I NOSTRI LIBRI

Camilla Poesio – “Tutto è ritmo, tutto è swing”- Quaderni di storia – Le Monnier – pgg.175 – € 14,00
Mai volume fu più attuale, forse al di là delle stesse intenzioni dell’autrice. In un momento storico in cui si parla tanto di fascismo, come se le camice nere fossero nuovamente in agguato alle porte di Roma, Camilla Poesio, Dottore di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in cotutela con la Freie Universität di Berlino, ci ricorda in poche pagine cos’era realmente il fascismo. Un regime liberticida, in cui nessuna forma di dissenso era tollerata, un regime che invadeva pesantemente ogni aspetto della vita del cittadino, decidendo per lui cosa fare, quali divertimenti scegliere, con quali restrizioni e quali permessi. Un regime che pretendeva addirittura di comandarti quali canzoni ascoltare e quali no, che censurava anche i titoli dei pezzi americani…arrivando al ridicolo di italianizzare “St. Louis Blues” in ” La tristezza di San luigi”.
Ebbene la Poesio incentra la sua analisi su quale fu, in quegli anni, la sorte del jazz nel nostro Paese, e lo fa con lucidità e precisione. Il jazz era giunto nel nostro Paese con i transatlantici di ritorno da New York, con gli emigrati, le grandi orchestre in tournée, i balli ma soprattutto la radio e il cinema. Per non parlare del fatto che alcuni illustri esponenti della nuova musica, quali Cole Porter, soggiornarono per un certo lasso di tempo, in alcune località italiane quali Venezia.
Ecco quindi uno scenario per lo meno contraddittorio al cui interno le autorità dominanti da un lato cercano di impedire la diffusione del jazz come musica proveniente dagli States, dall’altro, però, si rendono conto che questa musica fa presa sugli ascoltatori italiani, specie i più giovani, e cercano quindi di limitare i danni. Cosa fare, dunque? Giocando di sponda anche con la Chiesa che cannoneggia un giorno sì e l’altro pure contro i nuovi ritmi considerandoli amorali e pericolosi, il regime fascista cerca di incorporare nel suo seno anche queste nuove espressioni artistiche ma non ci riesce ché anche sotto le spire di una censura sempre più opprimente, il jazz conserva una propria identità con cui poi giunge sino ai nostri giorni.
Tutto ciò lo trovate ben illustrato nel libro in oggetto che caldamente raccomandiamo a chi segue queste vicende. Il volume è corredato da una ricca bibliografia e da un utile indice analitico
Un’ultima notazione di carattere metodologico: bisogna una volta per tutte mettersi d’accordo sulle note. Sono importanti o no? Se un autore le mette, e in gran quantità come in questo caso, è perché ritiene che debbano essere lette. Allora perché riunirle tutte alla fine del volume costringendo il lettore volenteroso ad un avanti e indietro con le pagine che alla fine ti stanca e lasci perdere? Non sarebbe molto più opportuno collocarle a piè di pagina?

Neri Pollastri – “Riccardo Tesi – Una vita a bottoni” – Squilibri – pgg 306 con CD – € 22,00

Ho conosciuto Riccardo Tesi nel 1994 a Sassari mentre stava registrando un disco, per altro molto bello, “Islà”, con un gruppo comprendente tra gli altri, Enzo Favata, Marcello Peghin, Federico Sanesi e Salvatore Maiore. Ne ebbi subito un’ottima impressione non solo del musicista, straordinariamente bravo ed originale tanto da essere considerato già allora il migliore organettista italiano, ma anche dell’uomo, aperto, cordiale, simpatico, che se aveva qualcosa da dire te la comunicava senza tanti orpelli.

Devo dire che questa impressione mi è stata confermata tutte quelle volte – in realtà non moltissime – in cui ci siamo successivamente incontrati. Ed in tutti questi anni Tesi si è costruito una solida reputazione affermandosi come uno dei musicisti più autorevoli della scena world europea, un musicista capace di far dialogare le sonorità “contadine” dell’organetto con il rock e con i più sofisticati linguaggi del jazz, della musica colta. Il tutto impreziosito dalle numerose collaborazioni con musicisti di assoluto livello internazionale quali, tanto per fare qualche nome, Caterina Bueno, Patrick Vaillant, Kepa Junkera, Gabriele Mirabassi e Gianlugi Trovesi. Ed è lo stesso Tesi a spiegare questo suo percorso: “ho studiato la musica del centro-sud Italia, quella sarda, ma poi ho capito che non sarei mai potuto diventare un musicista tradizionale. Ed è allora, quando mi sono messo a cercare la mia strada, che sono riaffiorati anche tutti i ricordi delle tante musiche che avevo ascoltato in passato: il rock, il jazz, la canzone d’autore, musiche distanti ma unite da un denominatore comune, il Mediterraneo, inteso come pensiero e come sensibilità”.

E’ quindi con grande piacere che mi sono accinto a leggere questo volume di Neri Pollastri sicuro di ritrovarvi tutte quelle caratteristiche umane e artistiche che ai miei occhi avevano caratterizzato Riccardo Tesi. E le mie attese non sono andate deluse.

Con quello stile essenziale e chiaro che lo contraddistingue, Neri Pollastri racconta la carriera di Tesi. Il volume è articolato in ben 30 capitoli che corrispondono grosso modo ad altrettanti momenti della vita artistica del musicista. Si parte, così, dai “primi passi con Caterina Bueno” per chiudere con un contributo di Ezio Guaitamacchi, critico musicale. In mezzo le varie tappe della carriera di Tesi raccontate con dovizia di particolari, impreziosite da un canto da interventi dello stesso Tesi, dall’altro da testimonianze di vari personaggi che con lui hanno collaborato. Ma non basta ché spinto dalla necessità di argomentare al meglio i contenuti del volume, Neri Pollastri illustra brevemente la storia dell’organetto, mentre Tesi ci racconta la bontà degli strumenti costruiti dalla ditta Castagnari, sul mercato da generazioni.

Prima del già citato contributo di Guaitamacchi, il volume contiene una interessante intervista dello stesso Neri Pollastri a Riccardo Tesi nel tentativo, all’approssimarsi del sessantesimo compleanno dell’artista, di “capire meglio l’uomo e il musicista rivolgendogli alcune domande dirette non solo su questioni artistiche ma anche personali e umane”.

Il volume è completato dagli spartiti di “Fulmine” e “Pomodhoro”, due brani di Riccardo Tesi, una ben articolata discografia (comprendente anche le collaborazioni), un ricco corredo fotografico e soprattutto un cd di brani selezionati che illustrano assai bene l’arte di Riccardo.

Gerlando Gatto

Gente di Jazz: una nuova recensione del critico musicale Neri Pollastri pubblicata su All About Jazz Italia

Il libro del nostro direttore Gerlando Gatto continua a far parlare di se. Dopo la seconda ristampa e numerosi riscontri da parte della critica e dei lettori, arriva questa pregevole ed accurata recensione scritta dal critico musicale toscano Neri Pollastri e pubblicata sul sito All About Jazz Italia (qui il link), che ringraziamo per averci concesso l’autorizzazione a pubblicarla anche sul nostro portale. Ecco la versione integrale:

Gerlando Gatto: Gente Di Jazz

 

Neri Pollastri By NERI POLLASTRI

Gente di Jazz
Gerlando Gatto
232 pagine
KappaVu
2017

“In questo volume Gerlando Gatto -catanese trapiantato a Roma, che di jazz si è occupato fin dai suoi esordi giornalistici risalenti ai primi anni Settanta e oggi una delle firme storiche del jazz italiano -raccoglie alcune delle sue numerosissime interviste con musicisti realizzate nel corso degli anni, selezionandole sulla base di un criterio solo in parte accidentale: la loro partecipazione a Udin&Jazz, festival che si tiene nella città friulana da oltre un quarto di secolo.

Le interviste, raccolte secondo l’ordine alfabetico degli interlocutori, hanno datazioni assai diverse tra loro: talune sono recentissime, molte risalgono agli anni Novanta, talaltre sono ancora precedenti. In alcuni casi -per esempio quelli Enrico Pieranunzi e Gonzalo Rubalcaba -le interviste sono più di una per musicista e permettono così di confrontare periodi diversi della loro carriera artistica.

Gli artisti intervistati sono sia italiani, sia stranieri, spesso di primissimo piano -come nel caso di Enrico RavaStefano BattagliaStefano BollaniPaolo FresuFranco D’AndreaGiancarlo SchiaffiniFrancesco Bearzatti -sia meno noti ma non per questo meno valenti -come Claudio CojanizDario Carnovale, Antonio Onorato, Massimo De MattiaEnzo Favata. Non mancano altri nomi storici del jazz italiano, come Claudio FasoliRoberto GattoRosario BonaccorsoMaurizio Giammarco, mentre tra gli stranieri si trovano alcune autentiche “chicche,” quali Mino CineluMcCoy TynerMartial SolalMichel Petrucciani e Joe Zawinul.

Lo stile delle interviste è estremamente semplice, diretto e colloquiale, frutto anche della modalità in cui sono state effettuate: spesso a margine dei concerti, con un approccio ai musicisti aperto ma anche di timido rispetto, talvolta addirittura a casa dell’intervistatore, a Roma, come nel caso di quelle di apertura -con Battaglia -e chiusura -con Zawinul, diventato quasi un amico di famiglia con un curioso rapporto con la madre di Gatto, pur nella totale incomunicabilità linguistica. Un tal tipo di approccio da un lato favorisce la stesura di pagine molto vive e per il lettore assai stimolanti, dall’altro è molto produttivo nella relazione con gli artisti, i più riflessivi e/o brillanti dei quali, infatti, offrono nel dialogo dei contributi decisamente interessanti.

Ciò accade per esempio nel caso di Battaglia, che parlando del suo passaggio da musicista classico a improvvisatore offre interessanti spunti sulla continuità e la differenza tra i due ambiti musicali; in quello di Bollani, che con le sue modalità schiette e paradossali si spinge anche oltre la musica e prende singolari e interessanti posizioni in campo sociale e, in un certo senso, anche politico; di D’Andrea, che con poche pennellate spiega da dove provenga il suo così rigoroso e al tempo stesso originalissimo mondo musicale; di Rava, che regala alcuni illuminanti aneddoti tratti dalla storia dell’ultimo mezzo secolo di questa musica; di Schiaffini, che condivide alcune lucide riflessioni, tra l’ironico e l’amaro, sullo stato del pubblico e delle istituzioni musicali, ma anche delle belle parole sul senso dell’improvvisazione.

Tutte le interviste sono godibili e interessanti, possibile strumento di comprensione di questa musica non solo per chi ne sia appassionato, ma anche per chi voglia avvicinarla -cosa, com’è noto, spesso per i più non semplicissima -grazie alla presenza di alcuni “fili rossi” che tornano spesso nelle conversazioni, quali lo sviluppo della musica jazz e i suoi rapporti con il pop e la classica, il senso dell’improvvisazione e le sue diverse forme, le ragioni della difficile diffusione di questa musica, le perversioni del mercato e delle istituzioni musicali. Temi, questi, toccati in modo spesso molto diverso (anche per la diversità dei momenti in cui ciascuna intervista è stata effettuata), ma che proprio per questo possono essere compresi in modo più sfaccettato.

Il bel volume, pubblicato dalla casa editrice KappaVu di Udine e già arrivato alla seconda edizione, è completato da una prefazione di Paolo Fresu e da una postfazione di Fabio Turchini, collaboratore di Udin&Jazz che ne riassume lo spirito delle ventisei edizioni, ed è corredato dalle foto di Luca D’Agostino, fotografo storico della rassegna.

In questo volume Gerlando Gatto – catanese trapiantato a Roma, che di jazz si è occupato fin dai suoi esordi giornalistici risalenti ai primi anni Settanta e oggi una delle firme storiche del jazz italiano – raccoglie alcune delle sue numerosissime interviste con musicisti realizzate nel corso degli anni, selezionandole sulla base di un criterio solo in parte accidentale: la loro partecipazione a Udin&Jazz, festival che si tiene nella città friulana da oltre un quarto di secolo.

Le interviste, raccolte secondo l’ordine alfabetico degli interlocutori, hanno datazioni assai diverse tra loro: talune sono recentissime, molte risalgono agli anni Novanta, talaltre sono ancora precedenti. In alcuni casi -per esempio quelli Enrico Pieranunzi e Gonzalo Rubalcaba -le interviste sono più di una per musicista e permettono così di confrontare periodi diversi della loro carriera artistica.

Gli artisti intervistati sono sia italiani, sia stranieri, spesso di primissimo piano -come nel caso di Enrico RavaStefano BattagliaStefano BollaniPaolo FresuFranco D’AndreaGiancarlo SchiaffiniFrancesco Bearzatti -sia meno noti ma non per questo meno valenti -come Claudio CojanizDario Carnovale, Antonio Onorato, Massimo De MattiaEnzo Favata. Non mancano altri nomi storici del jazz italiano, come Claudio FasoliRoberto GattoRosario BonaccorsoMaurizio Giammarco, mentre tra gli stranieri si trovano alcune autentiche “chicche,” quali Mino CineluMcCoy TynerMartial SolalMichel Petrucciani e Joe Zawinul.

Lo stile delle interviste è estremamente semplice, diretto e colloquiale, frutto anche della modalità in cui sono state effettuate: spesso a margine dei concerti, con un approccio ai musicisti aperto ma anche di timido rispetto, talvolta addirittura a casa dell’intervistatore, a Roma, come nel caso di quelle di apertura -con Battaglia -e chiusura -con Zawinul, diventato quasi un amico di famiglia con un curioso rapporto con la madre di Gatto, pur nella totale incomunicabilità linguistica. Un tal tipo di approccio da un lato favorisce la stesura di pagine molto vive e per il lettore assai stimolanti, dall’altro è molto produttivo nella relazione con gli artisti, i più riflessivi e/o brillanti dei quali, infatti, offrono nel dialogo dei contributi decisamente interessanti.

Ciò accade per esempio nel caso di Battaglia, che parlando del suo passaggio da musicista classico a improvvisatore offre interessanti spunti sulla continuità e la differenza tra i due ambiti musicali; in quello di Bollani, che con le sue modalità schiette e paradossali si spinge anche oltre la musica e prende singolari e interessanti posizioni in campo sociale e, in un certo senso, anche politico; di D’Andrea, che con poche pennellate spiega da dove provenga il suo così rigoroso e al tempo stesso originalissimo mondo musicale; di Rava, che regala alcuni illuminanti aneddoti tratti dalla storia dell’ultimo mezzo secolo di questa musica; di Schiaffini, che condivide alcune lucide riflessioni, tra l’ironico e l’amaro, sullo stato del pubblico e delle istituzioni musicali, ma anche delle belle parole sul senso dell’improvvisazione.

Tutte le interviste sono godibili e interessanti, possibile strumento di comprensione di questa musica non solo per chi ne sia appassionato, ma anche per chi voglia avvicinarla -cosa, com’è noto, spesso per i più non semplicissima -grazie alla presenza di alcuni “fili rossi” che tornano spesso nelle conversazioni, quali lo sviluppo della musica jazz e i suoi rapporti con il pop e la classica, il senso dell’improvvisazione e le sue diverse forme, le ragioni della difficile diffusione di questa musica, le perversioni del mercato e delle istituzioni musicali. Temi, questi, toccati in modo spesso molto diverso (anche per la diversità dei momenti in cui ciascuna intervista è stata effettuata), ma che proprio per questo possono essere compresi in modo più sfaccettato.

Il bel volume, pubblicato dalla casa editrice KappaVu di Udine e già arrivato alla seconda edizione, è completato da una prefazione di Paolo Fresu e da una postfazione di Fabio Turchini, collaboratore di Udin&Jazz che ne riassume lo spirito delle ventisei edizioni, ed è corredato dalle foto di Luca D’Agostino, fotografo storico della rassegna. ”

courtesy: All About Jazz Italia – thanks to Neri Pollastri, author

A Napoli, Palazzo San Teodoro, la prossima presentazione di “Gente di Jazz” di Gerlando Gatto (ed. KappaVu/Euritmica)

Seconda ristampa per il libro “Gente di Jazz” – interviste e personaggi dentro un festival jazz – (edizioni KappaVu/Euritmica, 2017), scritto dal nostro direttore Gerlando Gatto. Il volume, che contiene la prefazione di Paolo Fresu, notissimo trombettista sardo, la postfazione del filosofo e intellettuale Fabio Turchini e le immagini del fotografo di spettacolo Luca d’Agostino, arriva dunque a Napoli, dopo l’anteprima al Salone Internazionale del Libro di Torino e la recente e molto partecipata presentazione alla Feltrinelli di Roma.

Martedì 24 ottobre, Gente di Jazz e il suo autore saranno nel capoluogo partenopeo, nelle sale di Palazzo San Teodoro, storica dimora che si trova all’inizio della Riviera di Chiaia, la zona residenziale a ridosso del lungomare (Riviera di Chiaia 281. I posti sono limitati e gli ingressi su invito con lista nominale. Per gli accrediti stampa e gli inviti contattare l’Ufficio Stampa dell’evento +39 339 4510118 o inviare una mail a stampa@euritmica.it.

L’autore dialogherà con il filosofo napoletano, giornalista ed esperto di jazz Marco Restucci (che ha di recente pubblicato un libro dal titolo “Dioniso a New Orleans. Nietzsche e il tragico nel jazz”, Albo Versorio), con Giancarlo Velliscig, direttore artistico di Udin&Jazz e con il chitarrista Antonio Onorato, presente con un’intervista in Gente di Jazz. Antonio, artista di fama internazionale – da pochi giorni è uscito il suo ultimo progetto discografico “Vesuvio Blues” (Blumusic International) – porterà il suo contributo all’evento anche attraverso alcuni interventi musicali… rigorosamente improvvisati, come nella miglior tradizione del jazz!

“Gente di Jazz” raccoglie una serie di dialoghi tra Gerlando Gatto e un gruppo di musicisti che, in epoche anche molto diverse, hanno partecipato al Festival udinese, che conta già ben 27 edizioni.  In ordine strettamente casuale, gli artisti presenti sono: Stefano Bollani, Michel Petrucciani, McCoy Tyner, Danilo Rea, Enrico Pierannunzi, Gonzalo Rubalcaba, Francesco Bearzatti, Giancarlo Schiaffini, Enrico Rava, Claudio Cojaniz, Enzo Favata, Antonio Onorato, Cedar Walton, Joe Zawinul, Franco D’Andrea, Roberto Gatto, Massimo De Mattia, Rosario Bonaccorso, Stefano Battaglia, Mino Cinelu, Claudio Fasoli, Paolo Fresu, Maurizio Giammarco, Martial Solal, Dario Carnovale.

Gerlando Gatto descrive così la sua opera, raccontando anche un recente aneddoto: “il libro contiene parte delle fatiche che ho dedicato alla musica nel corso di questi 40 anni. In particolare mi è sempre piaciuto intervistare, e non solo personaggi famosi ma anche giovani talentuosi cercando di far emergere attraverso le loro risposte non tanto l’artista quanto l’uomo, la donna, il ragazzo, il fanciullo che si nasconde dietro il personaggio pubblico. Inoltre nel poco tempo di un’intervista ho cercato comunque di instaurare un dialogo che andasse un pochino al di là del semplice rapporto tra domanda e risposta e devo dire che in alcuni casi ci sono riuscito.  A riguardo voglio raccontarvi un episodio accaduto poco tempo fa. Siamo in estate, e alla Casa del Jazz di Roma suonano in concerto Rita Marcotulli e Mino Cinelu, che è uno dei più grandi percussionisti del jazz e la cui foto figura nella copertina del libro. Decido di andare a sentire il concerto e strada facendo parliamo con mia moglie di Mino, che avevo intervistato in Martinica nel lontano ’92 senza più rivederlo. Il dilemma era: dopo tutti questi anni di lontananza, mi avrebbe riconosciuto oppure no? Mia moglie diceva di no, mentre io sostenevo il contrario, dato che in Martinica avevamo trascorso belle giornate assieme. Arriviamo alla Casa del Jazz proprio alla fine del soundcheck. Io salgo sul palco per salutare Mino che si trova esattamente nella parte opposta. Lui alza la testa e appena mi vede mi dice semplicemente: “Quanto tempo!”. Poi si avvicina, mi abbraccia e cominciamo a parlare come se ci fossimo visti ieri. È stato bellissimo, commovente.”

In Gente di Jazz  le personalità dei musicisti emergono, quindi, sul piano artistico ma specialmente su quello umano, facendo affiorare tutta la bellezza, la genialità, il valore, anche sociale, di questo genere musicale.

Il volume è disponibile in tutte le librerie, online sul sito della casa editrice Kappavu http://shop.kappavu.it/, sui siti di Feltrinelli, Mondadori, Amazon, Unilibro, Hoepli. Al termine della presentazione è previsto il tradizionale firma copie.

Seconda ristampa per “Gente di Jazz” il libro di Gerlando Gatto e in ottobre due importanti presentazioni a Roma e a Napoli

Noi della redazione di A Proposito di Jazz siamo particolarmente felici di annunciare la seconda ristampa del libro “Gente di Jazz” – interviste e personaggi dentro un festival jazz – (edizioni KappaVu/Euritmica, 2017), scritto dal nostro direttore Gerlando Gatto. Il volume, che contiene la prefazione di Paolo Fresu, celebre trombettista sardo e grande amico di Udin&Jazz, la postfazione del filosofo e intellettuale friulano Fabio Turchini e le immagini del fotografo Luca d’Agostino, sarà presentato, dopo l’anteprima al Salone Internazionale del Libro di Torino a maggio, nelle città di Roma e Napoli.

Giovedì 12 ottobre, alle 18:00 (ingresso libero) Gerlando Gatto sarà presente alla Feltrinelli Libri&Musica di Largo di Torre Argentina 5/A a Roma, una catena di librerie sempre in prima linea nella divulgazione in toto della cultura. Con lui, a illustrare l’opera, il direttore artistico di Udin&Jazz, Giancarlo Velliscig, i giornalisti e critici musicali Maurizio Favot e Luigi Onori (che scrive anche su questa testata) e i musicisti Maurizio Giammarco e Giancarlo Schiaffini, le cui interviste sono pubblicate all’interno del libro.

Martedì 24 ottobre, Gente di Jazz e il suo autore si spostano a Napoli, nelle sale di Palazzo San Teodoro, un’antica residenza gentilizia, progettata dall’architetto toscano Guglielmo Bechi (lo stesso di Villa Pignatelli), che ha realizzato un’autentica opera d’arte: tre piani in stile neoclassico, dalle intense tonalità cromatiche rosso-pompeiane. La dimora si trova all’inizio della Riviera di Chiaia, la zona residenziale a ridosso del lungomare di Napoli (Riviera di Chiaia 281 – posti limitati; ingressi su invito con lista nominale. Per gli accrediti stampa e gli inviti contattare l’Ufficio Stampa dell’evento +39 339 4510118 o inviare una mail a stampa@euritmica.it ).

Nella città della sirena Parthenope, l’autore dialogherà con il filosofo ed esperto di jazz Marco Restucci (anch’egli autore di un libro, di recente pubblicazione, dal titolo “Dioniso a New Orleans. Nietzsche e il tragico nel jazz”, Albo Versorio), con il già citato Giancarlo Velliscig, nella duplice veste di direttore artistico di Udin&Jazz ed editore (la pubblicazione è edita da KappaVu/Euritmica, Udine) e con il chitarrista Antonio Onorato, anch’egli presente con un’intervista in Gente di Jazz. Antonio, artista di fama internazionale, porterà il suo contributo all’evento anche attraverso alcuni interventi musicali… rigorosamente improvvisati, come nella miglior tradizione del jazz!

“Gente di Jazz” raccoglie una serie di interviste e dialoghi tra il nostro direttore, infaticabile promotore della musica jazz e un gruppo di musicisti che, in epoche anche molto diverse, hanno partecipato al Festival Udin&Jazz; li citiamo, in ordine strettamente casuale: Stefano Bollani, Michel Petrucciani, McCoy Tyner, Danilo Rea, Enrico Pierannunzi, Gonzalo Rubalcaba, Francesco Bearzatti, Giancarlo Schiaffini, Enrico Rava, Claudio Cojaniz, Enzo Favata, Antonio Onorato, Cedar Walton, Joe Zawinul, Franco D’Andrea, Roberto Gatto, Massimo De Mattia, Rosario Bonaccorso, Stefano Battaglia, Mino Cinelu, Claudio Fasoli, Paolo Fresu, Maurizio Giammarco, Martial Solal, Dario Carnovale.

Gerlando, al di là della sua indiscutibile competenza, è persona sensibile e curiosa. Queste peculiarità fanno certamente la differenza nelle sue interviste, particolarità che si nota soprattutto nel taglio dato alle domande che egli rivolge, dove le personalità dei musicisti emergono sia sul piano artistico ma specialmente su quello umano. In Gente di Jazz affiora tutta la bellezza, la genialità, il valore, anche sociale, di questo genere musicale che, non dimentichiamolo, nacque grazie agli schiavi africani deportati negli Stati Uniti e ai loro canti di protesta.

Gente di Jazz è disponibile in tutte le librerie, online sul sito della casa editrice Kappavu http://shop.kappavu.it/  e sui siti di Feltrinelli, Mondadori, Amazon, Unilibro, Hoepli.

Alle presentazioni l’autore sarà ben lieto di personalizzare la vostra copia.

Con “Gente di Jazz” un’istantanea sul Jazz italiano negli ultimi anni

Nel 1973 Ian Carr, celebre trombettista fondatore e leader dei Nucleus, pubblicò un libro intitolato Music Outside – Contemporary Jazz in Britain nel quale riportò le sue conversazioni con personaggi emergenti e consolidati della scena musicale jazz britannica. Mike Westbrook, Jon Hiseman, John Stevens, Trevor Watts, Evan Parker, Mike Gibbs, Chris McGregor affrontarono a cuore aperto qualsiasi tema che ritenessero importante, dalle personali scelte artistiche, alle proprie aspirazioni (frustrate o non), alla endemica difficoltà di trovare sbocchi discografici sino a giungere alla triste realtà che, suonando solamente jazz, la vita non era facile. Riletto a distanza di anni, quel libro di interviste, fornisce molte più informazioni di qualsiasi altro trattato critico e ci restituisce un ritratto fedele e vivido del movimento jazz in Inghilterra dei primi anni Settanta.
Così come è avvenuto con Carr crediamo che Gerlando Gatto, autore di Gente di Jazz per l’editore Euritmica/Kappavu, abbia non solamente realizzato un libro di interviste, ma scattato un’istantanea sulla situazione del jazz italiano degli ultimi anni.
Molte intervista sono state realizzate nel corso delle varie edizioni di Udin&Jazz, festival di cui Gatto è assiduo frequentatore, e anche per questo molti sono i musicisti del nord est, storica fucina di talenti del jazz italiano, ad essere interpellati.
Gatto non si è limitato però solamente a dare voce ai jazzisti nazionali, ma ha anche inserito nel suo lavoro i suoi colloqui con musicisti di fama internazionale, quali Joe Zawinul, Mino Cinelu, McCoy Tyner, Martial Solal, Michel Petrucciani, Gonzalo Rubalcaba e Cedar Walton entrando spesso in dettaglio su aspetti meno noti della loro attività.

(Cedar Walton)

Gente di Jazz, quindi, risulta essere una miniera di informazioni per l’appassionato di jazz e, in generale, per chi si occupi di cultura e di spettacolo. Scopriamo così, che Stefano Battaglia ha una solida formazione classica e una conoscenza approfondita dei compositori del barocco, che il sassofonista udinese Francesco Bearzatti si è costruito una solida reputazione in Francia prima di essere conosciuto in Italia (nemo profeta in patria…), che Stefano Bollani non riesce a scindere tra jazz, improvvisazione, divertimento e spettacolo e che sa imitare molto bene Johnny Dorelli, che il contrabbassista Rosario Bonaccorso ritiene, come Leonardo da Vinci, che “la semplicità è il massimo della raffinatezza”.
Scorrendo ancora Gente di Jazz, apprendiamo di come il pianista siciliano Dario Carnovale abbia trovato la sua dimensione artistica nella tranquillità di Udine, di come Claudio Cojaniz intenda in maniera sociale il ruolo dell’artista in quanto “veicolatore di pensiero”, di come Massimo de Mattia sia stato ammaliato dai Delirium di Ivano Fossati e per questo abbia scelto il flauto come suo strumento, e di come il veneziano Claudio Fasoli, storico sassofono del Perigeo, aveva un sogno, ormai irrealizzabile, di suonare con Elvin Jones e Tony Williams. Dall’intervista con Enzo Favata emerge la sua concezione in un jazz che incontri l’anima etnica delle diverse località del globo, mentre da quella con Paolo Fresu apprendiamo che l’emozione del suonare talvolta fa scorrere delle lacrime sul volto del trombettista sardo.

(Paolo Fresu)

Il batterista romano Roberto Gatto confida all’autore il suo orgoglio per aver inciso con Chet Baker, un musicista che non amava molto i batteristi, mentre il suo compagno nei Lingomania, Maurizio Giammarco, racconta della sua eccezionale esperienza di direttore della Parco della Musica Jazz Orchestra (PMJO). Il chitarrista Antonio Onorato rivela di avere effettuato studi approfonditi sulla Napoli del 1700 e di conoscere bene tutti i musicisti di quel periodo, mentre il pianista Enrico Pieranunzi che ha fornito all’autore ben quattro interviste nel corso degli anni, confida il suo amore per Scarlatti. Enrico Rava ricorda che la sua carriera decollò dopo la registrazione per l’ECM dell’album The Pilgrim And The Star, mentre il pianista romano Danilo Rea rivela la sua ammirazione per la sintesi musicale tra tradizione e improvvisazione raggiunta dai musicisti dei paesi nordici. Infine, ultimo degli italiani, Giancarlo Schiaffini lancia un allarme sulla standardizzazione del linguaggio musicale e sull’omologazione della maniera di fare jazz.

(Enrico Rava)

Passando ai musicisti internazionali, Mino Cinelu racconta di aver parlato con Miles Davis dopo un concerto senza riconoscerlo, mentre il compianto Michel Petrucciani confida di amare Estate di Bruno Martino per la sua melodia e per le grandi possibilità di improvvisazioni che forniva. Gonzalo Rubalcaba racconta dell’importanza nel suo jazz della musica popolare cubana, mentre Martial Solal afferma di non credere nell’elettronica applicata alla musica. Anche Cedar Walton preferisce il suono acustico, mentre McCoy Tyner racconta della sua costante ricerca del nuovo. Chiude la serie delle interviste, ordinate in stretto ordine alfabetico, Joe Zawinul il quale svela che quando sopraggiunge l’ispirazione, la ragione cessa di operare.

(Joe Zawinul)

La lettura di Gente di Jazz è agile. I temi trattati nelle interviste mettono in luce la personalità dei vari artisti, le loro inclinazioni e rivelano la loro estetica musicale. Gatto ha il raro dono di riuscire a far parlare i musicisti, di metterli a loro agio cosicché questi possano davvero esprimere il loro pensiero senza remora alcuna. Questo aspetto è molto apprezzabile in quanto la spontaneità delle dichiarazioni raccolte da Gatto e le verità che queste contengono si trasmettono immediatamente al lettore e consentono a quest’ultimo di entrare in stretto contatto con la dimensione artistica dei musicisti.

Marco Giorgi per www.red-ki.com

(McCoy Tyner)

Le immagini sono di Luca A. d’Agostino/Phocus Agency ©

Il jazz italiano tra piccoli gruppi e grandi organici

a proposito di jazz - i nostri cd

Acoustic Time – “Acoustic Time” – Audio Records

acousticbAlbum di grande raffinatezza questo del trio Acoustic Time ovvero Antonella Vitale alla voce, Roberto Genovesi alla chitarra e Karl Potter alle percussioni con l’aggiunta, quale special guest, di Ruggero Artale al djembé e dun dun; ma allo stesso tempo album “prezioso” in quanto raccoglie le ultime registrazioni di Karl Potter che sarebbe morto pochi mesi più tardi di queste incisioni nel gennaio del 2013. Ma questo genere di emozione per nulla influisce sulla valutazione dell’album che, come accennavamo, si raccomanda per i suoi contenuti prettamente musicali. In possesso di una voce calda, suadente, Antonella Vitale sciorina le sua armi migliori nella presentazione di 14 brani attraverso cui ha inteso sganciarsi dal jazz, per sperimentare qualcosa di nuovo e diverso dai suoi precedenti lavori. “Interpretare canzoni degli Earth wind & Fire, o degli Eagles e poi brani come Barco Abandonado di Ennio Morricone – spiega la stessa vocalist – ha rappresentato una ricerca personale da un punto di vista tecnico vocale”. Ricerca che ha raggiunto ottimi risultati: l’atmosfera generale dell’album è gradevole dal primo all’ultimo istante, con la Vitale tutta tesa a comunicare il proprio mondo emozionale ben sostenuta dal ritmo incalzante seppure mai invadente di chitarra e percussioni. Così , ad esempio, si ascolta una versione straniante ma di grande interesse di “Stranger in Paradise” hit di molti anni fa, seguito subito dopo da “Choro pro zè” di Guinga, personaggio tra i più significativi dell’odierna musica brasiliana. E così di successo in successo, in una cavalcata attraverso la musica degli anni ’80, cavalcata interrotta solo da tre brani dovuti alla penna dei quattro protagonisti: “Andeja”  (K. Potter – R. Genovesi – A. Vitale) , “Libero” (R. Genovesi) e  “Ghirinbaduè” (R. Artale – R. Genovesi) .

Theo Allegretti – “Memorie del Principio” – Dodicilune 353

Ecco un album cui non fa certo difetto l’ambizione: rappresentare in musica un viaggio lungo un percorso che attraversa idealmente i primordi del pensiero filosofico. Di qui i titoli dei brani, sette dei quali richiamano apertamente antichi filosofi quali Talete, Anassimandro, Senofane, Eraclito, Parmenide, Anassagora, Democrito. In apertura e in chiusura altri due brani, il primo, “Verso Mileto”, introduce Talete, mentre l’altro, “Il Caos vi era…”, rappresenta il pensiero mitologico ed è dedicato ad Orfeo. Per meglio seguire il percorso tracciato, il libretto riporta alcuni passi degli scritti che hanno ispirato la musica. Tutto ciò potrebbe apparire quanto mai macchinoso ove non si consideri che inizialmente si trattava di uno spettacolo di teatro-musica, un reading di musica d’atmosfera con testi di poesia e prosa degli albori del pensiero filosofico. I materiali sono stati poi sintetizzati nei nove brani confluiti nel cd. Responsabile del progetto, in piano-solo, Theo Allegretti, artista a 360 gradi che si va sempre più affermando per ora in ambito nazionale. Francamente ascoltando solo la musica, si fatica a collegarla ai filosofi di cui sopra; ciò non toglie, comunque, che l’album abbia una sua valenza grazie alla statura artistica di Allegretti. Nella duplice dimensione di pianista e compositore Theo è riuscito ad elaborare uno stile personale in cui confluiscono input provenienti da generi diversi quali il jazz, il folk, la classica con alcuni accenni – nell’album in oggetto – a stilemi della musica greca antica. Di qui un pianismo di forte suggestione e a tratti chiaramente evocativo (si ascolti al riguardo come il brano d’apertura introduca alla perfezione il clima che caratterizzerà l’intero CD).

Banda del Bukò – “Rosmarinus” – Riverberi

rosmarinusChi segue “A proposito di jazz” sa bene quanto non amiamo gli album a soggetto preferendo soffermarci sulla qualità della musica piuttosto che sull’idea che la sottende. Ma, more solito, ogni regola soffre la sua brava eccezione è questo è proprio uno di questi casi ché il progetto, pensato e realizzato nel beneventano, è davvero meritevole di nota. In breve il tentativo – ben riuscito – è stato quello di costituire un ensemble “aperto” in cui potessero confluire tutti coloro che avessero voglia di fare musica; di qui una Band in cui assoluti principianti si sono trovati accanto a veri e propri professionisti tra i quali, tanto per fare un solo nome, Luca Aquino. Il trombettista ha preso così a cuore il progetto da partecipare attivamente alla produzione di questo primo album presentato in occasione della serata inaugurale del festival beneventano “Riverberi” dello scorso anno. Indicativo anche il titolo: “Rosmarinus” , pianta simbolicamente accostata a molte tradizioni e leggende, nel caso specifico rappresenta i sentimenti, le emozioni che hanno caratterizzato un anno e mezzo di vita della Banda ed è dedicato ad Emanuele Viceré, uno dei fondatori del gruppo, scomparso prematuramente. Dal punto di vista squisitamente musicale, l’album si fa ascoltare per la varietà dei temi proposti: otto tracce di cui sei pezzi tradizionali, caratterizzati da una profonda  contaminazione tra musica balcanica, popolare, jazz. In buona sostanza il merito maggiore della Banda è l’aver saputo coniugare la musica di Nino Rota (“Saraghina Rumba”) con la tradizione klezmer (“Odessa”, “Froggy Waltz”, “Sem Sorok”), la tradizione kosovara in lingua serba (“Ajde Jano”) con la tammurriata napoletana (gustosa la rielaborazione della “Tarantella Schiavona” di Mario Salvi rinominata “Tammurriata Balcanica” per gli evidenti richiami alla musica balcanica), senza trascurare un riferimento alla musica araba (“Lamma Bada”); il tutto completato da un original intestato a tutta la band, “Ornitorippo Freshness”.

Rosa Brunello Y Los Fermentos – “Upright Tales” – CamJazz7901-2

UPRIGHT TALESDopo il debutto nel 2014 con “Camarones a la plancha”, questo è il secondo disco da leader della contrabbassista veneziana Rosa Brunello, accompagnata nell’occasione da David Boato alla tromba e flicorno, Filippo Vignato al trombone (già collega negli Omit Five) e Luca Colussi alla batteria ai quali si aggiungono in alcuni brani Francesca Viaro alla voce, Dan Kinzelman al sax tenore e clarinetto e Enzo Carniel al pianoforte. Il repertorio consta di undici brani di cui cinque della stessa Brunello, quattro di Boato e due di Vignato, a costituire – come afferma la contrabbassista – una raccolta di singoli racconti, uniti dall’aspetto melodico e dalla sonorità del gruppo. Gruppo guidato con professionalità da veterana dalla Colussi che riesce a coinvolgere tutti nel suo progetto senza mai essere invadente, senza dare in alcuna occasione l’impressione di voler occupare tutti gli spazi. Anzi, agendo al centro della scena, tratteggia atmosfere cangianti in cui la tromba di Davide Boato e il trombone di Filippo Vignato danzano liberamente in continuo dialogo con la batteria di Luca Colussi, altro elemento fondamentale per la riuscita del progetto. Il clima raccolto è alle volte interrotto dalle impennate free dei fiati di Dan Kinzelman sempre più presente sulla scena jazzistica nazionale. Ciò detto resta il fatto che a nostro avviso l’album non convince appieno denotando una forse eccessiva staticità e dei momenti – seppur rari – in cui sembra venir meno l’ispirazione dal punto di vista compositivo. Peccati sicuramente veniali dato che, come sottolineato in apertura, siamo solo al secondo album da leader.

Franco Cerri – “Barber Shop 2” – abeat 150

Barber Shop 2Ci sono artisti per i quali lo scorrere del tempo non sembra avere alcuna conseguenza, anzi! A questa categoria appartiene il chitarrista Franco Cerri che a “Novant’anni suonati” (come recita il sottotitolo dell’album) ci ha regalato queste registrazioni effettuate a Milano nell’ottobre del 2015. L’album è stato presentato ufficialmente il 29 gennaio 2016, giorno del compleanno dell’artista, in una grande festa organizzata dalla città di Milano, presso il Teatro dal Verme , con 1400 persone ed altrettante fuori dalla sala. Ad un paio d’anni di distanza, “il negozio del barbiere” ha riaperto i battenti, ospitando sempre gli stessi elementi: Cerri,  Dado Moroni (piano), Riccardo Fioravanti (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria), come a dire un vero e proprio gruppo “all stars”. Il quartetto affronta un repertorio costituito da nove standard (tra cui “Roma nun fa’ la stupida stasera” di Armando Trovajoli) e due originals dello stesso Cerri. Un banco di prova, quindi, severo, ma Cerri e compagni lo affrontano quasi in surplace, con bella leggerezza che non significa sottovalutazione del materiale affrontato ma, viceversa, piena consapevolezza di ciò che si suona e soprattutto assoluta lucidità sul come si vuole eseguire le partiture. Ecco quindi un Cerri che, ad onta dell’età, appare fresco, in grado di portare nuova linfa a brani già ampiamente battuti, grazie ad un fraseggio sempre misurato, sobrio, con quelle note staccate, udibili una per una che da tempo caratterizzano il suo stile a conferma di una personalità elegante, discreta, gentile che tutti gli riconoscono. Accanto al chitarrista ancora una prova superba di Dado Moroni che personalmente consideriamo uno dei pianisti più sensibili dell’attuale panorama jazzistico non solo nazionale; il suo pianismo è di grande modernità, ricco di swing, di inventiva, capace di adattarsi alle varie atmosfere volute dal leader: lo si ascolti particolarmente nel brano d’apertura “Take The “A” Train” e nella intro di “Roma nun fa’ la stupida stasera”.

Cojaniz, De Mattia, Feruglio, Mansutti – “Il grande drago” – Setole di maiale

Il Grande DragoAlbum di grande fascino questo realizzato da un quartetto sotto certi aspetti anomalo, in quanto, pur essendo costituito da artisti che operano prevalentemente nel Nord-Est, accomuna sensibilità diverse. Così accanto al pianista Claudio Cojaniz, che vanta un robusto bagaglio accademico, troviamo il flautista Massimo De Mattia a ben ragione considerato uno dei massimi esponenti europei della nuova musica improvvisata tanto che questo album si allontana non poco da quelle che sono le strade da lui tradizionalmente battute; assieme a loro Franco Feruglio titolare della cattedra di Contrabbasso presso il Conservatorio “J. Tomadini” di Udine, che si divide tra jazz e musica classica in special modo del XX secolo e il batterista Alessandro Mansutti che si è fatto le ossa collaborando spesso con lo stesso Cojaniz, nonché con Juri Dal Dan e Marco Cisilino. I quattro formano un combo compatto, equilibrato in grado di proporre una musica in cui il richiamo alla tradizione si coniuga con direzioni astratte in cui le facoltà improvvisative sono messe a dura prova. Così le linee disegnate da pianoforte e flauto si intersecano con naturalezza ben sostenute da una sezione ritmica il cui ruolo va ben al di là del semplice supporto ritmico-armonico (si ascolti, ad esempio, la ‘Variazione IV’), con gustose figurazioni ritmiche che alle volte richiamano addirittura il funky. In definitiva, cosa più unica che rara, un disco che riesce a coniugare l’interesse per la sperimentazione, per la modernità, per la ricerca di qualcosa di nuovo, con una certa gradevolezza d’ascolto.

Oscar Del Barba – “Two Suites For Jazz Orchestra” – Dot Time 9036

two suitesIl fisarmonicista, pianista, tastierista e compositore bresciano Oscar Del Barba è personaggio ben noto negli ambienti jazzistici: in passato si è fatto notare come musicista attento, appassionato in grado di ben figurare nei contesti più diversi: così, ad esempio, lo ricordiamo nell’album “Scale mobili” del gruppo Pentagono in cui compose otto delle nove tracce incise, o ancora con Simone Guiducci, con Toni Melillo e in duo con il chitarrista Francesco Saiu. Questa volta il discorso è completamente diverso: Oscar ha assemblato una vera e propria big-band, con elementi di tutto rispetto quali, tanto per fare qualche nome, i sassofonisti e clarinettisti Achille Succi e Rossano Emili, il trombonista Beppe Caruso, il chitarrista Domenico Caliri, il contrabbassista Salvatore Maiore e il batterista Vittorio Marinoni cui si è aggiunto, classica ciliegina sulla torta, il grande “altista” Dave Liebman presente nella prima composizione. Per questo ensemble Del Barba ha composto due suites, ambedue in cinque tempi, intitolate, rispettivamente, “Cinque scene per big band” e “Variazioni sopra un canto popolare bresciano”: Come lascia intendere il titolo della seconda suite, l’artista si è ispirato alle musiche della sua terra cui si era già rivolto per altre composizioni. Il risultato è eccellente. Oscar Del Barba conosce la musica, scrive e arrangia bene trovando un giusto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. Così i singoli hanno modo di esprimere le proprie potenzialità senza per questo mortificare il giuoco d’assieme che rappresenta, in realtà, il vero punto di forza dell’album. Le melodie , accattivanti nella loro non banale semplicità, galleggiano su un tappeto ritmico-armonico piuttosto complesso mentre a tratti avvincente è l’alternarsi tra tensione e distensione che il leader sembra conoscere assai bene. Superlativa, come al solito, la prestazione di Dave Liebman… ma forse questo non c’era bisogno di aggiungerlo!

Gianluca Esposito – “The Hammer “ – Wide 205

The HammerUna tonnellata di groove quella che il sassofonista abruzzese Gianluca Esposito scarica sugli ascoltatori attraverso questo riuscito “The Hammer”. Il gruppo è di quelli che non si esiterebbe a definire “all stars”: accanto al leader ci sono, infatti, Mauro Grossi al piano e all’organo Hammond, Daniele Mencarelli al contrabbasso e basso elettrico, Andrea Dulbecco al vibrafono e, udite udite, Gregory Hutchinson alla batteria. Il programma comprende sei originals scritti dallo stesso Esposito, due standard rispettivamente di Pat Metheny e Kurt Weill e un brano tratto dal repertorio pop vale a dire “Fragile” di Sting. Le composizioni di Esposito appaiono ben strutturate, anche se non presentano elementi di particolare novità; comunque le melodie sono spesso godibili e si sviluppano su un tessuto ritmico-armonico di rara eleganza. L’approccio del gruppo al materiale tematico è incentrato sulle invenzioni soliste di Esposito e Grossi, magistralmente coadiuvati da una sezione ritmica semplicemente stellare in cui Hutchinson si conferma un mostro sacro della batteria, con Dulbecco bravissimo nel lavoro di punteggiatura e di contrappunto oltre che di solista (“Question and Answer” di Pat Metheny). Ovviamente gli spazi solistici maggiori sono riservati al leader che si esprime compiutamente sia al sax alto sia al soprano, con un linguaggio moderno, con un sound rotondo, pieno, un senso del ritmo veramente notevole e una spiccata capacità improvvisativa: di qui la difficoltà di segnalare un solo brano in cui si mette in particolare evidenza. Discorso quasi identico per Mauro Grossi di cui comunque vi consiglieremmo di ascoltare con particolare attenzione “The Hammer” (con l’organo Hammond) e “Like a Dream” (al pianoforte) . Puntuale il sostegno di Mencarelli, notevole anche in alcuni assolo (“Play for Kenny”) mentre su Hutchinson è quasi inutile spendere ulteriori parole dal momento che tutti lo considerano giustamente uno dei massimo esponenti della moderna batteria jazz.

Dario Faiella meets Monday Orchestra – “Recurring Dreams” – abeat544

Recurring dreamsMauro Negri (clarinettol), Emanuele Cisi, Michael Rosen (sax ten), Giulio Visibelli (flauto), Emilio Soana (tromba), Marco Brioschi (flicorno) sono alcuni degli “ospiti” che impreziosiscono questo bel cd del chitarrista Dario Faiella che in questo caso si misura al cospetto di una big band , la “Monday Orchestra” diretta da Luca Missiti, responsabile quest’ultimo di tutti gli arrangiamenti, eccezion fatta per “Estrelas” e il monkiano “Pannonica” dovuti a Gabriele Comeglio. Diciamo subito che è un piacere ascoltare la musica di questo CD: la band è ben rodata e altrettanto ben diretta, con gli arrangiamenti che funzionano alla perfezione riuscendo a mettere in risalto sia la compattezza dell’insieme sia la capacità improvvisativa dei singoli. Così abbiamo la possibilità di ascoltare assolo di tutti gli “ospiti” a partire da Mauro Negri in “Conception” di George Shearing, per chiudere con Bonacasa nel già citato Pannonica. Dal canto suo il leader si dimostra non solo eccellente strumentista (ma questo già lo si sapeva) ma anche dotato compositore: tre brani (“Cyber Blues”, “Estrelas” e “Care”) sono dovuti alla sua penna e non sfigurano accanto a standard quali “Moment’s Notice” di John Coltrane o “Celia” di Bud Powell. Ma quel che veramente colpisce in questo album è il sound, un sound pieno, corposo, carico di swing proprio come quello delle big-band di una volta, un sound che purtroppo si ascolta sempre più raramente nei dischi e ancor più di rado nei concerti per ovvii motivi economici.

FunSlowRide – “FunSlowRide” – SAM 9039

FunSlowRide_1I FunSlowRide – International Collective of Music Travellers – sono un collettivo di talentuosi musicisti ; prodotto da Gegè Telesforo con la supervisione di Leo Sidran (figlio di Ben) e realizzato in due anni di lavoro in vari studi di registrazione (Brooklyn, Madison, Londra,….), FunSlowRide vede la collaborazione di artisti e vocalist del calibro di Alan Hampton, Sachal Vasandani, Joanna Teters, Mosè Patrou, Joy Dragland, Ainé, Greta Panettieri oltre naturalmente a Gegè Telesforo alla voce, tastiere e percussioni. A tutti questi si aggiunge il grande Ben Sidran con uno “spoken-words” sul tema di un emozionante brano dedicato ai bambini (“Let The Children”). Il risultato è dei più positivi: proprio grazie all’innesto di tante voci, di tanti artisti così differenti, l’ album acquista una sua specificità rafforzata da alcune linee guida che Telesforo ha voluto seguire: la ricerca di un groove incessante e la proposta di melodie ampie, ariose, riconoscibili. Di qui un ritmo incalzante che caratterizza tutto il disco con una tensione che mai si dilegua. In programma nove originals scritti prevalentemente da Gegé Telesforo (musica) e Greta Panettieri (parole) con l’aggiunta di “I Shot The Sheriff” di Bob Marley; tra questi ci piace segnalare “Next”, una dolce melodia scritta da Telesforo e dedicata alla figlia Joana per raccontarle – spiega lo steso vocalist pugliese – “le emozioni contrastanti di una storia d’amore”: convincente la prestazione vocale di Alan Hampton, sicuramente un grande talento, ben accompagnato da Domenico Sanna al pianoforte; assolutamente trascinante il già citato brano di Bob Marley con in bella evidenza il vocalist Moses Patrou e il sassofonista Alfonso Deidda.

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