Intervista ad uno dei più grandi sassofonisti del panorama jazzistico europeo

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Claudio Fasoli 7

Claudio Fasoli, oltre che jazzista quanto mai innovativo e originale, è una delle persone più gentili, simpatiche, appassionate che mi sia capitato di conoscere nella mia carriera giornalistica. Dotato di un acuto spirito di osservazione, e di una grande capacità di cogliere l’essenza del momento, Fasoli è riuscito a mantenere una sua precisa individualità mai lasciandosi fuorviare da mode più o meno passeggere pur restando sempre fedele a sé stesso. Lo conosco oramai da molti anni ma c’è un episodio che ambedue ricordiamo sempre con piacere. Nei primi anni ’80 ci ritrovammo a Barga per il locale Festival di composizione e arrangiamento jazz; io ne curavo l’ufficio stampa e lui ovviamente suonava. Per motivi organizzativi, fummo costretti a condividere una camera; la convivenza scorse via in modo piacevole con un piccolo elemento distintivo: l’impressione che fece su Fasoli il profumo che utilizzo allora e utilizzo ancora oggi. E così, quando ci vediamo, Claudio mi chiede immancabilmente: “Usi ancora quel dopobarba?” anche se in realtà è un profumo.

-Tu sei uno dei pochi musicisti la cui musica non sembra risentire l’usura del tempo nel senso che appare sempre fresca, nuova, innovativa. A cosa attribuisci questa peculiarità?
“La prendo da lontano : penso che un musicista debba essere come una spugna che assorbe una grande quantità di stimoli tramite l’ascolto di buona musica , magari evitando la musica ottusa.
Questa conoscenza è importante che sia consapevole, ampia , utile sul piano formativo e strutturale ma anche varia come sorgente e intensità espressiva. Queste frequentazioni portano lontano dall’ignoranza e quindi danno un contributo ad allargare il proprio vocabolario musicale e le proprie modalità espressive .
Come dico sempre , penso che sia molto importante guardarsi dentro, quando si pensa alla composizione di propria musica , a quanto cioè assorbito e fatto proprio nel tempo. In questa maniera quanto si scrive non può che appartenere alla propria identità ed essere , in un certo senso, unico pur avendo memoria di quanto già avvenuto prima e poi conosciuto e ascoltato. Siamo dei filtri …
Nel mio caso sono stato fortunato perché la assidua frequentazione con la musica classica da bambino mi ha fatto introiettare conoscenze strutturali in maniera naturale: alludo alla continuità dell’ascolto della musica classica dal barocco ai contemporanei. Infatti mio fratello pianista classico era alla tastiera otto ore ogni giorno e io assorbivo tutto anche senza saperlo. Attribuisco a questa continuità di ascolto una funzione di forte arricchimento e una funzione strutturale utile per me a livello compositivo negli anni successivi…
Poi ho conosciuto il Jazz e mi si sono aperti orizzonti inaspettati e estremamente coinvolgenti. Forse da tutto ciò e dall’assiduo tentativo di esser fedele a me stesso credo possa nascere la musica che tu definisci in termini così gratificanti”.

-Che rapporto c’è tra il Fasoli artista e il Fasoli uomo? Come ti rapporti con la realtà difficile che oggi ci circonda?
“Spero tanto che ci possa essere identità , nel senso che il modo di approcciare le realtà in cui sono immerso non dovrebbe essere troppo diverso da quanto faccio nell’ambito musicale. Cercare di evitare i luoghi comuni, pur non avendo spirito iconoclasta , è stato sempre un principio mai disatteso da parte mia. Forse questo è un modo che può dare i risultati estetici apprezzabili che tu dici , ma non ne è comunque una garanzia”.

-A mio avviso l’Italia è davvero uno strano Paese anche nel mondo del jazz: non credi che anche il nostro microcosmo sia pervaso da una pesante coltre di ipocrisia e conformismo… per non parlare della scarsa, scarsissima educazione musicale di base…?
“Con molto rammarico potrei anche essere d’accordo con te. Ma questo non è molto diverso anche altrove e forse è la normalità delle relazioni. Se questa è la normalità possiamo solo contribuire cercando di essere positivi. Per quanto riguarda la scarsa educazione musicale, abbiamo in Italia una cinquantina di Conservatori più un centinaio di Scuole private che propongono Jazz fra le loro discipline, quindi la didattica e gli allievi non mancano. Mancano invece molto i grandi canali di diffusione della Cultura , Radio e Televisione, dove solo quelle poche tenaci iniziative che sopravvivono tentano di fare un lavoro di alto spessore nell’ambito del Jazz”.

-Tu non sei uno che sforna dischi in quantità industriale. Cosa ti spinge ad entrare in sala di incisione?
“Mi diverte la tua definizione: in realtà è difficile che io pubblichi più di un cd all’anno e lo faccio sempre quando c’è una ragione. Il motivo è la curiosità di documentare momenti felici di composizione e di armonia produttiva di un gruppo: soprattutto il suono del gruppo, la sua trasparenza e la sua intensità espressiva. Questo mi è sempre successo fin dai tempi delle collaborazioni con Kenny Wheeler e poi con Mick Goodrick e molti altri , oltre naturalmente ai gruppi con musicisti italiani , più o meno stabili , compreso il magnifico cd “Icon” in trio con Rava e D’Andrea”.

-Scendendo più nel particolare, cosa ti ha spinto ad incidere “London Tube” uno dei tuoi ultimi album?
“London Tube “ è il terzo cd del “Claudio Fasoli Four” , dopo “Avenir” e “Patchwork”. Con questo quartetto indago e rispondo ai miei interrogativi e curiosità riguardo l’inserimento dell’elettronica in un gruppo che già ha presente la chitarra elettrica , di Michele Calgaro in questo caso . Quindi ne deriva che il senso della misura è assai importante in questo ambito elettronico per calibrare le rispettive collocazioni sonore. Gianni Bertoncini è musicista non solo quando suona le batteria ma anche quando pilota suoni magici. E’ come disporre di un quinto elemento oltre a loro due e a Lorenzo Calgaro al contrabbasso. In “London Tube” l’impatto dell’elettronica certo non è né invasivo né inopportuno : è una integrazione, per cui certi brani risultano essere assai più caratterizzati e particolari. Senza elettronica sarebbero diversi.
Oltre a questo , una altra ragione di altra natura sono state alcune considerazioni sulla “gente” delle metropolitane e sulle emozioni trasversali che si leggono sui volti di alcuni passeggeri : mi hanno fatto pensare ad un suono particolare e vivere una sollecitazione compositiva che fosse legata ad alcune situazioni” .

London Tube

-In quest’album sei, quindi, tornato a sonorità più “elettriche” facendo ricorso alla chitarra elettrica di Michele Calgaro che in un certo senso richiama alla memoria la tua lunga collaborazione con Mick Goodrick. Quali le differenze tra le due situazioni?
“Stilisticamente mi sembrano diversi anche se appartenenti alla medesima cultura strumentale . La mia esperienza con Mick Goodrick è stata assai bella e alcuni momenti che abbiamo vissuto sono per me quasi unici per intensità e gioia di suono.
Con Michele Calgaro abbiamo fatto molte cose insieme , anche il trio senza contrabbasso negli anni 90 con Gianni Bertoncini alla batteria. Quindi è lunga la nostra storia insieme anche se per molto tempo ci siamo un po’ persi di vista. Da qualche anno ci siamo ritrovati quasi per caso e da allora abbiamo opportunità di suonare di nuovo insieme e abbiamo molte soddisfazioni.
Il lavoro fatto con Goodrick era abbastanza specifico e il rapporto sufficientemente continuativo al punto che ha prodotto quattro cd insieme oltre a molti concerti. Con Calgaro c’è ovviamente una frequentazione più assidua , fosse anche solo per motivi logistici…”.

-Acustico/elettrico: spesso la tua musica si è avvicinata ora all’uno ora all’altro di questi poli. Come intendi muoverti nel più immediato futuro?
“Non ne ho minimamente idea. Vedremo come vanno le cose: infatti posso segnalarti che attualmente suono anche con un altro quartetto chiamato “Claudio Fasoli Samadhi Quartet”. Al piano siede Michelangelo Decorato , Marco Zanoli alla batteria e Andrea Lamacchia al contrabbasso. Questo gruppo è nato da pochi mesi ma ha al suo attivo partecipazioni a concerti e festival nazionali. E’ un gruppo assolutamente acustico e fa musica originale e assai intensa. Non è escluso che possa diventare un quintetto con la tromba. Come vedi sono esattamente nel mezzo di due suggestioni , una elettrica e una acustica . Dato che mi diverto tantissimo quando suono con ambedue i due gruppi non vedo perché dovrei scegliere. Per ora va benissimo così e mi riconosco ampiamente in tutte e due le situazioni. Entro l’anno con “C.F.SAMADHI 4et” andremo in sala di registrazione. Non voglio dimenticare il recente tour fatto con il quartetto di Ralph Alessi ( con M.Mitchell, D.Gress, N.Waits) cui mi sono aggiunto come leader per alcuni concerti e la registrazione di “Claudio Fasoli The Brooklyn Option” , cd allegato a “Musica Jazz” di febbraio 2015. In questo caso il contesto squisitamente acustico mi ha anzi stimolato a realizzare episodi a volte imprevisti che secondo me funzionano come una sterzata improvvisa , proponendo climi apparentemente simili ma nel dettaglio assai diversi o contrasti decisamente espliciti. Sono contento di questa via possibile , mi attrae molto e certamente terrò conto delle possibilità espressive di questa maniera compositiva in futuro .In quel numero di “Musica Jazz” c’è una guida all’ascolto del cd che già sottolinea questi aspetti.”

-Quando a Monk chiedevano dove stesse andando il jazz, il grande pianista rispondeva: ”Io non lo so. Può darsi che vada dritto all’inferno. Non si può fare andare qualcosa da qualche parte. Semplicemente accade” Cosa pensi di questa affermazione?
“Mi chiedo come uno possa fare una domanda simile…Il Jazz non è una azienda con un suo programma di produzione e una politica di mercato. In genere il Jazz non è così ma è musica fresca proprio perché è lontano da meccanismi e condizionamenti di questo tipo. La sua eternità nasce proprio dal fatto sensazionale che si rinnova ogni giorno , direi ogni ora , ogni volta che un musicista impegna tutto sé stesso nel suono di quello che produce. La sua verità nasce nel momento stesso in cui uno soffia nel suo strumento , o ne pizzica le corde o ne pigia i tasti. Il Jazz sarà difficile che muoia, come molti si premurano di aggiornarci spesso , perché è vivo dentro chiunque lo suoni , si esprima con quel linguaggio , lo faccia proprio per raccontare delle storie in musica. E’ un linguaggio che cambia e si muove come tutti i linguaggi , non solo artistici”.

-Nel mondo del jazz c’è una querelle ancora non risolta. Si può parlare di Jazz Europeo e in quest’ambito di Jazz Italiano?
“La prendo ancora da lontano : ricordo che molti anni fa fui invitato da Alain Gerber ad una tavola rotonda di Radio France a Parigi : attorno al tavolo con altri c’era anche Daniel Soutif che insisteva nel parlare di una peculiarità del Jazz Italiano. Lui era molto impegnato e sicuro di questo suo pensiero mentre per me non era un problema prioritario e un po’ mi stupivo della sua determinazione. Inoltre forse non ero completamente d’accordo con lui: naturalmente siamo rimasti ciascuno della propria opinione , forse anche per la differenza dei punti di vista ! Tuttora non sono convinto che esista un Jazz europeo o italiano così come lo si potrebbe intendere. Forse a quei tempi sì , si parla di anni 90. Ora le idee e i suoni e le novità circolano sul web e immediatamente tutti possono essere aggiornati su tutto , basta volerlo. Le influenze e le opinioni espressive sono conosciute e condivise , sono tutte sulle vetrine dei network. Il contatto e l’apprendimento avviene più facilmente però anche l’omologazione rischia di essere maggiore.

-Esistono comunque delle differenze tra musicisti europei e musicisti americani?”?
“La differenza non credo che esista fra musicisti europei e americani , bensì fra diverse concezioni o consapevolezze di ciò che si vuole suonare come scopo prioritario. L’essenza risiede forse piuttosto nella inclinazione che può avere un musicista a essere disponibile a suonare preferibilmente il “prevedibile”, usando quindi frammenti di un linguaggio già collaudato (e storicizzato) invece di tentare di trovare in sé qualche via per evitarlo il più possibile cercando prioritariamente una strada di fedeltà a sé stesso. In questo senso Konitz , Shorter e Meldhau e tanti altri sono “europei” più di alcuni europei che si esprimono con un linguaggio legato ai referenti storici americani che ovviamente hanno sempre una forte influenza su di noi , quanto meno perché da lì in genere si inizia e si impara : sono loro ad averlo inventato. Il Jazz andrebbe semplicemente visto come “buona-musica-di-qualcuno ” e “meno-buona-musica- di-qualcuno” in relazione a chi e cosa stiamo ascoltando e sarebbe chiarificante cancellare etichette inopportune che in realtà vogliono forse codificare solo un approccio personale diverso. Ma come sai per chi ascolta può essere intricato: molti amano ascoltare prevalentemente musica che conoscono già, un linguaggio più consueto, rassicurante , storicamente collocato e molto amato mentre altri magari sono stanchi di questo e prediligono un ascolto irto di novità e sorprese. Chi ascolta quest’ultimo tipo di musica sa che ciò implica uno sforzo di comprensione e di allineamento di parametri critici a materiale sonoro diverso dal solito.
Poi tutti sanno che è più importante il “come” rispetto il “cosa”si suona.
Sono ormai decenni che dico che il Jazz e’ come un linguaggio verbale : cambia negli anni ma è sempre sé stesso così come un lingua cambia ma rimane sé stessa mantenendo pronuncia , inflessione , ritmo e suono etc. tipicamente suoi. Come vedi anche le parole per definire le caratteristiche sono le stesse usate nell’ambito musicale…”.

-A tuo avviso per essere un buon jazzista a cosa dare più peso, alla tecnica, alla capacità inventiva e quindi all’improvvisazione, o all’espressività che non sempre è accompagnata da una grande tecnica?
“La ricetta del buon jazzista non so se esista perché ciascuno sceglie la propria strada secondo le proprie predilezioni che possono naturalmente anche variare nel corso degli anni. Probabilmente quanto tu scrivi va interpretato : non credo che si possa schematizzare così il problema .Io personalmente credo che tutte le qualità che elenchi e molte altre debbano essere presenti in chi suona questa musica , che ci debbano essere molte consapevolezze maturate ascoltando e studiando e suonando che non possono prescindere da nessuna di quelle elencate. Tecnica , improvvisazione e espressività non possono certo mancare in chi del linguaggio jazzistico vuole servirsi per comunicare emozioni a sé stesso e a chi lo ascolta. Ma sono tutti parametri in evoluzione anche indipendentemente dalla volontà specifica del musicista. Lennie Tristano usava dire che la tecnica deve essere sufficiente per realizzare in musica esattamente quanto abbiamo nelle testa , il che non è poco…
Ma come sappiamo non è solo la testa ad essere coinvolta ..
Lo studio è veramente fondamentale, ma ci sono molti modi di studiare e anche l’ascolto è una maniera formativa di apprendere questa musica , come nel linguaggio parlato. Lo studio non deve però essere così condizionante da spegnere la personale creatività e fantasia .Il discorso qui si farebbe lungo…”.

Claudio Fsoli con berretto

-Da quali di queste componenti è maggiormente connotata la tua musica?
“Sostanzialmente la mia musica mi piace e da questo presupposto parto per le mie decisioni compositive. Vista dall’esterno posso dirti che la mia musica risulta memorizzabile perché cantabile ; infatti la melodia in genere gioca con le note, si muove su cromatismi , e si alza su picchi di intervalli molto ampi. E’ dotata di molto lirismo o almeno così la penso . Il patrimonio armonico è quasi sempre piuttosto complesso ma stimolante per l’improvvisazione che non perdo mai di vista. Non mi piace cioè scrivere musica che non aiuta chi vuole esprimersi e potrebbe tendere a creare difficoltà di sviluppo o metriche o di tempo o altro. Del patrimonio armonico sfrutto tutte le implicazioni e gli sviluppi possibili , evitando le regole ma seguendo soltanto le mie predilezioni. Mi muovo su tutti i territori possibili nell’ambito di quanto appartiene alla armonia della musica occidentale e scopro sempre possibilità di sviluppo per me inaspettate. Ma non rifuggo anche da soluzioni fuori armonia (no chords). Ora sto forzando questo concetto di imprevedibilità degli sviluppi che è cosa che già almeno da quindici o venti anni mi sta intrigando molto ,anche se non l’ho mai perseguita così tanto come ora. Questo mi piace e mi stimola molto. Sotto il profilo strutturale prediligo forme asimmetriche, o non necessariamente simmetriche , ma mi apro a situazioni nuove e inaspettate assai volentieri per evitare che qualche cosa possa suonare troppo già sfruttato o dejà-vu e quindi noioso o inutile”.

-Cosa accade quando componi un brano?
“Tutto può succedere: posso partire da un’idea melodico-ritmica , ma l’origine di un brano può essere anche una progressione armonica o un pedale iterativo , o una impressione spruzzata di colori armonici caratterizzati e autonomi, etc…Il pianoforte è importante per comporre , almeno per me , ma anche il mio strumento , il saxofono , è fonte di idee da sviluppare. Ma anche aspettando la pizza in pizzeria, col coltello che batte sul tavolo, può uscire una linea ritmica utilizzabile in futuro. Non ricordo chi consigliava di trascrivere su pentagramma almeno una idea al giorno , tutto sarà poi sfruttabile in sede compositiva. Sono d’accordo con costui. In certi periodi le idee si concretano bene e velocemente sul piano compositivo, altre volte onestamente meno”.

-Qual è il tuo rapporto con la musica “colta”?
“Ottimo . Come ti ho detto ne ho ascoltata tantissima in qualsiasi momento della mia vita e tuttora mi capita spesso di dedicarmi all’ascolto della Classica. Grazie a Mario Brunello , violoncellista di grande prestigio , ho avuto occasioni preziose di suonare in concerti di Classica sia in duo con lui improvvisando nelle Suite per violoncello di J.S.Bach , che insieme a grosso organico come la ODAI (Orchestra d’Archi Italiana). Ma oltre a ciò, mi documento sulla contemporaneità come pure compro edizioni di grandi interpreti rimasterizzate. E’ sempre una grande gioia: compro sempre e soltanto edizioni il cui spessore mi è già noto”.

-Quale dei tuoi tanti dischi ti è rimasto particolarmente caro? E quale concerto?
“A questo è quasi impossibile rispondere : tanti nel primo come nel secondo caso ! Ma le impressioni possono cambiare e quello che fu “buono” al riascolto un tempo , dopo anni può sembrare “ottimo” da essere gratificante : cioè si cambia nella valutazione di sé stessi e di quanto è stato fatto. I concerti del Perigeo erano grandi eventi ma non per questo quanto fatto dopo ha minore significato per me , semmai diverso perché diverse erano le intenzioni espressive. Per quanto riguarda i dischi, preferisco rifuggire da una risposta dicendo sempre che il prossimo è quello che mi è particolarmente caro”.

-Qual è il musicista cui ti senti più vicino per affinità elettive?
“Nella mia vita sono molti i musicisti di jazz cui mi sono sentito vicino e l’elenco potrebbe riempire da una a due tre pagine…dipende un po’ dai periodi .
Un breve elenco può comprendere Bix, Lester, Bird, Konitz, Desmond , McLean, Coltrane , Shorter, Liebman, Elvin ,Tony Williams, Paul Chambers , Miles ,Horace Silver, Bud Powell, Anita O’Day ,Jeanne Lee , Wheeler ,Billie Holiday , Meldhau , Haden , Bill Evans (p) , Motian ,Zawinul ,Chet, LaFaro, Goodrick per citare i primi americani e quasi ovvi che mi vengono in mente…..”.

-Il sogno nel cassetto di Claudio Fasoli?
“Irrealizzabile : mai suonato con Elvin , del quale ero peraltro amico , né con Tony Williams” .

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