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I NOSTRI CD

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aljazZeera – “aljazZeera”

aljazZeera – “aljazZeera”

aljazZeera – “aljazZeera” – Jazz Engine 8015
Bisogna dare atto a Marco Valente di dare spazio, anche attraverso questa nuova etichetta, a musicisti giovani e particolarmente meritevoli. Così, con il nome evocativo di “aljazZeera” si presenta un trio composto da Manuel Pramotton al sax tenore, Federico Marchesano al contrabbasso e Donato Stolfi alla batteria. Il sassofonista, classe 1982, ha studiato presso l’Istituto Musicale Parificato della Valle d’Aosta diplomandosi il 1° febbraio 2003 con il massimo dei voti dopo di che seguito master di perfezionamento (Siena, Umbria, ecc.), vinto una borsa di studio per la Berklee College of Music di Boston e studiato, fra gli altri, con Benny Golson.
Nato a Torino il 26/8/1975, Federico Marchesano inizia a suonare il basso elettrico a 12 anni studiando da autodidatta. Diplomatosi in contrabbasso al conservatorio G. Verdi di Torino nel 1998, si perfeziona col Maestro Franco Petracchi all’Accademia Walter Stauffer di Cremona. In ambito classico, diventa così collaboratore di prestigiose Orchestre nazionali e internazionali quali l’European Union Youth Orch., l’ Accademia di S.Cecilia, l’ Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra da Camera Salvatore Accardo. Il tutto senza disdegnare incursioni nel mondo pop.
Altrettanto variegato il percorso del batterista Donato Stolfi: inizi rock e quindi il passaggio al jazz e alla musica improvvisata collaborando, fra gli altri con Furio Di Castri, Javier Girotto, Emanuele Cisi, Roberto Cecchetto e Luigi Bonafede.
Tutto ciò per sottolineare come si tratti di tre musicisti assai preparati che si sono riuniti per dar vita ad un progetto tanto ambizioso quanto particolare… già ad iniziare dal nome del gruppo che poi da il titolo all’album. In effetti, il trio si richiama apertamente ad atmosfere e melopee arabeggianti senza però trascurare la comune base di partenza che è il jazz. E questo si avverte soprattutto nel forbito linguaggio del sassofonista, così pieno, asciutto, quasi del tutto esente da vibrato, ricco di suggestioni, logico nella costruzione della frase improvvisata, coerente nei frequenti richiami bop. Di grande intensità i dialoghi che Pramotton instaura con i suoi compagni d’avventura: in particolare Marchesano lo segue spesso all’unisono oltre che prodursi in alcuni notevoli riff di sapore metallico e in ostinati con l’archetto mentre il sostegno ritmico di Stolfi, pur alle volte di impronta rock, appare comunque pertinente e trascinante. Il repertorio è tutto originale eccezion fatta per il celebre “Caravan” porto con originalità.

Niño Baliardo – Picasso” – chant du monde

Niño Baliardo – Picasso” – chant du monde

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Edito da “chant du monde” ecco questo album di Niño Baliardo accompagnato dalla sua “Gipsy Dynasty”, ovvero un gruppo di musicisti ad organico variabile comprendente chitarristi, bassisti, percussionisti, violinisti, vocalist e un pianista. La musica è quella fatta conoscere dai “Gipsy King”…ed in effetti esiste uno strettissimo legame tra queste due formazioni. Fu Niño Baliardo nei primissimi anni ’80 a fondare per l’appunto i Gipsy King assieme al cugino Nicolas Reyes, Tonino Baliardo, Diego Baliardo, “Patchai” Reyes e Paul “Pblo Reyes” e a portare al successo internazionale brani come “Djobi Djoba”; poi, dopo molti anni, Niño ha deciso di lasciare il gruppo che a suo avviso si stava troppo allontanando dagli originali ideali ed eccolo dunque alla testa della “Gipsy Dinasty”. A questo punto vale forse la pena spendere due parole su Niño Baliardo: suo padre – Hyppolite Baliardo nato a Sète nel 1920 e deceduto il 26 maggio del 2009 – ha avuto un ruolo fondamentale nell’ambito della musica gitana d’origine spagnola essendo universalmente riconosciuto come il più significativo esponente della cosiddetta Rumba Catalana. Nel ’50 fonda il gruppo “Los Baliardos” nel cui ambito si rivelerà poco più tardi anche il fratello Ricardo. Nel 1968 Los Baliardos vengono inviatati dal segretario generale dell’ONU, U Thant, a partecipare al gala annuale dell’organizzazione e in questa occasione sono accompagnati da due tra i loro più grandi estimatori, Pablo Picasso e il di lui amico Lucien Clergue, fotografo. Così i fratelli Baliardo diventano gli ambasciatori nel mondo del popolo gitano. Ed è proprio a questi due grandi uomini, Pablo Picasso e Hyppolite Baliardo, che il figlio, Niño, vuole rendere omaggio attraverso questo album assieme a quell’insieme di musicisti cui prima si faceva cenno raggruppati sotto l’insegna di “Gipsy Dinasty”. Il gruppo si muove lungo le coordinate tracciate nel tempo dalla rumba catalana, una sorta di ibrido nata dall’incontro tra la rumba flamenca e formule ritmiche che si rifanno al mambo e alla rumba cubana, mentre il vocalismo del leader resta ancorato al canto Jondo, uno stile tradizionale flamenco-andaluso particolarmente vivo nell’animo gitano.

Adam Fairhall – “The Imaginary Delta”

Adam Fairhall – “The Imaginary Delta”

Adam Fairhall – “The Imaginary Delta” – Slamcd289
Davvero un album assai interessante questo del pianista Adam Fairhall, che riesce a coniugare, con grande gusto, echi del primo jazz, del blues e del ragtime con stilemi propri del jazz improvvisato. “The Imaginary Delta” venne commissionato dal Manchester Jazz Festival e registrato dal vivo al “The Band on The Wall” nella città inglese durante la sua prima esecuzione, il 26 e 27 luglio del 2011. Protagonista un settetto di ottimi improvvisatori inglesi guidato con mano sicura da Adam autore anche di questa sorta di suite che si articola attraverso sei brani. Il percorso tracciato da Fairhall è entusiasmante: il pianista, oltre al normale pianoforte, usa uno strumento preparato ed inoltre inserisce nelle esecuzioni delle frasi tratte da precedenti registrazioni, giungendo, così, ad effetti sonori assolutamente inediti. Come si accennava in precedenza, il risultato è di ascoltare, in una sorta di ribollente calderone non privo,comunque, di una sua logica, una varietà di stili, di idiomi, di vecchi e nuovi linguaggi con le loro caratteristiche peculiari. Così, ad esempio, per rievocare il passato, oltre ai già detti inserimenti, vengono usati strumenti arcaici come il “diddley bow” di origine africana (per darvi un’idea, somiglia in qualche modo al berimbau brasiliano) mentre sul versante dell’attualità ritroviamo effetti elettronici, laptop e giradischi. Alla fine diventa difficile distinguere la musica attuale dai vecchi estratti. Il tutto trattato con molta delicatezza, senza alcun intento ironico ma evidenziando grande rispetto verso una musica senza di cui non ci sarebbe stato il jazz odierno. In questo senso gli impasti sonori, prodotti dai fiati, rappresentano forse la parte migliore degli arrangiamenti in quanto determinano un clima d’attesa nei confronti di un certo risvolto retro che, poco dopo, puntualmente arriva.

Antonio Faraò – “Domi”

Antonio Faraò – “Domi”

Antonio Faraò – “Domi” – cristal CR189
Anche nel mondo del jazz accade sovente che giovani, segnalatisi come delle vere e proprie promesse, alla lunga deludano ricadendo nell’anonimato. Antonio Faraò non appartiene a questa categoria: premiato come nuovo talento nel 1987 e vincitore come pianista dell’anno del premio Four Roses nel 1991, ha cominciato ad incidere come leader già nel 1990, raccogliendo unanimi consensi ed un giudizio particolarmente positivo da parte di Kenny Kirkland che lo ha considerato “uno dei migliori giovani pianisti apparsi sulla scena”. Sono passati parecchi anni e il pianista milanese ha del tutto confermato le premesse tanto da essere a ben ragione visto come uno dei migliori interpreti del pianismo jazz europeo. Quest’ottimo album (il primo che il pianista incide per la Cristal) ne è l’ennesima conferma. Faraò si presenta in trio con il batterista francese André Ceccarelli e il bassista Darryl Hall. Evidenziando una squisita sensibilità, non solo musicale, Faraò, come spiega egli stesso, dedica l’album “interamente al mio dolce figlio Dominique e a tutti i bambini del mondo. Vorrei ricordare inoltre i 44 bambini di Izieu assassinati crudelmente durante la 2° Guerra Mondiale ai quali ho dedicato il brano dal titolo “Izieu” “. Partendo da simili premesse la musica non può che essere impostata sul versante intimista e raffinato senza mai cadere nel facile ascolto. Così, fin dal primo pezzo, “Something”, Faraò mette in mostra le sue doti, vale a dire uno stile raffinato, ovviamente ispirato dai grandi del passato ma di sicura originalità, un tocco lirico ma allo stesso tempo swingante e percussivo, una estrema facilità di fraseggio che lo porta ad improvvisare con facilità, una bella indipendenza delle due mani. Doti che risalteranno evidenti per tutta la durata dell’album unitamente ad una felice vena compositiva dal momento che tutti e dieci i brani del cd sono stato da lui scritti ( il solo “Free dialog” assieme a Ceccarelli ed Hall). Particolarmente intensi e coinvolgenti i due pezzi dedicati ai bambini cui sopra si faceva riferimento.

Claudio Fasoli, Luca Garlaschelli – “Duology”

Claudio Fasoli, Luca Garlaschelli – “Duology”

Claudio Fasoli, Luca Garlaschelli – “Duology” – RadioSNJ 025
Il sassofonista Claudio Fasoli appartiene a quella non folta schiera di musicisti in grado di affrontare qualsivoglia sfida con la sicurezza di uscirne bene. Questa volta il musicista veneziano si misura con la formula del duo cameristico unitamente al contrabbassista Luca Garlaschelli ed il risultato è semplicemente magnifico. I due presentano un repertorio in cui gli originals, scritti da ambedue, si alternano a standards ed è una novità nella discografia di Fasoli dal momento che il sassofonista solo una volta, prima d’ora, si era prodotto nella registrazione di standards; in “Duology” i quattro brani celebri scelti sono accomunati dalla bellezza della linea melodica e ovviamente vengono rivisitati secondo la logica che sottende tutto l’album. Una logica che vede i due musicisti interagire in modo straorinario, senza orpelli, inutili abbellimenti, ma andando direttamente alla radice della musica, cercando ogni frammento nascosto, valorizzando al meglio ogni nota e soprattutto fornendo un vero e proprio saggio di quel che in musica vogliono dire interpretazione ed espressività. Così, ad esempio, si parte con il celeberrimo “How in sensitive” di Jobim, De Moraes: dopo l’introduzione e l’esposizione del tema, i due percorrono le strade dell’improvvisazione senza perdere il filo del discorso, sempre sorretti dall’urgenza espressiva che li spinge a suonare in quelle determinate modalità. Di qui un’evidente ricerca sul linguaggio per cui i due intraprendono un cammino che, consapevolmente, li porta lontani da melopee di consumo per ritrovare una musica come afferma il contrabbassista “espressione urgente e vera di chi la produce, frutto di passione, disciplina, lavoro studio e talento”. E per capire quanto tali idee trovino un riscontro nell’album si ascoltino l’originale “Il romanzo di Aldo” di Luca Garlaschelli dal vago sapore tanguero e il bellissimo “Invitation” di Kaper e Webster.

Ahmad Jamal – “Blue Moon”

Ahmad Jamal – “Blue Moon”

Ahmad Jamal – “Blue Moon” – Jazz Village 570001
Non c’è dubbio alcuno che Ahmad Jamal, giunto alla considerevole età di 82 anni, sia da considerare uno dei pianisti più importanti della storia del jazz. E’ altresì indubbio che il meglio di sé il pianista lo abbia già espresso nelle storiche incisioni effettuate per la “Chess” e l’ “Impulse!” per cui è ben difficile attendersi qualcosa di meglio dai suoi nuovi album. A questa regola non sfugge “Blue Moon” senza, però, che questo infici la validità di questa nuova produzione. In effetti, dopo “A Quiet Time” (Dreyfus Records) del 2010, anche questo “Blue Moon” si situa su livelli di eccellenza e per più di un motivo. Innanzitutto la validità del gruppo che rispetto al precedente album ripresenta Manolo Badrena alle percussioni mentre Reginal Veal al contrabbasso ed Herlin Riley alla batteria rimpiazzano, rispettivamente, James Cammack e Kenny Washington. E’ da sottolineare la perfetta intesa creatasi durante la seduta di registrazione tra Riley e Badrena: ci sono dei momenti in cui i due interagiscono talmente bene da costituire un tutt’uno, come un musicista dalle mille braccia capace di suonare allo stesso tempo batteria e percussioni. In secondo luogo la varietà e complessità del repertorio comprendente tre composizioni del pianista (“Autumn rain”, “I remember Italy” e “Morning mist”) ed una serie di standards che Jamal interpreta con la solita verve ed originalità. Così da “Blue Moon” a “Invitation”, da “Laura” a “Woody’n you” è una vera e propria cavalcata attraverso alcuni dei temi più conosciuti del jazz reinterpretati dal quartetto con assoluta originalità. Presentare degli standards è sempre impresa ardua in quanto i termini di paragone sono moltissimi; ebbene Jamal riesce sempre ad entusiasmarci con questi brani mettendo ancora una volta in mostra le caratteristiche che gli sono peculiari: eleganza del tocco, lirismo, un gusto sofisticato nel fraseggio tramite accordi, la ricca armonizzazione, le immutate possibilità improvvisative, un eccellente senso della costruzione sorretto tra l’altro da un grande controllo della dinamica.

The Barcode Quartet – “You’re it!”

The Barcode Quartet – “You’re it!”

The Barcode Quartet – “You’re it!” – Slamcd288
Ecco un quartetto votato alla musica improvvisata e composto dalla vocalist Annette Giesriegl, dalla violinista Alison Blunt, dalla pianista Elizabeth Harnik e dal batterista Josef Klammer. I quattro vantano curriculum e provenienze differenziati: così la vocalist, austriaca di Graz, ha compiuto approfonditi studi di tecnica vocale passando attraverso la musica indiana e il jazz per approdare alla musica improvvisata. La violinista, nativa di Mombasa (Kenya) vive invece a Londra e dopo una solida preparazione classica si è dedicata interamente all’improvvisazione tanto che oggi la troviamo inserita in ensembles prestigiosi quali la London Improvisers Orchestra e la Berlin Improvisers Orchestra. Egualmente austriaca la pianista la quale, nonostante sia nota per le sue improvvisazioni, ha tuttavia scritto musica da camera e per il teatro ivi compresa l’opera “Kugelstein,” su libretto di Olga Flor; il suo cd per piano solo, “Irrt, irrt das ohr” ha ottenuto lusinghieri apprezzamenti. Il compositore, batterista e percussionista Josef Klammer è attualmente considerato uno dei musicisti più originali e innovativi della nuova scena musicale austriaca. I quattro propongono una musica totalmente improvvisata, in cui è assai difficile individuare un qualsivoglia punto di riferimento che non sia l’attacco: da questo momento i quattro navigano in mare aperto avendo come unico appiglio l’attento ascolto l’uno dell’altro. Così la vocalist prende spesso il pallino in mano per lanciarsi in volute non facili ma prontamente riprese ora dal piano ora dal violino mentre il batterista riesce a dare una certa unità al tutto grazie alla straordinaria maestria con cui utilizza i colori dei suoi strumenti. Il repertorio presenta dieci brani: nove vengono eseguiti in quartetto, nell’ultimo si aggiunge un altro austriaco, Deno Kaufmann specialista dell’esraj, uno strumento indiano a corde dal suono particolarmente delicato.

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