Jazz per tutti i gusti a Matera per il Gezziamoci 2023

Il Jazz è oramai linguaggio universale che, però, può essere declinato in mille modi diversi. La conferma, se pur ce ne fosse stato bisogno, è venuta chiara, lampante dalle tre serate materane di Gezziamoci, il jazz festival della Basilicata arrivato quest’anno alla sua 36ma edizione.
Dal 25 al 27 agosto, sulla terrazza della Fondazione Le Monacelle, abbiamo così ascoltato tre concerti, tutti di gran livello, ma molto, molto diversi tra di loro.

Venerdì 25 è stata la volta dell’omaggio a Lucio Dalla da parte del trio Servillo-Girotto-Mangalavite. A undici anni dalla scomparsa del cantautore, sono stati parecchi i jazzisti che si sono cimentati in omaggi verso questo grandissimo personaggio, e in realtà tutti si sono mantenuti su standard qualitativi più che discreti. Ma il lavoro svolto da Javier Girotto al sax soprano, Natalio Mangalavite al pianoforte, tastiere e voce e Peppe Servillo alla voce è stato, a nostro avviso, il migliore in assoluto. Ciò per diversi motivi che cercheremo di enucleare. Innanzitutto la scelta del repertorio: mentre in altre occasioni i musicisti si sono tenuti ben lontani dai pezzi più famosi del cantautore, il trio in oggetto non ha avuto alcun problema ad affrontare tutte le canzoni più conosciute di Dalla da “L’anno che verrà” a “Se io fossi un angelo”, da “Tu non mi basti mai” fino a “Caruso”. Il fatto è che il trio non si è limitato a riarrangiare il materiale ma ha cercato di elaborare qualcosa di assolutamente nuovo e originale. Così a Servillo veniva affidato il compito di conservare la linea melodica del pezzo e l’artista campano, pur nella sua teatralità a volte sopra le righe, riusciva a recitare con grande efficacia i versi delle canzoni e crediamo che oggi sia uno dei pochissimi a poter dare senso compiuto a trame mai banali. Dal canto suo Girotto si dimostrava ancora una volta un gigante del sax soprano allontanandosi dalle strutture melodiche per disegnare ampie volute non scevre da immaginifiche improvvisazioni. Dal canto suo Mangalavite provvedeva a legare il tutto e a far sì che il trio mai perdesse la sua forte connotazione unitaria. Quasi inutile dirlo ma straordinario successo di pubblico.

La sera dopo situazione completamente diversa: in scena il quartetto del batterista Magnus Öström completato da Daniel Karlsson, piano e tastiere, Andreas Hourdakis, chitarra e Thobias Garbielson, basso. Öström è artista ben noto al pubblico internazionale essendo stato il batterista di quello straordinario gruppo chiamato E.S.T. che proprio quando stava ottenendo un successo clamoroso, di dimensioni mondiali, fu fermato dall’improvvisa morte in mare il 14 giugno del 2008 del leader, il pianista Esbjörn Svensson. Il colpo è stato assai duro per Magnus che comunque si è ripreso sia suonando con grandissimi artisti quali Pat Metheny, Benny Golson, Curtis Fuller, Buster Williams, Roy Hargrove, Nils Landgren, Mulgrew Miller, sia guidando propri gruppi così come ha fatto a Matera.
Pur con questi cambiamenti, il batterista è rimasto fedele alla sua poetica, fatta di larghi spazi, di armonie ariose, di melodie dolci in cui si mescolano gli echi più diversi, dalla musica classica al rock… fino all’immancabile musica tradizionale svedese e più in generale nordica. Eccellenti le nove composizioni, tutte originali, presentate durante il concerto anche se ci hanno particolarmente colpiti “Oceans” e “Pacific” dedicati alla salvaguardia dell’ambiente.

Lo stesso batterista è stato poi, il mattino successivo, il protagonista in solitaria del concerto all’alba davanti la chiesa rupestre di Madonna delle Vergini. Il vostro cronista non c’era, ma persone degne di fede hanno raccontato di un momento musicale… e non solo, davvero straordinario.

Domenica 27 tuffo nel jazz più jazz – se ci consentite l’espressione – con un quartetto guidato da Antonio Faraò al piano e Chico Freeman al sax tenore con alla sezione ritmica Pasquale Fiore batteria e Makar Nivikov contrabbasso. La serata era dedicata a John Coltrane e non occorrono certo molte parole per illustrare la difficoltà del compito. Ma il gruppo se l’è cavata più che egregiamente: i quattro hanno suonato ben cinque composizioni di Coltrane tra cui “Lonnie’s Lament” e “Impressions”, tre original di Faraò e due di Chico Freeman tra cui “Dance of Light for Luani” un brano dedicato alla figlia che, già all’età di due anni, quando andava in macchina con lui voleva che il padre le facesse ascoltare John Coltrane. Ma, a parte questo gradevole aneddoto, il concerto è stato davvero superlativo, tutto da godere con musicisti perfettamente in grado di declinare secondo i giusti dettami quel linguaggio di cui in apertura. E la cosa non stupisce ove si tenga conto della statura artistica dei due principali responsabili del gruppo. Faraò è pianista completo sotto ogni punto di vista: melodico, armonico, dinamico; ascoltarlo è sempre un piacere ed è uno di quei pochissimi personaggi il cui tocco è perfettamente riconoscibile… almeno alle orecchie di chi scrive. Freeman è un vero gigante del jazz: personaggio assolutamente straordinario coniuga una perfetta conoscenza del jazz fino agli anni ’50 con una passione per il jazz più moderno essendo stato letteralmente affascinato da quella AACM in cui ebbe modo di approfondire i propri studi con Muhal Richard Abrams. I due non si sono risparmiati perfettamente coadiuvati da Fiore, giovane batterista del luogo e da Nivikov bassista solido e sempre pertinente.
Con questo concerto si è quindi conclusa la parte musicale del Festival che ha vissuto anche momenti di approfondimento “culturale” tra cui va segnalata una interessante lezione-conferenza su “Architetture in Jazz, lo spazio e il tempo” tenuta da Chiara Rizzi.
Il “Gezziamoci” comunque prosegue con il prossimo appuntamento della fase estiva fissato per domenica 24 settembre e Latronico con “per (S)Tralci di Jazz”, una passeggiata musicale tra le vigne, mentre gli appuntamenti della programmazione invernale che sono sulle pagine Facebook e Instagram dell’associazione.

Gerlando Gatto

A Matera il prossimo weekend alcuni appuntamenti da non perdere.

Dopo aver percorso circa 3200 km di strada per raggiungere tutti (o quasi) gli angoli di una regione che incanta gli abitanti e i viaggiatori con i suoi litorali bandiera blu, le dolci asperità della dorsale appenninica nelle aree interne, i boschi ombrosi e i monti silenziosi del Pollino, il viaggio di Gezziamoci 2023 si conclude a Matera con 6 concerti di respiro internazionale, 3 laboratori dedicati alla sostenibilità e all’architettura, la sfilata partecipata della Conturband e l’emozionante concerto all’alba.

Ma scendiamo più nel particolare e scopriamo cosa ci riserva il prossimo weekend.

Venerdì 25 Agosto, presso la Terrazza Fondazione Le Monacelle, alle 21, un trio di eccellenza con gli argentini Javier Girotto al sax soprano e baritono e Natalio Mangalavite al pianoforte, tastiere e voce che incontrano la voce di Peppe Servillo: di qui un incastro musicale perfetto, la voglia di inventare insieme nuovi percorsi musicali e nuove “storie”. Insomma, l’esempio più probante di come tre personalità artistiche, provenienti da culture musicali diverse, ricche e versatili possano incontrarsi e dar vita ad un unicum che solo la musica può consentire.

Sabato 26 Agosto, sempre presso la Terrazza Fondazione Le Monacelle, in programma il gruppo di Magnus Öström. Il batterista svedese è ben conosciuto dal pubblico internazionale in quanto fondatore nel 1993 del fantastico trio E.S.T. insieme al pianista Esbjörn Svensson, suo amico fin dall’infanzia, e al contrabbassista Dan Berglund. Il suo nome è anche legato a collaborazioni con altri artisti jazz di calibro internazionale quali Pat Metheny, Benny Golson, Curtis Fuller, Buster Williams, Roy Hargrove, Nils Landgren, Mulgrew Miller, Conrad Herwig e Stefon Harris. Dopo lo scioglimento dell’E.S.T. a causa della morte del pianista, ha inciso il primo CD a suo nome “Thread of Life” dove nel brano “Ballad for E”, dedicato all’amico scomparso, compaiono come ospiti Dan Berglund e Pat Metheny.

Nel 2016 assieme al pianista Bugge Wesseltoft e a Dan Berglund forma un trio che prende il nome di Rymden (in svedese significa “spazio”). A Matera si presenta in quartetto con Daniel Karlsson, piano e tastiere, Andreas Hourdakis, chitarra e Thobias Garbielson, contrabbasso. Musicalmente, lo stile di Öström racchiude una serie di influenze assai diverse che vanno dal modern jazz alla musica classica di Johann Sebastian Bach fino alla musica da film e rock senza ovviamente trascurare il folk scandinavo.

Sempre il quartetto del batterista svedese sarà il protagonista del concerto che si svolgerà all’alba di Domenica 27 agosto, con appuntamento in piazza della Visitazione per l’apposita navetta.

Nella stessa serata di domenica, sempre alla Terrazza Fondazione Le Monacelle, il Chico Freeman (sax) & Antonio Faraò (Piano) Quartet completato da Makar Nivikov, contrabbasso e Pasquale Fiore, batteria. Chico Freeman è oramai da tempo un dei sassofonisti, polistrumentisti, compositori, arrangiatori, produttori più in vista sulla scena internazionale grazie al suo talento che gli permette di rivisitare con pertinenza e passione alcuni capolavori del passato; dal canto suo Antonio Faraò percorre da sempre la strada maestra del jazz con convinzione e padronanza tecnica. Insomma un altro appuntamento da non perdere.

Gerlando Gatto

Christian McBride: la mia passione è suonare il contrabbasso

Nell’odierna realtà jazzistica se c’è un personaggio che riesce a racchiudere tutte quelle qualità che fanno di un buon musicista un eccezionale artista questi è sicuramente Christian McBride. Strumentista portentoso, compositore e arrangiatore di sicuro livello, didatta coscienzioso (con la moglie, la cantante Melissa Walker, diplomata anche come educatrice, crea a Montclair, New Jersey, una scuola la Jazz house Kids), sembra mai accontentarsi e così nel marzo 2016 viene nominato direttore artistico del Newport Jazz Festival. Il tutto condito da una serie di riconoscimenti ufficiali tra cui ben otto Grammy.

Originario di Filadelfia, classe 1972, ha un aspetto imponente: alto, massiccio, con una bella voce profonda e leggermente roca all’apparenza non sembra certo il tipo con cui vorresti avere qualche incontro ravvicinato del terzo tipo. Ma quando lo incontri e gli parli, l’impressione cambia radicalmente: Christian è persona squisita, gentile, comprensivo, che parla volentieri e non elude alcuna domanda.

Cominciamo da un fatto che mi incuriosisce parecchio. Lei è molto giovane eppure ha già fatto davvero tante, tante cose. Tournée, didattica, produzione, composizione, direzione di big band, tecnica straordinaria sullo strumento…e potrei continuare. Cosa preferisce fare?
“Innanzitutto vorrei precisare che non sono così giovane. Ad oggi sono cinquant’anni. Quel che ho fatto non è stato tutto pianificato, è venuto così dove mi ha portato la mia anima. Quando sono andato a vivere a New York per la prima volta, trentadue anni fa, volevo solo suonare con i miei eroi e molto di questo è successo. Per quanto concerne ciò che è venuto dopo, ho solo proseguito lungo il cammino. Comunque tornando alla sua domanda preferisco suonare il basso…e non sto scherzando. Da sempre suonare il contrabbasso è la mia passione, ciò che realmente mi riempie il cuore di gioia. Io davvero mi auguro che tutti i musicisti abbiano queste stesse possibilità, di sentirsi felici quando suonano il proprio strumento”.

Data questa sua passione per il contrabbasso, lei preferisce suonarlo nell’ambito di un’orchestra o di un combo?
“Per me è assolutamente lo stesso. Metto lo stesso impegno, la stessa passione e mi diverto allo stesso modo sia se suono all’interno di una big band, sia che mi trovo a far parte di un trio o un quartetto”.

Cosa ricorda di una delle sue prime collaborazioni, quella con Bobby Watson parecchi anni fa, se non sbaglio nel 1989?
“Ero alle primissime settimane di college quando qualcuno mi ha detto ‘ehi c’è uno strano tipo che ti sta cercando, ma non sappiamo il suo nome’. Così me ne sono andato a seguire la successiva lezione ma altri studenti mi hanno ripetuto che qualcuno mi stava cercando. Così quando sono andato a pranzo, seduto ad un tavolo leggendo un giornale l’ho visto: era Bobby Watson che già conoscevo. Appena sono entrato e l’ho visto, l’ho salutato calorosamente e lui mi ha risposto: ‘ehi, ti stavo cercando; che fai questo fine settimana? Ho un regalo per te. Suoniamo al Birdland con James Williams che suona il piano, Victor Lewis alla batteria”. Cosa ricordo di questo episodio? Che ero molto, molto spaventato. Quel pomeriggio abbiamo provato e poi è andato tutto bene. Sono rimasto nella band di Bobby Watson per due anni”

Così poco? Io avevo letto che avevate suonato assieme per più tempo…
“No, con la stessa band sono rimasto due anni. Poi, sai come succede, se uno si fa un nome finisce con il suonare con un sacco di gente. E ovviamente a me è capitato anche in seguito di suonare con Bobby. Ma nello stesso tempo ho avuto modo di suonare con altri grandissimi musicisti quali, tanto per fare qualche nome in ordine cronologico, ho lavorato dapprima con Ray Hargrove, quindi con Benny Golson, e poi con Freddie Hubbard. Tra il 1989 e il 1992 ho fatto molti concerti con diversi leader”.

Un altro dei grandi musicisti cui Lei è particolarmente affezionato è sicuramente Chick Corea. Come ricorda questo artista?
“Lui è stato una delle persone più straordinarie, meravigliose che io abbia incontrato nel corso della mia vita. Certo era un grande compositore, un grandissimo pianista, ma soprattutto una bellissima persona”.

In che senso?
“Abbiamo collaborato per ben ventisei anni e in questo lungo periodo mai una volta l’ho visto rivolgersi male verso qualcuno, essere sgarbato…insomma era davvero una brava persona, una persona per bene: nel mondo ci sarebbe bisogno di molte più persone come lui. Da un punto di vista più strettamente musicale, Chick mi spronava sempre a comporre aggiungendo che lo facevo bene. Ma egualmente io mi sentivo in imbarazzo davanti a lui in quanto, mi creda, Chick Corea è stato uno dei compositori più illuminati del secolo scorso”.

Chick a parte, qual è la collaborazione che ricorda con più piacere?
“Quella con James Brown, l’eroe della mia infanzia. Suonare con lui per me è stato come realizzare un sogno. Quando mi ha chiamato io ero, in un certo senso, più che preparato…conoscevo ogni suo pezzo, conoscevo tutto ciò che aveva fatto nel corso della sua carriera. Quindi nel momento in cui, quando festeggiava il suo 64simo compleanno, nel corso di una sorta di jam session mi chiamò sul palco, ero letteralmente al settimo cielo. Poi ho prodotto uno dei suoi ultimi spettacoli ed è stata un’esperienza unica, straordinaria, meravigliosa”.

Bene. E cosa pensi di Marvin Gaye?
“Anche lui è una leggenda. Ci sono molti cantanti r&b, soul che sono anche eccellenti musicisti jazz. Herbie Hancock racconta questa bella storia di quando entrando in uno studio di registrazione ha incontrato per la prima volta Marvin Gaye che intonava magnificamente al pianoforte “Maiden Voyage” (Uno dei brani più conosciuti di Hancock ndr). Non so se Winton Marsalis, entrando in uno studio, potrebbe incontrare John Legend che intona uno dei suoi brani. Mi piace moltissimo anche Stevie Wonder: lui è il re”

Cosa pensa del cd. ‘modern jazz’?
“Onestamente devo dire che non lo amo particolarmente. Bisogna però intendersi meglio. Oggi per modern jazz si intende la musica suonata per lo più da ventenni. In realtà molti giovani suonano mescolando ad esempio suoni acustici con l’elettronica, cosa certo non nuova, e alle volte devo ascoltare questa musica anche due volte per entrarci dentro ma ciò mi piace. Insomma in linea di massima questo tipo di espressione non mi soddisfa pienamente anche se devo riconoscere che ci sono cose interessanti”.

Pensa sia possibile parlare oggi di jazz americano, jazz europeo, jazz italiano?
“Non sono molto bravo ad operare simili distinzioni. Io penso che il jazz è jazz: il jazz è nato in America e da lì tutto deriva, anche la musica improvvisata europea, anche quella asiatica seppure innervata da elementi tratti dalle culture locali. Ciò non toglie, ovviamente, che ci siano eccellenti musicisti di jazz in tutto il mondo”.

Cosa conosce del jazz made in Italy?
“Tete Montoliou, Michel Petrucciani…”

Mi scusi ma l’uno è spagnolo e l’altro di origine italiana ma francese…
“Stefano Di Battista…”

Sì con lui ci siamo, e poi?
“Il contrabbassista Giuseppe Bassi che è un mio caro amico e poi naturalmente Paolo Fresu”.

Perché lo stato della popolazione afroamericana negli States è sempre così complessa, per usare un eufemismo?
“Io penso che in tutto il mondo, ma particolarmente negli Stati Uniti, ci sia un problema di razza e allo stesso tempo di classe sociale, di soldi. Se tu sei ricco nessun problema; viceversa i bianchi che sono poveri hanno gli stessi problemi dei neri poveri, degli asiatici poveri, dei latini poveri. A ciò si aggiunga il razzismo verso la gente di colore che negli States è ancora forte. E’ molto difficile che quanti hanno tanti soldi si prendano cura di chi è realmente povero. Questa è la grande sfida da affrontare subito”.

Personalmente Lei ha avuto brutte esperienze in tal senso?
“Certo che sì. Ogni cittadino americano di colore tra i sedici e i settantacinque anni potrebbe raccontare episodi del genere. Io stesso più volte sono stato fermato dalla polizia ho sempre reagito nel migliore dei modi, educatamente, salutando cordialmente. Ma non sempre funziona: io sono grande, grosso e nero e ciò basta per suscitare qualche sospetto, per pensare che sia violento. Per non parlare dell’enorme problema costituito dalla presenza delle armi che andrebbero bandite perché gli americani quando si parla di armi è come se diventassero bambini”.

Pensa che in Europa sia diverso?
“Onestamente non lo so. Uno dei miei più cari amici che vive a Roma da quattro anni, Greg Hutchinson, mi racconta che non importa dove vai, qualcuno ti guarderà sempre in modo sciocco. Per quanto concerne moleste della polizia e razzismo non so come sarebbe in Europa; conosco molti musicisti neri che hanno lasciato l’America tra gli anni ’40 e ’50 e sembrano felici

Qual è il suo album che preferisce?
“Francamente è difficile rispondere. Comunque, pensandoci meglio, credo che le mie preferenze vadano al primo album, “Gettin’ to It”, per la Verve nel 1995 con Roy Hargrove tromba e flicorno, Joshua Redman tenor saxophone, Steve Turre  trombone, Cyrus Chestnut  piano, Lewis Nash  batteria, Ray Brown e Milt Hinton  basso on ‘Splanky’ “.

Qual è la musica che preferisce suonare oggi?
“Tutta, purché sia buona musica. Voglio essere cittadino del mondo”.

Gerlando Gatto

Il trio di Giovanni Tommaso a Latina il 18 febbraio

Prosegue intensa l’attività del Latina Jazz Club con la sua stagione concertistica. Giovedì 18 febbraio in programma uno di quegli appuntamenti da non perdere. Di scena il trio di Giovanni Tommaso con Cinzia Gizzi al pianoforte e Marco Valeri alla batteria.

Giovanni Tommaso è uno dei “grandi” del jazz italiano avendo contribuito in maniera determinante al suo sviluppo e conseguente affermazione a livello internazionale. Lucchese, classe 1941, Tommaso si è ben presto affermato come contrabbassista e bassista di grande livello. Al suo attivo una carriera superlativa che l’ha ben presto posto ai vertici della musica jazz non solo nazionale. Tantissimi i riconoscimenti ottenuti che non vale la pena riassumere in questo spazio. Basti solo sottolineare la felicissima intuizione che nei primissimi anni ’70 lo portò alla costituzione del Perigeo assieme a Claudio Fasoli al sax, Tony Sidney alla chitarra, Franco D’Andrea alle tastiere e Bruno Biriaco alla batteria. Importante anche l’attività didattica dal momento che Tommaso è anche titolare della cattedra di musica jazz al Conservatorio di Perugia. Ultime, ma non certo in ordine d’importanza, la piacevolezza e la gentilezza dell’uomo doti che purtroppo oramai facciamo fatica a trovare anche nel nostro microcosmo jazz.

Cinzia Gizzi è pianista che non ha ottenuto, a nostro avviso, i meriti che il suo talento meriterebbe. Nella sua oramai lunga carriera figura, tra l’altro, un diploma in pianoforte e arrangiamento ottenuto nel 1990 negli Stati Uniti con il massimo dei voti; in questa occasione ha avuto modo di studiare anche con alcuni grandi della tastiera quali Jakie Byard e Charlie Banacos. Oltre a guidare propri gruppi, come sidewoman ha presto parte, nell’arco di una carriera lunga qualche decennio, a molti avvenimenti jazzistici con musicisti italiani e stranieri.

Marco Valeri viene unanimemente considerato uno dei migliori batteristi oggi sulla scena. Romano, classe 1978, si è definitivamente imposto all’attenzione di pubblico e critica nell’ultimo decennio grazie ad una squisita sensibilità ben coniugata con una solida preparazione tecnica acquisita durante gli anni di impegnativi studi. Dopo una parentesi negli States (2002-2003), al ritorno in Italia entra a far parte della band di Sandro Deidda. Anche per lui molte le partecipazioni a festival anche internazionali e assai numerose le collaborazioni con artisti quali Jd Allen, Amedeo Tommasi, Gary Smulian , Andy Gravish, Dado Moroni, Dave Liebman, Eddie Gomez, Benny Golson, Rick Margitza, George Garzone, Franco Ambrosetti, Steve Grossman…

Gerlando Gatto

Per dodici giorni Palermo capitale del jazz

Varie produzioni in esclusiva europea e prime assolute per un totale di ben 10 produzioni orchestrali, 6 Direttori d’Orchestra, 110 concerti dislocati in 4 luoghi diversi tra il Teatro di Verdura, il Real Teatro Santa Cecilia, il Complesso Santa Maria dello Spasimo e il Palazzo Chiaramonte, conosciuto come Steri, sede dell’Università cittadina: questa, in poche ma eloquenti cifre, la carta d’identità del Sicilia Jazz Festival che in dodici giorni (dal 24 giugno al 5 luglio) ha trasformato Palermo in una sorta di mecca del jazz.
La capitale della Sicilia è stata come invasa da un’ondata di musica che ha interessato migliaia e migliaia di spettatori che hanno ascoltato con interesse i tanti concerti proposti. Peccato che nessuno di noi possegga il dono dell’ubiquità in quanto, ad esempio, avrei assistito assai volentieri alle performances di Dino Rubino, Giacomo Tantillo, Giuseppe Milici…tanto per fare qualche nome.

Altra caratteristica del Festival: il ruolo dato all’ Orchestra Jazz Siciliana che ha avuto l’onore e l’onere di accompagnare alcuni dei grandi solisti presenti al Festival, e la possibilità fornita ai giovani musicisti dei conservatori siciliani di esibirsi finalmente in pubblico. Ed è proprio questa attenzione ai talenti locali che rende un Festival del Jazz degno di essere pensato, realizzato e sostenuto con fondi pubblici. In effetti il Festival, organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo – con il coordinamento artistico affidato alla Fondazione The Brass Group, istituita con legge del 1° febbraio 2006, n. 5,  si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania. L’obiettivo: come si accennava, coinvolgere in una concreta sinergia strutturale le istituzioni didattiche regionali, i musicisti del territorio e le maestranze locali.

Ma veniamo adesso al lato più strettamente musicale.

Per motivi di lavoro ho potuto assistere solo agli ultimi cinque concerti, tutti comunque di spessore e tutti svoltisi nel magnifico scenario del “Teatro di Verdura”

Ma procediamo con ordine. Il primo luglio è stata di scena la vocalist Dianne Reeves con il suo quintetto completato da John Beasley al piano, Romero Lubambo alla chitarra, Itaiguara Brandao al basso e Terreon Gully alla batteria. A parere di chi scrive, la Reeves è oggi una delle voci più interessanti, suggestive, personali del mondo del jazz e tutto ciò è stato ampiamente evidenziato anche durante il concerto palermitano. Ben supportata dal gruppo, la Reeves ha sciorinato un repertorio godibile dalla prima all’ultima nota in cui le parole lasciavano spesso campo libero a vocalizzi che richiamavano la grande tradizione del canto afro-americano. A conferma della versatilità di un’artista che oltre a vincere vari Grammy Awards (gli ultimi nel 2006, per la colonna sonora del film “Good night, and good luck” diretto da George Clooney, e nel 2015, per l’album “Beautiful life” dopo i precedenti quattro conquistati nel 2001, 2002, 2003 e 2006), in questo ultimo scorcio di tempo si è maggiormente concentrata, come si diceva, sul solco tracciato da voci leggendarie quali quelle di Billie Holiday, Ella Fitzgerald e, soprattutto, di Sarah Vaughan, cui tempo fa ha dedicato un intenso omaggio discografico. Tra le interpretazioni più convincenti le originali versioni di “Morning has broken” scritta da Cat Stevens e “Talk” di Pat Metheny. Insomma un concerto straordinario, sicuramente tra i migliori ascoltati a Palermo, che resterà sicuramente nel cuore e nella mente di chi, come il sottoscritto, ha avuto il piacere di parteciparvi.

Il giorno dopo grande attesa per il concerto di Ivan Lins con Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Riina. Ora, fermo restando il piacere di aver riascoltato dopo un po’ di tempo Ivan Lins, devo confessare che sono rimato un po’ deluso dall’andamento del concerto. Ed il perché è presto detto: Ivan Lins ha scritto vagonate di musica e quindi mi sarei aspettato di ascoltarlo quasi totalmente in brani di sua composizione. Invece ci ha offerto versioni di brani già iper-noti come “Dindin”, “Insensatez”, “Garota de Ipanema”, “Check to check” che nulla tolgono ma nulla aggiungono alla statura di un artista che, come si diceva, si caratterizza per essere non solo un grande performer ma anche – e forse soprattutto – per le sue straordinarie capacità compositive. Ovviamente non sono mancate sue composizioni ma non abbastanza.

Bene Jane Monheit che ha messo in mostra una bella voce, ben intonata ed equilibrata, accompagnata da una sicura presenza scenica. Altro elemento positivo, il ruolo dato ad alcuni solisti dell’orchestra quali Gaetano Catiglia e Fabio Riina alle trombe, Francesco Marchese e Alex Faraci al sax tenore, Claudio Giambruno e Orazio Maugeri al sax alto, Salvo Pizzo al trombone, Elisa Zimbardo alla chitarra.

Durante l’esibizione di Ivan Lins un siparietto simpaticamente comico: mentre il cantante brasiliano intonava la sua “Ai, Ai, Ai, Ai, Ai” il maestro Riina scivolava senza alcuna conseguenza ma dando così corposa consistenza al titolo del pezzo.

Eccellente prova il 3 luglio della vocalist Simona Molinari accompagnata dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Vito Giordano. A mio avviso la Molinari matura di giorno in giorno in quanto riesce sempre meglio ad attare le sue notevolissime capacità vocali al repertorio che ha scelto di presentare. Un repertorio che sembra fatto apposta per accontentare sia il pubblico del jazz (con una serie di straordinari pezzi quali “Fly Me To The Moon”, “All Of Me”, “The Look Of Love”, “Summertime”) alternate con pezzi più vicini ai giorni d’oggi come “Fragile”. Ma intendiamoci: ciò nulla toglie alla cantante che anzi, come si accennava, evidenzia una versatilità che sicuramente le gioverà nel corso di una carriera già luminosa. Non a caso il suo concerto a Palermo è stato tra i più applauditi con numerose richieste di bis.

Il 4 luglio un mostro sacro del jazz, Christian Mc Bride; quando si parla di questo artista è difficile definirlo dal momento che si tratta di un grande virtuoso del contrabbasso, ma allo stesso tempo di un grande compositore, grande arrangiatore, eccellente didatta e, ciliegina sulla torta, direttore artistico del Newport Jazz Festival. Nato a Filadelfia il 31 maggio 1972, in soli 50 anni ha avuto una carriera davvero incredibile. E come i grandi artisti, fuori dal palco è una persona estremamente gentile e disponibile concedendomi una lunga intervista che pubblicherò nei prossimi giorni.

Venendo al concerto di Palermo, McBride ha evidenziato tutti gli aspetti della sua variegata personalità, suonando magnificamente il contrabbasso ma allo stesso tempo presentando alcune sue composizioni da lui stesso arrangiate per big band e dediche particolarmente sentite: è il caso di “Killer Joe” di Benny Golson, del sempre splendido “Spain” di Chick Corea, “Full House” di Wes Montgomery, “I Should Care” di Axel Stordahl, Paul Weston e Sammy Cahn mentre l’altro hit, “Come Rain or Come Shine” è stato interpretato con bella pertinenza dalla moglie di Christian, Melissa Walker. Quasi inutile sottolineare come la performance di McBride sia stata salutata con applausi a scena aperta da parte dal numeroso pubblico che, d’altro canto, non ha fatto mancare il proprio supporto ai numerosi solisti dell’orchestra che grazie agli arrangiamenti di McBride hanno avuto l’opportunità di mettersi in luce.

Gran finale il 5 luglio con Snarky Puppy ovvero la band del momento. Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di studenti di un college del Texas, il collettivo statunitense che ruota attorno al perno costituito dal bassista, compositore e produttore Michael League (la formazione è variabile e a volte comprende anche alcune dozzine di musicisti) ha consolidato il percorso artistico non solo con dischi accolti assai bene da pubblico e critica, ma soprattutto attraverso un’attività live che sembra costituire la loro dimensione ideale. Dimensione che è stata pienamente confermata dal concerto palermitano in cui il gruppo si è presentato in nonetto. Ma questo appuntamento è risultato particolarmente interessante in quanto il gruppo ha presentato tutta musica nuova, una serie di brani che andranno a costituire il prossimo lavoro discografico. Come al solito la loro musica è risultata coinvolgente essendo il risultato di una ricerca che riesce a mescolare jazz, fusion, funk, prog e rhythm’n blues in una miscela con cui  hanno rapidamente scalato le classifiche discografiche di questi ultimi tre lustri, conquistando anche vari Grammy Awards.

Gerlando Gatto

Il jazz Festival Gubbio No Borders compie 20 anni: l’edizione 2021 tra concerti, cinema e masterclass

Compie 20 anni il Festival Gubbio No Borders, nato dalla grande passione per la musica e per il jazz grazie all’impegno e all’entusiasmo della Associazione Jazz Club Gubbio che negli anni ha ospitato nella città di Gubbio grandi nomi del panorama musicale nazionale e internazionale tra cui Benny Golson, James Senese & Napoli Centrale, Paul Wertico, Gino Paoli, Samuele Bersani, Fabrizio Bosso, Danilo Rea, Quintorigo, Maria Pia De Vito, Greta Panettieri, Giovanni Tommaso, Javier Girotto e Dado Moroni.
Una ricorrenza importante, quella del 20° anno, che verrà celebrata con una edizione festosa a partire dal giorno di Ferragosto fino al 31 agosto con un cartellone che comprenderà concerti, cinema, matinèe, street parade e masterclass, con la direzione artistica di Luigi Filippini.
Un programma ricco e multistilistico, reso possibile grazie anche alla collaborazione e al patrocinio del Comune di Gubbio, il prezioso sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, la partnership con la Direzione Regionale Musei Umbria e con l’IIS Cassata-Gattapone.
Ad inaugurare il Gubbio No Borders 2021, il giorno di Ferragosto, sarà la P-Funking band che alle 18.30 e alle 21.30 inonderà le vie della Città di note, invitando il pubblico a unirsi alla parata per i festeggiamenti della 20a edizione.

Lunedì 16 agosto grande attesa nella bellissima cornice del Teatro Romano per il noto sassofonista Francesco Bearzatti con il suo acclamato Tinissima 4tet e il nuovo progetto “Zorro”.
Sabato 21 agosto alle 11.30, il concerto del mattino con la band Le Scat Noir presso i suggestivi giardini pensili del Palazzo Ducale.
Lunedì 23 agosto alle 21.15 protagonista un altro grande sassofonista, Javier Girotto – un gradito ritorno al Gubbio No Borders – insieme all’ottimo pianista Natalio Mangalavite. Due raffinati artisti argentini che hanno fatto innamorare l’Italia con la loro musica, e che al Palazzo Ducale presenteranno tutto il loro universo sonoro.
Le serate di domenica 29 e lunedì 30 agosto sono dedicate al NoBorders Cinema, con la proiezione dei due film “La mélodie” di Rachid Hami e “Il concerto” di Radu Mihâileanu. Location: Il Voltone presso il Palazzo Ducale.
Martedì 31 agosto alle 21.15 si torna al Palazzo Ducale per l’ultimo concerto della XX edizione: quello della cantautrice Sara Marini con il suo progetto “Djelem do mar”.
Il 25, 26 e 27 agosto tornano al Festival le Masterclass che prenderanno avvio dalle ore 9 presso l’IIS Cassata-Gattapone.
Info per costi e iscrizioni: Associazione Jazz Club Gubbio: www.jazzclubgubbio.itgubbiojazzclub@gmail.com,  tel. 347.8283783 – 333.4192889.

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