Christian McBride: la mia passione è suonare il contrabbasso

Nell’odierna realtà jazzistica se c’è un personaggio che riesce a racchiudere tutte quelle qualità che fanno di un buon musicista un eccezionale artista questi è sicuramente Christian McBride. Strumentista portentoso, compositore e arrangiatore di sicuro livello, didatta coscienzioso (con la moglie, la cantante Melissa Walker, diplomata anche come educatrice, crea a Montclair, New Jersey, una scuola la Jazz house Kids), sembra mai accontentarsi e così nel marzo 2016 viene nominato direttore artistico del Newport Jazz Festival. Il tutto condito da una serie di riconoscimenti ufficiali tra cui ben otto Grammy.

Originario di Filadelfia, classe 1972, ha un aspetto imponente: alto, massiccio, con una bella voce profonda e leggermente roca all’apparenza non sembra certo il tipo con cui vorresti avere qualche incontro ravvicinato del terzo tipo. Ma quando lo incontri e gli parli, l’impressione cambia radicalmente: Christian è persona squisita, gentile, comprensivo, che parla volentieri e non elude alcuna domanda.

Cominciamo da un fatto che mi incuriosisce parecchio. Lei è molto giovane eppure ha già fatto davvero tante, tante cose. Tournée, didattica, produzione, composizione, direzione di big band, tecnica straordinaria sullo strumento…e potrei continuare. Cosa preferisce fare?
“Innanzitutto vorrei precisare che non sono così giovane. Ad oggi sono cinquant’anni. Quel che ho fatto non è stato tutto pianificato, è venuto così dove mi ha portato la mia anima. Quando sono andato a vivere a New York per la prima volta, trentadue anni fa, volevo solo suonare con i miei eroi e molto di questo è successo. Per quanto concerne ciò che è venuto dopo, ho solo proseguito lungo il cammino. Comunque tornando alla sua domanda preferisco suonare il basso…e non sto scherzando. Da sempre suonare il contrabbasso è la mia passione, ciò che realmente mi riempie il cuore di gioia. Io davvero mi auguro che tutti i musicisti abbiano queste stesse possibilità, di sentirsi felici quando suonano il proprio strumento”.

Data questa sua passione per il contrabbasso, lei preferisce suonarlo nell’ambito di un’orchestra o di un combo?
“Per me è assolutamente lo stesso. Metto lo stesso impegno, la stessa passione e mi diverto allo stesso modo sia se suono all’interno di una big band, sia che mi trovo a far parte di un trio o un quartetto”.

Cosa ricorda di una delle sue prime collaborazioni, quella con Bobby Watson parecchi anni fa, se non sbaglio nel 1989?
“Ero alle primissime settimane di college quando qualcuno mi ha detto ‘ehi c’è uno strano tipo che ti sta cercando, ma non sappiamo il suo nome’. Così me ne sono andato a seguire la successiva lezione ma altri studenti mi hanno ripetuto che qualcuno mi stava cercando. Così quando sono andato a pranzo, seduto ad un tavolo leggendo un giornale l’ho visto: era Bobby Watson che già conoscevo. Appena sono entrato e l’ho visto, l’ho salutato calorosamente e lui mi ha risposto: ‘ehi, ti stavo cercando; che fai questo fine settimana? Ho un regalo per te. Suoniamo al Birdland con James Williams che suona il piano, Victor Lewis alla batteria”. Cosa ricordo di questo episodio? Che ero molto, molto spaventato. Quel pomeriggio abbiamo provato e poi è andato tutto bene. Sono rimasto nella band di Bobby Watson per due anni”

Così poco? Io avevo letto che avevate suonato assieme per più tempo…
“No, con la stessa band sono rimasto due anni. Poi, sai come succede, se uno si fa un nome finisce con il suonare con un sacco di gente. E ovviamente a me è capitato anche in seguito di suonare con Bobby. Ma nello stesso tempo ho avuto modo di suonare con altri grandissimi musicisti quali, tanto per fare qualche nome in ordine cronologico, ho lavorato dapprima con Ray Hargrove, quindi con Benny Golson, e poi con Freddie Hubbard. Tra il 1989 e il 1992 ho fatto molti concerti con diversi leader”.

Un altro dei grandi musicisti cui Lei è particolarmente affezionato è sicuramente Chick Corea. Come ricorda questo artista?
“Lui è stato una delle persone più straordinarie, meravigliose che io abbia incontrato nel corso della mia vita. Certo era un grande compositore, un grandissimo pianista, ma soprattutto una bellissima persona”.

In che senso?
“Abbiamo collaborato per ben ventisei anni e in questo lungo periodo mai una volta l’ho visto rivolgersi male verso qualcuno, essere sgarbato…insomma era davvero una brava persona, una persona per bene: nel mondo ci sarebbe bisogno di molte più persone come lui. Da un punto di vista più strettamente musicale, Chick mi spronava sempre a comporre aggiungendo che lo facevo bene. Ma egualmente io mi sentivo in imbarazzo davanti a lui in quanto, mi creda, Chick Corea è stato uno dei compositori più illuminati del secolo scorso”.

Chick a parte, qual è la collaborazione che ricorda con più piacere?
“Quella con James Brown, l’eroe della mia infanzia. Suonare con lui per me è stato come realizzare un sogno. Quando mi ha chiamato io ero, in un certo senso, più che preparato…conoscevo ogni suo pezzo, conoscevo tutto ciò che aveva fatto nel corso della sua carriera. Quindi nel momento in cui, quando festeggiava il suo 64simo compleanno, nel corso di una sorta di jam session mi chiamò sul palco, ero letteralmente al settimo cielo. Poi ho prodotto uno dei suoi ultimi spettacoli ed è stata un’esperienza unica, straordinaria, meravigliosa”.

Bene. E cosa pensi di Marvin Gaye?
“Anche lui è una leggenda. Ci sono molti cantanti r&b, soul che sono anche eccellenti musicisti jazz. Herbie Hancock racconta questa bella storia di quando entrando in uno studio di registrazione ha incontrato per la prima volta Marvin Gaye che intonava magnificamente al pianoforte “Maiden Voyage” (Uno dei brani più conosciuti di Hancock ndr). Non so se Winton Marsalis, entrando in uno studio, potrebbe incontrare John Legend che intona uno dei suoi brani. Mi piace moltissimo anche Stevie Wonder: lui è il re”

Cosa pensa del cd. ‘modern jazz’?
“Onestamente devo dire che non lo amo particolarmente. Bisogna però intendersi meglio. Oggi per modern jazz si intende la musica suonata per lo più da ventenni. In realtà molti giovani suonano mescolando ad esempio suoni acustici con l’elettronica, cosa certo non nuova, e alle volte devo ascoltare questa musica anche due volte per entrarci dentro ma ciò mi piace. Insomma in linea di massima questo tipo di espressione non mi soddisfa pienamente anche se devo riconoscere che ci sono cose interessanti”.

Pensa sia possibile parlare oggi di jazz americano, jazz europeo, jazz italiano?
“Non sono molto bravo ad operare simili distinzioni. Io penso che il jazz è jazz: il jazz è nato in America e da lì tutto deriva, anche la musica improvvisata europea, anche quella asiatica seppure innervata da elementi tratti dalle culture locali. Ciò non toglie, ovviamente, che ci siano eccellenti musicisti di jazz in tutto il mondo”.

Cosa conosce del jazz made in Italy?
“Tete Montoliou, Michel Petrucciani…”

Mi scusi ma l’uno è spagnolo e l’altro di origine italiana ma francese…
“Stefano Di Battista…”

Sì con lui ci siamo, e poi?
“Il contrabbassista Giuseppe Bassi che è un mio caro amico e poi naturalmente Paolo Fresu”.

Perché lo stato della popolazione afroamericana negli States è sempre così complessa, per usare un eufemismo?
“Io penso che in tutto il mondo, ma particolarmente negli Stati Uniti, ci sia un problema di razza e allo stesso tempo di classe sociale, di soldi. Se tu sei ricco nessun problema; viceversa i bianchi che sono poveri hanno gli stessi problemi dei neri poveri, degli asiatici poveri, dei latini poveri. A ciò si aggiunga il razzismo verso la gente di colore che negli States è ancora forte. E’ molto difficile che quanti hanno tanti soldi si prendano cura di chi è realmente povero. Questa è la grande sfida da affrontare subito”.

Personalmente Lei ha avuto brutte esperienze in tal senso?
“Certo che sì. Ogni cittadino americano di colore tra i sedici e i settantacinque anni potrebbe raccontare episodi del genere. Io stesso più volte sono stato fermato dalla polizia ho sempre reagito nel migliore dei modi, educatamente, salutando cordialmente. Ma non sempre funziona: io sono grande, grosso e nero e ciò basta per suscitare qualche sospetto, per pensare che sia violento. Per non parlare dell’enorme problema costituito dalla presenza delle armi che andrebbero bandite perché gli americani quando si parla di armi è come se diventassero bambini”.

Pensa che in Europa sia diverso?
“Onestamente non lo so. Uno dei miei più cari amici che vive a Roma da quattro anni, Greg Hutchinson, mi racconta che non importa dove vai, qualcuno ti guarderà sempre in modo sciocco. Per quanto concerne moleste della polizia e razzismo non so come sarebbe in Europa; conosco molti musicisti neri che hanno lasciato l’America tra gli anni ’40 e ’50 e sembrano felici

Qual è il suo album che preferisce?
“Francamente è difficile rispondere. Comunque, pensandoci meglio, credo che le mie preferenze vadano al primo album, “Gettin’ to It”, per la Verve nel 1995 con Roy Hargrove tromba e flicorno, Joshua Redman tenor saxophone, Steve Turre  trombone, Cyrus Chestnut  piano, Lewis Nash  batteria, Ray Brown e Milt Hinton  basso on ‘Splanky’ “.

Qual è la musica che preferisce suonare oggi?
“Tutta, purché sia buona musica. Voglio essere cittadino del mondo”.

Gerlando Gatto

Grand Prix de l’Académie du jazz le donne trionfano

Leïla Olivesi, Samara Joy et Diunna Greenleaf sono state insignite, nelle diverse categorie, del “Grand Prix” 2022 dell’Académie du jazz en France nel corso della solita prestigiosa cerimonia tenutasi all’inizio di marzo nel club Pan Piper à Paris. Questa tradizionale cerimonia annuale della prestigiosa istituzione che il prossimo anno festeggerà i suoi70 anni di esistenza, era presieduta per l’ultima volta da François Lacharme che, dopo 18 anni di leale servizio, lascia il posto a Jean-Michel Proust, sassofonista nonché direttore artistico di vari festival tra cui Jazz au phare sur l’île de Ré e Paris Guitar Festival à Montrouge, nella banlieue parigina.

Venendo allo svolgimento della cerimonia, il premio Django Reinhardt (con il sostegno della Fondation BNP Paribas) che viene attribuito al (alla) musicista francese dell’anno è stato attribuito alla pianista, direttrice d’orchestra e compositrice Leïla Olivesi. In tal modo la Olivesi diventa la sesta jazz-woman insignita di questo prestigioso riconoscimento dopo Airelle Besson (tromba – 2014), Cécile McLorin Salvant (voce – 2017), Sophie Alour (saxophone – 2020), Géraldine Laurent (sax – ex-æquo en 2008) et Sophia Domancich (piano – 1999).

Una meritatissima conferma per la giovane new-yorkese di 23 anni Samara Joy che dopo aver vinto quest’anno due Grammy Awards (migliore nuova artista e miglior album di jazz vocale), ha ottenuto anche il premio francese relativo al Jazz vocale per il suo album “Linger Awhile” votato da una cinquantina di membri dell’Académie già dalla fine dello scorso anno, quindi ben prima dei Grammy.

Infine, ultima rappresentante del genere femminile, la cantante di Blues Diunna Greenleaf, venuta espressamente da Houston (Texas) e immediatamente ripartita con in tasca il “premio Blues” per il suo album “I Ain’t Playin” (Little Village). Nonostante gli evidenti impegni, la Diunna ha trovato il tempo di esibirsi in un mini-concerto di grande spessore.

Nelle categorie puramente strumentali il “Gran Premio” per il miglior disco dell’anno è andato al magnifico quartetto composto da Joshua Redman, Brad Mehldau, Christian McBride e Brian Blade grazie all’album  “Long Gone” (Nonesuch/Warner Music).

Il premio per il miglior disco registrato da musicista di casa è andato al contrabbassista Stéphane Kerecki per l’album “Out Of The Silence” (Outnote/Outhere Distribution) ;  il premio per il miglior inedito è stato attribuito a Mal Waldron per “Searching In Grenoble : The 1978 Solo Piano Concert” (Tompkins Square Records) mentre quello per il Jazz classico a  Dany et Didier  Doriz/Michel e César Pastre per il loro omaggio familiare “Fathers & Sons – The Lionel Hampton/Illinois Jacquet Ceremony” (Frémeaux & Associés).

Se il premio al miglior musicista europeo è andato al trombonista tedesco Nils Wogram che che suona regolarmente con Michel Portal, un nuovo premio denominato “Prix Evidence” è stato istituito per mettere in primo piano dei giovani talenti, premio andato questa prima volta alla formazione del chitarrista svizzero d’origine honduregna Louis Matute, grazie al suo disco “Our Folklore” (Neuklang).

Didier Pennequin
Membro dell’Académie du Jazz en France

ANCHE IL JAZZ TIENE FAMIGLIA

Guardando, fra le recenti novità discografiche, agli album dei fratelli Tonolo (“Our Family Affair”, Caligola), di Adalberto e Andrea Ferrari, con Trovesi, (“NRG Bridges, Intertwined Roots”, Parco della Musica) e di Jasmine e Giovanni Tommaso (“As Time Goes By”, PDM) è sorta spontanea la domanda di quanto nel jazz possa incidere la relazione affettiva e l’appartenenza familiare dei musicisti.

In generale, secondo William McDougall, la mentalità di gruppo, a partire dal nucleo base della famiglia, dà qualcosa in più rispetto alla risultante della somma degli individui. La qual cosa, se riferita al mondo del jazz, trova riscontro in communities e/o organizzazioni associate (la A.A.C.M. a Chicago, la J.C.O.A. di Mantler e della Bley, la Instant Composers Pool di Breuker e soci etc.) dove aggregazione e condivisione sono elementi fondanti.
Ma il grado di coesione che trasmette il legame fraterno o filiale, l’influenza reciproca, l’empatia parentelare, la stessa frequentazione domestica in un ambiente familiare musicalmente orientato e dotato, possono forse ancor meglio dar luogo a quel qualcosa in più di cui alla menzionata tesi psicosociale.
La storia del jazz ridonda dei nomi dei Mills Brothers, The Dorsey Brothers, The Hampton Sisters, The Boswell Sisters, gruppi acclamati e chissà se “sorellanza” e “fratellanza” non abbiano aggiunto un richiamo spettacolistico o quantomeno di curiosità alla “family band”.
Da precisare, intanto, che brilla per affinità elettiva e creatività, fra gli autori, la stella perenne dei fratelli George e Ira Gershwin.
Fra le “famiglie jazz” spiccano i fratelli Joe e Marty Marsala, gli Heath (Jimmy, Percy e Albert), i Jones (Thad, Hank ed Elvin), i “Jazz Brothers” Chuck e Gap Mangione, i LaBarbera (Joe, Path e John), i McLean, i Brecker Brothers al secolo Michael e Randy, la Dinastia Marsalis (Winton, Brandford, DelFeayo, Jason…) il cui patriarca Ellis è scomparso nel 2020, per non parlare di ascendenze tipo Natalie Cole figlia di Nat, Denardo Coleman, figlio di Ornette, Joshua Redman il cui padre era Dewey, Eric Mingus (genitore, ovviamente, Charles), Neneh Cherry, figlia adottiva del trombettista Don, in area hip hop, come dire che non sempre vale il detto “qualis pater talis filius”.
L’influsso paterno del contrabbassista-compositore Bill Lee ha influenzato il regista Spike mentre, sempre a livello trasversale, la passione per il jazz di Clint Eastwood si è riverberata nel figlio, il contrabbassista Kyle. Per contro Kailand Morris, figlio ventenne di Stevie Wonder, pur essendo musicista, ha sfondato come influencer e designer nel campo della moda prevalendo in lui, evidentemente, l’imprinting di Kai Milla, la madre stilista.
Musicisti sono Philippe e Louis Petrucciani, fratelli di Michel, il cui papà, Antoine, era un chitarrista jazz, francesi come Katia Labèque sorella di Marielle anch’essa pianista di base classica. Mago della sei corde, per la cronaca, è Stochelo (dei fratelli) Rosenberg, rappresentante del jazz manouche.
Se si guarda alle coppie celebri si incrociano i dna artistici di John e Alice Coltrane, Lester Bowie e Fontella Bass (sorella di David Peaston), Paul e Carla Bley,
In Italia, alla radice dell’albero genealogico, si ritrova il sincopato canterino del Trio Lescano e, ben più avanti, il jazz moderno di maestri come Dino e Franco Piana, a seguire i Minafra (il bandleader e trombettista Pino, la moglie Margherita Porfido clavicembalista e il figlio Livio, pianista), i jazzisti siciliani dell’Amato Jazz Trio, i Deidda, gli Iodice, i Bollani (per l’esattezza Manuela sorella di Stefano padre di Frida la cui genitrice è Petra Magoni), Danilo e Oona Rea…
Il gioco potrebbe continuare a lungo, saltellando di biografia in biografia, da una famiglia più o meno “allargata” ad una diadica, magari di fatto, alla ricerca di addentellati validi a documentare come il guscio familiare possa incidere nel definire un’identità musicale, nello specifico jazzistica.
L’interazione, il sostegno, il comune linguaggio, la solidarietà, la comprensione sono importanti elementi di coagulo anche nella formazione dei singoli che si confrontano con i parenti più o meno stretti. Nel jazz comunque rimarrà il Talento, per i figli d’arte e non solo, l’ingrediente primario per un musicista che si rispetti, assieme ad abilità e preparazione. Se poi questi tiene famiglia, in senso artistico, tanto meglio!

Amedeo Furfaro

Corinaldo Jazz anteprima : JOHN PATITUCCI Trio feat.CHRIS POTTER,BRIAN BLADE.

Il bassista John Patitucci, il sassofonista Chris Potter e il batterista Brian Blade, uniti insieme in un unico trio jazz, saranno ospiti il 14 luglio all’anteprima della XXIII edizione del Corinaldo Jazz che si svolgerà nel suggestivo anfiteatro dell’antica città di Suasa alle ore 21:15.

Le tre star non hanno certo bisogno di presentazione, vantano così tante collaborazioni che, per menzionarle tutte, avremmo bisogno di troppo spazio.

John Patitucci è nato a Brooklyn, New York, nel 1959 e ha iniziato a suonare il basso elettrico all’età di dieci anni, cimentandosi successivamente con il basso acustico e il pianoforte. Passa rapidamente dal suonare soul e rock al blues, al jazz e alla musica classica: i suoi gusti eclettici gli hanno fatto esplorare tutti i generi musicali come musicista e compositore. Le sue sei registrazioni da solista per la GRP Records e le sue registrazioni successive gli hanno portato due Grammy Awards e oltre quindici nomination. Come strumentista Patitucci ha suonato in tutto il mondo con grandi esponenti della musica come Chick Corea, Herbie Hancock, Wayne Shorter, Stan Getz, Wynton Marsalis, Joshua Redman, Freddie Hubbard e molti altri. Chris Potter è un sassofonista, compositore e polistrumentista jazz americano. Potter è diventato famoso come sideman con del trombettista Red Rodney, prima di esibirsi con il batterista Paul Motian, il bassista Dave Holland, il trombettista Dave Douglas e altri. Brian Blade è batterista e compositore il cui nome è legato alla lunga collaborazione con Joshua Redman. È membro stabile del quartetto di Wayne Shorter dal 2000 e ha collaborato al di fuori del panorama jazz con Bob Dylan.

Posto unico € 20 con prevendita online e su tutte le rivendite della piattaforma vivaticket (numero posti limitati).

In caso di maltempo il concerto sarà annullato e il biglietto rimborsato. Tutte le info su www.corinaldojazz.com e pagine social del Festival.

In occasione dell’evento, le porte del parco archeologico dell’Antica città di Suasa verranno aperte e sarà possibile effettuare una visita guidata alla Domus.Il costo del biglietto è di soli € 2 e le visite saranno effettuate in gruppi di massimo 15 persone rispettando tutte le norme previste dalle disposizioni in vigore. Orario visite: ore 20:00 e 20:30, con prenotazione obbligatoria. Per info e prenotazioni sulla visita, chiamare 353 300 4077 o consultare il sito www.corinaldojazz.com.

Il concerto è organizzato in collaborazione con il Comune di Corinaldo,Assessorato alla Cultura ,Spaziomusica/Ancona Jazz e Comune di Castelleone di Suasa.
Gli altri due appuntamenti della XXIII edizione del Corinaldojazz sono previsti nella tradizionale Piazza Il Terreno a Corinaldo, il 4 e il 5 agosto alle 21:15, con rispettivamente il nuovo progetto di ZEPPETELLA-BOSSO in quintetto e il LANZONI-MORGAN-McPHERSON trio.

Tutte le informazioni sul sito www.corinaldojazz.com

All’AlexanderPlatz di Roma Stefania Tallini presenta ufficialmente il suo “Uneven” (AlfaMusic 2020)

In poche ore al 3° posto nella iTunes Jazz Chart in Russia e al 57° su 300 Top Release di Deezer Grecia: anche all’estero Stefania Tallini è divenuta una delle colonne portanti della musica colta made in Italy, con il suo nuovo e 10° album “Uneven”.
Pianista, compositrice, arrangiatrice e docente di Conservatorio, è stata scelta negli anni da grandi musicisti come Guinga, Bruno Tommaso, Enrico Pieranunzi, Andy Gravish, Gabriel Grossi, Javier Girotto, Gabriele Mirabassi, Corrado Giuffredi, Enrico Intra e la Civica Jazz Band.
Carismatica e al tempo stesso raffinata, ha saputo esprimere il suo talento in diversi percorsi stilistici, dalla classica, al jazz, alla musica popolare brasiliana sia con progetti in “solo”, sia alla guida di ensemble su grandi palchi del panorama mondiale, portando le sue composizioni anche in ambito cinematografico e teatrale, dove ha collaborato con artisti del calibro di Mariangela Melato e Michele Placido.
Giovedì 30 gennaio sarà grande protagonista all’AlexanderPlatz Jazz Club di Roma (in via Ostia 9 – www.alexanderplatzjazz.com) per presentare ufficialmente il decimo album da leader “Uneven”, appena uscito con l’etichetta discografica AlfaMusic.
Sul palco, porterà quello che ha definito più volte “il trio dei suoi sogni”: a completare la formazione due grandissimi artisti del jazz internazionale. Il batterista statunitense Gregory Hutchinson, definito da Jazz Magazine the drummer of his generation è difatti una delle figure più richieste nel panorama mondiale, che ha collaborato (e collabora) con nomi illustri come Dianne Reeves, Wynton Marsalis, John Scofield, Roy Hargrove, Diana Krall, Joshua Redman, Christian McBride e Maria Schneider. Tra i migliori contrabbassisti Europei, Matteo Bortone è un raffinato strumentista e compositore, vincitore del Top Jazz 2015, che vanta collaborazioni con Kurt Rosenwinkel, Ben Wendel, Tigran Hamasyan, Ralph Alessi e Roberto Gatto.

“Uneven” mostra una svolta energetica andando a raccontare una personalità istintiva ed emozionale in grado di firmare pagine di raffinata maestria compositiva.  Dall’affascinante “Nell’intramente” alla sferzante titletrack, nell’album c’è il grande amore di Stefania Tallini per il suo strumento, il pianoforte, e un’urgenza di “parlare” al mondo attraverso la sua musica.
Stefania Tallini: “Questo disco rappresenta una tappa molto importante, che è, allo stesso tempo, un nuovo punto di partenza – così come lo è sempre ogni obiettivo raggiunto – di un percorso musicale che sento continuamente in movimento. UNEVEN ha diversi significati: irregolare, asimmetrico, non allineato, dispari, disuguale, che sicuramente rappresentano gli aspetti che più caratterizzano le mie composizioni degli ultimi anni. Questa parola inglese è quindi l’espressione di qualcosa di inatteso, di inaspettato, che rimanda ad un carattere di imprevedibilità, appunto, che è proprio ciò che amo nella musica e nella vita.”

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Alla Casa del Jazz Rita Marcotulli, Martin Wind e Matt Wilson omaggiano Dewey Redman

Giovedì 7 novembre alle ore 21, sul palco della Casa del Jazz di Roma un concerto speciale con la pianista Rita Marcotulli, il contrabbassista Martin Wind e il batterista Matt Wilson per presentare il pregiato disco in vinile “The Very Thought Of You – Remembering Dewey Redman” nato da una idea del festival Ancona Jazz e prodotto dall’etichetta Go4 Records.
Registrato in studio tra ottobre e novembre 2018, questo album è un vinile puro per audiofili, uscito in occasione dell’edizione 2019 del festival Ancona Jazz.
Il suo repertorio omaggia la figura del grande sassofonista statunitense Dewey Redman, nel cui quartetto degli anni ’90 figuravano Rita Marcotulli e Matt Wilson. Tra i più grandi esponenti dell’era post-free, Redman ed è stato membro del quartetto di Ornette Coleman e del quartetto “americano” di Keith Jarret con Paul Motian e Charlie Haden. A raccogliere parte della sua eredità musicale, il figlio Joshua Redman, divenuto uno dei sassofonisti più influenti del jazz internazionale.
Per questo omaggio il trio Marcotulli-Wind-Wilson ha subito trovato una poetica che legasse i momenti solistici al servizio di splendidi impianti melodici e armonici. Padronanza strumentale, eleganza di esecuzione, raffinatezza stilistica nella filosofia estetica dei tre, rivolta sempre ad offrire al fortunato ascoltatore un messaggio vibrante di sensazioni uniche.
Fresca di nomina ad Ufficiale della Repubblica Italiana, Rita Marcotulli continua attraverso questa produzione una carriera poliedrica come la sua statura artistica, che l’ha vista al fianco sia di jazzisti importanti come Charlie Mariano, Peter Erskine, Billy Cobham, Palle Danielsson, Joe Henderson, Joe Lovano, Sal Nistico ma anche di artisti pop quali Ambrogio Sparagna, Max Gazzè e in particolare Pino Daniele. E’ anche la prima donna ad aver vinto un David di Donatello per la miglior colonna sonora, nel 2011, per “Basilicata coast to coast”, oltre al Ciak d’oro, il Nastro d’Argento e due edizioni del premio Top Jazz della rivista Musica Jazz.
Martin Wind e Matt Wilson sono una coppia affiatatissima, specialmente nella formula strumentale del trio (Bill Mays, Dena De Rose), ma entrambi possono godere di una cospicua attività da leader di gruppi moderni, pur nel rispetto della tradizione.
Martin Wind vanta collaborazioni con artisti del calibro di Pat Metheny, Toots Thielemans, Michael Brecker, Randy Brecker, Phil Woods, Mike Stern, John Scofield e Sting.
Acclamato dalla critica, Matt Wilson vanta una lunga carriera e la presenza in oltre 400 album accanto a grandi del jazz internazionale, tra cui Dewey Redman, Paul Bley, Charlie Haden, Lee Konitz, Bob Stewart, Cecil McBee, Denny Zeitlin, Ron Miles, Jeff Lederer, Marty Ehrlich, Ted Nash, Ray Anderson.

Le prevendite sono già disponibili al link http://bit.ly/ticketoneCASADELJAZZ.
Tutte le info sul vinile pubblicato da Go4 Records sono disponibili al link https://www.go4records.online/acquista/remembering-dewey-redman mentre le attività di Ancona Jazz sono presenti al sito www.anconajazz.com.

INFO E CONTATTI
Giovedì 7 novembre ore 21
Casa del Jazz di Roma – via di Porta Ardeatina 55
Info: https://www.casajazz.it/eventi/jazz-is-not-dead-rita-marcotulli-martin-wind-matt
Biglietti in prevendita: http://bit.ly/ticketoneCASADELJAZZ
Ufficio stampa evento: Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 328.1743236 – info@fiorenzagherardi.com