Trascinante Judith Hill
Più riflessiva la musica di Peirani

È proprio vero che programmare è una cosa, attuare è un’altra. Quest’anno mi ero ripromesso di vedere cinque concerti del recente Roma Jazz Festival che mi era parso ben strutturato e con proposte nuove e interessanti.
Purtroppo non è andata come volevo e sono stato costretto ad assistere solo a tre concerti perdendomi quelli del pianista sudafricano Nduduzo Makhathini (il 9 novembre) e del gruppo Yellowjackets (11 novembre) che seguo da tempo immemore.
Dell’anteprima di Ibrahim Maalouf il 12 ottobre “A proposito di jazz” ha già riferito; oggi vi do conto degli altri due concerti cui ho assistito: Judith Hill il 4 novembre, Vincent Peirani Trio il 5 novembre.
Preceduta da una fama non immeritata, Judith Hill si è esibita alla Sala Petrassi dell’Auditorium dinnanzi ad un pubblico entusiasta e assai numeroso. Veramente particolare la formazione dal momento che la vocalist afro-americana aveva accanto a sé la madre Michiko alle tastiere e all’organo e il padre Robert (alias Pee Wee) al basso elettrico; alla batteria l’unico “estraneo”, il vulcanico John Staten.
Nata a Los Angeles, Judith viene, quindi, da una famiglia di origini nipponico/afroamericane che può a ben ragione definirsi “musicale”, nell’accezione più completa del termine. Ha dedicato tutta la sua vita alla musica tanto da essere attualmente, oltre che un’ottima vocalist, anche un’eccellente pianista e chitarrista. Dopo aver sviluppato le sue attitudini lavorando come cronista a fianco di vere e proprie icone della musica quali Michael Jackson, Stevie Wonder e Prince ha intrapreso una strada da solista che le sta assicurando grande successo presso le platee di tutto il mondo. In effetti le performance della Hill, stando a quanto s’è visto e ascoltato a Roma, sono davvero trascinanti. La sua voce calda, la sua intonazione, il preciso senso del ritmo le consentono, infatti, di transitare con estrema disinvoltura dal soul al R&B, dal funk al blues il tutto in un’atmosfera sempre “assai calda” che vede il continuo coinvolgimento del pubblico.
Efficace in tutte le interpretazioni personalmente l’ho particolarmente apprezzata in “Angel in the Dark” una composizione di Prince, “Better Days” e “Beautiful Life” scritte dalla stessa Hill mentre tra i brani più scatenati, particolarmente coinvolgente “That Power”

Di natura completamente diversa il concerto del fisarmonicista francese Vincent Peirani in trio con il chitarrista italiano ma oggi stabilmente a Parigi Federico Casagrande, e il batterista di origine israeliana Ziv Ravitz, oggi cittadino di New York. Ho seguito la carriera di Peirani da quando nel 2009 si affacciò sul mondo del jazz con un album particolarmente originale e promettente. Promesse mantenute negli anni successivi che hanno consacrato Peirani come uno dei migliori fisarmonicisti al mondo. Ma, se devo dire la verità, quest’ultima strada intrapresa da Vincent, così come evidenziato dal concerto romano, non mi convince più di tanto. Certo la maestria dell’artista è sempre là, così come la sua classe nell’arrangiare i pezzi, e la sua profonda conoscenza dell’universo jazzistico. Ma questo immergersi in atmosfere molto slargate (un po’ alla nordica, tanto per intenderci) i continui riferimenti alla musica “moderna” , la prevalenza della struttura sull’improvvisazione, e soprattutto il continuo ripetere di brevi segmenti melodici hanno fatto perdere un po’ di mordente alla sua musica.
Nel repertorio del concerto romano figurano alcuni brani presenti nell’ultimo album “Jokers” pubblicato nel 2022 con la stessa formazione presentata nella Capitale: tra questi “River” tratta da ‘Church of Scars’  (2018) della cantante Bishop Briggs, in cui il canto viene sostituito dalla fisarmonica; particolarmente interessante “Salsa Fake” il cui titolo è tutto un programma: in effetti il brano inizia con un assolo di chitarra che ci porta in atmosfere latine assecondato dalle note suadenti e melanconiche della fisarmonica, ma ben presto le cose cambiano: intervengono batteria e chitarra, il clima del pezzo muta completamente, adesso ci si avvicina ad una forma sofisticata di rock a segnare, a mio avviso, il punto più alto dell’intero concerto proprio perché le concezioni di Peirani riescono a elaborare una ricetta nuova e coinvolgente.
Il concerto si chiude con “Ninna nanna” eseguito come bis, sicuramente il brano più melodico dell’intera serata in cui sono evidenti i riflessi di certe melopee italiche.

Gerlando Gatto

Onyx Jazz Club ETS porta a Roma il jazz, Matera e le sue tipicità

Il 20 novembre l’Associazione sarà nella capitale insieme a CNA Basilicata, il 21 e il 22 porterà sul palco della
Casa del Jazz quattro artisti della scuderia Onyx Dischi

Continuano le attività di rilievo nazionale dell’Associazione Onyx Jazz Club ETS, questa volta in trasferta a Roma per un progetto dedicato non solo alla musica ma anche all’artigianato tipico di Matera. Da lunedì 20 novembre fino a mercoledì 22 infatti l’Onyx Jazz Club sarà a Roma per il progetto “Jazz è comunità”, un progetto di valorizzazione degli artigiani, delle tipicità e della musica prodotta sul territorio materano prodotto in collaborazione con CNA Basilicata e Casa del Jazz di Roma.

“Lavoriamo da tempo a questo progetto e abbiamo voluto fortemente portare la nostra visione della musica in uno dei luoghi simbolo del jazz in Italia” spiega Luigi Esposito, presidente di Onyx Jazz club ETS “ma come sempre per noi un’esibizione artistica fine a sé stessa non ha molto senso. Per noi musica significa cultura, condivisione, conoscenza, per questo motivo saremo a Roma insieme alla CNA Basilicata per raccontare tutte (o quasi) le specificità del territorio materano e per portare quattro delle nostre produzioni Onyx dischi: Saverio Pepe e Pierdomenico Niglio, H-Howl, Miriam Fornari e i Lykos che attraverso la loro musica possono raccontare come da una piccola città di provincia si possa parlare non solo a tutta l’Italia ma al mondo interno”.

Lunedì 20 novembre sarà inaugurata la mostra fotografica “Matera e il Parco della Murgia Materana”: 40 pannelli racconteranno Matera e il suo territorio attraverso lo sguardo del fotografo Michele Morelli. Appuntamento alle 19:30 in via Latina 286 negli spazi dello Studio di Architettura di Andrea Consentino. Durante la serata il presidente regionale della CNA Basilicata, Leonardo Montemurro, illustrerà – durante la degustazione di pane e olio di Matera – la storia e le storie legate all’artigianato materano e a uno dei suoi simboli più conosciuti: il cucù.

Martedì 21 novembre, alle 21:00 sul palco della Casa del Jazz in viale di Porta Ardeatina 55, Saverio Pepe e Pierdomenico Niglio presenteranno “Pepe canta Battiato” un progetto musicale prodotto da Onyx Dischi: un tributo al grande maestro catanese, una bella scommessa elettronica. A seguire, salirà sul palco un’altra formazione della scuderia Onyx Dischi: H-OWL Project con il loro album Blip! Un safari attraverso il mondo del Jazz moderno, contaminato dal R’n’B, dal Soul, dall’Hip Hop e dall’elettronica.

Ancora una serata dedicata ad Onyx Jazz Club Matera e all’etichetta Onyx dischi alla Casa del Jazz mercoledì 22 novembre: dalle 21:00 si esibiranno Miriam Fornari con il suo ultimo lavoro, Mora, un’ambiziosa suite tra jazz, prog rock e sperimentazione che indaga il nostro intimo e profondo rapporto con il sogno e i Lykos, formazione lucana di jazz sperimentale con influenze mediterranee e afroamericane, che eseguiranno a Roma il loro disco omonimo.

“Sentirsi parte di una comunità con la quale condividere emozioni, cultura e princìpi e creare legami tra persone e istituzioni questo, e molto altro, è l’Onyx Jazz Club di Matera, un’associazione attiva da quasi 40 anni che vede la cultura come un mezzo di diffusione e potenziamento del patrimonio musicale, storico, ambientale, artistico e architettonico della Basilicata. Inoltre, nel 1993, l’Onyx Jazz Club è stata tra i primi in Europa a coinvolgere i cittadini in un percorso di condivisione di un progetto culturale, coinvolgendo i suoi soci e il pubblico, nella produzione del suo primo disco, “Meditango”, di Bruno Tommaso. Da allora, dopo 35 produzioni discografiche, l’Onyx ha riorganizzato il settore dischi, rilanciando la formula dell’Azionariato popolare” racconta Pierdomenico Niglio, responsabile del settore Onyx Dischi “Onyx Dischi lavora proprio ispirata dai principi dell’Associazione e poter portare su un palco così prestigioso ben quattro produzioni è per noi non solo motivo di orgoglio ma soprattutto un generatore di felicità, ovviamente condivisa”

Incontri alla Casa del Jazz: Rita Marcotulli entusiasma – Ottavia Rinaldi commuove

Dopo una settimana di stop, mercoledì 15 novembre il nostro direttore Gerlando Gatto è tornato alla “Casa del Jazz” per il quarto appuntamento della sua serie L’altra metà del jJzz, in una sala particolarmente gremita, un po’ come avveniva nel lontano 2012 con le sue Guide all’Ascolto.
La prima ospite della serata è stata la rinomata pianista Rita Marcotulli, legata a Gatto da uno stretto rapporto di amicizia che dura ormai da più di mezzo secolo, quando il comune amico Mandrake, al secolo Ivanir do Nascimento, presentò al giornalista una giovanissima ma talentuosa Marcotulli; tanto talentuosa da venir chiamata già da giovane in tour con musicisti del calibro di Billy Cobham e Dewey Redman. Buona parte dell’intervista è stata costituita da un lungo excursus sulla sua vita e le sue opere: da un’infanzia vissuta a contatto con titani della musica e del cinema come Nino Rota, Ennio Morricone o Roman Polanski, grazie al lavoro di tecnico del suono del padre, alla sua carriera, ricca di soddisfazioni: infatti oltre ai tour con i già citati Redman e Cobham, si possono annoverare alcuni sodalizi con artisti italiani del calibro di Francesco de Gregori, Pino Daniele o Eugenio Bennato, la composizione della colonna sonora del film Basilicata Coast to Coast (2010) di e con Rocco Papaleo e la vittoria del David di Donatello come migliore musicista per il lavoro svolto in questo film (peraltro, prima donna a ricevere questo riconoscimento sin dalla sua istituzione nel 1975), il suo lavoro di rappresentanza dell’Italia a livello internazionale e il conferimento delle onorificenze di Ufficiale della Repubblica Italiana e Membro della Royal Swedish Academy of Music. Parlando della sua carriera, Rita non manca mai di sottolineare l’importanza di ogni singola esperienza vissuta: dallo stile cromatico di Redman al Jazz Rock/pop di Cobham, dalla musica leggera di Bennato e De Gregori a quella di Daniele: queste esperienze l’hanno aiutata a sviluppare una linea di pensiero per quanto riguarda i generi musicali non dissimile da quella espressa da altre musiciste nelle scorse puntate; infatti si schiera apertamente contro quello che lei chiama “snobismo” tra generi musicali, e propone invece solo un tipo di distinzione: quella tra buona musica e musica scarsa. Da questa affermazione si è aperto un dibattito sullo stato attuale della musica pop in Italia, e in questo caso Rita propone una riflessione applicabile alla musica, ma ad ogni genere di arte: in fin dei conti, i veri vincitori alla prova del tempo sono coloro che hanno il coraggio di innovare e di avere una propria originalità; pensiero condiviso appieno da chi scrive.
Infine il discorso è stato intervallato, come al solito, da tre brani straordinari composti dalla stessa Marcotulli: All Together, dedicata ad un amico che quella sera compiva gli anni, Indaco, e The Way It Is.

***
La seconda parte è stata dedicata all’arpista e cantante esordiente Ottavia Rinaldi, che racconta del suo percorso musicale: partendo dalla Sicilia (per la precisione da Messina) terra di origine della musicista dove ha sviluppato sin dall’età di sette anni e mezzo una passione per l’arpa, si è trasferita prima a Monopoli, poi a Como, e poi a Parma dove ha conseguito il master di II livello nello studio dell’arpa classica e jazz. Per diversi anni frequenta il corso di alto perfezionamento jazz presso la Filarmonica di Villadossola con Ramberto Ciammarughi verso il quale la Rinaldi ha parole di sincera stima e gratitudine per tutto ciò che le ha trasmesso nell’ambito del jazz.

Nel suo discorso Ottavia pone molto l’accento sul gusto di suonare insieme agli altri in orchestra: motivo per il quale non ha ancora sviluppato un progetto in solitaria, andando in controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza degli arpisti jazz – e proprio in quanto arpista la Rinaldi riferisce di aver affrontato le maggiori sfide, soprattutto per quanto riguarda una mentalità a suo dire chiusa nell’ambiente musicale nei confronti degli arpisti. Dopo aver parlato di sé come musicista, Ottavia racconta del suo primo album Kronos, pubblicato da Alfa Music, contenente sette brani autografi ed la riarmonizzazione di uno standard (“Like Someone in Love” di Jimmy Van Heusen); da questo album sono tratti i tre pezzi che hanno intervallato la serata (in ordine Kronos a metà, Valzer delle Anime e Ciatu, unico brano cantato dei tre). L’album, uscito proprio in questi giorni, vede come protagonista l’HarpBeat Trio, costituito per l’appunto dalla Rinaldi all’arpa e canto, Carlo Bavetta al contrabbasso e Andrea Varolo alla batteria. Il trio evidenzia una notevole dose di empatia e non poteva essere altrimenti dato che i tre collaborano assieme sin dal 2017. Infine,  si apre un dibattito sull’importanza dell’improvvisazione e sull’ambizione della musicista di rimanere attiva sia nel campo della musica classica – musica che, data la formazione ricevuta, non abbandona mai del tutto, come ripetuto più volte da lei stessa – che in quello del jazz.
Redazione

Graffi neri con la poesia di Hirschman e la musica di Blaiotta

Sabato 4 novembre il nostro collaboratore Danilo Blaiotta ha presentato alla Casa del Jazz di Roma il suo ultimo lavoro discografico “Planetariat”. La cronaca della serata nelle parole di Maria Elena Danelli

*****

Graffi neri, violenti, l’urlo della Poesia di Jack Hirschman fluisce nella piena contemporaneità in quel magma in cui siamo contenuti e ci muoviamo nello spazio.
Qualcosa è accaduto per chi, la sera del 4 novembre 2023 alla Casa del Jazz a Roma, ha assistito alla Prima di “Planetariat” il monumentale Progetto di Danilo Blaiotta, ispirato ai testi del poeta Jack Hirschman e dal personale senso umano, ovvero il coinvolgimento fisico, emozionale che ha privilegiato i presenti all’ascolto di qualcosa che prima non c’era, o meglio, c’è e aspettava di essere catturato dal limbo e venir partorito per esporci alla consapevolezza del qui e ora, in continuo fluire.
Le lettere di Jack diventano immagini struggenti, strazianti, stratificazioni coinvolgenti culminanti in suono di sirena, in un vocìo di soliloquio in cui ciascuno di noi si può ritrovare, la voce della disperazione.
Stratificazioni e intersezioni, l’Artista deve essere contemporaneo, la sua è una missione di denuncia nella società e Blaiotta c’è e ci prende con lui per questo viaggio, che non ci lascia indenni, ci coinvolge e oltrepassare quella soglia è una presa di consapevolezza.
Il Progetto “Planetariat” vede Eleonora Tosto quale sublime vocalist, con altezze graffianti e dolcissime, a volte soffio a volte schiaffo. Un reading, il suo, da cui emergono le parole di Jack, e per chi ha avuto il privilegio di conoscerlo è stato come se lui fosse presente in mezzo a noi.
Il quintetto vede Achille Succi ai sax, fluido professionista della poesia dell’aria, magnetico gentile Signore della Musica, Stefano Carbonelli alla chitarra, silenzioso e riservato magma che scorre e Cesare Mangiocavallo alla batteria, con un timing esatto.
Questo è il terzo album a nome del pianista Danilo Blaiotta, il cui titolo cita un neologismo contenuto nel linguaggio poetico di Hirschman – personaggio della controcultura americana, recentemente scomparso – ovvero il “Planetariato”, l’insieme degli abitanti del Pianeta Terra con chiaro riferimento al proletariato, definizione di quella parte di esseri umani che vivono nelle più estreme difficoltà.
Una delle particolarità del Progetto di Blaiotta è l’acronimo che nasce dalle iniziali degli undici brani in esso contenuti e che danno origine a “Human Rights”, due parole la cui valenza insieme prende corpo e vita, determinazione, canto universale che non vuole cedere alla sopraffazione del diritto alla vita e alla dignità dell’esistenza.
Questo Viaggio-Progetto, mai quanto ora è contemporaneo, attuale, nel qui e ora. In una società che si stringe sempre più come una morsa sui più fragili, in cui si sta smarrendo la rotta della civile coesistenza, in cui l’incitamento all’odio e al divario tra culture e ciò che non viene ricondotto ad una identificazione sbrigativa, si impegna, con la voce della Poesia alla resistenza. La Poesia ha voce di tuono anche in un filo d’erba che – più di un albero ben radicato – è in grado di sfidare le tempeste, è sconcertante e sbalorditivo mezzo di comunicazione, la cui esistenza ci sostiene ed è dovunque, sotto gli occhi di tutti, basta solo guardare.
Undici i brani contenuti nel Progetto (la cui copertina rossa è un’opera di Aurora Parrella), il cui ascolto è sorvolare la complessità della visione dell’Essere Umano, sembra quasi di ascoltarne il dialogo tra l’attività cerebrale, il sangue scorrere nelle vene, il battito del cuore, sfaccettature di sguardi nell’attualità e spazi altri, apparentemente caotici ma riconducibili con empatia ad una possibilità di riscatto (“Human Being”, l’ouverture di Planetariat). Il cuore prosegue il suo battito, coraggioso, osteggiato dal deflagrare delle bombe, il fragore delle armi, le urla della disperazione, uno scontro a due in cui nessuno vuole retrocedere, tutte voci accompagnate e trasformate dagli strumenti, i cui fili sono legati nella loro complessità dalla voce di Eleonora Tosto. (“Under Attack. Gaza”). Tuonante si sente anche la voce di Hirschman dando vita a brividi di emozione, come fosse presente, come non ci avesse mai lasciato.
Tutto assume il non-colore del bombardamento sulle città, l’odore delle macerie, la musica del caos in cui nulla è più riconoscibile, tutto è coinvolto in una prospettiva dove il cielo è dovunque e nella sua espressione ci è indifferente, ostile.
“Why don’t eyes come around anymore?” ci dice Hirschman con estrema triste dolcezza (“Real Earth”). Tutto è intorno a noi, il possibile è accanto a noi. Tutto potrebbe essere.
Insomma, essere coerenti, essere Umani e Danilo ci ha ricordato chi siamo con la determinazione della sua illuminazione.

Maria Elena Danelli

Ciao Dino “gran signore del jazz”

Se n’è andato anche lui dopo una vita straordinaria, dedicata alla musica: all’età di 94 anni ci ha lasciati Dino Piana uno degli artisti che ha contribuito in primissima persona con il suo trombone a scrivere la storia del jazz italiano. Anni attraversati con straordinaria raffinatezza, leggiadria, gentilezza. In effetti si può benissimo essere grandi musicisti senza per questo essere particolarmente simpatici: bene Dino Piana ha invece rappresentato quel che nel mondo “normale” si intende “Un vero signore”.

E per un momento lasciamo da parte i suoi meriti musicali per soffermarci sul Piana uomo: l’ho conosciuto parecchi anni fa ed una volta ho avuto l’onore di ospitarlo nel salotto di casa mia, assieme al figlio Franco, per una interessante chiacchierata sullo stato di salute del jazz italiano. L’ho sempre trovato, oltre che di una innata ed invidiabile eleganza, sempre disponibile, cortese, con il sorriso sulle labbra, bendisposto verso tutti… e soprattutto contento della vita di musicista. Talmente contento che queste qualità le ha trasmesse al figlio Franco, anch’egli persona e musicista di assoluto livello, al quale vanno le più sentite condoglianze mie personali e di tutta la redazione di “A proposito di jazz”… senza dimenticare la compagna di una vita che l’ha sempre sostenuto in questa innata passione.
Passione che si può ben riassumere in una frase che Dino pronunciò nel corso di un’intervista rilasciataci nel 2010: «Ti posso dire che io vivo la performance sempre allo stesso modo, e cioè, quando io vado a fare un concerto sono in uno stato… di follia. È una follia, una gioia, che diventano quasi un… un malessere, ecco». E per quei quattro o cinque che non conoscono Dino Piana, cerchiamo di riassumere in poche righe una carriera di oltre sessant’anni… Dino inizia il suo cammino nel 1959 quando si presenta al concorso radiofonico “La coppa del Jazz”, mettendosi immediatamente in luce come solista. Quindi entra nel quintetto Basso-Valdambrini e nelle orchestre radiofoniche e televisive, continuando l’attività jazzistica. Nella sua lunga carriera prende parte a numerosi festival nazionali ed internazionali fra cui: Comblain-la-Tour, Lugano, Berlino, Lubiana, Nizza… nonché a numerosi concerti per la RTF a Parigi, per la RTB a Bruxelles, per l’UER di Stoccolma, Oslo, Barcellona, Londra, Copenaghen. Ovviamente, sono  innumerevoli le collaborazioni con straordinari musicisti quali, tanto per fare qualche nome, Chet Baker, Frank Rosolino, Slide Hampton, Kenny Klarke, Charles Mingus, Pedro Iturralde, Paco de Lucia, George Coleman, Kay Winding, con il quale ha inciso il disco “Duo Bones”. Suona nelle Big Band di Thad Jones, Mel Lewis, Bob Brookmeyer. Il 12 maggio 1993  si esibisce in una reunion del sestetto “Basso-Valdambrini” alla Town Hall di New York.
Parallelamente, molti sono i dischi in cui è possibile ascoltarlo, sia come leader sia come side man; tra gli ultimi: “Reflections” a nome Dino & Franco Piana Ensemble e soprattutto “Al gir dal bughi” (il giro del Boogie) registrato nel 2019.
Ciao Dino chissà quante belle orchestre troverai lassù.

Gerlando Gatto

Maria Pia De Vito profonda anche nelle parole / Sonia Spinello sorprende il pubblico romano

Ancora una bella serata martedì nell’ambito degli incontri tenuti alla Casa del Jazz dal nostro direttore Gerlando Gatto. Ospiti Maria Pia De Vito e Sonia Spinello.
Atmosfera molto distesa con le due artiste assolutamente a loro agio, pur affrontando tematiche tutt’altro che leggere, ed un pubblico quanto mai attento e recettivo tra cui, in sala, due figure di rilievo del jazz italiano: Cinzia Tedesco una delle voci più autorevoli del panorama vocale e Danilo Blaiotta sicuro talento del nuovo pianismo jazz.
Apre Maria Pia De Vito che canta accompagnandosi al pianoforte: il conduttore la invita a ripercorrere i primi passi della sua carriera, quando frequentava il “Music Inn” e appariva – queste le parole di Gatto – «affamata di Jazz».

La vocalist risponde con fervore e il quadro che ne deriva è quello di un ambiente musicale molto vivo, ricco di fermenti, di novità, di un pubblico che man mano si avvicina al jazz apprezzandone il nuovo linguaggio. In tale contesto si forma la personalità della De Vito che, a partire da quei giorni, mai si è fermata nella ricerca di un’espressione artistica che meglio la rappresenti. Di qui una sperimentazione sulla vocalità che attraversa vari terreni: dal free jazz all’elettronica, dal lavoro sulla forma canzone anglofona, senza limitazioni di genere, alle riletture su musiche rinascimentali e barocche, fino alla personale elaborazione della lingua e della cultura napoletana attraverso la musica di improvvisazione. E il primo “regalo” musicale lo offre riproponendo un brano di Joni Mitchell, per sua stessa ammissione una delle sue muse ispiratrici.
Trattandosi di una cantante che come nessun’altra ha saputo valorizzare la lingua napoletana in un ambito totalmente diverso, non poteva mancare un omaggio a questa particolare sperimentazione; ecco dunque la De Vito interpretare con sincera partecipazione “Il Paradiso Dei Cacciottielli “tratto da un album particolarmente significativo intitolato “Phoné” del 2018 in cui la De Vito si esibiva accanto a John Taylor, Gianluigi Trovesi, Enzo Pietropaoli, Federico Sanesi.
L’intervista si sposta poi sull’ultimo lavoro della vocalist campana, “This Woman’s work“ per la Parco della Musica Records, riflessione in musica sulla condizione femminile, particolarmente in sintonia con il secondo libro di Gatto dedicato all’universo femminile del jazz. Su questo particolarissimo tema la De Vito si è soffermata parecchio con riflessioni sempre assai puntuali.
Avviandosi alla conclusione Maria Pia ci ha offerto un breve saggio di improvvisazione a cappella suscitando l’entusiasmo del pubblico che l’ha salutata con calorosi applausi.

Atmosfere completamente diverse nella seconda parte della serata con la vocalist Sonia Spinello accompagnata al piano dall’ottima Eugenia Canale della quale, proprio in questi giorni, è uscito l’album “Risvegli” per la Barnum.
Tornando alla serata presso la Casa del Jazz, Gatto ha tenuto a precisare che l’invito alla Spinello era determinato dal fatto che questa artista praticamente non è conosciuta nel centro-sud Italia nonostante al Nord abbia già raggiunto una buona popolarità grazie ad alcune ottime produzioni discografiche.
Spronata dalle domande di Gatto, la Spinello ha parlato a lungo delle sue attività che vanno ben al di là del fatto squisitamente musicale, estendendosi a tutta una serie di implicazioni che riguardano l’utilizzo della voce in funzione terapeutica.
Sollecitata dal critico musicale, la Spinello ha poi rammentato le tappe fondamentali della sua carriera, ponendo un particolare accento su alcuni album da cui ha tratto due brani interpretati l’altra sera: “Visions”  tratto da “Wonderland”, un album dedicato a Stevie Wonder inciso con Roberto Olzer al piano, Yuri Goloubev al basso, Mauro Beggio alla batteria, Fabio Buonarota al flicorno, Bebo Ferra  chitarra, e “Inverni”, da “Sospesa”  registrato con  Fabio Buonarota flicorno e tromba, Lorenzo Cominoli chitarra, Roberto Olzer pianoforte, Ivan Segreto voce.
Anche in questo caso convinti applausi del pubblico.
E chiudiamo con una importante comunicazione di servizio: per problemi legati alle attività della Casa del Jazz, la prossima puntata de “L’altra metà del jazz” è stata spostata al 29 novembre. Quindi gli incontri con Gatto riprenderanno il 15 (non martedì 14) con Rita Marcotulli e Ottavia Rinaldi: insomma un altro appuntamento particolarmente stimolante (ingresso 5€ – biglietti online su TicketOne.

Redazione

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi