle proprie motivazioni, che n on ha alcun timore ad esprimere in modo chiaro, inequivocabile, le proprie idee.

-Come pensi sarebbe stata la tua carriera se avessi lasciato Catania, la Sicilia?
Intanto ti dico che qui in “provincia” risulta essere un plus valore il fatto di vivere o di rientrare dopo aver vissuto all’estero (o anche solo in nord Italia); ciò che viene da “fuori” dà più lustro, e forse non abbiamo ancora dismesso la famosa valigia con cui i nostri genitori partivano cercando riconoscimenti e fortuna fuori dal proprio Paese e magari rientrare poi con accento “estero” per essere ricollocati in modo più consono. Infatti se noti le varie presentazioni di musicisti siciliani, guarda caso, hanno tutti residenza all’estero. Comunque io ho vissuto un periodo a Parigi e in Germania a Monaco e devo dirti che si lavora bene e tutto procede in base alle tue capacità artistiche, cioè l’opposto di quello che avviene da noi. Il Jazz in Italia soprattutto in Sicilia è ancora lontano dalle nuove prospettive musicali a cui da tempo si accenna o più timidamente si cerca di parlare, forse più per un atto dovuto che per convinzione vera e propria. Della parola “difficoltà” ultimamente ho fatto il mio punto di forza; cercando di evitare l’autocommiserazione. In un Paese come il nostro in cui l’unica forma d’arte è l’apparire e dove certezza è la mancanza di strutture, di professionalità e competenze; l’indifferenza poi, completa il quadro, soprattutto per chi ha fatto delle scelte diverse. Io ho bisogno del mio luogo, dell’energia che sprigiona l’Etna e a cui spesso attingo come forma d’ispirazione. Io ho scelto di continuare a vivere a Catania, in Sicilia, per affermare me stessa nel luogo d’origine e perché sono legata alla mia terra, al mio mare, e al mio vulcano. Certo oggi questa scelta fatta anni fa mi sta stretta, penso che il vivere all’estero mi avrebbe dato di più e sarebbe stato più utile alla mia carriera; Catania, la mia città è risultata essere avara con me, con chi si è sacrificata per essa per rappresentarla al meglio.

-Come si è evoluto il Jazz nell’isola?
Come sai sono stata presidente per la Sicilia orientale dell’organizzazione ASMJ (Associazione Siciliana Musicisti Jazz) associazione nata dalla scissione dall’AMJ a livello nazionale perché non ci sentivamo ben rappresentati, comunque dopo poco tempo e dopo aver prodotto 2 cd , il progetto è naufragato; ma in quel periodo ho toccato con mano le reali necessità e disagi dei musicisti isolani, e primo tra tutti la latitanza delle istituzioni, mentre un secondo e non sottovalutato problema è quello degli organizzatori, che a volte coincidono con la figura di musicisti e che purtroppo tengono un’egemonia di potere forte e formano quadrato verso quelli che vengono visti come outsider. Da un punto squisitamente stilistico invece, credo che si cominci ad avere (oserei dire timidamente) l’esigenza di rinnovarsi (nel rispetto di alcuni parametri culturali che oggi si attenzionano più di ieri). Francesco Cafiso ad esempio ha dato una particolare valenza al jazz in Sicilia e pur essendo molto giovane ha bruciato molte tappe, maturando esperienze con gli artisti giusti e nei luoghi idonei. Forse non dovrebbe restare in Sicilia, la Sicilia orientale è bella ma forse lo lega troppo, io lo vedrei più a New York, Parigi o ad Oslo, luoghi più giusti per un artista come lui, tra l’altro ancora giovane, ed affiancarsi ad artisti e collaboratori interessanti e soprattutto innovativi nei suoni . Per le onorificenze, le targhe e le direzioni artistiche c’è ancora tempo. Con Francesco ci siamo sempre ben rappresentati sul palco, abbiamo avuto una lunga collaborazione con l’Orchestra jazz del Mediterraneo di Catania. Certo che oggi nell’era dell’informatica e con le nuove tecnologie a nostra disposizione è stato possibile uno scambio e una informazione a cui prima non eravamo abituati. E’ vero anche che la facilità di approdare e usufruire di tecnologia ha creato uno spazio antitetico al reale sviluppo creativo in cui il mezzo, la macchina, prende il sopravvento sull’intelletto umano. Quindi si dice che in Sicilia un’evoluzione o crescita nell’ambito jazzistico è avvenuta, anche se credo sia sempre sotto le briglie delle esigenze commerciali, dove i nomi o i cartelloni contano più del reale sviluppo di un intelletto artistico. Chi come me da anni si occupa di ricerca e contaminazioni non trova un mercato o interesse capace di sostenerli.

-In Sicilia esistono realtà diversificate che fanno capo a molte realtà locali; secondo te esiste una buona collaborazione o, come sostiene qualche tuo collega, ognuno va per i fatti suoi?
Rispondo subito con un no, non credo che in Sicilia esista una buona collaborazione tra le varie realtà dell’isola, ognuno ha il proprio giro di artisti e, come dicevo prima un piccolo gruppo di musicisti-organizzatori creano egemonie; ma credo che un problema simile esista anche fuori dal nostro territorio come ad esempio Roma che risulta essere una città chiusa, non ci si esibisce se non sei nel giro giusto, ad esempio sai che in tanti anni di attività io non sono mai stata invitata ad esibirmi alla Casa del Jazz ? La mia esibizione a Roma ( a parte la partecipazione a trasmissioni musicali radiofoniche in Rai, con Tony Scott e la conduzione di Adriano Mazzoletti) io ho cantato al Music Inn.

-Il mondo del jazz è stato, tradizionalmente maschilista…cosa puoi dirci al riguardo con specifico riferimento alla realtà siciliana?
Che i pregiudizi nel rapporto tra musicisti sono tutt’oggi presenti; esiste di fatto una discriminazione tra musicisti maschi e musiciste femmine, le femmine vengono viste più come vocalist che devono stare li sul palco in bella mostra a cantare e fare soffrire (musicalmente) i musicisti che le accompagnano. Diciamo che le donne non vengono viste come musiciste e compositrici complete al pari degli uomini, ma sono, anche se spesso più brave dei maschi, un orpello, un abbellimento al gruppo composto da maschi.

-Tu sei una eccellente vocalist … ma anche una compositrice di vaglia; qual è tra i due il vestito che ti senti meglio addosso?
Ambedue, perché quando compongo penso già al canto, mi esprimo con il canto, ma la composizione è la mia espressione interiore; l’intelletto, il sogno, che poi il fuoco del canto concretizza. La voce è l’unico legame tra silenzio e parola e come nei suoni invisibili di Italo Calvino voglio avere sufficiente simbolicità per andare a ricostruire quelle relazioni sommerse; interessante perciò mettere in scena tanto la sperimentazione che avviene nell’ambito colto, come ricerca sul linguaggio, anche visivo, quanto liberi passi che vengono presi nel territorio delle spericolate improvvisazioni vocali. Un bagliore rende limpido e visibile colore e forme, ed è in quest’attimo, intensa ed ispirata che libero me stessa nel non tempo.

-Come si svolge il tuo percorso compositivo?
Così come lo scrivere un libro per un filosofo è un atto del tutto personale, allo stesso modo per me è la realizzazione della mia musica nella quale la mia visione e l’utilizzo del linguaggio non viene inficiato da speculazioni commerciali, ma rappresenta sempre ciò che sono e penso in “questo momento”, fondamentalmente su un’ispirazione, una traccia sulla quale lavoro e inserisco l’armonia, mentre in altre seguo un determinato passaggio armonico che può fare scaturire una melodia evocativa. Altre volte è l’evocazione stessa, anche visiva o una emozione vissuta ad ispirarmi e da li scattare la scintilla compositiva. A volte le composizioni le completo con un testo, altre le lascio libere di vagare. Se dovessi descrivere con un’immagine il pensiero delle mie composizioni mi ritrovo trascinata in un vortice di suoni e colori che in modo forte e diretto mi fanno rivivere i colori e le composizioni di W.Kandinsky. Equilibri dinamici quelli che traccio in musica, così come Kandinsky traccia in pittura. La ricerca è un atteggiamento verso un qualche cosa, una tradizione, un linguaggio, un luogo, delle convenzioni. I suoni, come macchie di colori contrastanti ma in perfetto equilibrio fra loro , è così che nelle mie composizioni musicali inserisco un intelletto compositivo. Percio’ la maggior parte delle mie composizioni sono senza parole, con atmosfere minimaliste, e la voce e’ utilizzata come strumento che prende spunto per le proprie sonorita’, dalla natura e da suggerimenti ritmico-musicali da radici fonetico-linguistiche della mia cultura. Sono alla ricerca di una sinestesia in musica. Utilizzo la voce come un sintetizzatore vocale umano per reinventare la tecnica e l’arte del cantare ad ogni mia nuova composizione. Sviluppo elaborazioni di nuove vocalità che rievocano immagini da sogno e si snodano in susseguirsi d’invenzioni creative, di spazi sonori, di tempi, colori, citazioni letterarie. La mia è una musica estremamente evocativa. Equilibri dinamici sono quelli che cerco in musica ed utilizzo il linguaggio musicale per esprimere me stessa. Una “musica nuova” tipizzata da sperimentazione vocale proveniente da dimensioni oniriche e surreali che esprima la metafora della vita.
I Luoghi di Eolo, In the Wind he comes e Cieli di marzo si muovono con moods cangianti come gli stati d’animo ed il vento ne è il collante.
Il vento nell’essere come rinnovamento, “soffio” come corrente di vita, afflato di energia, filo conduttore che unisce il corpo umano all’universo, e il linguaggio canto implica una visione del mondo in cui non esiste più alcuna differenza tra microcosmo e macrocosmo.

– Tutti ti riconoscono una grande sensibilità interpretativa non disgiunta da una tecnica molto solida. Come sei giunta a questi risultati? Quali le tappe fondamentali della tua formazione?
Sin da bambina ho provato grande attrazione per il canto. Col passare del tempo è diventata una necessità esprimermi con la voce. E’ soprattutto attraverso questo mezzo che oggi cerco di realizzarmi. Nel jazz si ritrova quella libertà di espressione. L’ascolto di Someone to watch over me di George Gershwin col testo di Ira Gershwin, cantato da Sarah Vaughan ha fatto scattare in me la molla che è diventata una vera passione per il canto jazz. Giovanissima ho avuto esperienze rock e pop (westCost con Joni Mitchell) per poi indirizzare la mia passione verso il jazz, passando per il canto lirico in conservatorio. Poi quello che conta ( e che gli allievi oggi comprendono poco) è cantare, quindi tanta ma tanta esperienza sul palco, dove avvengono incontri, scontri e collaborazioni. L’arte è un percorso paritetico alla vita, non si sa quando comincia ma si sa che non finisce mai.

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