Nasce l’ANSJ, l’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili

Realtà del terzo settore e istituzioni pubbliche in dialogo per un nuovo modo di fare didattica: in aprile coinvolti 70 scuole pubbliche e 7.500 studenti durante il Jazz Day.

Si è costituita il 18 marzo scorso, con sede a Bergamo, l’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili: l’ANSJ è un consorzio nazionale che, sulla spinta di numerose organizzazioni no profit, scuole di musica, reti pubbliche e realtà del terzo settore, rappresenta più di 6.000 associati tra studenti, docenti, dirigenti scolastici e operatori della didattica musicale no profit del nostro Paese.

Il direttivo, eletto unanimemente dall’assemblea, è composto dal presidente Claudio Angeleri (rappresentante del CDpM Europe di Bergamo), dal vicepresidente Diego Borotti (direttore didattico della Jazz School Torino), dal segretario Roberto Cuccia (Fondazione Orchestra Jazz Siciliana The Brass Group), Walter Donatiello (CEMM di Bussero, in provincia di Milano), Franco Caroni (Associazione Jazzistica Senese), Beppe Di Benedetto (Jazz’On Parma Orchestra), Matteo Bonti (Scuola Bonamici di Pisa), Andrea Rubini (Ama, Associazione Musica Artistica Pianengo, in provincia di Cremona) e Franca Lensi (associazione culturale Professional Drum di Collegno, nel Torinese).
Afferma Claudio Angeleri, presidente della neonata associazione e del CDpM, il Centro Didattico Produzione Musica di Bergamo: «L’ANSJ nasce per dare il via a un nuovo percorso culturale, basato sul dialogo per il “sistema” della didattica musicale in Italia con il concorso delle realtà del terzo settore e di quello pubblico, superando contrapposizioni e subalternità». Un percorso nato quindi dal basso, che chiede attenzione e riconoscimenti per le attività e i servizi svolti da parte della politica, degli organi ministeriali preposti e del legislatore. Il tutto in base agli orientamenti comunitari incentrati sulla didattica per competenze e sulla loro certificazione secondo il quadro europeo delle qualificazioni e il sistema di accumulazione e trasferimento dei crediti (EQF ed ECTS).

Al centro dell’azione educativa – secondo i promotori della neonata associazione – c’è la persona, con i suoi bisogni e le sue diversità, che variano da individuo a individuo, ma c’è anche la complessità dei processi di apprendimento con finalità educative, professionalizzanti, terapeutiche e di inclusione. Diverse esperienze innovative provengono proprio dalla didattica jazz e delle musiche audiotattili: lo studio dell’improvvisazione e del rapporto dialettico con il tempo interiore, la ricerca timbrica e del suono finalizzata alla costruzione di una propria identità sonora e il dialogo tra i musicisti sono processi che permettono all’esecutore non solo di eseguire la musica di altri, ma di autografare con originalità ogni tipo di materiale musicale.
Uno studio condotto lo scorso novembre dall’Università di Bologna per conto dell’Associazione italiana delle Scuole di Musica, a cui l’ANSJ intende aderire da subito, ha fotografato i contorni dell’offerta formativa musicale nel nostro Paese, che conta 100.000 insegnanti e un milione di studenti, di cui 25.000 con disabilità e 50.000 di origine straniera. Si tratta di un bacino di rilievo assoluto, a cui attinge e fa riferimento anche il sistema educativo pubblico per dare un titolo di studio a un percorso avviato (e spesso concluso) già nelle scuole di musica.
La stessa filiera dello spettacolo, dei festival, dei concerti e dei lavoratori del settore musicale è debitrice all’associazionismo per l’importante funzione culturale e sociale svolta nella creazione e nel rinnovamento del pubblico. Sotto il profilo occupazionale, il terzo settore rappresenta un importante ambito lavorativo per i musicisti e i neodiplomati. Infine, anche il mondo della scuola si affida, in virtù del decreto sull’autonomia scolastica del 1999, alla consulenza e alla collaborazione degli esperti delle associazioni per creare, ampliare e qualificare l’offerta formativa in musica per tutti gli studenti.

L’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili è stata subito operativa realizzando in concomitanza all’International Jazz Day UNESCO nel mese di aprile grazie alla rete nazionale Jazz Mood School, associata ad ANSJ di oltre settanta istituti pubblici, diverse lezioni/concerto e momenti formativi, seminari e occasioni di confronto con il concorso di amministrazioni locali e regionali con la partecipazione più di 7.500 studenti. Inoltre, su iniziativa dell’Università di Scienze della Formazione di Roma Tre collabora alla realizzazione del Master accademico di II Livello sulla Musica d’Insieme ad indirizzo jazz con la partecipazione di Enrico Intra, Gianluigi Trovesi, Paolo Damiani, Tullio de Piscopo, Claudio Angeleri per la parte pratica mentre i proff. Raffaele Pozzi, Vincenzo Caporaletti, Francesca Borruso, Lorenzo Cantatore, Stefano Mastandrea, Luca Tedesco per l’area musicologica e didattica delle scienze umane.

L’obiettivo è la formazione dei docenti nei vari ambiti della didattica musicale pubblica e del terzo settore.

Intanto si apprende che una delegazione dell’Associazione Nazionale Scuole Jazz e Musiche Audiotattili composta dal presidente Claudio Angeleri, dal vicepresidente Diego Borotti, e dal consigliere Franco Caroni ha incontrato in collegamento telematico con il Ministero dell’Università e Ricerca la dott.ssa Alessandra Gallone, Consigliera del Ministro dell’Università con delega AFAM, Anna Maria Bernini e il dott. Gianluigi Consoli della Direzione generale dell’internazionalizzazione e della comunicazione MUR. Nel corso dell’incontro si è delineata la normativa vigente in materia di riconoscimento dei titoli di studio musicali in Italia con specifico riferimento al sistema EQF European Qualification Framework inaugurando un proficuo dialogo con il Ministero finalizzato all’inclusione delle scuole nazionali di musica del terzo settore nel processo di riconoscimento dei titoli di studio.

Enrico Rava: lo scrittore friulano Valerio Marchi intervista il grande trombettista

Lo scorso 23 giugno, alla rassegna “Borghi Swing” by Udin&Jazz, organizzata da Euritmica e Comune di Marano Lagunare, in provincia di Udine, Enrico Rava avrebbe dovuto esibirsi con la sua tromba e il suo flicorno assieme a Francesco Diodati (chitarra), Gabriele Evangelista (contrabbasso) ed Enrico Morello (batteria). Purtroppo, per cause di forza maggiore (un’indisposizione dell’artista), il concerto è stato annullato. Crediamo comunque di far cosa gradita pubblicando l’intervista che Rava ci ha concesso qualche giorno prima, augurandoci di cuore di poterlo rivedere presto in Friuli Venezia Giulia. (Valerio Marchi)

-Maestro, che rapporto ha con il Friuli?
«Bellissimo! A parte il fatto che mia moglie ha origini di Sacile, sono amico di musicisti friulani straordinari: da U.T. Gandhi a Francesco Bearzatti, ma anche Mirko Cisilino – che reputo il trombettista italiano più interessante, e che fra l’altro non è solo trombettista – e poi Giovanni Maier… Non solo, ma in Friuli nacque uno dei gruppi che più ho amato e che è durato di più: gli Electric Five, di cui fecero parte anche Gandhi, che ne era la colonna portante, e Maier. Poi ho altri cari amici, ad esempio Checco Altan ad Aquileia, e mi piacciono infinitamente la natura e il cibo».

Trova florido il panorama jazzistico del nostro territorio?
«Sì, ma sia per questa che per altre regioni italiane che hanno un’attività molto viva, avviene spesso che ciò che si sviluppa da una parte – mi riferisco sempre al jazz – rimane più o meno lì. Anche in Calabria, in Sardegna o in Sicilia, ad esempio, ci sono eventi notevoli e musicisti giovani e fantastici che meriterebbero una fama ben più larga. Si può avere un successo strepitoso a Udine o a Palermo, per capirci, ma poi…»

-E lei come si spiega questo fenomeno?
«Non so, forse abbiamo ancora un retaggio dell’Italia dei Comuni, molte cose fanno molta fatica a varcare i confini. Gli unici luoghi che fanno più notizia a livello nazionale sono Milano e Roma, ma ciononostante nel nostro Paese manca, di fatto, un vero e proprio centro: come, ad esempio, Parigi per la Francia, Londra per l’Inghilterra o New York per gli USA, dove tutto ciò che avviene in quegli Stati in qualche modo si convoglia lì: vai lì e prima o poi conosci tutti».

-La sua fortuna infatti fu proprio quella di vivere a New York da giovane.
«Assolutamente sì. I dieci anni trascorsi a New York, a partire dai miei 24 anni in poi, sono stati fondamentali».

-Il Seminario che lei tiene da tanti anni a Siena sopperisce in qualche misura all’inconveniente tutto italiano di cui abbiamo appena parlato?
«È almeno l’occasione per conoscere musicisti strepitosi che altrimenti, forse, non conoscerei mai, a meno di non fare un continuo “Grand Tour” per l’Italia… e infatti quasi tutti i miei gruppi sono nati dall’esperienza di Siena. Tornando ai musicisti friulani, lo stesso Giovanni Maier lo conobbi lì; fu lui a farmi conoscere U.T. Gandhi e poi nacquero gli Electric Five».

-Il Friuli, e più in generale il Friuli Venezia Giulia e l’Italia, potrebbero avere dunque un maggior numero di celebrità internazionali?
«Abbiamo qualche jazzista italiano “iconico”, fra cui il sottoscritto, ma per tanti altri musicisti, giovani e meno giovani, in Friuli come altrove, è difficilissimo agguantare quello spazio che meriterebbero; così, da un certo punto di vista, essi rimangono sempre “promesse per il futuro” pur essendo realtà ben concrete e di qualità. Per non parlare delle formidabili musiciste!».

-In effetti il largo pubblico, al di là di nomi di primissimo piano come quelli di Rita Marcotulli o Stefania Tallini, non conosce molto del versante femminile.
«Già, ma emergono ragazze – Anaïs Drago, Evita Polidoro, Francesca Remigi, Sophia Tomelleri, solo per citarne alcune – che suonano benissimo, sono davvero eccezionali e ottengono anche riconoscimenti importanti. Ma di loro finalmente si inizia a parlare, e con la novità che portano si smuovono le acque e i media, il che ci aiuta a non cadere nella routine».

-E per lei la routine, a quasi 83 anni, rimane la principale nemica: giusto?
«Certo! La mia fortuna è di non essermi mai adagiato. Ho sempre bisogno di sorprese, da parte chi suona con me e da me stesso: per questo occorre che i componenti del mio gruppo abbiano una visione della musica vicino alla mia e la capacità di ascoltare, di comunicare quasi telepaticamente con una visione comune, con piena fiducia reciproca: quando tutto funziona bene, ognuno dà e riceve ciò di cui c’è bisogno per la creazione musicale. Senza rinunciare al proprio ego, ma senza prevaricare.

-Molte cose impreviste possono accadere, dunque, durante un concerto?
«Sì, la mia musica è molto libera. Io do una cornice, un canovaccio all’interno del quale ognuno è veramente libero, e quando c’è quella piena fiducia reciproca di cui parlavo tutto può svilupparsi al meglio, prendendo anche strade impensate. Non faccio mai una scaletta. Decido un primo pezzo, decido da dove si parte, poi dove vada a finire il concerto non lo so, perché dipende da tanti fattori: il suono, l’amplificazione, l’acustica, il pubblico, come stiamo noi, e così via…».

-Sembra facile… anzi no.
«Infatti non è facile. Ma per me non c’è nulla di peggio che sentire suonare un gruppo, anche di altissimo livello, che si limiti però ad una esibizione in cui ciascuno fa vedere la propria abilità senza costruire veramente assieme, senza quel legame perfetto che nasce dal collegamento diretto fra il nostro universo spirituale e l’equilibrio universale, fra la nostra armonia interiore e quella dell’universo. È una cosa difficile da spiegare, forse può far ridere qualcuno, ma è così. La musica non è matematica, è magia: ed è per questo che, nonostante l’età, continuo a suonare invece che dar da mangiare agli uccellini al parco».

-Una magia che il Covid ha alquanto limitato… Lei come ha vissuto il lungo periodo di pandemia?
«Il primo periodo bene: ho letto tantissimo – amo molto leggere – e ho riposato, mi sono esercitato, ho studiato lo strumento… (chi volesse approfondire può cliccare qui per leggere l’intervista di Gerlando Gatto a Rava, contenuta nel libro “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” n.d.r.). Poi durante l’estate ho suonato di nuovo parecchio dal vivo, sinché è cominciato il secondo periodo di pandemia che, anche a causa di alcuni acciacchi, ho vissuto molto peggio: come diceva Moravia, il problema dell’età non esiste, il vero problema sono le malattie dell’età… Anche di recente, per un serio problema di salute, ho dovuto rimanere tre mesi senza poter suonare; poi, dopo la convalescenza, mi sono esercitato un paio di settimane e la prima cosa che ho fatto è stata quella di registrare un CD – peraltro venuto benissimo – con il grande pianista americano Fred Hersch».

-E questo CD quando uscirà?
«A settembre».

-Diceva del suo amore per la lettura; ma lo stesso vale anche per l’ascolto della musica, di tutta la musica e non solo il jazz, giusto?
«Certo. Apprezzo moltissimo, ad esempio, i Rolling Stones, oppure i Queen, per non parlare dei Beatles… ma potrei continuare. Tutti geniali, incredibili. E questo vale anche per altri generi di musica e di interpreti».

Ci dispiace un po’ per gli uccellini al parco, ma speriamo proprio che debbano aspettare ancora a lungo…

Valerio Marchi

Kenny Barron: a colloquio con l’enciclopedia del jazz

È con vero piacere che “A proposito di jazz” accoglie tra i suoi collaboratori un giovane musicista appena laureato con 110 e lode al Conservatorio di Latina. Il suo nome: Daniele Mele. Daniele, classe ’97, inizia a studiare pianoforte all’età di 13 anni. Dopo una doverosa formazione classica con il M. Ilaria Liberati intraprende gli studi Jazz presso il Conservatorio “O. Respighi” di Latina sotto la guida del M. Andrea Beneventano, dove, come si diceva si diploma con lode. Approfondisce gli studi con Andrea Rea, Roberto Bottalico, Ignasi Terraza, Kevin Harris, e si forma seguendo masterclass di Jazz e di musica classica in tutta Italia (Berklee, Siena Jazz, Arcevia Jazz, etc.).
L’inizio di questa collaborazione con il nostro blog è di quelli che lasciano il segno: si tratta, infatti, di una approfondita intervista con Kenny Barron, pianista e compositore tra i più importanti ancora sulla scena.
Nato a Filadelfia, il 9 giugno 1943, Kenny si esibisce da quando aveva quindici anni e in tutto questo arco di tempo ha saputo sviluppare uno stile personale che lo colloca tra i grandi della tastiera di tutti i tempi: ancora oggi le sue registrazioni con Stan Getz nulla hanno perso dell’originario fascino così come quelle del gruppo Sphere di cui  nel 1980 fu uno dei fondatori, con Charlie Rouse (sax), Buster Williams (basso) e Ben Riley (batteria).
E, alla grandezza dell’artista, si è sempre accompagnata una statura umana di straordinaria dolcezza: chi scrive queste note ha avuto l’opportunità di intervistarlo oramai parecchi anni fa e ne conserva un ricordo bellissimo dovuto proprio alla gentilezza e alla disponibilità dell’uomo. Gentilezza e disponibilità che dimostra appieno in questa intervista che pubblichiamo qui di seguito. (G.G.)

Ore 9:00 (New York) il giorno 25/04/2021.
-Sono molto emozionato in questo momento e la ringrazio per avermi concesso quest’intervista.
“Oh, è un piacere”.

Prima parlavo con mio padre, gli stavo dicendo che credo ci sia una grande differenza tra musica jazz e musica pop: se voglio parlare con un “nome importante” del Jazz posso avere qualche possibilità di farlo, mentre credo che se volessi parlare con un idolo del pop avrei maggiori difficoltà.
“Sì, lo penso anch’io”. (ride)

-Sì… il jazz è più popolare del pop!

“È vero”.

Mi fa piacere sapere che sta bene. Vorrei chiederle della vaccinazione, perché so che si è vaccinato: è andato tutto bene?
“Oh sì, ho avuto due dosi di Moderna. Due dosi, quindi… ora sono a posto”.

-Benissimo. Questo è un periodo assurdo!
“Sì, lo è”.

-Se non le spiace, parleremo di alcuni punti che mi interessano particolarmente. So che ha suonato in Italia ad Umbria Jazz con numerosi musicisti, e mi piacerebbe sapere quale fu la sua prima volta qui e perché.

“La prima volta in Italia fu… wow… nel 1963? ’63 o ’64, ero con Dizzy Gillespie. Sì, eravamo a Milano”.

-Era una tappa del tour che faceste in giro per il mondo?
“Sì, suonammo in Piazza Duomo e la cattedrale è incredibilmente bella. Quella fu la prima volta”.

-Le piace l’Italia?
“La amo. La gente, il popolo… non si può mangiare male in Italia. È veramente difficile!”.

È vero. E invece cosa mi dice del suo rapporto con la musica italiana? Per esempio, io sono di Napoli, nel Sud Italia. Sono cresciuto ascoltando “O sole mio” e “Tu sì ‘na cosa grande”. Conosce queste canzoni?
“Oh sì, le ho sentite tante volte. Non ho mai saputo i nomi dei compositori, ma le ho sentite tante volte”.

-Ok! Ha qualche aneddoto particolare dell’Italia, o ci sono musicisti di sua conoscenza qui?
“Ah… beh, ovviamente una delle mie persone preferite è Dado (Moroni, NdT). Abbiamo suonato insieme in duo, e numerose volte abbiamo fatto dei tour suonando la musica di Monk, eravamo quattro pianisti. A dire il vero abbiamo un progetto insieme per il prossimo anno, penso a Budapest… ho suonato con lui tante volte, e gli voglio bene. La prima volta che ho incontrato Dado è stata ad un seminario in una città vicino Genova, Nervi.

-Stava partecipando ad un seminario su di lei?
“No no, in realtà era il mio interprete!”.

-Ah, bello! (si ride)
“Siamo diventati presto amici, e lì l’ho sentito suonare per la prima volta. In realtà c’era una jam session ogni sera lì al club. Andai per sentirlo suonare e ne rimasi affascinato, è un musicista incredibile… anche con contrabbasso e batteria!

-Oh… non lo sapevo!
”Oh sì, lo assumerei! Per suonare il contrabbasso, e lo assumerei anche per suonare la batteria”.

-Interessante…
“E ho fatto una registrazione con Stefano, Stefano Di Battista, alcuni anni fa. E il contrabbassista, di cui non ricordo il nome ora…”

-Forse Rosciglione? Giorgio o Dario Rosciglione?
“Oh, no. Li conosco, padre e figlio. Era un musicista più giovane. Comunque tutti bravi musicisti”.

-Bene. Adesso mi piacerebbe parlare con lei dei tre album che amo. Il primo è “Canta Brasil”. Lo adoro! Sa, ballo salsa e bachata con la mia fidanzata…
“Ah-ah, wow!”.

Sì, ballavo prima del Covid ovviamente, ora è tutto chiuso. Ma mi piace, perciò quando ascolto questo tipo di ritmi inizio a ballare e a muovermi. Mi è davvero piaciuto quell’album, e sbaglio se affermo che è iniziato tutto con L’uomo, Dizzy Gillespie?
“Oh, più o meno; in realtà non suonavamo così tanti pezzi brasiliani… ma quell’esperienza è stata d’introduzione alla musica brasiliana: suonavamo “Desafinado”, “Samba De Uma Nota So”. Tuttavia, ciò che davvero mi avvicinò alla musica brasiliana fu ascoltare “Brasil ‘65”, sai… nel 1965! Stavo ascoltando la radio a San Francisco, quando passarono proprio quell’album e ne rimasi folgorato. C’erano chitarre eccezionali, poi Wanda De Sah, e il pianista, era il leader, Sergio Mendes… fu il gruppo che mi portò alla musica brasiliana. Da quel momento in poi ho lavorato con Stan Getz, che suonava molto questo tipo di musica, e poi ho fatto ricerche e ascoltato musica Brasiliana più datata, quella della scuola del Samba. Poi ho conosciuto Nilson Matta, Duduka da Fonseca e Romero Lubambo, e iniziammo a suonare e suonare insieme. Mi insegnarono molti ritmi differenti, e da dove provenivano… questi ritmi vengono dal Nord del Brasile, questi altri dal Sud. Iniziai a lavorare con loro. E così fondammo la band, Canta Brasil”.

-Mi scusi ma vorrei sapere qualcosa di più su Gillespie. Com’era al di fuori del mondo musicale? Ho iniziato a studiare il jazz un po’ di tempo fa, e lui è uno di quei grandi nomi che si devono necessariamente studiare, e da cui si deve prendere il più possibile.
“Fuori dal mondo musicale? Era un grande, davvero una persona cortese, anche molto divertente… fuori dal mondo musicale”.

-Non lo era durante la musica?
“Oh sì, era egualmente divertente! Ma molte persone pensavano che fosse solo apparenza, invece lui era così anche fuori dal palco. Era divertente, molto cortese e molto rispettoso”.

– Quindi il vostro tour mondiale si è tenuto tra il ’62 e il ’66. Che cosa mi dice rispetto alle tappe? Mi ha parlato di Milano, nel ’63.
“Sì, in Italia. Ma abbiamo suonato anche in altri posti: Copenaghen, in Svezia, Varsavia in Polonia, che al tempo era ancora comunista”.

-E fuori dall’Europa?
“Non abbiamo suonato fuori dall’Europa. Abbiamo fatto solo un tour europeo, e quella fu la prima volta che andai in Europa. Fu un inizio fantastico per me!”.

-Sì, posso immaginarlo! (si ride) Parliamo del secondo album, si intitola “Two as One”, l’album con Buster Williams.
“Oh Buster!”.

-E questo lavoro è di particolare importanza per gli italiani, perché è stato registrato a Perugia al Teatro Morlacchi.
“Sì”.

– Ricordo “All of You” e “Someday My Prince Will Come”, e l’ostinato di Buster… 40 secondi forse sul fa, e poi tutto il sound che si apre quando suona il Re basso e con tutte quelle frequenze che arricchiscono la musica. Meraviglioso!
“Certo”(ride)

-E Buster Williams? Com’è?
“Io amo suonare con Buster Williams. In effetti ho appena visto un video su di lui… non so se avete Amazon Prime in Italia”.

-Ce l’abbiamo.
“Si intitola “Bass To Infinity”. È tutto sulla sua vita, ci sono alcune interviste con Herbie Hancock, Lenny White… tutti suonavano insieme a Buster. Dura un’ora, è molto interessante. Sai lui è buddista, perciò parla della sua pratica e di molte altre cose. Ci conosciamo dal 1958, quando eravamo entrambi adolescenti a Philadelphia. Lo conosco da molto tempo, abbiamo lavorato molto insieme… è uno dei miei contrabbassisti preferiti in tutto il mondo”.

-Ho letto che ha suonato con… c’è qualcuno con cui non ha suonato? Ha suonato davvero con tutti!
“Sì, tutti. Le cantanti lo amano, ha lavorato con Nancy Wilson per molto tempo, e anche Sarah Vaughan. Questo video racconta anche delle prime volte in cui uscì per esibirsi, appena terminata la scuola superiore, con Gene Ammons e Sonny Stitt, e di quando ha dovuto avere il permesso da sua madre… dagli un’occhiata!”.

-Senz’altro. Sa… l’inizio della mia tesi di laurea contiene una frase su Philadelphia, e sul fatto che tutti i grandi musicisti sono di lì. È una specie di magia. (ridono)
“Non tutti, ma molti sono di lì! Io penso che una delle ragioni, prima di tutto, è che è molto vicina a New York, a solo due ore di guida. Perciò Philadelphia era una delle tappe principali per i musicisti che provenivano da New York, e io ricordo di aver visto Kenny Dorham e molte altre persone che semplicemente scendevano per andare a fare un concerto a Philly. E si può arrivare a Philadelphia per una sera, e poi tornare indietro quando il concerto è finito. Ai tempi aveva due Club principali che presentavano musicisti di fama mondiale, uno si chiamava Pep’s e l’altro Showboat. Vedevo ‘Trane, Yusef Lateef e Miles suonare lì, e molti altri. Philly era un luogo dove si lavorava, e penso sia per questa ragione che c’erano molti giovani musicisti, incluso me, che poi migliorarono con tutta quella musica attorno.

-Capisco.
“Philly aveva anche molti posti di lavoro per questi giovani musicisti, ci sono molti club in cui ho lavorato. Ed era una gran cosa, avere posti in cui suonare. Questo mi ha aiutato nella crescita, c’erano altri giovani musicisti con cui ho socializzato che sono ancora in giro! C’erano Sonny Fortune, beh lui è venuto a mancare ora, siamo cresciuti insieme… e Buster come sai. Philly era proprio un gran posto”.

-Il prossimo musicista di cui vorrei parlare è anche lui di Philly, e ora mi riferisco al terzo album, che è anche il mio preferito: sto parlando di “People Time”.
“Oh, Stan!”.

-Sì, questo album è la ragione per cui ho iniziato a studiare la sua musica e il suo modo di suonare il pianoforte. È vero che lui la considerava l’altra metà della mela, in senso musicale?
“Ehm, non lo so… così diceva! (ride) Beh, credo che per dirlo lo pensasse davvero. Musicalmente eravamo… empatici? Avevamo un approccio alla musica simile, la melodia era importante”.

-Sì! Sa Kenny, ho sempre l’impressione che quando Stan smette di suonare lei continui a suonare il sassofono ma usando il piano, e viceversa.
“Ah!” (ride)

– È incredibile! Davvero, mi sembra che siate come connessi.
“Sì, lo credo anch’io. Entrambi amavamo la liricità, e questo è importante. Stan poteva suonare una ballad e farti piangere, con il suo sound e le sue idee e la sua creatività. Quello fu un concerto interessante, specialmente in duo, lui era… beh, sono sicuro che conosci la storia”.

-La conosco.
“Era malato al tempo, quando registrammo in duo. Aveva una sorta di tumore del sangue, perciò sentiva molto dolore. Dovevamo registrare per tre sere, ma andammo avanti soltanto per due, lui non riuscì a finire l’ultima sera. Avemmo solo un altro concerto insieme dopo quell’episodio, a Parigi, e non riusciva a suonare molto. Lui suonava la melodia e io feci la maggior parte dei soli al pianoforte, e quella fu l’ultima volta che lo vidi”.

-Mi dispiace molto.
“Era marzo e io lo chiamai un mese più tardi, per sapere come stesse. Mi disse che stava bene e che avrebbe suonato per il prossimo tour, e poi a giugno… è venuto a mancare. Abbiamo perso una bella persona.

-Sì. Secondo me  Stan Getz e Paul Desmond sono due grandi sassofonisti che rimarranno nella storia del jazz
“Davvero?”.

-Sì, mi piacciono davvero tanto. Sicuramente c’è anche Charlie Parker, e tutti quei sassofonisti formidabili che sono fuori da ogni sorta di classificazione. Ma mi piacciono molto Paul e Stan per il modo che hanno di suonare.
“Quindi tu ami… il loro sound?”.

-Sì.
“Lo apprezzo. Paul aveva un sound molto morbido e snello, tenero. E una delle prime registrazioni che ho ascoltato era di Dave Brubeck e Paul Desmond, era ‘Jazz Goes To College’”.

-Sì, me la ricordo. Forse anni ’60?
“In realtà tardi anni ’50, perché ancora vivevo a Philly. Questo era uno dei miei pezzi preferiti”.

– Solo un’ultima cosa su Stan Getz… in quale occasione iniziò a collaborare con lui, a quanti anni? Ha mai rimpianto di non averlo conosciuto prima?
“Rimpiango sempre di non aver conosciuto prima le persone, ma sono lieto quando le conosco! Ricevetti una chiamata per lavorare con lui, per sostituire Chick Corea. Allora aveva una band con Stanley Clarke, Tony Williams e Chick. Mi chiamò e mi chiese di prendere il suo posto, questa fu la prima volta che lavorai con Stan. Era incredibile, suonavamo tutta la musica di Chick Corea. Penso si chiamasse “Captain Marvel Band” o qualcosa del genere. Era un piccolo tour, suonammo per poche serate soprattutto in Sud Carolina e a Baltimora. Quando partimmo Stan mi disse: “Sei davvero un musicista con esperienza”, e per me quello era un grande complimento. Per un po’ non l’ho più sentito, e poi pochi mesi dopo mi chiamò per un posto alla Stanford University”.

-Ho capito.
“Artist-in-residence. Mi chiamò per chiedermi di andare lì e suonare in alcuni concerti con lui. Da quel momento iniziammo ad andare in Europa durante l’estate perché io insegnavo alla Rutgers University e lui a Stanford, perciò non potevamo provare molto durante l’anno accademico. Ma in estate andammo a tutti i grandi festival d’Europa. Aveva una buona band, con Victor Lewis e Rufus Reid. Facemmo un paio di registrazioni a Montmartre con il quartetto, e un paio in duo. Sempre grande musica, grande scrittura. Registrammo un pezzo elettronico dal titolo “Apasionado”, in California. Mi piaceva, per me era qualcosa di diverso! C’erano gli archi e tutti i tipi di strumenti elettronici. Una grande esperienza che non avevo mai fatto prima”.

-Ok. Dato che lo ha accennato, mi piacerebbe parlare dell’insegnamento. Lei era un insegnante di pianoforte alla Rutgers University, e poi alla Julliard, la vecchia Manhattan School.
“Esatto”.

-Insegna ancora? O ha lasciato?
“No, mi sono congedato”.

-Perché, se posso chiedere?
“Beh, sto invecchiando! (ride) A un certo punto senti che hai bisogno di imparare qualcosa, ed io avevo bisogno di imparare altro. Avevo bisogno di ascoltare altre persone suonare, in un certo senso di “istruirmi”. Gli studenti erano bravi, intendo bravi davvero… che cosa avevo da dare loro? A Manhattan c’erano Gerald Clayton, Aaron Parks, era uno dei miei studenti, e molti altri… alla Julliard avevo Jonathan Batiste, alla Rutgers Terence Blanchard, Harry Allen. E tutti loro suonavano benissimo il pianoforte!”.

-Com’era un sua lezione tipo? Cosa faceva durante l’ora?
“Sostanzialmente suonavamo insieme. Ho sempre avuto due pianoforti nella mia aula. Suonavamo insieme perché questo mi permetteva di capire cosa effettivamente sapessero o non sapessero suonare. Insomma, erano al punto in cui io non avevo bisogno di dire loro “questo è un accordo di Do”, non avevano bisogno di questo da me: sapevano già come come suonare. Eravamo interessati a sottigliezze e rifiniture, e idee su tocco, frasi, cose del genere”.

-Quindi le sue lezioni erano come delle performance dal vivo, ma guidate?
“Sì, una cosa di questo tipo! Suonavamo e poi ci fermavamo, e dicevo “Ok, qui stiamo suonando una ballad, non dovete suonare così rigidamente, non c’è bisogno di suonare così tante note in questa ballad… lasciate spazio, anche il silenzio è parte della musica”, cose così. E penso che la prendessero molto seriamente”.

-Quindi… ha dei suggerimenti per diventare un buon insegnante? C’è un ingrediente speciale?
“No, non penso. Certo dipende, le persone hanno diversi modi di insegnare. Il mio modo di insegnare era quello di ascoltare i musicisti e sentire costa potevano fare, e sfidarli. Prendevamo una canzone e la suonavamo per 30 minuti, e poi facevamo un botta e risposta, per fare esercizio. E poi provavamo a sfidarci l’un l’altro, ed è un bene quando gli studenti provano a sfidare anche te. (si ride) Ho imparato molto anch’io”.

-Ok.
“Non è tipo “sono il tuo insegnante e tu fai quello che dico”, a quel livello non è così. È più uno scambio di idee. Imparo da loro, loro imparano da me”.

-Certo, grazie mille. Parliamo adesso di composizione. Lei ha composto molto: adoro “Until Then e Sunshower”, in particolare. Quanto pensa sia importante scrivere pezzi originali, che abbiano la propria firma?
“Penso sia importante, e che si debba scrivere il più possibile. Quello che cerco nella scrittura, quello che cerco di raggiungere nella composizione è… la semplicità. Non scrivo cose in 11/8, 9… non scrivo cose in tempi strani. Non sento la musica in quel modo! Alcuni musicisti lo fanno comodamente e mi piace ascoltarli, ma il mio approccio è più che altro fatto di melodie semplici, armonie che forse qualche volta sono ingannevoli… o forse non qualche volta! Per me funziona la semplicità”.

-Sì. Stavo pensando… lei reputa questo un passaggio fondamentale? Un passaggio che un musicista deve fare per sentirsi completo? O pensa che si possa saltare?
“Intendi saltare la scrittura?”.

-Sì.
“Beh, non tutti i musicisti sono compositori, alcuni di loro non scrivono. Ma, come dice qualcuno, l’improvvisazione è composizione, solo che non è scritta”.

-Infatti.
“Un musicista Jazz compone tutto il tempo… quando inizia a scrivere, quella è una composizione! (si ride) Ma molti musicisti semplicemente non sono per la scrittura, e li capisco. Io penso che sia un altro aspetto di te che dovresti esplorare”.

-Ok. Guardi, una volta ho frequentato una masterclass di Billy Childs. Secondo me è un grande compositore.

“Sì, lo è.”

-E ha detto qualcosa che io ritengo incredibile. Ha detto: “Il segreto del comporre è creare qualcosa di sorprendente, e allo stesso tempo inevitabile”.
“Sì, ok”.

-Mi suona come qualcosa del tipo: “Devi creare musica che ha dei legami con il passato, in modo che ascoltandola tu sappia dove sta andando, ma che abbia anche qualcosa di sorprendente che ne cambia la direzione”, no?
“Sì, sì, sì”.

-È d’accordo?
“Sono d’accordo. E ho ascoltato abbastanza musica di Billy Childs, è un compositore brillante”.

-Lei ricorda un buon consiglio che qualcuno le ha dato recentemente o nel passato, o un evento particolare che ha cambiato il suo modo di comporre e suonare?
“Ehm… sì! Qualcuno una volta mi diede un’idea che io poi ho provato ad applicare: prova a suonare il tuo solo nello spazio di una quinta perfetta. Tutte le tue parti di improvvisazione. Ovviamente non puoi farlo chorus dopo chorus dopo chorus, ma fai una prova. Quanto puoi suonare solo in quel piccolo spazio di una quinta perfetta?”.

-Non ho capito bene, Mr. Barron…
“Sul pianoforte, una quinta perfetta, da Do a Sol. E stai suonando una canzone, qualunque essa sia, prova a suonare tutto all’interno di quella quinta perfetta, cromaticamente”.

-Ok!
“E vedi come va. È qualcosa che puoi provare… potresti restare sorpreso. Perché qualsiasi nota tu metta insieme funzionerà contro qualsiasi accordo suonerai. Deve essere risolto, ma funziona. Questo è un consiglio che qualcuno mi diede e che ho provato. È qualcosa da ricordare”.

-Ok, ora… l’ultima parte. Oltre la musica, sono curioso rispetto alla giornata tipica di Kenny Barron. Ci sono delle cose particolari che ama fare nel tempo libero, se non suona?
“Mi piace leggere molto. Mi piace leggere romanzi”.

-Che tipo di romanzi?
“Mi piace James Patterson, romanzi gialli e cose di questo tipo”.

-Sì! Le piace Zafon? Carlos Ruiz Zafon?
“Oh, non lo conosco”.

-No? È bravo! E Dan Brown?… quello de “Il Codice Da Vinci”.

-“Oh sì sì l’ho letto! (ridono di gran gusto) L’ho letto. In realtà ho anche visto il film”.

-Sì… mi scusi, l’ho interrotta.
“No, non fa niente. Stavo dicendo che durante il Covid non c’è molto altro da fare, perché altrimenti andrei da qualche parte, ascolto musica o cose di questo tipo. Perciò questo è ciò che faccio, leggo e provo anche a cucinare!”.

-Cosa cucina?
“Schnitzel… bistecca! Cose del genere”.

-Le piace la pizza?
“La amo. E a Napoli ho mangiato la migliore pizza della mia vita.”

-Wow! Si ricorda il posto?
“No, ma era così fina… con l’aglio…non ricordo perché mi ci hanno portato. Quella fu la migliore pizza che io abbia mai mangiato. E amo anche mangiare! (si ride) Che è un male!

-No. Non è un male! Sa, quest’anno mi ha fatto realizzare appieno che ci sono anche altre cose oltre alla musica. E se si usano queste cose per nutrire il proprio “appetito musicale”, ci si sentirà più rilassati nel suonare e meglio in generale.
“Lo penso anch’io. Bisogna essere una persona a tutto tondo, il che significa fare tutto nella vita, non solo musica. Ci sono persone ossessionate dalla musica, è tutto ciò che fanno: 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ascoltano e praticano musica, scrivono musica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Vorrei essere una di queste persone, ma non lo sono. Ci sono altre cose che catturano la mia attenzione, come la politica o quanto accade nel mondo. Ora c’è il processo di Minneapolis (per la morte di George Floyd, NdT) che mi interessa”.

-Sì, anche a me.
“Succedono anche altre cose. Possono ispirare la tua musica, in un certo qual modo”.

-Sono d’accordo. Quali sono i suoi piani per il futuro? Ci sono nuovi album in cantiere, nuovi progetti?
“Non al momento. C’è un sassofonista, Greg Abate. Ha fatto delle registrazioni di… circa 15 miei pezzi, con il trio. Suona il sassofono contralto, e ha sovrainciso il sassofono e scritto una sorta di sezione di sax in alcuni dei pezzi. È abbastanza interessante! Ma penso che l’unica cosa che vorrei fare prossimamente è un solo, e poi forse un duo, con batteria o percussioni o… un violoncello! Sì qualcosa del genere. Ed è economico da produrre perché non devo pagare me stesso. (ride)”.

Kenny Barron, Udine, Teatro Palamostre, 10.04.2018 Note Nuove

-Verrà in Italia?
“Ci sono dei piani, non so se verranno cancellati o no a questo punto. Penso che a Perugia o Pescara ci potrò essere”.

-Lo spero!
“Lo spero anch’io! E ci sono altre cose… ce n’è una in una città chiamata… Merano? Non Milano, Merano”.

-Sì, nel nord Italia.
“Sì, non sono sicuro che accadrà. Ma penso che per luglio o agosto le cose miglioreranno almeno un po’, lo spero”.

-Sì, ed io sarò lì ad aspettarla! Vaccinato ovviamente, spero di poterla conoscere e abbracciarla nella vita reale.
“Ok! Grazie molte”.

Le sono molto grato, grazie mille.
“È stato un piacere!”.

Ci vediamo presto allora.
“Ok, ciao!”.

-Grazie, arrivederci!

Daniele Mele

La Rassegna “Giovedì al Casella – Concerti per la città” si apre con i Sonic Latitudes

Giovedì 16 settembre 2021, all’Auditorium “Shigeru Ban” del Conservatorio A. Casella di L’Aquila, alle ore 18, la rassegna concertistica “Giovedì al Casella – Concerti per la città” si apre con il concerto del duo jazz “Marco Di Battista – Franco Finucci Sonic Latitudes”.

Il concerto è gratuito, è consigliata la prenotazione a questo indirizzo: https://www.consaq.it/eventi-e-attivita/concerti-ed-eventi.html con destinatario: “Ufficio Eventi”, per accedere al concerto bisogna essere muniti di green pass.

Il pianista Marco Di Battista e il chitarrista Franco Finucci, con il progetto Sonic Latitudes, continuano in una ricerca musicale a quattro mani avviata da diversi anni, un’esplorazione che unisce alla freschezza della melodia le tendenze del jazz contemporaneo. Di Battista e Finucci si esibiscono frequentemente in duo, una formazione che favorisce un flusso musicale ispirato, in perenne divenire, libero da condizionamenti stilistici, ciò nonostante le composizioni originali dei due musicisti esprimono una scrittura concreta, dagli slanci improvvisativi sorprendenti. I brani nascono da un dialogo intenso, permeato da un linguaggio jazzistico esemplare per coerenza e per concreta direzione musicale. Nei concerti tenuti dai due musicisti in Italia e in Europa, traspare uno spiccato senso ritmico unito a soluzioni armoniche raffinate, non manca neanche una certa sensibilità melodica che si riflette nella stesura di brani ispirati ed emozionanti.

Marco Di Battista e Franco Finucci collaborano in modo stabile da molto tempo e in diverse formazioni. Il nome del gruppo scelto, Sonic Latitudes, proviene dal titolo del disco che i due musicisti hanno registrato nel 2013. Nell’estate del 2016, Di Battista e Finucci hanno dato vita al progetto Sonic Latitudes Nordic Experience, insieme alla ritmica formata dal contrabbassita norvegese Arild Andersen e dal batterista, norvegese d’adozione, Paolo Vinaccia.

Marco Di Battista, pianista jazz di chiara fama, ha registrato a suo nome numerosi cd e ha partecipato come sideman in quelli di molti altri colleghi. Ha condiviso il palco con i più celebri jazzisti italiani ed internazionali. Nel 2012 ha dato alle stampe il libro C-Minor Complex, un saggio analitico sull’opera di Lennie Tristano. Risalgono al triennio 2014-15-18 i tre libri Improvvisazione jazz consapevole – volumi 1, 2 e 3, testi che offrono numerosi strumenti per entrare nel mondo dell’improvvisazione jazz. Ha fondato nel 2000 e dirige tuttora il webmagazine Jazz Convention. Ha insegnato Piano Jazz, Tecniche d’improvvisazione e Analisi delle Forme Jazz in diversi conservatori italiani, ha tenuto seminari internazionali sulla musica jazz. Oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio A. Casella di L’Aquila e insegna, come collaboratore, presso il Conservatorio di Pescara.

Franco Finucci, diplomatosi nel 1994 in Chitarra e in Jazz al Conservatorio Alfredo Casella dell’Aquila, si dedica dopo varie esperienze musicali alla musica Jazz studiando con Tomaso Lama, Stefano Battaglia, Amedeo Tommasi e Bruno Tommaso e ai seminari tenuti da Pat Metheny. Si è esibito in Italia e all’estero collaborando con artisti quali Paolo Damiani, Stefano Di Battista, Dick Halligan, Arild Andersen, Paolo Vinaccia, Max Ionata, Collabora dal 2005 con Le Grand Tango Ensemble e l’Inspiracion Trio partecipando a Recital teatral-musical che hanno visto la partecipazione dei più grandi attori italiani quali Michele Placido, Caterina Vertova, Paola Gassman e Giorgio Albertazzi. Ha co-firmato, inoltre, gli arrangiamenti di spettacoli e recital teatrali con artisti del calibro di Ugo Pagliai, Edoardo Siravo e Vanessa Gravina.

Con le masterclass di Roberto Gatto e Roberto Tarenzi, torna in presenza la didattica jazz di Celano Jazz Convention

Venerdì 27 agosto 2021, dalle 14 alle 17, Celano Jazz Convention torna alla didattica in presenza con due incontri di altissimo spessore. Il batterista Roberto Gatto e il pianista Roberto Tarenzi condurranno infatti due masterclass dedicate ai rispettivi strumenti, trasmettendo ai partecipanti l’importanza e il valore delle loro esperienze musicali, sia quelle più strettamente tecniche sia quelle maturate suonando dal vivo come leader di formazioni o al fianco dei più importanti protagonisti del jazz italiano ed internazionale.

Gli incontri si svolgeranno a Celano, nelle sale di Palazzo Don Minozzi. Per iscriversi, occorre prenotarsi inviando una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com. Il costo di iscrizione a ciascuna delle due masterclass è di 35€.

Roberto Gatto si esibirà in concerto, poi, nella serata di venerdì 27 agosto, sempre a Celano, alla guida del suo quartetto e con la presenza di Beatrice Gatto come ospite alla voce.

Roberto Gatto è sicuramente il più rinomato batterista italiano all’estero e vanta importanti partnerships con artisti del mondo del jazz e non solo. Nato a Roma il 6 ottobre 1958, il suo debutto professionale risale al 1975 con il Trio di Roma (insieme a Danilo Rea ed Enzo Pietropaoli) e da allora ha suonato in tutta Europa e nel mondo con i suoi gruppi e a fianco di artisti internazionali. È stato inoltre componente di Lingomania, una delle formazioni più importanti della storia jazz italiano. Oltre ad una ricerca timbrica raffinata e a una tecnica esecutiva perfetta, i gruppi a suo nome sono caratterizzati dal calore tipico della cultura mediterranea: questo rende senza dubbio Roberto Gatto uno dei più interessanti batteristi e compositori in Europa e nel mondo. Nella sua carriera musicale, Roberto Gatto ha collaborato come sideman con i più importanti interpreti della storia e dell’attualità del jazz internazionale: da Chet Baker a Freddie Hubbard e Lester Bowie, da Gato Barbieri a Kenny Wheeler e Randy Brecker e poi con Enrico Rava, Ivan Lins, Vince Mendoza, Kurt Rosenwinkel, Joey Calderazzo, Bob Berg, Steve Lacy e moltissimi altri.

Come leader ha registrato molti album: Notes, Fare, Luna, Jungle Three, Improvvisi, Sing Sing Sing, Roberto Gatto plays Rugantino, Deep, Traps, Gatto-Stefano Bollani Gershwin and more, A Tribute to Miles Davis Quintet, Omaggio al Progressive, The Music Next Door, Roberto Gatto Lysergic Band, Remebering Shelly, fino ai più recenti Sixth Sense, Now e My Secret Place. Nel corso degli anni ha composto musica per il cinema, in particolare insieme a Maurizio Giammarco la colonna sonora di “Nudo di donna” per la regia di Nino Manfredi, e, in collaborazione con Battista Lena, le colonne sonore di “Mignon e Partita”, che ha ottenuto cinque David di Donatello, “Verso Sera” e “Il grande cocomero”, tutti diretti da Francesca Archibugi.

Nel 1993 ha realizzato due video didattici “Batteria vol. 1 e 2”. È stato il direttore artistico di Jazz in progress presso il Teatro dell’Angelo a Roma. Per oltre dodici anni ha insegnato batteria e musica d’insieme presso i seminari di Siena Jazz. Ha frequentato il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma e il Conservatorio de L’Aquila. Roberto Gatto è titolare della cattedra di batteria jazz al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma.

Dopo lo studio del pianoforte classico, iniziato all’età di otto anni, Roberto Tarenzi scopre il jazz nell’adolescenza e studia con Enrico Intra e Roberto Pronzato ai Civici Corsi di Jazz di Milano, dove ottiene il diploma nel 1999, e frequenta i seminari della Berklee School a Umbria Jazz e i corsi di Siena Jazz.

Nel 1995 entra a far parte della Big Band diretta da Enrico Intra con cui incide quattro dischi e accompagna, tra gli altri, Dave Liebman, Max Roach, Bobby Watson, Bob Brookmeyer, Franco Cerri, Enrico Rava, Franco Ambrosetti. All’inizio del 2006 si trasferisce a New York per sei mesi, dove svolge un’intensa attività concertistica nei club e registra con la cantante Alice Ricciardi, Gaetano Partipilo, Franco Ambrosetti e Michele Bozza. Al ritorno dagli Stati Uniti, viene scelto assieme ad altri undici pianisti in tutto il mondo (tra cui Aaron Parks e Gerald Clayton) per partecipare al prestigioso “Thelonious Monk International Piano Competition”, esibendosi di fronte ad una giuria presieduta da Herbie Hancock e comprendente, tra gli altri, Danilo Perez e Andrew Hill. Nel 2008 si trasferisce a Roma e inizia una intensissima attività concertistica al fianco di Stefano Di Battista e Rosario Giuliani, collaborando altresì con Roberto Gatto, Maurizio Giammarco, Dario Deidda, Fabio Zeppetella, Fabrizio Bosso, Max Ionata e praticamente tutti i migliori musicisti della scena italiana.

A suo nome ha pubblicato diversi lavori discografici, tra i quali “Other Digressions”, “Trio Live”, “Love and Other Simple Matters” e “11 Little Things”, mentre con Cues Trio, formato insieme a Lucio Terzano e Tony Arco, ha inciso”Introducing Cues trio” e “Feel” con David Liebman come ospite.

Insegna stabilmente presso il Saint Louis College of Music di Roma, il Conservatorio di Latina, oltre a tenere seminari e workshop di improvvisazione.

Il percorso didattico di Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, torna in presenza dopo aver continuato le attività online durante il periodo della pandemia. Sia l’edizione 2020 della rassegna che le iniziative promosse nel corso dell’inverno si sono tenute in rete e hanno proposto i seminari condotti da alcuni dei protagonisti più rilevanti della scena jazz italiana come Marco Di Battista, Max Ionata, Giovanni Falzone, Luca Mannutza, Marcello Di Leonardo, Ada Montellanico, Claudio Filippini, Umberto Fiorentino, Roberto Gatto e Tino Tracanna e con un ospite di assoluto rilievo internazionale come Jerry Bergonzi.

TrentinoInJazz 2021: la decima edizione

Arriva al decennale il TrentinoInJazz, una delle più apprezzate e articolate rassegne jazz italiane, che dopo un difficile 2020 torna con una significativa decima edizione, ancora una volta all’insegna del network che unisce rassegne preesistenti sul territorio trentino. Vera e propria rete di spettacoli, TrentinoInJazz è una delle più lunghe iniziative musicali del panorama nostrano ed europeo: preceduto da un’anteprima partita a giugno, il festival termina in inverno, copre tre stagioni grazie al networking tra enti locali e organizzatori, è aperto a varie declinazioni del jazz e generi affini, coinvolge centinaia di musicisti, addetti ai lavori e promoter, mette in connessione attività artistiche, comuni, accoglienza e turismo in alcuni dei luoghi più affascinanti d’Italia e d’Europa. A questo va aggiunto l’ingresso gratuito per la maggior parte delle serate. Trentino Jazz è la APS presieduta da Chiara Biondani che ha ideato e coordina il TrentinoInJazz, dal 2011 un cartellone di manifestazioni “federate” sull’intero territorio della provincia di Trento. TrentinoInJazz 2021 punta sulle diverse espressioni del jazz contemporaneo e si snoda tra sei rassegne diverse: Ai Confini ed Oltre (dall’11 giugno); Valli del Noce Jazz (dal 16 luglio); Jazz&Wine (dal 9 settembre); Katharsis Giudijazz, Panorama Music, Lagarina Jazz e Valsugana Jazz Tour (queste con date da annunciare), ognuna con la propria identità artistica e connotazione territoriale.

Con un pensiero alla trasversalità di Franco Battiato, venerdì 16 luglio parte la sezione Valli del Noce Jazz, come sempre dal respiro internazionale, incentrata su esperienze, generazioni, culture, mondi e tradizioni diverse, come l’inedito incontro tra Giappone e Argentina dei Gaia Cuatro (Cles – 16.07), Francesco Zampini Quintet (Malé – 20.07) o il Tommaso Perazzo Trio (Ville d’Anaunia – 17.07), progetti nati da incontri musicali cosmopoliti, o il quartetto “glocal” che sotto la guida esperta del contrabbassista emiliano Gianmarco Scaglia e dello storico batterista americano Paul Wertico (noto soprattutto per aver fatto parte dal 1983 al 2001 del Pat Metheny Group, con il quale vinse ben 7 Grammy Award) vede partecipare il chitarrista umbro Simone Gubbiotti e il vibrafonista trentino Mirko Pedrotti (Denno – 27.07). Gli altri eventi sono: Stef Giordi & Connected (Predaia – 21.07), Stefano Colpi Open Atrio (Mezzolombardo – 23.07), Usai/Gurrisi/Paglieri in omaggio a Franco Cerri (San Romedio – 24.07), il seminario sull’improvvisazione e la musica d’insieme a cura di Carlo Cattano (Cles – 22.07).

A settembre torna il progetto curato da Emilio Galante tra vino e suoni: si chiama Jazz & Wine, una serie di concerti promossi nel circuito nazionale Italia Jazz & Wine in collaborazione con il Circolo Controtempo di Cormòns (GO). Italia Jazz & Wine è nato per valorizzare il jazz, i nuovi talenti e l’innovazione del linguaggio musicale, introducendo un elemento di novità nel rapporto con il territorio ed in particolare la produzione vitivinicola che costituisce una eccellenza italiana. Una rete nazionale che coinvolge vari soggetti, tra cui TrentinoInJazz, con concerti tra Trento, Rovereto e Isera. Il calendario dal 5 settembre è avvincente: Stefano Colpi Open Atrio (Isera – 05.09), Gorgan Trio con Gorgazzini, Cramerotti e Abeni (Trento – 07.09), tre progetti a cura dei Sonata Islands (TSQ a S. Michele all’Adige – 09.09; Songs from the Alps a Isera – 12.09; QBB Quasar Burning Bright a Rovereto – 16.09), Swing Machine con Sandro Gibellini, Martino De Franceschi e Francesco Casale (Trento 14-09), Social Fusion Collective (Isera – 19.09), Quip Quartet con Pietro Tonolo (S. Michele all’Adige – 23.09), infine As Madalenas, ossia Cristina Renzetti e Tati Valle (Isera – 08.10).

Il terzo volto del TrentinoInJazz è quello più legato alle avanguardie, alla ricerca, alle connessioni. E’ questo il senso di Ai Confini e Oltre, partito con un’anteprima a giugno e rilanciato a settembre. Ai Confini ed oltre cerca di mettere a fuoco il territorio a cavallo fra generi o linguaggi diversi. Tutto ciò che sta ai confini ha per antonomasia carattere di sperimentazione perché si rivolge all’inconsueto, ricerca ciò che sta oltre, fuori. Ci sarà anche il recupero alcuni concerti che la pandemia non ha consentito di metter in scena la scorsa stagione. Matteo Bortone Trio (Trento – 30.09), Francesco Cusa and the Assasins (Trento – 07.10), Small Choices (Trento – 14.10), Piero Gaddi Quartet (Trento – 28.10), ESCO – Brasil! (Rovereto – 17.10; Trento – 04.11), Marc Perrenoud Trio (Trento – 09.11), Tango Tres (Rovereto – 19.12).